E se mi avesse rubato di più del mio passato come agente Zero?
Quel pensiero non gli piaceva affatto. Era una brutta china; non ci sarebbe voluto molto perché cominciasse a credere di aver perso anche dei ricordi delle sue ragazze. E la cosa peggiore era che non aveva modo di accertarsene senza recuperare del tutto la sua memoria.
Era troppo, e sentì salirgli di nuovo il mal di testa. Accese la radio e alzò il volume per cercare di distrarsi.
Il sole stava calando quando entrò nel parcheggio del ristorante, un gastropub chiamato The Cellar Door. Aveva qualche minuto di ritardo. Uscì rapidamente dall’auto e corse verso l’ingresso dell’edificio.
Poi rimase di sasso.
Maria Johansson era una svedese-americana di terza generazione, e come copertura per la sua vera attività di agente della CIA faceva la contabile per l’amministrazione pubblica di Baltimora. Secondo Reid avrebbe dovuto essere una fotomodella per le copertine delle riviste, o magari per i paginoni centrali. Intorno al metro e ottanta, era alta quasi quanto lui, con lunghi capelli lisci e biondi che le ricadevano con eleganza sulla schiena. I suoi occhi erano color grigio ardesia, e molto intensi. Nell’aria fresca della primavera, indossava solo un semplice abito blu scuro con una profonda scollatura a V e uno scialle bianco sulle spalle.
La donna lo notò mentre lui si avvicinava e sorrise. “Ehi. Da quanto tempo.”
“Io… wow,” esclamò Reid. “Voglio dire, uhm… sei bellissima.” Gli venne in mente che non l’aveva mai vista truccata. L’ombretto blu era in tinta con l’abito e faceva sembrare i suoi occhi quasi luminescenti.
“Neanche tu sei male.” Maria annuì con aria d’approvazione per la sua scelta di vestiario. “Vogliamo entrare?”
Grazie, Maya, pensò Reid. “Sì, certo.” Afferrò la maniglia della porta e la tenne aperta per lei. “Ma prima di iniziare, avrei una domanda. Cosa accidenti è un ‘gastropub’?”
Maria scoppiò a ridere. “Credo che ai nostri tempi lo definissimo una bettola, solo che ora servono cibo più alla moda.”
“Chiaro.”
L’interno era intimo, se non addirittura piccolo, con mura di mattoni e travi di legno esposte sul soffitto. L’illuminazione veniva da lampadine in stile vintage, che contribuivano a creare un ambiente caldo e circoscritto.
Perché sono nervoso? pensò mentre si accomodavano. Conosceva quella donna. Insieme avevano impedito a un’organizzazione terroristica internazionale di assassinare centinaia, se non migliaia, di persone. Ma quella era una situazione diversa, non era un’operazione o una missione. Era piacere, e in qualche modo ciò faceva la differenza.
Conoscila meglio, gli aveva detto Maya. Fai del tuo meglio per essere interessante.
“Dunque, come va il lavoro?” finì per domandarle. Dentro di sé gemette per quel tentativo poco riuscito.
Maria sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto. “Sai che non posso parlarne.”
“Certo,” replicò Reid. “Ovviamente.” La donna era un agente operativo attivo della CIA. Anche se lui fosse stato un agente attivo, non avrebbe potuto condividere i dettagli di un’operazione a meno che non stessero lavorando insieme.
“E tu?” chiese Maria. “Come va con il nuovo lavoro?”
“Non male,” ammise lui. “Sono un associato, quindi per ora è part-time, ho solo qualche lezione alla settimana. Un po’ di compiti da correggere e cose del genere. Ma non è particolarmente interessante.”
“E le ragazze? Come stanno?”
“Eh… cercano di scendere a patti con la situazione,” rispose. “Sara non vuole parlare di quello che è successo. E Maya, in realtà…” Si fermò prima di dire troppo. Si fidava di Maria, ma allo stesso tempo non voleva confessare che la figlia maggiore aveva indovinato, con molta precisione, in che cosa fosse coinvolto. Gli si colorarono le guance di rosa e disse: “Mi ha preso in giro. Ha detto che questo è un appuntamento.”
“E non lo è?” domandò Maria a bruciapelo.
Reid sentì il volto cambiare di nuovo colore. “Sì, immagino che lo sia.”
