Vincitore, Vinto, Figlio - Морган Райс 2 стр.


“Dobbiamo farlo,” disse uno degli uomini lì vicino.

Tano scosse la testa. “Non ancora. Stanno arrivando altri uomini.”

“Ma se quelli di Cadipolvere passano…”

“Non ancora,” ripeté Tano.

I guerrieri continuavano ad arrivare e Tano lasciò passare quanta più gente poteva. Quando gli arrivò vicino il primo uomo di Cadipolvere, parò il colpo con l’impugnatura della sua mazza, poi contrattaccò e sentì le costole dell’avversario che cedevano sotto al colpo. Ne arrivò un altro e questa volta Haven si fece trovare pronto e lo uccise.

“Questo non è posto per te, mio principe,” gli disse.

“Mi pareva che aveste detto che non sono il vostro principe,” sottolineò Tano.

Sentì l’uomo sospirare. “Non lo sei, ma hai ragione. Sono venuto su quest’isola pe fare il macellaio. È ora di fare qualcosa di più.”

Annuì, e Tano sentì delle forti mani che si chiudevano sulle sue braccia. Un paio di soldati dell’Impero lo tirarono indietro, mentre Haven prendeva la mazza che teneva in mano.

“Haven, non lo faccia,” disse Tano.

Ma era troppo tardi. Il vecchio generale stava già facendo roteare il martello insieme ai pochi uomini scelti di Haylon. Lo fece calare con tutta la forza di un uomo molto più giovane, andando a segno contro il cuneo che aveva davanti. Le rocce scricchiolarono.

Quando cedettero, fu come un tuono e tutto il mondo parve scomparire sotto a una pioggia di sassi. Il generale Haven sparì sotto la valanga, lasciando nient’altro che un solido muro di massi.

Tano guardò sconcertato quella pila di rocce.

Sapeva che aveva comunque fatto guadagnare loro ben poco tempo.

Haylon era perduta.

Sperava solo che le cose fossero più facili per Ceres.

CAPITOLO DUE

Ceres sollevò lo sguardo dalla fosse guardando il cerchio di stregoni per metà morti che la circondavano e cercò di nascondere la paura. Riuscì ad acquisire un atteggiamento di sfida mentre li vedeva avvicinarsi, stringendo le else delle sue due spade e aspettandoli. Non avrebbe permesso loro di vederla spaventata là sotto.

“Avresti potuto liberarci,” disse il loro capo con voce che pareva carta vecchia.

“Liberarvi per distruggere,” rispose Ceres. “Mai.”

“Allora prenderemo il tuo sangue e saremo almeno per un po’ quello che siamo stati in passato.”

Ceres rimase lì ferma ad aspettarli. Quale di loro avrebbe attaccato per primo? Avrebbero semplicemente scagliato la loro magia nel fondo della fossa distruggendola? No, non potevano, giusto? Non se avevano bisogno del suo sangue. Allora le venne un’idea. Un modo per poter effettivamente uscire da quella fossa. Sarebbe stato pericoloso però. Molto pericoloso.

“Pensate che abbia paura di voi?” chiese. “Ho già combattuto nelle fosse. Venite, tutti.”

Avrebbe funzionato solo se le fossero venuti tutti addosso. Lo stesso era terrificante vederli scendere in silenzio, atterrano sulla pietra dura della fossa e correndo in avanti per attaccarla.

Ceres colpiva e si spostava. C’era così poco spazio nella fossa per combattere e c’era il pericolo che la travolgessero. Tagliò una mano che l’aveva afferrata, si abbassò sotto a un colpo d’artigli diretto alla sua gola. Sentì il graffio di una mano sul fianco e sferrò un calcio facendo cadere sulla schiena uno degli stregoni.

Non erano forti come erano stati un tempo. Ceres immaginò che avessero usato più potere di quanto avrebbero voluto scagliandole addosso della magia. Continuò a colpire, a schivare all’interno della fossa mentre aspettava il momento in cui qualcuno di loro si sarebbe messo nel modo che voleva.

