Vincitore, Vinto, Figlio - Морган Райс 4 стр.


Vi entrò e iniziò a trafficare con le funi per farla calare in acqua. Le carrucole cigolarono come un cancello arrugginito e da qualche parte sopra di lei udì le grida dei marinai che cercavano di capire cosa fosse quel rumore. Stefania non esitò. Tirò fuori un coltello e iniziò a segare la fune che teneva sospesa la barca. Cedette subito e lei precipitò per il resto della breve distanza che la separava dalle onde.

Afferrando i remi iniziò a remare, dirigendosi verso il porto mentre dietro di lei i marinai si rendevano conto che non avevano modo di seguirla. Stefania remò fino a che arrivò al molo, poi scese dalla barca senza neanche curarsi di ormeggiarla. Di certo non sarebbe tornata indietro da quella parte.

La capitale di Cadipolvere era in tutto e per tutto quello che aveva promesso di essere guardandola dal largo. La polvere vi cadeva sopra in ondate, mentre attorno a lei delle figure si muovevano con intenti misteriosi. Un uomo le si avvicinò e Stefania gli puntò contro il coltello facendolo arretrare.

Si addentrò nella città. Sapeva che Lucio era venuto qui e si chiese come si fosse sentito in quel momento. Forse impotente, perché Lucio non sapeva come relazionarsi con la gente. Lui ragionava solo in termini di saltare addosso alla gente e chiedere, minacciare e intimidire. Era stato uno sciocco.

Stefania non era una sciocca. Si guardò attorno fino a che non vide la gente che per certo doveva avere delle informazioni: mendicanti e prostitute. Andò da loro con l’oro rubato e pose sempre la stessa domanda, più e più volte.

“Ditemi di Ulren.”

Lo chiese nei vicoli e lo chiese nelle case da gioco dove la posta sembrava essere il sangue, oltre al denaro. Chiese in negozi dove vendevano stracci per proteggersi dalla polvere, e chiese nei luoghi dove i ladri si riunivano al buio.

Scelse una locanda e vi entrò, spargendo voce che c’era oro per coloro che le avrebbero dato delle informazioni. Andarono da lei portandole brandelli di storie e pettegolezzi, voci e segreti in un miscuglio che Stefania era ben avvezza a gestire e districare.

Non fu sorpresa quando vennero a cercarla, due uomini e una donna, tutti avvolti nei panni tipici della città, quelli per proteggere dalla polvere, tutti con addosso l’emblema della ex Seconda Pietra. Avevano lo sguardo duro di persone abituate alla violenza, ma quella era una cosa che si poteva dire di quasi tutti lì a Cadipolvere.

“Stai facendo un sacco di domande,” disse la donna piegandosi in avanti contro il tavolo. Era tanto vicina che Stefania avrebbe potuto facilmente colpirla con un coltello. Era tanto vicina che avrebbero potuto benissimo essere delle amiche che si scambiavano confidenze a qualche ballo di corte.

Stefania sorrise. “Sì, è vero.”

“Pensavi che quelle domande non attirassero attenzioni? Che la Prima Pietra non abbia chi origlia nell’ombra?”

Stefania allora rise. Pensavano davvero che lei non avesse considerato la possibilità che ci fossero delle spie? Aveva fatto ben di più: ci aveva fatto affidamento. Era andata a caccia di risposte nella città, ma la verità era che stava andando a caccia più di tutto di attenzione. Qualsiasi sciocco poteva andare a un cancello e trovarsi l’accesso negato. Una donna intelligente faceva in modo che fossero gli altri a farla entrare.

Dopotutto, pensò Stefania con un certo divertimento, una donna non avrebbe mai dovuto essere quella che andava a caccia in una storia d’amore.

“Cosa c’è di tanto divertente?” chiese la donna. “Sei matta o solo stupida? Chi sei, comunque?”

Stefania tirò indietro il cappuccino in modo che l’altra donna potesse vederle il volto.

“Sono Stefania,” disse. “Ex sposa dell’erede dell’Impero, ex governatrice dell’Impero. Sono sopravvissuta alla caduta dell’Impero e ai migliori sforzi di Irrien per uccidermi. Penso che il tuo capo gradirebbe parlarmi, no?”

Si alzò in piedi mentre gli altri si guardavano tra loro, ovviamente cercando di decidere cosa fare in quella situazione. Alla fine fu la donna a prendere una decisione.

“Portiamola.”

Si misero al fianco di Stefania, ma lei fece in modo che muoversi insieme a loro apparisse come una sorta di nobile scorta, piuttosto che la conduzione di una prigioniera. Posò addirittura una mano suo braccio della donna, nel modo in cui avrebbe potuto fare con un’accompagnatrice durante una passeggiata in giardino.

