La folla intorno a lei stava aumentando e Caitlin si sentì sballottata; improvvisamente guardò in basso e restò scioccata accorgendosi di quali abiti indossasse. Era imbarazzata, perché portava ancora la semplice veste da prigioniera, che Kyle le aveva dato al Colosseo a Roma. Indossava una tunica di tela, ruvida sulla pelle, malamente strappata e troppo larga per lei, legata sul busto e sulle gambe con un pezzo di corda. Aveva i capelli arruffati, sporchi, che le coprivano il volto. Aveva l'aspetto di un'evasa, o di una vagabonda.
Ancora più ansiosa, Caitlin cercò ancora una volta Caleb con lo sguardo o Sam o una qualsiasi persona che conoscesse, chiunque potesse aiutarla. Non si era mai sentita così sola, e non desiderava altro che posare il suo sguardo su di loro, per sapere che non era tornata indietro nel tempo in quel luogo tutta sola, per sapere che tutto sarebbe andato bene.
Ma lei non riconosceva nessuno.
Forse sono da sola, lei pensò. Forse sono di nuovo tutta sola.
Quel pensiero le trafisse lo stomaco, come un coltello. Lei voleva accucciarsi, strisciare via e nascondersi nella chiesa, per poi essere spedita in qualche altra epoca, in un altro luogo—un luogo qualsiasi in cui si sarebbe potuta svegliare, vedendo qualcuno che conosceva.
Ma si fece coraggio. Sapeva che non poteva tirarsi indietro, non aveva alcuna possibilità di andare avanti nel tempo. Doveva solo essere coraggiosa, trovare il motivo per cui si trovava in quei tempo e spazio. Proprio non aveva altra scelta.
*
Caitlin doveva venir fuori da quella folla. Aveva bisogno di restare da sola, di riposare, di nutrirsi e di pensare. Doveva capire quale direzione prendere, dove cercare Caleb, e se lui fosse davvero lì. Ma altrettanto importante era stabilire, scoprire perché si trovasse in quella città e proprio in quell'epoca storica. Non sapeva nemmeno che anno fosse.
Un uomo pulito le passò accanto, e Caitlin si protese afferrandolo per un braccio, sopraffatta da un improvviso desiderio di sapere.
L'uomo si voltò a guardarla, infastidito per essere stato fermato così bruscamente.
“Mi dispiace,” lei disse, accorgendosi d'improvviso, mentre pronunciava le sue prime parole, di quanto fosse secca la sua gola e di quanto dovesse apparire malridotta, “ma in che anno siamo?”
Lei si sentì imbarazzata persino mentre lo chiedeva, rendendosi conto di quanto potesse sembrare pazza.
“Anno?” l'uomo confuso le chiese.
“Um… Mi spiace, ma non mi sembra di… ricordare.”
L'uomo la guardò dall'alto in basso e poi prese a scuotere lentamente la testa, come se avesse deciso di aver trovato in lei qualcosa che non andasse.
“E' il 1789 naturalmente. E non siamo nemmeno vicini alla vigilia del Nuovo Anno, perciò, non hai davvero alcuna scusa,” disse, scuotendo la testa in maniera derisoria, e proseguendo per la sua strada.
1789. La realtà di quel numero impressionò Caitlin. Ripensò a tutto quello che aveva visto l'ultima volta nel 1791. Due anni prima. Non era andata poi molto indietro nel tempo.
Eppure, era a Parigi ora, un mondo totalmente diverso da quello di Venezia. Perché era lì? Perché adesso?
Scavò nella sua mente, provando disperatamente a ricordare le lezioni di storia e che cosa fosse avvenuto in Francia nel 1789. Fu imbarazzata nell'accorgersi di non ricordare. Si rimproverò ancora una volta per non aver prestato maggiore attenzione in classe. Se avesse saputo all'epoca, quando frequentava il liceo, che un giorno avrebbe viaggiato indietro nel tempo, avrebbe studiato la storia persino di notte, e si sarebbe impegnata al massimo per memorizzare ogni cosa.
