Obiettivo Zero - Джек Марс


Jack Mars

OBIETTIVO ZERO

Jack Mars

Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che per ora comprende sette libri. È anche autore della nuova serie prequel FORGING OF LUKE STONE, e della serie spy thriller AGENTE ZERO.

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LIBRI DI JACK MARS


SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro #1)

IL GIURAMENTO (Libro #2)


AGENTE ZERO SPY SERIES

IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO (Libro #1)

OBIETTIVO ZERO (Libro #2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro #3)

Riassunto di Agente Zero – Libro 1 (riepilogo da includere nel libro 2)

Un professore del college e padre di due ragazze riscopre un passato dimenticato da agente operativo della CIA. Si fa largo attraverso l’Europa per scoprire perché gli è stata soppressa la memoria, e allo stesso tempo sventa un complotto terroristico per assassinare decine di leader mondiali.


Agente Zero: Quando il professor Reid Lawson è rapito e gli viene estratto dal cranio un dispositivo di soppressione della memoria, recupera i suoi ricordi dimenticati come agente della CIA Kent Steele, anche noto in tutto il mondo come Agente Zero.


Maya e Sara Lawson: Le due figlie adolescenti di Reid, rispettivamente di 16 e 14 anni, non sono a conoscenza del passato del padre come agente della CIA.


Kate Lawson: La moglie di Reid e madre delle sue due figlie, è morta all’improvviso due anni prima degli eventi del Libro 1 per un ictus ischemico.


Agente Alan Reidigger: Migliore amico di Kent Steele e collega agente operativo, Reidigger lo ha aiutato a farsi installare il soppressore di memoria in seguito a una sua aggressione indiscriminata durante la caccia a un pericoloso assassino.


Agente Maria Johansson: Collega operativa diventata amante di Kent Steele dopo la morte della moglie, Johansson si è dimostrata un’improbabile ma gradita alleata, durante il recupero delle sue memorie e nella lotta contro un’organizzazione terroristica.


Amun: L’organizzazione Amun è una fusione delle fazioni terroristiche di tutto il mondo. Il loro attentato al World Economic Forum di Davos, in un momento di distrazione delle autorità per via della presenza delle Olimpiadi Invernali, è stato sventato dall’Agente Zero.


Rais: Un americano espatriato diventato assassino in nome di Amun, Rais ritiene che il suo destino sia di uccidere l’Agente Zero. Durante il combattimento contro Steele alle Olimpiadi Invernali a Sion, in Svizzera, Rais viene gravemente ferito e lasciato per morto.


Agente Vicente Baraf: Baraf, un agente italiano dell’Interpol, si è dimostrato una preziosa risorsa aiutando l’agente Zero e Johansson a fermare l’attentato di Amun a Davos.


Agente John Watson: Un agente della CIA stoico e professionale, Watson ha salvato le figlie di Reid dalle mani dei terroristi in un molo del New Jersey.

PROLOGO

“Dimmi, Renault,” domandò l’uomo anziano. Gli brillavano gli occhi mentre guardava il caffè che ribolliva sotto il tappo della caffettiera in mezzo a loro. “Perché sei venuto qua?”

Il dottor Cicero era un uomo gentile, gioviale, il tipo che amava descriversi ‘un ragazzo di cinquantotto anni’. La sua barba era diventata grigia dopo i trenta e bianca quando ne aveva compiuti quaranta, e anche se di solito era tagliata con cura, il tempo passato nella tundra gliel’aveva assottigliata e arruffata. Indossava un giubbotto color arancione acceso, ma i suoi giovanili occhi blu erano ancora più vibranti.