La donna sorrise di nuovo con aria maliziosa. Sembrava che stesse ridendo del suo imbarazzo. In campo, nei panni di Kent Steele, lui aveva dimostrato di essere sicuro di sé, abile, e composto. Ma lì, nel mondo reale, era goffo quanto lo sarebbe stato chiunque altro dopo quasi due anni di celibato.
“E di te cosa mi dici?” continuò Maria. “Come te la cavi?”
“Sto bene,” rispose. “Sono tranquillo.” Non appena l’ebbe detto, se ne pentì. Non aveva appena imparato dalla figlia che l’onestà era la migliore politica? “Non è vero,” si corresse subito. “In realtà non va tutto così bene. Mi tengo impegnato con ogni genere di faccenda inutile, e mi do degli alibi, perché se mi fermo abbastanza a lungo da rimanere da solo con i miei pensieri, mi tornano in mente i loro nomi. Vedo le loro facce, Maria. E non riesco a non pensare che non ho fatto abbastanza per impedirlo.”
Lei sapeva esattamente di che cosa stava parlando, delle nove persone che erano state uccise nell’unica esplosione che Amun era riuscito a innescare a Davos. Maria si sporse attraverso il tavolo e gli prese la mano. Il tocco gli spedì una scarica elettrica su per il braccio, e sembrò calmargli i nervi. Le dita della donna erano calde e morbide sulle sue.
“È questa la realtà con cui dobbiamo fare i conti,” disse lei. “Non possiamo salvare tutti. So che non hai ancora recuperato tutti i tuoi ricordi come Zero, ma se li avessi, lo sapresti.”
“Forse non voglio saperlo,” rispose Reid a bassa voce.
“Lo capisco. Dobbiamo provarci lo stesso. Ma se credi di poter tenere tutto il mondo al sicuro diventerai matto. Sono state prese nove vite, Kent. È successo, e non possiamo tornare indietro. Ma avrebbero potuto essere un migliaio. È questo l’unico modo per vederla.”
“E se non ci riesco?”
“Allora… trovati un hobby, magari? Io faccio l’uncinetto.”
A Reid sfuggì una risata. “L’uncinetto?” Non riusciva a immaginare Maria che sferruzzava. Mentre usava i ferri da maglia come arma per storpiare un dissidente? Certo. Ma mentre faceva sul serio l’uncinetto?
Lei rimase a testa alta. “Esatto, faccio l’uncinetto. Non ridere. Ho appena finito una coperta più morbida di qualsiasi cosa tu abbia mai toccato in vita tua. Il punto è che devi trovarti un hobby. Ti serve qualcosa che ti tenga le mani e la mente impegnate. Che mi dici della tua memoria? Ci sono miglioramenti?”
Reid sospirò. “Non molto. Immagino che non mi sia successo niente in grado di smuoverla. È ancora tutto confuso.” Mise da parte il menu e intrecciò le mani sopra al tavolo. “Anche se, dato che ne stiamo parlando… poco fa mi è successa una cosa strana. È riemerso un frammento di un ricordo. Era su Kate.”
“Oh?” Maria si morse il labbro inferiore.
“Già.” Reid rimase in silenzio per un lungo momento. “Le cose tra me e Kate… prima che lei morisse. Andavano bene, giusto?”
Maria lo fissò dritto in faccia, i suoi occhi grigio ardesia puntati su quelli di lui. “Sì. Per quanto ne so, tra di voi le cose sono sempre andate bene. Kate ti amava moltissimo, e tu provavi lo stesso per lei.”
Reid trovò difficile sostenere il suo sguardo. “Già. Certo.” Scosse la testa. “Dio, sentimi. Sto parlando della mia defunta moglie a un appuntamento. Ti prego, non dirlo a mia figlia.”
“Ehi.” La donna gli strinse di nuovo le dita tra le proprie sopra al tavolo. “Va tutto bene, Kent. Lo capisco. Per te è una cosa nuova. Neanche io sono un’esperta qui, quindi… ne verremo a capo insieme.”
Rimasero fermi, mano nella mano. Era una sensazione piacevole. No, era qualcosa di più, era giusto. Lui ridacchiò nervosamente, ma il suo sorriso si trasformò in una smorfia perplessa quando fu colpito da uno strano pensiero, cioè che Maria lo chiamava ancora Kent.
“Che c’è?” domandò la collega.