Ora non aveva alcuna importanza, comprese. Ora, era una parte della storia. Ora, aveva una possibilità di cambiarla e di cambiare se stessa. Il passato, si rese conto, poteva essere cambiato. Soltanto perché determinati eventi sono avvenuti nei libri di storia, non significava che lei, viaggiando indietro nel tempo, non potesse cambiarli adesso. In un certo senso, lo aveva già fatto: il fatto di essere apparsa lì, in quell'epoca, avrebbe influito su ogni cosa. Il che, di conseguenza, anche se in un modo minimo, avrebbe potuto cambiare il corso della storia.
Questo pensiero le fece sentire l'importanza delle sue azioni ancora di più. Stava a lei creare un nuovo passato.
Passeggiando nei dintorni eleganti, Caitlin cominciò a rilassarsi un po', e persino a sentirsi un po' meglio. Almeno, si era ritrovata in un bel posto, in una bella città, e in una bella epoca. Questa non era l'età della pietra, dopotutto, e non si era trovata catapultata nel bel mezzo del nulla. Tutto intorno a lei era pulito, le persone erano vestite splendidamente e le strade in ghiaia lerano illuminate dalle torce. E la sola cosa che lei ricordava della Parigi del secolo XVIII, era che si trattava di un'epoca lussuosa per la Francia, un grande periodo di ricchezza, in cui ancora regnavano re e regine.
Caitlin notò che Notre Same si trovava su un'isoletta, e sentì il bisogno di allontanarsi. Era fin troppo affallota, e lei aveva bisogno di un po' di pace. Individuò alcuni ponti, che sembravano consentire di allontanarsi, e si diresse verso uno di essi. Si concesse di sperare che forse la presenza di Caleb la stesse conducendo in una particolare direzione.
Mentre percorreva il ponte, ebbe modo di accorgersi di quanto fosse bella la notte parigina, illuminata dalle torce tutte disposte lungo il fiume e dalla luna piena. Lei pensò a Caleb e desiderò che fosse al suo fianco, a godersi quella vista con lei.
Passato il ponte, guardando in basso verso l'acqua, alcuni ricordi le tornarono alla mente. Pensò a Pollepel, al Fiume Hudson di notte, al modo in cui la luna illuminava il fiume. Ebbe un'improvvisa voglia di spiccare il volo dal ponte, per mettere alla prova le sue ali, per vedere se riuscisse ancora a volare, e per vibrarsi in alto al di sopra di esso.
Ma si sentì debole e affamata; non riuscì nemmeno a sentire la presenza delle sue ali. Si preoccupò se il viaggo indietro nel tempo avesse influito sulle sue capacità, sui suoi poteri. Non si sentì affatto forte quanto lo era una volta. In effetti, si sentì quasi umana. Fragile. Vulnerabile. Non le piacque quella sensazione.
Dopo aver attraversato il fiume, Caitlin si incamminò lungo le strade laterali, vagando per ore, smarrita. Percorse strade tortuose e serpeggianti, allontanandosi sempre di più dal fiume, diretta a nord. Lei fu stupita dalla città. Per alcuni aspetti, era simile a Venezia e Firenze nel 1791. Come quelle città, Parigi era sempre la stessa, anche nel modo in cui appariva nel secolo XXI. Non era mai stata lì prima di allora, ma aveva visto delle fotografie e fu scioccata di riconoscere tanti edifici e monumenti.
Anche lì le strade erano, per la maggior parte, pavimentate con ciottoli, affollate da cavalli e carri; talvolta si incontrava un cavaliere solitario. Le persone camminavano, sfoggiando elaborati costumi, passeggiando lentamente, come se avessero a disposizione tutto il tempo del mondo. Come nelle altre città che aveva conosciuto poco prima, non c'erano fognature e Caitlin non potè fare a meno di notare i rifiuti nelle strade e il terribile fetore che aleggiava nella calura estiva. Desiderò di avere ancora con sé uno di quei piccoli potpourri che Polly le aveva dato a Venezia.
Ma, a differenza di tutte quelle altre città, Parigi anche unica. Le sue strade erano più ampie, gli edifici erano più bassi, ed erano più belli dal punto di vista architettonico. La città sembrava più vecchia, più splendida, più bella. Era anche meno affollata: più lei si allontanava da Notre Dame, meno persone vedeva. Forse era così perché era tardi, ma le strade sembravano quasi vuote.
