Tracce di Morte - Блейк Пирс 2 стр.


Ormai quarantenne, Ray somigliava ancora al campione olimpionico di pugilato vincitore del bronzo che era stato a vent’anni e al concorrente dei pesi massimi, con un record di 28-2-1, che era stato fino ai ventotto anni. Fino a quando un grintoso piccoletto mancino di dieci centimetri più basso di lui gli cavò l’occhio destro con un feroce gancio e mise una fine stridula a tutto quanto. Aveva portato una benda per i due anni successivi, non amando la seccatura, e alla fine aveva perso un occhio di vetro, che a modo suo per lui era perfetto.

Come Keri, Ray era entrato a far parte della squadra più tardi della maggior parte degli agenti, quando era alla ricerca di un nuovo scopo, all’inizio dei suoi trent’anni. Era salito di livello velocemente e ora era detective senior dell’Unità persone scomparse, o MPU, della Divisione Pacific.

“Sembri una donna che sogna oceani e whiskey,” disse.

“È così ovvio?” chiese Keri.

“Sono un bravo detective. La mia capacità di osservazione è senza pari. In più hai già parlato dei tuoi eccitanti programmi per la serata due volte, oggi.”

“Che cosa posso dire? Insisto nel perseguimento dei miei obiettivi, Raymond.”

Sorrise, e l’occhio buono tradiva un calore che il suo atteggiamento fisico nascondeva. Keri era l’unica a cui fosse permesso chiamarlo col nome vero. Le piaceva mischiarlo con altri titoli meno lusinghieri. Spesso lui faceva lo stesso con lei.

“Senti, Piccola miss California, forse faresti meglio a trascorrere gli ultimi pochi minuti del turno verificando con il CSU il caso Sanders invece di fare sogni a occhi aperti da piccola alcolizzata.”

“Da piccola alcolizzata?” disse lei, fingendo di essere offesa. “Non è alcolismo se si comincia a bere alle cinque, Gigantor.”

Stava per replicare quando suonò il telefono. Keri rispose prima che Ray potesse dire qualcosa e gli fece una linguaccia divertita.

“Divisione Pacific, Persone scomparse. Detective Locke.”

Anche Ray alzò il ricevitore, ma non parlò.

La donna che era al telefono dalla voce sembrava giovane, tra i venti e i trent’anni. Prima ancora che dicesse perché aveva chiamato, Keri notò la preoccupazione nel suo tono.

“Sono Mia Penn. Vivo in Dell Avenue, nel distretto di Venice Canal. Sono preoccupata per mia figlia, Ashley. Sarebbe dovuta tornare da scuola per le tre e mezza. Sapeva che l’avrei portata dal dentista alle quattro e quarantacinque. Mi ha mandato un messaggio appena prima di lasciare la scuola, alle tre, ma non è qui e non risponde alle telefonate né ai messaggi. Non è per niente da lei. È molto responsabile.”

“Signora Penn, Ashley di solito torna a casa a piedi o in auto?” chiese Keri.

“A piedi. Fa solo la decima classe – ha quindici anni. Non ha ancora cominciato il corso di guida.”

Keri guardò Ray. Sapeva che cosa stava per dire e lei certo non avrebbe potuto che dargli ragione. Ma qualcosa nel tono di Mia Penn l’aveva colpita. Sapeva che la donna stava a malapena mantenendo il controllo. C’era il panico appena sotto la superficie. Voleva chiedergli di lasciar perdere il protocollo ma non riuscì a pensare a una ragione credibile per cui avrebbe dovuto farlo.

“Signora Penn, sono il detective Ray Sands. Prendo la parola. Voglio che faccia un respiro profondo e che poi mi dica se è già accaduto che sua figlia tornasse a casa in ritardo.”

Mia Penn si mise a parlare subito, dimenticandosi del respiro profondo.

“Certo,” ammise, cercando di nascondere l’esasperazione della voce. “Come ho detto, ha quindici anni. Ma ha sempre mandato un messaggio o chiamato se non tornava entro un’ora o giù di lì. E non l’ha mai fatto se avevamo degli appuntamenti.”

Ray rispose senza guardare quello che, lo sapeva, sarebbe stata l’occhiataccia truce di disapprovazione di Keri.