Lo vide e non esitò. Poteva anche non avere la forza e velocità superiori che le derivavano dal suo sangue, ma era pur sempre rapida e forte per una cosa del genere. Ne colpì uno davanti a sé facendolo cadere in ginocchio, gettò le spade fuori dalla fossa e poi usò la schiena dello stregone come pedana di salto mentre ancora si stava riprendendo. Saltò sulle spalle del nemico più vicino e poi balzò con tutte e sue forze verso il ciglio della fossa. Se avesse sbagliato, avrebbe voluto dire che aveva appena gettato via le uniche armi in suo possesso per proteggersi.

Andò a sbattere contro la parete della fossa, le mani che si aggrappavano al ciglio mentre lei lottava per tirarsi su. Sentì qualcosa che le si avvinghiava attorno alla gamba e d’istinto diede un calcio, sentendo uno scricchiolio d’ossa quando colpì il cranio di uno degli stregoni. Quella spinta era tutto ciò di cui aveva bisogno per lanciarsi nell’arrampicata, e rapidamente Ceres si tirò fuori dalla fossa in cui era caduta.

Afferrò le sue spade e si tirò in piedi mentre gli stregoni le gridavano addosso in piena rabbia.

“Ti seguiremo!” le promisero.

Uno allora ringhiò pieno d’ira e le lanciò addosso della magia. Ceres si piegò di lato, ma fu come un segnale per gli altri per colpire a loro volta. Fiamme e lampi la seguivano mentre lei scappava dalla stanza in cui si trovava la fossa, sentendo attorno a sé le pareti che tremavano. Iniziarono a cadere delle piccole pietre, poi sempre più grandi.

Ceres correva disperatamente mentre le rocce le crollavano attorno, rimbalzando quando colpivano il pavimento e rotolando nel caso dei pezzi più grossi. Ceres si lanciò in avanti e quando si rialzò in piedi scoprì che la galleria alle sue spalle era rimasta bloccata.

Avrebbe fermato gli ex stregoni? Probabilmente non per sempre. Se non potevano morire, allora alla fine avrebbero trovato un modo per passare oltre, ma non era la stessa cosa che essere capaci di inseguirla adesso. Almeno per ora Ceres era al sicuro.

Continuò attraverso le gallerie, non sapendo da che parte andare ma fidandosi del suo istinto al tenue bagliore che illuminava la grotta. Più avanti la poteva vedere aprirsi in una caverna più ampia con le stalattiti che pendevano dal soffitto. C’era anche un rumore d’acqua che proveniva da lì, e Ceres fu sorpresa di vedere un ampio torrente che scorreva nel mezzo.

Inoltre c’era un piccolo punto d’approdo con una barca dal pianale piatto lì attraccata. Ceres ipotizzò che la barca fosse lì da diversi anni, ma in qualche modo sembrava ancora integra e forte. Verso valle poté vedere una luce che non era presente nel resto delle grotte, e in qualche modo ebbe la certezza che fosse da quella parte che doveva andare.

Salì sulla barca, slegò gli ormeggi e lasciò che la corrente la trasportasse. L’acqua sciabordava contro il fianco della piccola imbarcazione e Ceres poté provare il senso di attesa che le cresceva dentro mentre avanzava. In altre occasioni avrebbe potuta provare preoccupazione davanti a una corrente come quella, pensando che potesse portare a una diga, o ancor peggio a una cascata. Ora invece sembrava che la corrente fosse qualcosa di prestabilito, fatto apposta per portarla alla sua meta.

La barca passò attraverso una galleria tanto stretta che Ceres avrebbe potuto toccare le pareti da entrambe le parti. C’era luce avanti, più luminosa della penombra delle grotte. La galleria lasciò spazio a un’apertura che non era roccia, non pietra. Invece, in uno spazio dove avrebbe dovuto trovarsi un’altra caverna, Ceres si trovò a galleggiare nel mezzo di una campagna idilliaca.

Riconobbe all’istante l’opera degli Antichi. Solo loro potevano aver fatto una cosa del genere. Forse gli stregoni avevano trovato il potere per creare un’illusione, ma questo sembrava reale. Si sentiva addirittura l’odore di erba fresca e gocce di rugiada. La barca andò a sbattere contro la riva e Ceres vide un ampio prato davanti a sé, pieno di fiori selvatici dal profumo dolce e delicato. Alcuni sembravano muoversi con lei al suo passaggio e Ceres si sentì sfiorare la gamba da delle spine che le procurarono un acuto dolore e la ferirono facendo spillare alcune gocce di sangue dalla carne ferita.

