“Hai del coraggio a tornare qui” l'uomo della sicurezza disse, mentre Kyle si avvicinava. “Sei un ricercato. Ogni poliziotto e agente della sicurezza in città ha una tua fotografia. Tutta la città ti sta cercando.”
Kyle fece un sorrisetto e allargò le braccia.
“Ebbene, eccomi qua” lui rispose.
L'uomo della sicurezza provò a non tradire preoccupazione sul volto, ma Kyle avvertì la sua paura
“Che cosa vuoi?” chiese, con voce malferma.
Kyle fece un cenno con la testa, indicando le porte della palestra. Sentì la martellante musica provenire da dentro, e immaginò tutte le cheerleader all'interno nel bel mezzo dell'allenamento. Lui voleva trasformarle tutte.
Kyle si avvicinò alla guardia di sicurezza e lo afferrò per il collo, sollevandolo dal pavimento. Sebbene fosse più grosso e più alto di Kyle, la forza di Kyle era maggiore. L'uomo era a malapena più pesante di un bambino.
“Voglio creare un esercito” Kyle sussurrò nell'orecchio dell'uomo.
L'uomo emise un pianto soffocato e calciò. Kyle gli abbassò la testa e gli morse il collo. L'uomo provò a urlare, ma la presa di Kyle intorno al collo era d’acciaio. Non riuscì ad emettere un singolo suono, mentre il sangue sgorgava da lui.
Kyle gettò a terra la nuova vittima, sapendo di aver creato il suo secondo vampiro. Quando si sarebbe svegliato, rinato, avrebbe fatto parte del suo esercito.
Il soldato numero due.
Kyle spalancò le porte della palestra, e la forte musica pop riecheggiò insieme all'odore di sudore ed alle risate delle ragazze intente ad allenarsi.
“Ehi!” una ragazza gridò dalle tribune. “Non può stare qui.”
Lei indossava la stessa uniforme da cheerleader, che avevano le altre ragazze. Si avvicinò frettolosamente a Kyle, fermandosi di fronte a lui, con espressione accigliata.
“Vada fuori!” esclamò.
Kyle ignorò le sue richieste.
“Conosci Scarlet Paine?” le chiese.
La ragazza fece una smorfia. “Quello scherzo della natura? So di lei.”
Dietro la giovane, le altre cheerleader si voltarono a osservare che cosa stesse accadendo.
“Lei dov'è?” Kyle domandò.
La ragazza alzò le spalle.
“Come faccio a saperlo?” rispose.
Kyle si fece avanti e l'afferrò, sollevandola ben oltre la sua testa. Le altre ragazze cominciarono a urlare.
“Se qualcuna di voi sa dove si trova Scarlet Paine” Kyle gridò contro di loro, “farà meglio a parlare subito.”
Le cheerleader indietreggiarono. La ragazza che Kyle stava tenendo sollevata al di sopra della sua testa, si divincolò. Soltanto una delle ragazze che guardavano fu abbastanza coraggiosa da dire qualcosa.
“Non so dove sia” disse, tremando. “Ma le sue amiche Becca e Jasmine sono nel coro della scuola. Si stanno esercitando in fondo al corridoio.”
Kyle strinse gli occhi, rivolgendosi alla ragazza. “Stai dicendo la verità?”
Lei strinse le labbra e annuì.
Kyle abbassò la ragazza, che continuava a divincolarsi tra le sue braccia, e la mise a terra: lei corse verso il resto delle compagne, che la circondarono, come per farla sentire al sicuro tra di loro. Alcune però piangevano.
Kyle si avvicinò alla parete e prese con violenza una scala. Strappò uno dei lunghi pioli in legno e lo usò per fermare le porte della palestra, incastrandolo tra le maniglie.
“Che nessuno si muova” ordinò alle ragazze terrorizzate.
Intendeva ancora tramutarle, ma doveva seguire prima la pista.
Sentì un pianto soffocato dietro di sé, quando lasciò la palestra e si diresse nei corridoi scolastici. Nonostante tutto quanto era successo, il posto brulicava ancora di ragazzi. Kyle scoppiò a ridere, quando si rese conto che dovevano aver pensato che circondare la scuola con le auto della polizia sarebbe bastato per tenerlo lontano. Stavano provando a mantenere una parvenza di normalità, così da non spaventare gli studenti o i genitori della comunità.