Il giovane francese fu preso alla sprovvista dalla domanda, ma aveva già la risposta pronta, essendosela ripetuta nella mente diverse volte. “La World Health Organization, la WHO, ha contattato l’università perché aveva bisogno di assistenti ricercatori. E l’università ha offerto il posto a me,” spiegò in inglese. Cicero era nato in Grecia, e Renault veniva dalla regione costiera a sud della Francia, quindi parlavano in una lingua nota a entrambi. “A essere sincero, l’avevano offerto ad altre due persone prima di me. Loro l’hanno rifiutata. Invece io l’ho vista come una bella opportunità per…”

“Bah!” Lo interruppe l’uomo anziano con una smorfia. “Non ti ho chiesto i dettagli dei tuoi studi, Renault. Ho letto il tuo curriculum, e anche la tua tesi sulle previsioni di mutazione dell’influenza B. Un buon lavoro, devo dire. Non credo avrei potuto scrivere di meglio io stesso.”

“La ringrazio, signore.”

Cicero fece una risatina. “Risparmiati i ‘signore’ per i consigli di amministrazione e le raccolte fondi. Qua fuori, siamo tutti uguali. Chiamami Cicero. Quanti anni hai, Renault?”

“Ventisei, si… uh, Cicero.”

“Ventisei,” ripeté pensieroso l’uomo anziano. Tese le mani verso il calore della stufa da campo. “E hai quasi finito il tuo dottorato? È davvero notevole. Ma quello che voglio sapere è, perché sei qui? Come ho detto, ho letto il tuo fascicolo. Sei giovane, intelligente, indubbiamente di bell’aspetto…” Cicero ridacchiò. “Avresti potuto svolgere il tuo tirocinio in qualsiasi luogo al mondo, ne sono certo. Ma in questi quattro giorni che hai passato con noi, non ti ho sentito parlare di te stesso nemmeno una volta. Perché tra tutti i posti, sei venuto proprio qui?”

Come per dimostrare di cosa stava parlando, Cicero agitò una mano per aria, ma era inutile. La tundra siberiana si estendeva a perdita d’occhio in ogni direzione, tranne che a nord-est, dove si allargavano basse montagne coperte di bianco.

Le guance di Renault assunsero una tinta rosata. “Beh, a dirla tutta, dottore, sono venuto qui per studiare al suo fianco,” ammise. “La ammiro molto. Il suo lavoro nell’ostacolare l’epidemia del virus Zika è stato davvero incredibile.”

“Ecco!” replicò compiaciuto Cicero. “L’adulazione ti porterà lontano, o comunque ti farà avere un buon caffè nero.” Si mise un grosso guanto sulla mano destra, sollevò la caffettiera dalla stufa da campo alimentata a butano, e versò il ricco liquido bollente in due tazze di plastica. Era uno dei pochi lussi disponibili nella Siberia selvaggia.

Negli ultimi ventisette giorni della sua vita, la casa del dottor Cicero era diventata il piccolo accampamento stabilito a circa centocinquanta metri dalla riva del fiume Kolyma. L’insediamento era composto da quattro tende a forma di cupola in neoprene, una tettoia in tela chiusa da un lato a mo’ di protezione dal vento, e una camera sterile semi-permanente in kevlar. In quel momento i due scienziati si trovavano sotto la tettoia, preparandosi il caffè su una stufetta con due bruciatori in mezzo a tavolini pieghevoli coperti da microscopi, campioni di permafrost, equipaggiamento archeologico, due robusti computer adatti a ogni condizione meteorologica, e una centrifuga.

“Bevi,” disse Cicero. “È quasi l’ora del nostro turno.” L’uomo sorseggiò il caffè a occhi chiusi, e un basso mugolio di piacere gli sfuggì dalle labbra. “Mi ricorda casa mia,” commentò piano. “Hai qualcuno ad aspettarti, Renault?”

“Sì,” rispose il giovane francese. “La mia Claudette.”

“Claudette,” ripeté Cicero. “Un bel nome. Siete sposati?”

“No,” rispose semplicemente lui.

“È importante avere qualcosa a cui aspirare, nel nostro mestiere,” disse Cicero con tono malinconico. “Serve a dare una prospettiva in mezzo a un distacco spesso necessario. Io sono sposato con Phoebe da trentatré anni che Phoebe. Il mio lavoro mi ha portato per tutto il globo, ma al mio ritorno lei è sempre lì per me. Quando sono via, sento la sua mancanza, ma ne vale la pena; ogni volta che torno a casa è come se mi innamorassi di nuovo. Come si dice, la lontananza rafforza l’amore.”