Lei camminò e camminò, e aveva gambe e piedi stanchi, cercando in ogni angolo qualsiasi segno di Caleb, qualsiasi indizio che potesse condurla in una direzione speciale. Non c'era niente.
Ogni venti isolati circa, il quartiere cambiava, e anche la sensazione cambiava. Mentre continuava a camminare, diretta sempre più a nord, si ritrovò a salire una collina, in un nuovo distretto, costituito da vicoli stretti e diversi bar. Mentre passava davanti ad un bar d'angolo, vide un uomo sdraiato per terra, ubriaco e privo di conoscenza, appoggiato contro il muro. La strada era deserta e, per un momento, Caitlin sentì una fame feroce prendere il sopravvento. Le sembrava che lo stomaco si spezzasse in due.
Osservò l'uomo giacere lì e si concentrò sul suo collo: vide il sangue che gli pulsava all'interno. In quel momento, desiderava più di ogni altra cosa saltargli addosso e nutrirsi. Quella sensazione non era un impulso —era più un comando. Il suo corpo le urlava di farlo.
Con le poche forze che le erano rimaste, Caitlin scelse di distogliere lo sguardo. Sarebbe morta di fame, piuttosto che fare del male ad un altro umano.
Si guardò intorno e si chiese se ci fosse una foresta nelle vicinanze, un posto in cui potesse cacciare. Mentre camminava, ogni tanto aveva notato qualche strada sterrata e dei parchi nella città, ma non aveva visto nulla di simile ad una foresta.
E, proprio in quell'istante, la porta del bar si spalancò, e un uomo uscì fuori o, per meglio dire, fu scaraventato all'esterno da uno dei buttafuori. Li maledisse e urlò contro di loro, chiaramente ubriaco.
Poi si voltò e guardò Caitlin.
Era robuto e lo sguardo diretto verso di lei denotava chiaramente cattive intenzioni.
Caitlin si irrigidì, chiedendosi di nuovo, disperatamente, se qualcuno dei suoi poteri si sarebbe manifestato.
Si voltò e fece per allontanarsi, camminando con passo svelto, ma sentì l'uomo seguirla.
Un solo istante e, prima di riuscire a voltarsi, si ritrovò stretta in un forte abbraccio. L'uomo era più veloce e più forte di quanto avesse immaginato e poteva sentire il fetore del suo alito sulla sua spalla.
Ma era anche ubriaco. Barcollò, nonostante la tenesse, e Caitlin si concentrò, richiamando alla mente quello che aveva imparato, poi si mosse lateralmente e se lo scrollò di dosso, facendo ricorso a una delle tecniche di combattimento che Aiden le aveva insegnato a Pollepel. L'uomo volò in aria, atterrando sulla schiena.
Caitlin ebbe improvvisamente un flashback di Roma, del Colosseo, di quando aveva combattuto nell'arena dello stadio, sfidata da numerosi combattenti. Fu così vivido che, per un istante, si paralizzò, dimenticandosi di dove si trovava.
Si riprese giusto in tempo. L'uomo ubriaco si alzò e, barcollando, la caricò di nuovo. Caitlin attese fino all'ultimo secondo, per poi schivarlo, e lui volò in aria, cadendo proprio sulla sua stessa faccia.
Caitlin profittò dello stupore dell'uomo e, prima che questi si rialzasse, si affrettò ad allontanarsi. Era contenta di essersela cavata bene ma quell'incidente l'aveva scossa. La preoccupava il fatto di vivere ancora dei flashback legati a Roma. E non aveva nemmeno sentito la sua forza soprannaturale. Si sentiva ancora fragile come un'umana. Quel pensiero, più di ogni altra cosa, la spaventava. Era davvero sola ora.
Dopo aver seminato l'aggressore, Caitlin iniziò a guardarsi intorno e a chiedersi dove sarebbe andata, che cosa avrebbe fatto. Le gambe le dolevano, tanto aveva camminato, e cominciò a provare un senso di disperazione.
Poi, d'improvviso, la vide. Guardò verso l'alto e di fronte a lei c'era un'enorme collina. Sulla cima, si ergeva una grande abbazia medievale. Per qualche ragione che lei non riusciva a comprendere, si sentì attirata da essa. La collina appariva spaventosa, ma non aveva altra scelta.