“Quanto possono essere stupide queste persone?” Kyle pensò sorridendo.
Si avvicinò ad un gruppo di ragazzi dal look alternativo, che stavano vicino ai loro armadietti. Sembravano il tipo di ragazzi di cui si circondava quando andava a scuola, il tipo che sarebbe uscito di là senza prendere il diploma, e destinato a lavorare nei bar per il resto della vita.
“Amico” uno dei ragazzi disse, dando un colpetto al compagno vicino a lui. “Guarda quello straccione.”
Kyle si diresse verso il gruppo, e colpì gli armadietti con un pugno, ammaccandoli. I ragazzi saltarono per lo shock.
“Che problema hai, amico?” il ragazzo disse.
“Il coro” Kyle grugnì. “Dove si esercita?”
Una delle ragazze del gruppo, vestita in stile gotico con lunghi capelli neri, si fece avanti. “Col cavolo che te lo diciamo.”
Prima che chiunque altro del gruppo avesse anche solo il tempo di battere le palpebre, Kyle afferrò la ragazza e la attirò a sé. Le affondò i denti nel collo e succhiò. Nell'arco di pochi secondi, la ragazza si afflosciò priva di vita tra le sue braccia. Il resto del gruppo urlò.
Kyle lasciò cadere a terra la ragazza, e si asciugò il sangue dalle labbra col dorso della mano.
“Il coro” ripeté. “Dove si esercita?”
Il ragazzo che per primo aveva parlato, puntò un dito tramante verso la fine del corridoio. Accanto a lui, due delle amiche piangevano e si abbracciavano, i loro sguardi di terrore erano fissi sul cadavere della ragazza.
Kyle fece per andarsene, ma aveva fatto soltanto due passi, quando tornò indietro e afferrò le due ragazze che piangevano. Morse prima una, e poi l'altra, facendo scorrere il sangue dai loro colli, così da fermare il loro pianto, mutandolo finalmente in silenzio. Le gettò ai suoi piedi, le calpestò e si diresse in fondo al corridoio, lasciando il resto del gruppo a bocca aperta.
Kyle seguì il suono dei canti, fino a quando raggiunse la sala dove il coro si stava esercitando. Spalancò le porte.
Nel medesimo istante in cui entrò, tutti capirono di trovarsi in pericolo. I canti cessarono immediatamente.
“Jasmine. Becca” lui domandò.
Le due ragazze tremanti si fecero avanti. Le afferrò entrambe per il collo, sollevandole dal pavimento.
“Scarlet Paine. Ditemi dov'è.”
Le ragazze calciarono e si dimenarono nella sua stretta. Nessuna delle due riuscì a parlare, visto che Kyle le stringeva per il collo con forza eccessiva.
“Io lo so” qualcuno disse.
Tutti si voltarono, sorpresi. Kyle fece cadere Becca e Jasmine, e guardò la ragazza.
“Tu chi sei?” Kyle disse.
“Jojo” lei riprese. Si attorcigliò delle ciocche di capelli nelle dita, e sorrise. Indossava un top di Ralph Lauren. Chiaramente, si trattava di un'amica di Vivian.
“Allora?” Kyle disse.
“Io…” la ragazza esordì, ma poi si fermò. “Eravamo ad una festa insieme l'altra sera.”
“E?” Kyle chiese.
“L'ho vista. Con quel ragazzo. Davvero bello comunque.”
Becca e Jasmine si scambiarono uno sguardo. Jojo tossì e continuò a parlare.
“Stavano parlando del fatto che non potevano stare insieme per sempre, perché credo che lui stesse morendo o una cosa del genere.”
La pazienza di Kyle si esaurì. Volò dall'altra parte della stanza verso la ragazza, e la sollevò in aria.
“Vai dritta al punto!” le gridò.
La ragazza gli graffiò la mano intorno al suo collo. “Chiesa.”
Kyle la studiò per un momento, poi la mise giù. “Chiesa?”
La giovane annuì, con gli occhi spalancati per il terrore. Si massaggiò poi il collo.
“Chiesa. O castello. O cattedrale. Qualcosa del genere. Sono … volati via insieme.”
Se la ragazza lo avesse detto prima, i suoi compagni l'avrebbero ridicolizzata. Ma, pochi istanti dopo aver visto con i propri occhi Kyle volare nella stanza verso la loro compagna, l'idea di Scarlet Paine e un bel ragazzo che volavano via insieme, improvvisamente, appariva meno inverosimile.