Renault sorrise. “Non avrei mai pensato che un virologo potesse essere un romantico,” rifletté.

“Le due cose non si escludono a vicenda, ragazzo mio.” Il dottore si accigliò leggermente. “E tuttavia… non credo che sia Claudette a tormentare i tuoi pensieri. Sei un giovane uomo pensieroso, Renault. Più di una volta ti ho notato mentre fissavi la cima delle montagne, come se stessi cercando risposte.”

“Credo che abbia perso la sua vera vocazione, dottore,” disse Renault. “Avrebbe dovuto diventare sociologo.” Il sorriso gli svanì dalle labbra mentre aggiungeva: “In ogni caso ha ragione. Non ho accettato questo incarico solo per lavorare al suo fianco, ma anche perché mi sono dedicato a una causa… una causa fondata sulla fede. Tuttavia, mi spaventa pensare a cosa potrebbe portarmi questa fede.”

Cicero annuì comprensivo. “Come ho detto, il distacco spesso è necessario nel nostro mestiere. Dobbiamo imparare a essere spassionati.” Appoggiò una mano sulla spalla del giovane. “Fidati di un uomo che ormai ha una certa età. La fede è una motivazione importante, certo, ma a volte le emozioni hanno la tendenza a confondere il nostro giudizio e a offuscare le nostre menti.”

“Farò attenzione. Grazie, signore.” Renault gli lanciò un sorriso imbarazzato. “Cicero. Grazie.”

All’improvviso il walkie-talkie gracchiò invadente dal tavolo accanto a loro, spezzando il silenzio introspettivo sotto la tettoia.

“Dottor Cicero,” disse una voce femminile dall’accento irlandese. Era la dottoressa Bradlee, che chiamava dal sito dello scavo lì vicino. “Abbiamo scoperto qualcosa. Deve assolutamente vederlo. Porti la scatola. Passo.”

“Arriviamo subito,” rispose il dottore alla radio. “Passo.” Sorrise con aria paterna a Renault. “Sembra che dovremo muoverci prima del previsto. Faremmo meglio a prepararci.”

I due uomini appoggiarono le tazze ancora fumanti e si diressero in fretta verso la camera sterile in kevlar, entrando nella prima anticamera per indossare le tute anticontaminazione giallo acceso fornite dal World Health Organization. Prima fu il turno di guanti e stivali, sigillati attorno ai polsi e alle caviglie, poi toccò alla tuta che copriva tutto il corpo, e alle fine misero maschera e respiratore.

Si vestirono rapidamente ma in silenzio, quasi con reverenza, usando il breve interludio per una trasformazione fisica ma anche mentale, dalle chiacchiere casuali e piacevoli all’atteggiamento sobrio richiesto dal loro mestiere.

A Renault non piacevano le tute anticontaminazione. Rendevano i movimenti lenti e il lavoro fastidioso. Ma erano assolutamente necessarie per condurre la loro ricerca: individuare e confermare l’esistenza di uno degli organismi più pericolosi noti all’uomo.

Lui e Cicero uscirono dall’anticamera e si avviarono verso la riva del Kolyma, il lento fiume ghiacciato che scorreva a sud delle montagne virando leggermente verso est, fino a sfociare nel mare.

“La scatola,” esclamò poi Renault. “Vado a prenderla.” Corse indietro fino alla tettoia per recuperare il contenitore dei campioni, un cubo di acciaio inossidabile chiuso da quattro ganci e con il simbolo di rischio biologico stampato su ognuno dei lati. Tornò a passo svelto dal dottore, e i due ripresero la camminata frettolosa fino al siti dello scavo.

“Sai che cosa è successo poco lontano da qui, vero?” domandò Cicero nel cammino, attraverso la maschera.

