A OGNI COSTO
(UN THRILLER DELLA SERIE DI LUKE STONE—LIBRO PRIMO)
J A C K M A R S
Jack Mars
Jack Mars è un avido lettore, nonché un appassionato da tutta la vita del genere thriller. A OGNI COSTO è il suo primo libro. Visita il suo sito internet www.Jackmarsauthor.com per entrare a far parte della mailing list, ricevere un libro in omaggio e altri regali, e connettiti su Facebook e Twitter per non perdere le prossime uscite!
Copyright © 2015 di Jack Mars. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di aggiungerne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se intende rileggere l’e-book senza aver provveduto all’acquisto, o se l’acquisto non è stato effettuato per suo uso personale, è pregato di restituirlo e acquistare la sua copia. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright wavebreakmedia e Michael Rosskothen, utilizzata con il permesso di Shutterstock.com.
LIBRI DI JACK MARS
I THRILLER DELLA SERIE DI LUKE STONE
A OGNI COSTO (Libro primo)
IL GIURAMENTO (Libro secondo)
SALA OPERATIVA (Libro terzo)
Ascolta I thriller della seria di LUKE STONE nel format audiolibro!
INDICE
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
PARTE PRIMA
Capitolo 1
5 giugno, 1:15 a.m.
Contea di Fairfax, Virginia – Periferia di Washington D.C.
Squillò il telefono.
Luke Stone giaceva mezzo addormentato. Delle immagini gli passavano per la testa come flash. Era notte su un’autostrada bagnata dalla pioggia. Qualcuno era ferito. Un’automobile distrutta. Lontano, un’ambulanza si avvicinava, a tutta velocità. Si sentiva il vagito della sirena.
Aprì gli occhi. Accanto a lui sul comodino, nel buio della sua stanza, il telefono squillava. Un orologio digitale si trovava lì accanto. Diede un’occhiata ai numeri rossi.
“Gesù,” sospirò. Dormiva da forse mezz’ora.
La voce di sua moglie Rebecca, inspessita dal sonno: “Non rispondere.”
Un ciuffo dei suoi capelli biondi spuntò fuori da sotto le lenzuola. Una luce azzurra filtrava nella stanza da un lume da notte acceso nel bagno.
Alzò la cornetta.
“Luke,” disse una voce. Era profonda e rauca, con un leggerissimo accento nasale del sud. Luke la riconobbe fin troppo bene. Era Don Morris, il suo vecchio capo allo Special Response Team.
Luke si passò una mano tra i capelli. “Sì?”
“Ti ho svegliato?” chiese Don.
“Tu che ne dici?”
“Non ti avrei chiamato a casa. Ma il tuo cellulare non funzionava.”
Luke grugnì. “È perché l’ho spento.”
“Abbiamo avuto dei problemi, Luke. Ci servi tu.”
“Dimmi tutto,” disse Luke.
Ascoltò la voce parlare. Ben presto, provò la sensazione di un tempo – la sensazione che lo stomaco gli precipitasse di cinquanta piani in un ascensore velocissimo. Forse era per quello che aveva lasciato il lavoro. Non per via delle continue telefonate, non perché suo figlio stava crescendo così velocemente, ma perché non gli piaceva questa sensazione nello stomaco.
Era sapere che lo faceva star male. Sapere troppo. Pensò alle milioni di persone là fuori, che vivevano le loro vite felici, beatamente all’oscuro di cosa stava accadendo. Luke invidiava la loro ignoranza.
“Quando è successo?” chiese.
“Ancora non sappiamo niente. Un’ora fa, forse due. L’ospedale ha notato una violazione della sicurezza una quindicina di minuti fa. Sono scomparsi degli impiegati, quindi per ora sembra un lavoro fatto dall’interno. Lo scenario potrebbe cambiare non appena avremo informazioni migliori. Il NYPD è andato fuori di testa, per ovvie ragioni. Hanno chiamato duemila agenti in più, e per quanto ne capisco io non sono ancora abbastanza. La maggior parte di loro non riuscirà nemmeno a entrare fino al cambio del turno.”