Ancora dolorante sul pavimento, Becca rivolse uno sguardo furioso alla ragazza.
“Perché gliel'hai detto, Jojo?” le urlò. “E' ovvio che voglia farle del male!”
“Lealtà a Vivian” Jasmine rispose aspramente.
Le orecchie di Kyle pungevano. Pensò al sangue dolce di Vivian. Tornò a rivolgersi a Jojo.
“Sei una delle amiche di Vivian?” le chiese.
La ragazza annuì.
Kyle le afferrò la mano.
“Verrai con me.”
Il coro osservò con orrore Jojo che veniva trascinata fuori dalla stanza, fino al corridoio. Kyle la portò lungo i corridoi con lui. Tutto il posto era una scena caotica. I ragazzi che aveva tramutato avevano cominciato a banchettare. Quelli che non erano ancora stati tramutati correvano e urlavano, provando a uscire. Kyle fece un cenno d’approvazione alla ragazza gotica ed alla sua amica, mentre passava, osservandole succhiare il sangue dai loro compagni di scuola. Accanto a lui, sentì Jojo tremare.
Raggiunse la palestra e spalancò le porte, scoprendo che le cheerleader avevano provato a formare una piramide umana, per uscire dalle finestre in cima. La piramide crollò, non appena si resero conto che il loro catturatore era tornato, vanificando il loro piano.
“Brillanti” Kyle disse con una risata. “Sarete un'eccellente aggiunta alla mia famiglia.”
“Jojo!” qualcuno gridò, mentre l'amica di Vivian veniva gettata nella palestra.
Kyle si guardò intorno e si leccò le labbra.
“Che il divertimento cominci” disse a se stesso.
CAPITOLO CINQUE
L'agente di polizia Sadie Marlow guardò dalla piccola finestra, entrando nella stanza. Dentro vide solo un letto, addossato alla parete. Seduta lì, c'era la ragazza, con cui avrebbe dovuto parlare.
Lo psicologo, che si era mantenuto al suo fianco, estrasse una scheda dalla tasca. Ma prima di strisciarla nella serratura e permettere ai poliziotti di entrare, si fermò e si voltò a guardarli entrambi.
“Sapete che non siamo stati ancora in grado di farle dire una parola sensata” lo psicologo disse. “Non dice altro che ‘Scarlet. Scarlet. Devo trovare Scarlet.’”
Si intromise l'agente Brent Waywood, indicando il suo taccuino aperto. “E’ per questo che siamo qui, signore” “Scarlet Paine. Quel nome continua a saltare fuori nelle nostre indagini.”
Lo psicologo seguì le sue labbra.
“Capisco perché siate qui” replicò. “Solo che non mi piace che la polizia interroghi i miei pazienti.”
Brent chiuse brutalmente il taccuino, facendo un suono violento. Rivolse uno sguardo allo psicologo.
“Sono stati uccisi degli agenti” disse in tono secco. “Bravi uomini e donne non torneranno a casa dalle loro famiglie stasera, perché uno psicopatico ucciderà tutti quelli che incontrerà sulla sua strada. Che cosa vuole? Scarlet Paine. E' tutto quello che abbiamo, per andare avanti nelle indagini. Così, può capire per quale motivo interrogare la sua paziente per noi sia una priorità.”
L'Agente Marlow passeggiava avanti e indietro nervosamente, frustrata dal fatto che il partner sembrava riuscire a litigare in ogni situazione. Era convinta che il suo lavoro sarebbe stato senz'altro più semplice, se avessero lasciato a lei la possibilità di fare gli interrogatori.
Infatti, a differenza di Brent, restava sempre calma, specie con i testimoni ed in particolare con quelli afflitti da problemi mentali, come la ragazza che dovevano incontrare lì. E questa era precisamente la ragione per cui il capo della polizia l'aveva mandata in quella clinica psichiatrica. Tuttavia, avrebbe voluto avere un partner migliore.
Ma un pensiero la colpì, come un pugno allo stomaco: il suo capo non aveva avuto a disposizione molti poliziotti tra cui scegliere. Oltre a quelli che ora sorvegliavano la scuola, il resto del suo distretto era composto da morti o feriti.
Si fece avanti.