“Signora Penn, ufficialmente sua figlia è una minorenne e perciò le tipiche leggi per le persone scomparse non vengono applicate come se si trattasse di un’adulta. Abbiamo un’autorità di investigazione più ampia. Ma, a essere sincero, un’adolescente che non risponde ai messaggi della madre e che non è arrivata a casa meno di due ore dopo la fine della scuola – è una situazione che non susciterà il tipo di risposta immediata che lei spera. A questo punto non c’è molto che possiamo fare. In una situazione del genere, il meglio che lei possa fare è venire in stazione a rilasciare una dichiarazione. Dovrebbe farlo assolutamente. Non c’è nulla di male a farlo e potrebbe accelerare le cose se dovessimo cominciare a lavorarci.”

Ci fu una lunga pausa prima che Mia Penn rispondesse. La voce aveva una sfumatura affilata che prima non c’era.

“Quanto devo aspettare perché cominciate a ‘lavorarci,’ detective?” chiese. “Altre due ore bastano? Devo aspettare finché non fa buio? Finché non la trovo in casa neanche domattina? Scommetto che se dicessi…”

Qualsiasi cosa stesse dicendo Mia Penn, si fermò, come se sapesse che qualsiasi altra cosa detta sarebbe stata controproducente. Ray stava per risponderle ma Keri alzò la mano e gli lanciò la solito occhiata che diceva “lascia che me ne occupi io”.

“Ascolti, signora Penn, sono di nuovo io, la detective Locke. Ha detto che vivete a Venice Canal, vero? È sulla strada per casa mia. Mi dia il suo indirizzo email. Le invierò il modulo per persone scomparse. Può già cominciare a compilarlo e io passerò da lei per aiutarla a finirlo e velocizzare il sistema. Che ne dice?”

“Che va bene, detective Locke. Grazie.”

“Nessun problema. E, ehi, magari Ashley sarà a casa per quando arrivo e potrò farle una severa lezione sul tenere sempre informata la propria madre – gratis.”

Keri afferrò la borsa e le chiavi, preparandosi ad andare a casa della Penn.

Ray non diceva una parola da quando avevano riattaccato. Keri sapeva che fumava silenziosamente di rabbia, ma si rifiutò di alzare lo sguardo. Se lui avesse colto il suo sguardo, sarebbe stata lei a prendersi la lezioncina e non era dell’umore giusto.

Ma Ray apparentemente non aveva bisogno del contatto visivo per dire quello che voleva dire.

“Venice Canal non è sulla strada per casa tua.”

“È di poco fuori strada,” insistette lei, sempre senza alzare lo sguardo. “Perciò dovrò aspettare fino alle diciotto e trenta per tornare al porto e a Olivia Pope e ai suoi scandali. Non è grave.”

Ray sospirò e tornò ad accomodarsi sulla sedia.

“È grave. Keri, lavori come detective qui da quasi un anno, ormai. Mi piace averti come partner. E hai fatto del lavoro fantastico, persino prima di ottenere il distintivo. Il caso Gonzales, per esempio. Non credo che io sarei riuscito a risolverlo e lavoro su casi del genere da una decina d’anni più di te. Hai una specie di sesto senso per queste cose. Ecco perché ti abbiamo usata come risorsa ai vecchi tempi. Ed ecco perché hai il potenziale per diventare una detective davvero fantastica.”

“Grazie,” disse, anche se sapeva che non aveva finito.

“Ma hai una grandissima debolezza e ti rovinerà se non riesci a controllarla. Devi lasciare che il sistema lavori. Esiste per una ragione. Il settantacinque percento del nostro lavoro procede da solo nelle prime ventiquattr’ore senza il nostro aiuto. Dobbiamo lasciare che sia così e concentrarci sul restante venticinque percento. Se non lo facciamo, finiamo col distruggerci di fatica. Diventiamo improduttivi, o peggio – controproducenti. E poi tradiamo le persone che davvero hanno bisogno di noi. Fa parte del nostro lavoro sceglierci le nostre battaglie.”

“Ray, non ordinerò un’allerta Amber per minori scomparsi. Sto solo aiutando una madre preoccupata a riempire dei documenti. E, sinceramente, devo allungare la strada di soli quindici minuti.”