“Sì.” Lui aveva letto il rapporto. Cinque mesi prima, un ragazzo di dodici anni di un villaggio locale si era ammalato subito dopo aver preso l’acqua dal Kolyma. All’inizio si era pensato che il fiume fosse contaminato, ma man mano che i sintomi si erano manifestati, era diventato tutto più chiaro. I ricercatori della WHO si erano mobilizzati non appena gli era giunta voce della malattia ed era stata aperta un’indagine.

Il ragazzo aveva contratto il vaiolo. Più nello specifico, era stato contagiato da un ceppo mai visto prima in età moderna.

Alla fine l’indagine li aveva portati alla carcassa di un caribù vicino alle rive del fiume. Dopo un’accurata analisi, l’ipotesi era stata confermata: il caribù era morto più di duecento anni prima e il suo corpo era diventato parte del permafrost. La malattia che lo aveva ucciso si era congelata con esso, ed era rimasta dormiente, fino a cinque mesi prima.

“È una semplice reazione a catena,” spiegò Cicero. “I ghiacciai si sciolgono e il livello dell’acqua del fiume e la temperatura si alzano. Ciò, a sua volta, scongela il permafrost. Chi sa quali malattie potrebbero essere in agguato sotto questo ghiaccio? Antichi ceppi mai visti prima… è del tutto possibile che alcuni risalgano a prima dell’avvento dell’uomo.” La tensione percettibile nella voce del dottore non era solo dovuta alla preoccupazione, ma anche a un tocco di eccitazione. Dopo tutto, era quello per cui viveva.

“Ho letto che nel 2016 hanno trovato dell’antrace in una fonte d’acqua, per via dello scioglimento di una calotta glaciale,” commentò Renault.

“È vero. Hanno chiamato me per quel caso. E anche per l’influenza spagnola che hanno trovato in Alaska.”

“Che cosa è successo al ragazzo?” domandò il giovane francese. “Il caso di vaiolo di cinque mesi fa.” Sapeva che il paziente, insieme ad altre quindici persone del suo villaggio, era stato messo in quarantena, ma a quel punto il rapporto si concludeva.

“È deceduto,” rispose Cicero. Non c’era emozione nella sua voce, ben diverso da quando aveva parlato di sua moglie, Phoebe. Dopo decenni passati a fare il suo lavoro, l’anziano medico aveva imparato la sottile arte del distacco. “Insieme ad altri quattro. Ma da questo abbiamo ricavato un vaccino adeguato, quindi non sono morti invano.”

“In ogni caso,” mormorò Renault, “è un peccato.”

A pochi passi dalla riva del fiume c’era il sito dello scavo, un’area della tundra di venti metri quadrati isolata da paletti metallici e nastro giallo brillante. Era il quarto sito che il team di ricerca aveva creato fino a quel momento nel corso dell’indagine.

Altri quattro ricercatori in tute anticontaminazione erano all’interno del quadrato isolato, tutti chini su un piccolo spiazzo d’erba vicino al suo centro. Uno di loro notò i due uomini in arrivo e gli si avvicinò.

Era la dottoressa Bradlee, un’archeologa in prestito dall’Università di Dublino. “Cicero,” disse, “abbiamo trovato qualcosa.”

“Che cos’è?” chiese lui, chinandosi per passare sotto il nastro giallo. Renault lo seguì.

“Un braccio.”

“Chiedo scusa?” esclamò Renault.

“Mostramelo,” disse Cicero.

La Bradlee li condusse fino allo spiazzo di permafrost disseppellito. Scavare nel permafrost, e farlo con così tanta precisione, non era un compito facile, Renault lo sapeva. Gli strati superiori di terra gelata di solito si scioglievano d’estate, ma quelli più profondi prendevano il nome dal fatto che erano permanentemente congelati nelle regioni polari. La fossa che Bradlee e la sua squadra avevano scavato era profonda quasi due metri e abbastanza ampia perché un uomo adulto potesse sdraiarvisi dentro.

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