Ma subito le piante si tirarono indietro. Apparentemente, qualsiasi sorta di difesa fossero, non avevano intenzione di tenere alla larga lei.

Le ci volle un po’ per rendersi conto che c’erano due cose strane nel posto in cui stava camminando. Beh, sicuramente più strane di un pezzo di campagna nel mezzo di un complesso di grotte.

La prima cosa strana era il modo in cui sembrava che le visioni del passato fossero finite. Nelle caverne prima non avevano mai smesso di apparire e scomparire, mostrando l’attacco finale da parte degli Antichi contro la casa degli stregoni. Qui il mondo non sembrava essere incastrato tra due punti. Qui era pacifico e normale, senza i costanti mutamenti provati nel resto di quel posto.

La seconda cosa strana era la cupola di luce che sembrava sorgere nel cuore di quel luogo, brillando dorata e stagliandosi contro il verdeggiante colore dell’ambiente circostante. Era grande quanto una grossa casa, o come la tenda di un qualche signore nomade, ma pareva essere fatta quasi interamente di energia. Guardandola pensò che all’inizio quella cupola fosse una sorta di scudo o parete. Ma in qualche modo Ceres sapeva che si trattava di qualcosa di diverso. Era un posto vivente, era una casa.

E immaginò che fosse anche il posto dove avrebbe potuto trovare quello che stava cercando, qualsiasi cosa fosse. Per la prima volta da quando aveva messo piede nella casa degli stregoni, Ceres osò provare un barlume di speranza. Forse quello era il posto dove avrebbe recuperato i suoi poteri.

Forse dopotutto sarebbe stata capace di dare il suo contributo per salvare Haylon.

CAPITOLO TRE

Mentre navigava verso la Costa delle Ossa di Cadipolvere, Jeva soffriva della più strana sensazione mai provata in vita sua: era preoccupata di poter morire.

Era una sensazione nuova per lei. Non era qualcosa di cui la sua gente fosse abituata ad avere esperienza. Di certo non era qualcosa che lei mai avesse desiderato. Probabilmente la si poteva considerare una sorta di eresia che le passava accanto e le faceva vedere la possibilità di potersi unire ai morti in attesa, facendola effettivamente preoccupare di farlo. Quelli del suo popolo accoglievano con gioia la morte, addirittura la desideravano come una possibilità di essere tutt’uno con i propri antenati. Non ne temevano il rischio.

Eppure era esattamente quello che Jeva stava provando adesso, mentre vedeva la debole linea della costa di Cadipolvere che appariva all’orizzonte. Temeva di essere uccisa per ciò che doveva dire. Temeva di essere mandata a raggiungere quegli antenati invece di essere in grado di aiutare Haylon. Si chiedeva cosa fosse cambiato.

La risposta era piuttosto semplice: Tano.

Jeva si trovò a pensare a lui mentre navigava verso terra e osservava gli uccelli di mare che si riunivano in stormi fluttuanti in attesa della prossima occasione di cibo. Prima di incontrarlo era… beh, forse non uguale a tutti quelli del suo popolo, perché la maggior parte di loro non sentiva la necessità di navigare fino a Porto Sottovento e oltre. Lo stesso si era sentita una di loro, era stata una di loro. Di certo non provava paura.

Ora on era esattamente paura per se stessa, anche se sapeva perfettamente bene che c’era in ballo la sua stessa vita. Era più preoccupata di ciò che sarebbe potuto accadere a coloro che aveva lasciato ad Haylon se non ce l’avesse fatta a tornare. E a Tano.

Quella era un’altra forma di eresia. Per i vivi nulla contava, eccetto l’essere utili al compimento dei desideri dei morti. Se un’intera isola di gente moriva per mano di un invasore, quello era un onore glorioso per loro, non qualcosa da trattare come un imminente disastro. Tutto ciò che importava nella vita era esaudire i desideri dei morti e ottenere per se stessi una fine che fosse correttamente gloriosa. Gli oratori dei morti l’avevano reso chiaro. Jeva aveva addirittura udito lei stessa i sussurri dei morti quando il fumo si era levato dalle pire dei veggenti.