“E…” disse lui in attesa.

“E c’era qualcosa nella sua voce. Non ci sta dicendo qualcosa. Voglio solo parlarle faccia a faccia. Magari non è niente. E se è così, me ne andrò.”

Ray scosse la testa e fece un altro tentativo.

“Quante ore hai perso su quel bambino senzatetto a Palms che eri sicura fosse scomparso ma che invece non lo era? Quindici?”

Keri si strinse nelle spalle.

“Meglio prevenire che curare,” borbottò sottovoce.

“Meglio impiegati che congedati per uso inappropriato delle risorse del dipartimento,” replicò lui.

“È dopo le diciassette,” disse Keri.

“E quindi?”

“E quindi fuori orario di lavoro. E quella madre mi sta aspettando.”

“Sembrerà che tu non sia mai fuori dall’orario di lavoro. Richiamala, Keri. Dille di inviarti via email il modulo quando l’avrà compilato. Dille di chiamare qui se ha delle domande. Ma tornatene a casa.”

Era stata il più paziente possibile ma per quanto la riguardava, la conversazione era finita.

“Ci vediamo domani, mister Perfettino,” disse stringendogli un braccio.

Mentre si dirigeva al parcheggio e alla sua Toyota Prius color argento vecchia di dieci anni, cercò di ricordare la strada più veloce per raggiungere Venice Canal. Sentiva già una fretta che non capiva.

Che non le piaceva.

CAPITOLO DUE

Lunedì

Tardo pomeriggio

Keri si inserì con la sua Prius nel traffico dell’ora di punta in direzione della zona occidentale di Venice, guidando più velocemente di quanto intendesse. Qualcosa guidava lei, una sensazione viscerale che stava nascendo e che non le piaceva.

Venice Canal si trovava a soli pochi isolati dai luoghi turistici come il Boardwalk e la Muscle Beach e le ci vollero dieci minuti di guida su e giù per la Pacific Avenue prima che riuscisse finalmente a trovare un parcheggio. Balzò giù e si lasciò condurre dal cellulare per il resto del tragitto a piedi.

Venice Canals non era solo il nome del quartiere. Era una vera e propria serie di canali costruiti dall’uomo all’inizio del ventesimo secolo, e modellati dagli originali italiani. Coprivano circa venti isolati dalla forma quadrata appena a sud di Venice Boulevard. Alcune case che costeggiavano i corsi d’acqua erano modeste, ma per la maggior parte erano stravaganti, tipiche di mare. I lotti di terreno di solito erano piccoli ma alcune case potevano facilmente avere un valore a otto zeri.

Quella alla quale arrivò Keri era tra le più impressionanti. Era alta tre piani, e solo l’ultimo era visibile a causa dell’alto muro di stucco che la circondava. Si avvicinò dal retro, che dava sul canale, fino alla porta principale. Nel frattempo notò molte telecamere di sicurezza sulle pareti della villetta e sulla casa stessa. Molte sembravano registrare i suoi spostamenti.

Perché una madre sulla ventina con una figlia adolescente vive qui? E perché tutte queste misure di sicurezza?

Raggiunse il cancello di ferro battuto sul davanti e si sorprese di trovarlo aperto. Entrò e stava per bussare al portone quando venne aperto dall’interno.

Una donna avanzò per presentarsi – indossava jeans logori e una canottiera bianca con lunghi e spessi capelli castani e i piedi nudi. Proprio come aveva sospettato Keri nel sentirla al telefono, non avrebbe potuto avere più di trent’anni. Circa dell’altezza di Keri e con dieci chili in meno, era abbronzata e in forma. Ed era meravigliosa, nonostante l’espressione ansiosa che aveva in viso.

Il primo pensiero di Keri fu moglie trofeo.

“Mia Penn?” chiese Keri.

“Sì. Prego, entri, detective Locke. Ho già compilato il modulo che mi ha inviato.”

Dentro, la villa si apriva in un maestoso foyer, con due scaloni coordinati in marmo che conducevano al piano superiore. C’era quasi abbastanza spazio da giocarci una partita dei Lakers. Gli interni erano immacolati, con pezzi d’arte che coprivano ogni parete e sculture che adornavano tavoli intagliati nel legno che sembravano opere d’arte essi stessi.