“Chi ha chiamato la polizia?” chiese Luke.
“L’ospedale.”
“E chi ha chiamato noi?”
“Il capo della polizia.”
“Ha chiamato qualcun altro?”
“No. Tocca a noi.”
Luke annuì.
“Okay, bene. Facciamo così. I poliziotti devono mettere in sicurezza la scena del crimine. Ma devono restare fuori dal perimetro. Non vogliamo che ci passeggino sopra. Devono anche tener lontani i media. Se i giornali arrivano alla notizia, metteranno su un circo.”
“Fatto e fatto.”
Luke sospirò. “Hanno un paio d’ore di vantaggio. Non va bene. Sono di parecchio avanti a noi. Potrebbero essere ovunque.”
“Lo so. Il dipartimento di polizia sta controllando i ponti, i tunnel, le metropolitane, le ferrovie. Stanno controllando i dati dei caselli dell’autostrada, ma è come cercare un ago in un pagliaio. Nessuno ha il personale necessario per fronteggiare un caso del genere.”
“Quando ci vai?” chiese Luke.
Don non esitò. “Adesso. E tu verrai con me.”
Luke guardò ancora l’orologio. 1:23.
“Posso essere all’eliporto tra mezz’ora.”
“Ti ho già mandato una macchina,” disse Don. “L’autista ha appena chiamato. Sarà da te tra dieci minuti.”
Luke ripose il ricevitore.
Rebecca era mezza sveglia, la testa sollevata sul gomito, che lo fissava. Aveva i capelli lunghi, che le scendevano lungo le spalle. Gli occhi erano blu, incorniciati da spesse ciglia. Il suo bel viso era più magro di quando si erano conosciuti al college. Gli anni trascorsi lo avevano segnato di cure e preoccupazioni.
Luke se ne dispiaceva. Lo consumava sapere che il suo lavoro le avesse causato del dolore. Questa era un’altra ragione per cui lo aveva lasciato.
Ricordava com’era quando erano giovani, una donna che rideva e sorrideva sempre. Era spensierata, allora. Era passato molto tempo da quando aveva visto quella parte di lei. Pensava che forse questo tempo lontano dal lavoro l’avrebbe portata di nuovo alla luce, ma i progressi si facevano attendere. C’erano flash della vera Becca, certo, ma erano effimeri.
Era certo che lei non si fidasse della situazione. Che lei non si fidasse di lui. Stava aspettando quella telefonata nel cuore della notte, quella a cui lui avrebbe dovuto rispondere. Quella in cui lui avrebbe risposto al telefono, sarebbe sceso dal letto, e avrebbe lasciato la casa.
Era stata una buona notte, quella notte. Per poche ore gli era quasi sembrato di vivere i vecchi tempi.
E ora questo.
“Luke…” cominciò lei. Il suo sguardo non era amichevole. Quello sguardo gli disse che sarebbe stata una conversazione difficile.
Luke uscì dal letto e si mosse velocemente, un po’ perché le circostanze lo richiedevano, un po’ perché voleva andarsene prima che Becca riorganizzasse i pensieri. Scivolò nel bagno, spruzzò il viso con l’acqua e si diede un’occhiata allo specchio. Si sentiva sveglio ma aveva gli occhi stanchi. Il suo corpo era asciutto e forte – una cosa buona di questo periodo di vacanza erano i quattro giorni la settimana in palestra. Trentanove anni, pensò. Non male.
Dlla cabina armadio, prese una lunga cassaforte d’acciaio posta su un ripiano alto. Digitò a memoria la combinazione di dieci numeri. Il coperchio si aprì. Ne tirò fuori la sua Glock nove millimetri e la fece scivolare nella fondina ascellare in pelle. Si accovacciò e fissò una piccola calibro .25 al polpaccio destro. Assicurò un coltello seghettato a serramanico da dodici centimetri al polpaccio sinistro. Il manico fungeva anche da tirapugni d’ottone.
“Credevo che non avresti più tenuto armi in casa.”