Caitlin salì l'intera collina, più stanca di quanto non fosse mai stata, e desiderò di poter volare.
Alla fine, raggiunse le porte anteriori dell'abbazia, costruite in solida quercia. Quel luogo sembrava antico. Si meravigliò del fatto che, sebbene fosse il 1789, quella chiesa dovesse trovarsi lì da quelli che sembravano essere migliaia di anni.
Non sapeva perché, ma quel luogo l'attirava. Non vedeva un altro posto dove andare; pertanto si fece coraggio e bussò leggermente alla porta.
Non ci fu alcuna risposta.
Caitlin provò a girare la maniglia e fu sorpresa di trovare la porta aperta. Entrò.
L'antica porta si apì lentamente, e occorse un istante per far sì che gli occhi di Caitlin si abituassero al buio dell'interno della chiesa. Quando la vista glielo consentì, si guardò intorno e rimase stupita dalla grandiosità e dalla solennità del luogo. Era ancora notte fonda e questa semplice ed austera chiesa, fatta interamente di pietra ed adornata da vetrate colorate, era illuminata da grandi candele posizionate un po' ovunque: alcune sembravano appena accese, altre erano quasi spente. In fondo alla navata c'era un semplice altare, intorno al quale erano piazzate altre dozzine di candele.
Per il resto, appariva vuota.
Per un istante, Caitlin si chiese che cosa ci facesse lì dentro. C'era un motivo particolare? O la mente le stava giocando un brutto scherzo?
Improvvisamente, una porta laterale si aprì e Caitlin trasalì.
Fu molto sorpresa di vedere una suora —bassa, fragile, che indossava delle vesti bianche fluttuanti, con un cappuccio bianco – dirigersi verso di lei. La donna camminava lentamente, e non vi erano dubbi sul fatto che la volesse avvicinare.
Si liberò il volto dal cappuccio, guardò verso di lei e sorrise. Aveva dei grandi e luminosi occhi blu, e sembrava fin troppo giovane per essere una suora. Caitlin sentì il calore che proveniva da lei. E comprese anche che era una della sua specie: una vampira.
“Sorella Paine,” la suora disse dolcemente. “E' un onore averti qui.”
CAPITOLO DUE
Il mondo appariva surreale a Caitlin, mentre la suora la guidava dentro l'abbazia, per un lungo corridoio. Era un posto splendido e chiaramente affollato, con le suore nelle loro vesti bianche che camminavano, preparandosi, sembrava, per i servizi mattutini. Una di loro muoveva una sorta di caraffa mentre camminava, diffondendo intorno il delicato aroma dell'incenso, mentre le altre recitavano dolcemente le preghiere del mattino.
Dopo svariati minuti trascorsi a camminare in silenzio, Caitlin cominciò a chiedersi dove la suora la stesse portando. Finalmente, si fermarono davanti ad una piccola porta. La suora la aprì, svelando una piccola umile stanza, con una vista mozzafiato su Parigi. Caitlin ricordò la stanza in cui era stata, all'interno del chiostro a Siena.
“Sul letto, troverai degli abiti puliti,” la suora disse. “C'è un pozzo in cui potrai lavarti, nel nostro cortile,” disse. Poi mosse l'indice, aggiungendo: “ed è per te.”
Caitlin seguì il dito e vide un piccolo piedistallo in pietra nell'angolo della stanza, su cui c'era un calice in argento, colmo di un liquido bianco. La suora le sorrise.
“Hai tutto ciò che ti occorre per una fresca notte di sonno. Dopo, la scelta spetta a te.”
“Scelta?” Caitlin chiese.
“Mi è stato riferito che possiedi già una chiave. Avrei bisogno di trovare le altre tre. In ogni caso la scelta di portare a compimento la tua missione e continuare il viaggio spetta sempre a te.”
“Questo è per te.”
Lei si protese in avanti e diede a Caitlin un cofanetto cilindrico d'argento, ricoperto di pietre preziose.
“E' una lettera di tuo padre. Proprio per te. L'abbiamo custodita per secoli. Non è mai stata aperta.”
Caitlin la prese con stupore, percependone il peso nella sua mano.