“No. Stavo solo pensando… Non so nemmeno se Maria Johansson è il tuo vero nome.”
La donna scrollò le spalle, senza sbilanciarsi. “Potrebbe esserlo.”
“Non è giusto,” protestò Reid. “Tu conosci il mio.”
“Non sto dicendo che non sia il mio vero nome.” Si stava divertendo a prenderlo in giro. “Mi puoi sempre chiamare agente Calendula, se preferisci.”
Reid scoppiò a ridere. Calendula era il suo nome in codice, come Zero per lui. Gli sembrava buffo, usare i nomi in codice quando si conoscevano personalmente, ma d’altra parte, la parola Zero sembrava incutere paura in molte persone che aveva incontrato.
“Quale era il nome in codice di Reidigger?” chiese piano poi. Era quasi doloroso da domandare. Alan Reidigger era stato il migliore amico di Kent Steele—no, pensò Reid, era il mio migliore amico—un uomo dalla fedeltà apparentemente incrollabile. L’unico problema era che non ricordava quasi nulla di lui. Ogni memoria di Reidigger era svanita insieme all’impianto che Alan aveva aiutato a inserire.
“Non te lo ricordi?” Maria fece un sorriso gentile, ripensandoci. “È stato Alan a darti il nome Zero, lo sapevi? E tu hai dato a lui il suo. Dio, erano anni che non ci pensavo. Eravamo ad Abu Dhabi, mi sembra, avevamo appena terminato un’operazione ed eravamo ubriachi in un qualche albergo snob. Ti definì ‘Ground Zero’, come il punto d’impatto di una bomba, perché avevi la tendenza a lasciarti dietro solo macerie. Poi divenne solo Zero, e il nome ti rimase attaccato. E tu lo chiamasti…”
Un telefono squillò, interrompendo la sua storia. Istintivamente Reid lanciò un’occhiata al proprio cellulare, appoggiato sul tavolo, aspettandosi di vedere il numero di casa sua o del telefono di Maya sullo schermo.
“Tranquillo,” disse Maria, “sono io. Lo ignorerò…” Guardò il proprio cellulare e corrugò le sopracciglia perplessa. “In realtà, è dal lavoro. Solo un secondo.” Rispose. “Sì? Mmh-mmh.” Il suo sguardo serio incontrò quello di Reid. Lo sostenne mentre la sue espressione si faceva sempre più accigliata. Qualsiasi cosa stessero dicendo dall’altro capo della linea non erano di certo buone notizie. “Ho capito. Okay. Grazie.” Riappese.
“Mi sembri turbata,” notò lui. “Lo so, lo so, non puoi parlare di lavoro e…”
“È scappato,” mormorò la donna. “L’assassino di Sion, quello in ospedale? Kent, è fuggito, meno di un’ora fa.”
“Rais?” esclamò Reid sbalordito. Subito un sudore gelido gli coprì la fronte. “Come?”
“Non ho nessun dettaglio,” rispose in fretta lei mentre rinfilava il cellulare nella borsetta. “Mi dispiace così tanto, Kent, ma devo andare.”
“Sì,” mormorò l’uomo. “Capisco.” Era come se fosse a centinaia di chilometri di distanza dal loro intimo tavolo nel piccolo ristorante. L’assassino che aveva lasciato per morto—non una volta ma due—era ancora vivo, ed era in libertà.
Maria si alzò, e prima di andarsene, si chinò e premette le labbra alle sue. “Presto ci rivedremo di nuovo, te lo prometto. Ma per adesso, il dovere mi chiama.”
“Ma certo,” replicò lui. “Vai e trovalo. E, Maria? Stai attenta. È pericoloso.”
“Lo sono anche io.” Gli fece l’occhiolino, e poi uscì rapidamente dal ristorante.
Reid rimase seduto da solo per un lungo momento. Quando la cameriera si avvicinò, non la sentì nemmeno parlare; le fece solo un vago cenno a indicare che stava bene così. Ma la realtà era che stava tutt’altro che bene. Non aveva nemmeno sentito un brivido nostalgico quando Maria lo aveva baciato. Tutto ciò che aveva provato era una stretta allo stomaco per l’ansia.
L’uomo convinto di essere destinato a uccidere Kent Steele era scappato.