Continuò a navigare, ignorando quelle sensazioni e sentendo la spinta delle onde contro il timone mentre teneva la sua piccola barca in rotta verso casa. Ora si trovava ad udire altre voci che discutevano per avere compassione, per salvare Haylon, per aiutare Tano.

Lo aveva visto rischiare la sua stessa vita per aiutare gli altri per nessuna evidente ragione che lei potesse vedere. Quando si era trovava legata a una nave di Cadipolvere come una polena, aspettando di essere scuoiata, lui era venuto a salvarla. Quando avevano lottato fianco a fianco lo scudo di Tano era stato il suo in un modo mai visto con il suo popolo.

Aveva visto in Tano qualcosa da ammirare. Forse più che da ammirare. Aveva visto qualcuno che si trovava al mondo per fare il meglio che poteva, non solo per trovare il modo più perfetto per esistere. Le nuove voci che Jeva udiva le dicevano che quello era il modo in cui anche lei avrebbe dovuto vivere, e che andare in soccorso ad Haylon era parte di questo.

Il problema era che Jeva sapeva benissimo che quelle voci venivano solo da dentro di lei. Non avrebbe dovuto ascoltarle così fortemente. La sua gente di certo non l’avrebbe fatto.

“Quello che è rimasto di loro,” disse Jeva, e il vento si portò via le sue parole.

Il villaggio della sua tribù era sparito. Ora sarebbe andata a un altro luogo di riunione per chiedere a un altro gruppo della sua gente le loro vite. Jeva sollevò lo sguardo e osservò il modo in cui il vento gonfiava la piccola vela della sua barca. Poi guardò verso la schiuma che imbiancava l’oceano. Tutto tranne pensare a quello che avrebbe dovuto fare per farlo accadere. Lo stesso le parole vennero fuori, incontrovertibili come la fine della vita.

Avrebbe dovuto affermare di parlare con le parole dei morti.

C’era voluto il mondo dei morti per farli andare a Delo, anche se Jeva e Tano quella volta non avevano sostenuto di parlare per loro. Ma Jeva non poteva semplicemente lasciare questa cosa agli oratori. C’erano troppe probabilità che dicessero di no, e poi cosa sarebbe successo?

La morte del suo amico. Non poteva permetterlo. Anche se questo significava fare l’inimmaginabile.

Jeva guidò l’imbarcazione più vicina alla costa facendosi strada tra gli scogli e i relitti di navi che vi si erano schiantate contro. Quella non era la spiaggia più vicina alla sua vecchia casa, ma un posto un po’ più in là lungo la costa, in un altro dei grandi luoghi di riunione. Però erano pur sempre riusciti a mantenere puliti i relitti. Jeva sorrise sentendosene un poco orgogliosa.

Delle barche uscirono in mare e avanzarono verso di lei. Per lo più erano imbarcazioni leggere, canoe a bilanciere, disegnate per intercettare ciò che era ovviamente qualcosa di fattura non appartenente al Popolo delle Ossa. Se Jeva non fosse stata ovviamente una di loro, si sarebbe potuta trovare a combattere per la propria vita. Invece le si raccolsero attorno ridendo e scherzando nel modo che mai usavano con gli stranieri.

“Una barca bellissima, sorella. Quanti uomini hai ucciso per averla?”

“Ucciso?” disse un altro. “Probabilmente sono andati alla morte per la paura, non appena l’hanno vista!”

“Andrebbero alla morte vedendo te, per la tua bruttezza,” rispose Jeva e gli uomini risero con lei. Era così che andavano le cose lì.

Il modo in cui si facevano le cose era importante. La sua gente poteva sembrare strana agli stranieri, ma avevano le loro regole e i loro modelli di comportamento. Ora Jeva sarebbe andata da loro, e se avesse affermato di parlare per i morti, allora avrebbe spezzato la più fondamentale di quelle regole. Poteva essere espulsa dalla comunità dei morti per averla infranta, uccisa senza che le sue ceneri venissero mescolate alle pire per essere consumate.

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