Alzò gli occhi e Becca era ovviamente lì, che lo guardava. Indossava una vestaglia che le fasciava stretta il corpo. I capelli legati. Le braccia incrociate. Aveva il viso preoccupato e gli occhi attenti. La donna sensuale delle prime ore della notte se n’era andata. Lontano.
Luke scosse la testa. “Non l’ho mai detto.”
Si alzò e cominciò a vestirsi. Indossò dei pantaloni cargo neri e lasciò cadere un paio di caricatori extra per la Glock nelle tasche. Si mise una camicia elegante e aderente e assicurò lì la Glock. Si fece scivolare ai piedi degli stivali con punta in acciaio. Richiuse la scatola delle armi e la riposizionò sullo scaffale vicino alla sommità dell’armadio.
“E se Gunner trovasse la scatola?”
“È in alto, dove non può vederla né raggiungerla. Anche se in qualche modo la tirasse giù, è chiusa da una serratura digitale. La combinazione la conosco solo io.”
Una borsa porta abiti con due giorni di cambi era appesa allo scaffale. La afferrò. Su uno degli scaffali c’era una piccola borsa abbandonata contenente articoli per l’igiene personale da viaggio, occhiali da lettura, una pila di barrette energetiche e mezza dozzina di pillole di Dexedrine. Afferrò anche quella.
“Sempre pronto, vero Luke? Hai la tua scatola con le pistole e le tue borse con i vestiti e le tue pillole e sei sempre pronto a partire con un secondo di preavviso, in qualunque momento il tuo paese abbia bisogno di te. Ho ragione?”
Luke respirò profondamente.
“Non so cosa vuoi che dica.”
“Perché non dici: Ho deciso di non andare. Ho deciso che mia moglie e mio figlio sono più importanti di un lavoro. Voglio che mio figlio abbia un padre. Non voglio più che mia moglie se ne stia in piedi per notti infinite, a chiedersi se sono vivo o morto, o se mai tornerò. Puoi dirlo, per piacere?”
In momenti come questo, Luke sentiva crescere la distanza tra loro. Poteva quasi vederla. Becca era una piccola figura in un vasto deserto, che rimpiccioliva verso l’orizzonte. Voleva riportarla da lui. Lo voleva disperatamente, ma non sapeva come fare. Il lavoro chiamava.
“Papà va via ancora?”
Arrossirono entrambi. C’era Gunner in cima ai tre gradini che portavano in camera sua. Per un attimo, a Luke si bloccò il respiro in gola vedendolo. Sembrava Christopher Robin dei libri di Winnie the Pooh. I capelli biondi aggrovigliati in ciocche sulla testa. Indossava pantaloni del pigiama blu coperti di stelle e lune gialle. E una t-shirt di The Walking Dead.
“Vieni qui, mostro.”
Luke posò le borse a terra, e andò a prendere in braccio il figlio. Il bambino gli si aggrappò al collo.
“Sei tu il mostro, papà. Non io.”
“Okay. Il mostro sono io.”
“Dove vai?”
“Devo andarmene per lavoro. Forse per un giorno, forse per due. Ma tornerò appena possibile.”
“La mamma ti lascerà come aveva detto?”
Luke teneva Gunner in aria, con le braccia tese. Il bambino stava crescendo e Luke realizzò che presto un giorno non sarebbe più stato in grado di sollevarlo così. Ma quel giorno non era ancora arrivato.
“Ascoltami. La mamma non mi lascerà, e staremo tutti insieme per moltissimo tempo. Okay?”
“Okay, papà.”
Sparì in cima alle scale fin in camera sua.
Quando se ne fu andato, i due si guardarono attraverso la stanza. La distanza sembrava più piccola, ora. Gunner era il ponte tra loro due.
“Luke…”
Alzò le mani. “Prima che parli, voglio dirti qualcosa. Ti amo e voglio bene a Gunner più di qualsiasi altra cosa al mondo. Voglio stare con voi due, tutti i giorni, ora e per sempre. Non è che me ne vado perché mi va. Non mi va. Lo odio. Ma la telefonata di stanotte… c’è in gioco la vita di molte persone. Hai presente tutti gli anni in cui l’ho fatto, in cui vi ho lasciati nel bel mezzo della notte così? L’emergenza della situazione è stata al Livello Due esattamente due volte. La maggior parte delle volte era al Livello Tre.”