CAPITOLO CINQUE
Adrian Cheval era ancora sveglio nonostante l’ora tarda. Era seduto in cucina su uno sgabello, fissando immobile e con la vista annebbiata lo schermo del portatile davanti a lui, battendo freneticamente sulla tastiera.
Si fermò abbastanza a lungo da sentire Claudette che si avvicinava in silenzio e a piedi nudi sulle scale coperte dalla moquette. Il loro appartamento a Marsiglia era piccolo ma accogliente, all’estremità di una strada tranquilla a soli cinque minuti dal mare.
Un momento più tardi una figura minuta dai capelli color del fuoco apparve nel suo campo visivo. La donna gli mise le mani sulle spalle e gliele accarezzò su e giù, fino al petto, appoggiandogli la testa sulla schiena. “Mon chéri,” mormorò. “Amore mio. Non riesco a dormire.”
“Neanche io,” rispose piano lui in francese. “Ho troppe cosa da fare.”
Claudette gli mordicchiò gentilmente il lobo dell’orecchio. “Parlamene.”
Adrian indicò lo schermo, sul quale era in bella mostra la struttura ciclica a doppia elica del RNA del variola major, il virus comunemente noto come vaiolo. “Questo ceppo della Siberia è… incredibile. Non ho mai visto niente del genere. Secondo i miei calcoli, la sua virulenza dovrebbe essere sbalorditiva. Sono convinto che l’unica cosa che possa avergli impedito di eliminare l’umanità migliaia di anni fa sia stata l’era glaciale.”
“Un nuovo Diluvio universale.” Claudette emise un languido sospiro nel suo orecchio, “Quanto manca perché sia pronto?”
“Devo mutare il ceppo, mantenendo la stessa stabilità e potenza,” spiegò lui. “Non è un compito semplice, ma è necessario. Il WHO ha ottenuto dei campioni di questo stesso virus cinque mesi fa; senza dubbio stanno sviluppando un vaccino, se non lo hanno già fatto. Il nostro ceppo deve essere abbastanza unico perché il loro vaccino sia inefficace.” Quel processo era noto come mutagenesi letale, la manipolazione del RNA che avrebbe eseguito sui campioni che aveva ottenuto in Siberia per accrescere la sua virulenza e ridurre il periodo di incubazione. Grazie ai suoi calcoli, Adrian sospettava che il tasso di mortalità del virus del variola major mutato avrebbe potuto raggiungere il settantotto percento, quasi tre volte quella della varietà naturale del vaiolo che era stata distrutta dal World Health Organization nel 1980.
Dopo il suo ritorno dalla Siberia, Adrian aveva visitato per prima Stoccolma e aveva usato le generalità del defunto studente Renault per accedere all’università, dove si era accertato che i campioni rimanessero inattivi mentre lavorava su essi. Ma non poteva sfruttare troppo a lungo l’identità di qualcun altro, quindi aveva rubato l’equipaggiamento ed era tornato a Marsiglia. Aveva montato un laboratorio nello scantinato inutilizzato del negozio di un sarto a tre isolati dal loro appartamento; il gentile proprietario era convinto che Adrian fosse un genetista, che studiasse il DNA umano e niente altro, e lui teneva la porta chiusa con un lucchetto quando non era presente.
“Imam Khalil sarà felice,” sussurrò Claudette nel suo orecchio.
“Sì,” concordò piano Adrian. “Sarà soddisfatto.”
La maggior parte delle donne non sarebbe stata entusiasta di trovare la propria dolce metà a lavoro su una sostanza tanto volatile come un ceppo altamente virulento del vaiolo, ma Claudette non era come la maggior parte delle donne. Era minuta, appena un metro e sessanta rispetto al metro e ottantacinque di Adrian. I suoi capelli erano di un rosso acceso e i suoi occhi verdi come la più fitta giungla, e suggerivano una certa irascibilità.
Si erano incontrati solo l’anno prima, quando Adrian aveva toccato il fondo. Era appena stato espulso dall’università di Stoccolma per aver tentato di ottenere campioni di un raro enterovirus, lo stesso che aveva preso la vita di sua madre solo qualche settimana prima. All’epoca, era stato deciso a creare una cura, persino ossessionato da quell’idea, perché nessuno dovesse soffrire come era successo a lei. Ma era stato scoperto dalla facoltà dell’università e allontanato in modo sbrigativo.