“Comprendiamo che la testimone è in uno stato di fragilità” disse in tono diplomatico. “Manterremo un tono civile. Nessuna domanda. Nessun tono di voce alto. Mi creda, signore, ho sei anni di esperienza con ragazzi come lei.”
Tutti guardarono attraverso la finestrella e notarono che la ragazza si stava dondolando andando avanti e indietro, con le ginocchia contro il petto.
Alla fine lo psicologo sembrò accontentarsi di quelle promesse e consentì ai poliziotti di entrare.
Strisciò la scheda contro la serratura della porta, attese l’accensione di una lucina verde, seguita da un sonoro bip, e poi entrò per primo nella stanza, avvicinandosi alla ragazza, che era rimasta raccolta in posizione fetale.
I due agenti lo seguirono e solo allora la donna notò le manette che bloccavano le mani e le caviglie della ragazza, immobilizzandola.
Ne fu sorpresa. L'ospedale non ricorreva a questi metodi, se non quando il paziente manifestasse l’intenzione di far del male a se stesso o agli altri. Qualsiasi esperienza avesse affrontato quella ragazza, rifletté, doveva essere stata terribile. Per quale altra ragione una liceale sedicenne, dalla fedina penale perfettamente pulita, avrebbe potuto diventare improvvisamente pericolosa?
Fu lo psicologo a parlare per primo.
“Ci sono dei poliziotti qui che vogliono vederti” le disse in modo calmo. “Si tratta di Scarlet.”
La ragazza sollevò la testa. Gli occhi erano vuoti e osservarono i volti delle tre persone davanti a lei. L'Agente Marlow lesse nella sua espressione angoscia e disperazione.
“Scarlet” la ragazza gridò, tendendo le manette. “Devo trovare Scarlet.”
Lo psicologo guardò in silenzio i due poliziotti, mentre lasciava la stanza.
*
Maria osservò gli agenti. Da qualche parte, nei recessi più nascosti, la parte sana stava ancora funzionando, era rimasta lucida e sveglia. Ma la parte con cui aveva giocato Lore era dominante, e sembrava che una nube le oscurasse l’intelletto.
Sapeva di dover uscire da quel posto e di dover trovare Scarlet. Forse l’amica era con Sage, che, sicuramente, l'avrebbe aiutata. Sarebbe stato in grado di disfare quello che il cugino le aveva fatto.
Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a spiegare a nessuno che non era affatto pazza, che quello non era il suo posto, ammanettata come una criminale. Le sue amiche erano andate a trovarla, e sua madre le aveva tenuto la mano, in lacrime, ma Maria non era riuscita a parlare. Qualunque cosa Lore le avesse introdotto nella mente, era immune ad ogni attacco. E si stava rinforzando. Ad ogni istante, Maria si sentiva sempre più debole. La sua capacità di combattere il controllo mentale di Lore stava diminuendo, e la parte sana della sua mente si riduceva sempre di più. Maria era certa che, se non avesse trovato un aiuto, sarebbe scomparsa del tutto, riducendola ad un guscio vuoto.
Waywood rimase in piedi, tenendo lo sguardo puntato su Maria. Marlow, invece, era appoggiata al bordo del letto.
“Maria, dobbiamo farti alcune domande” le disse dolcemente.
Maria provò ad annuire, ma non accadde nulla. Il suo corpo era diventato pesante. Era esausta. Respingere quello che Lore aveva introdotto nella sua mente era davvero faticoso.
“La tua amica, Scarlet” la poliziotta proseguì nello stesso modo gentile. “Sai dov'è?”
“Scarlet” Maria disse.
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma le parole proprio non riuscivano ad uscirle di bocca. Frustrata, osservò il poliziotto roteare gli occhi.
“E’ del tutto inutile” sbottò.
“Agente Waywood, devi avere pazienza” replicò incollerita Marlow.
“Pazienza?” il collega gridò. “I miei amici sono morti! I nostri colleghi sono in pericolo! Non c'è tempo per avere pazienza!”
Intrappolata nella sua stessa mente, Maria sentì crescere la propria frustrazione. Comprendeva la preoccupazione dell'Agente Waywood e desiderava davvero essere d'aiuto. Ma, per colpa di Lore, riusciva a malapena a spiccicare una parola. Parlare per lei equivaleva a camminare su un tapis roulant: si sforzava, ma non arrivava mai da nessuna parte.