Il viso di Becca si era raddolcito del minimo indispensabile.
“E che livello di emergenza è questo?” chiese.
“Livello Uno.”
Capitolo 2
1:57 am
McLean, Virginia – Quartier generale dello Special Response Team
“Signore?” disse qualcuno. “Signore, siamo qui.”
Luke si svegliò di soprassalto. Si sedette. Erano parcheggiati al cancello dell’elisuperficie. Piovigginava. Guardò il conducente. Era un giovane con un taglio a spazzola, probabilmente appena uscito dalle forze armate. Il ragazzo sorrideva.
“Si era addormentato, signore.”
“Sì,” disse Luke. Il peso del lavoro lo assalì di nuovo. Voleva essere a casa, a letto con Rebecca, ma invece era qui. Voleva vivere in un mondo dove gli assassini non rubassero materiale radioattivo. Voleva dormire e sognare cose piacevoli. Al momento non riusciva neanche a immaginare cosa volesse dire piacevole. Il suo sonno era avvelenato dal sapere troppo.
Saltò giù dall’auto con le borse, mostrò alla guardia il documento identificativo e oltrepassò il body scanner.
Un elicottero nero lucido, un grosso Bell 430, si posò sulla pista, i rotori che giravano. Luke attraversò l’asfalto bagnato, chinandosi. Man mano che si avvicinava, il motore dell’elicottero ingranò un’altra marcia. Erano pronti a partire. La porta del passeggero si aprì e Luke si arrampicò dentro.
A bordo c’erano già sei persone, quattro nella cabina dei passeggeri, due davanti alla cabina di pilotaggio. Don Morris sedeva accanto alla finestra più vicina. Il posto di fronte a lui era vuoto. Don glielo indicò.
“Sono felice che tu sia venuto, Luke. Siediti. Benvenuto alla festa.”
Luke si assicurò al sedile anatomico mentre l’elicottero ondeggiava verso il cielo. Guardò Don. Don ormai era vecchio, con i capelli a spazzola incanutiti. La barba corta era grigia. Perfino le sopracciglia erano grigie. Ma sembrava ancora il comandante della Delta Force che una volta era. Il suo corpo era possente e il viso pareva granito – tutto promontori rocciosi e scogliere affilate. Gli occhi erano laser gemelli. Teneva un sigaro spento in una delle sue mani di pietra. Non ne accendeva uno da dieci anni.
Quando l’elicottero guadagnò altitudine, Don fece segno agli altri nella cabina passeggero. Diede rapidamente le istruzioni. “Luke, sei in svantaggio, perché tutti qui già sanno chi sei, ma tu potresti non conoscerli. Conosci Trudy Wellington, ufficiale scientifico e agente dell’intelligence.”
Luke annuì alla giovane ragazza carina con i capelli neri e i grandi occhiali rotondi. Aveva lavorato con lei diverse volte. “Ciao, Trudy.”
“Ciao, Luke.”
“Okay, piccioncini, basta così. Luke, quello laggiù è Mark Swann, il nostro tecnico informatico per questo lavoro. E con lui c’è Ed Newsam, armi e tattica.”
Luke annuì agli uomini. Swann era un ragazzo bianco, capelli biondo rossicci e occhiali, trentacinque o forse quarant’anni. Luke l’aveva visto una o due volte prima d’ora. Newsam era un giovane di colore che Luke non aveva mai visto, probabilmente appena trentenne, calvo, barba rasa tagliata finemente, ampio torace, con dei pitoni tatuati di sessanta centimetri che facevano capolino da una t-shirt bianca. Sembrava capace di creare l’inferno in uno scontro a fuoco, e ancora peggio in una rissa da strada. Quando Don aveva detto “armi e tattica”, voleva dire “muscoli”.