Tutto il posto pareva poter apparire su un articolo d’attualità nella rivista Case che ti faranno rimettere in questione la tua autostima. Keri riconobbe un dipinto messo bene in mostra di Delano, che già diceva tutto, che valeva più della patetica casa galleggiante vecchia di vent’anni che lei chiamava casa.

Mia Penn la condusse in uno dei più informali soggiorni, la pregò di accomodarsi e le offrì una bottiglia d’acqua. Nell’angolo della stanza, un uomo muscoloso in pantaloni e giacca sportiva se ne stava appoggiato con nonchalance contro il muro. Non diceva nulla, ma i suoi occhi non lasciavano mai Keri. Lei notò una piccola protuberanza sull’anca destra sotto la giacca.

Pistola. Deve essere uno della sicurezza.

Una volta che Keri si fu seduta, la padrona di casa non perse tempo.

“Ashley ancora non risponde alle chiamate né ai messaggi. Non pubblica tweet da quando è uscita da scuola. Neanche post su Facebook. Nulla su Instagram.” Sospirò e aggiunse, “Grazie per essere venuta. Non so neanche come dirle quanto significhi per me.”

Keri annuì lentamente, studiando Mia Penn, cercando di comprenderla. Proprio come al telefono, il panico appena celato sembrava vero.

Sembra temere sinceramente per la sorte di sua figlia. Ma sta nascondendo qualcosa.

“Lei è più giovane di quanto mi aspettassi,” disse alla fine Keri.

“Ho trent’anni. Ho avuto Ashley a quindici.”

“Wow.”

“Già, è più o meno quello che dicono tutti. Credo che sia perché siamo così vicine di età che abbiamo questo tipo di rapporto. Giuro che a volte so come sta ancor prima ancora di vederla. Lo so che sembra ridicolo ma abbiamo questo legame. E lo so che non ci sono prove, ma sento che qualcosa non va.”

“Non è ancora il momento di farsi prendere dal panico,” disse Keri.

Passarono ai fatti.

L’ultima volta che Mia aveva visto Ashley era stata quella mattina. Tutto andava bene. Aveva mangiato yogurt con cereali granola e fragole a colazione. Era uscita per andare a scuola di buonumore.

La migliore amica di Ashley era Thelma Gray. Mia l’aveva chiamata quando Ashley non era tornata dopo la scuola. Stando a Thelma, Ashley era presente alla terza ora di geometria come doveva e tutto sembrava normale. L’ultima volta che aveva visto Ashley era stato nel corridoio verso le quattordici. Non aveva la più pallida idea del perché Ashley non fosse arrivata a casa.

Mia aveva parlato anche con il ragazzo di Ashley, un atleta di nome Denton Rivers. Lui aveva detto di aver visto Ashley a scuola la mattina, e basta così. Le aveva mandato qualche messaggio dopo la fine della scuola, ma lei non aveva mai risposto.

Ashley non prendeva medicine; non aveva problemi fisici di cui parlare. Mia disse di essere stata in camera di Ashley quello stesso pomeriggio e che tutto era normale.

Keri prese appunti su tutto con un piccolo pad, creando specifiche note per i nomi su cui sarebbe tornata dopo.

“Mio marito dovrebbe tornare dall’ufficio a momenti. So che anche lui vuole parlare con lei.”

Keri alzò lo sguardo dal pad. Qualcosa nella voce di Mia era cambiato. Sembrava più circospetta, più prudente.

Qualsiasi cosa stia nascondendo, scommetto che ha a che fare con questo.

“E suo marito come si chiama?” chiese, cercando di mantenere un tono leggero.

“Si chiama Stafford.”

“Scusi un attimo,” disse Keri. “Suo marito è Stafford Penn, come Stafford Penn il senatore degli Stati Uniti?”

“Sì.”

“È un’informazione piuttosto importante, signora Penn. Perché non ne ha parlato prima?”

“Stafford mi ha chiesto di non farlo,” si scusò lei.

“Perché?”

“Ha detto che avrebbe voluto affrontare la questione con lei una volta che fosse arrivata qui.”

“Quando ha detto che sarà di nuovo qui?”

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