Fecero strada attraverso la città, e dato che si trattava di una delle rare pause dalle tempeste di sabbia che imperversavano sulla città, Stefania non si preoccupò di mettersi il cappuccio in testa. Lasciò che la gente la vedesse, sapendo che le voci sulla sua identità e su dove stesse andando avrebbero avuto presto inizio.

Ovviamente, per quanto la stesse facendo apparire, era ancora ben lungi dall’essere una piacevole passeggiata. Quelli accanto a lei erano pur sempre degli assassini che non avrebbero esitato a ucciderla se lei gliene avesse dato il motivo. Mentre si avvicinavano a un grosso complesso nel cuore della città, Stefania poté sentire la paura annodarle lo stomaco, respinta solo dalla determinazione a fare le cose per cui era venuta a Cadipolvere. Si sarebbe vendicata di Irrien. Avrebbe ripreso suo figlio dallo stregone.

La fecero entrare nell’edificio, passando accanto a schiavi che lavoravano e guerrieri che si allenavano, accanto a statue che raffiguravano Ulren da giovane, in piedi sui corpi dei nemici uccisi. Stefania non aveva alcun dubbio che si trattasse di un uomo pericoloso. Essere secondo solo a Irrien significava che si era fatto strada lottando fino alla cima di uno dei luoghi più pericolosi esistenti.

Qui perdere significava morire, o peggio, ma Stefania non intendeva morire. Aveva imparato la lezione dell’invasione, e anche del suo fallimento nel controllare Irrien. Questa volta aveva qualcosa da offrire. Ulren voleva le stesse cose che desiderava lei: il potere e la morte della ex Prima Pietra.

Stefania aveva sentito di gente che fondava i matrimoni su cose ben peggiori.

CAPITOLO SEI

Ceres scese dalla piccola imbarcazione e si portò sulla banchina, meravigliata che potesse esistere sottoterra un posto come quello. Sapeva che centravano i poteri degli Antichi, ma non capiva perché avessero fatto una cosa del genere. Perché creare un giardino nel mezzo di un incubo?

Ovviamente dal poco che aveva visto degli Antichi, il fatto che ci fosse un incubo poteva essere un motivo sufficiente per volere un giardino come quello.

E poi c’era la cupola, che sembrava composta di pura luce dorata. Ceres si fece più vicina. Se c’era una risposta da trovare qui, era certa che si trovasse da qualche parte all’interno della cupola.

C’era una leggera foschia in quella luce e all’interno le parve di vedere un paio di figure. Sperava solo che non fossero due stregoni per metà morti. Non era certa di avere le forze per combatterne altri.

Andò contro la luce e non poté fare a meno di prepararsi a qualche genere di shock o forza che avrebbe potuto respingerla indietro. Invece ci fu solamente un attimo di pressione, e poi si trovò all’interno della cupola e si guardò attorno.

Sembrava l’interno di una qualche lussuosa stanza, con tappeti e divani, statue e decorazioni che sembravano pendere dall’interno della cupola. C’erano anche delle altre cose: oggetti di vetro e libri che suggerivano l’arte della stregoneria.

Al centro si trovavano due figure. L’uomo aveva lo stesso aspetto di grazia e pace che Ceres aveva visto in sua madre, e indossava gli abiti chiari che aveva notato nei ricordi degli Antichi. La donna aveva indosso la tunica scura di uno stregone, ma diversamente da quelli che aveva incontrato prima, sembrava ancora giovane, non sciupata e raggrinzita dal tempo.

Guardandoli, Ceres si rese anche conto che avevano le sembianze leggermente diafane che aveva potuto vedere in altre parti di quel complesso, soprattutto nei ricordi.

“Non sono reali,” disse.

L’uomo rise sentendola. “Hai sentito, Lin? Non siamo reali.”

La donna gli mise una mano sul braccio. “È un errore comprensibile. Del resto a quest’ora mi sa che sembriamo mere ombre di quello che eravamo.”

Questo prese Ceres un po’ di sorpresa. D’impulso si allungò verso l’uomo. La mano passò direttamente attraverso il suo petto e lei si rese subito conto di ciò che aveva fatto.

“Scusi,” disse.

“Non preoccuparti,” disse l’uomo. “Immagino che sia un po’ disorientante.”

“Cosa siete?” chiese Ceres. “Ho visto gli stregoni di sopra e voi non siete come loro. Ma non siete neanche come i ricordi, perché quelle sono solo delle immagini.”

“Siamo qualcosa… di diverso,” disse la donna. “Io sono Lin e questo è Alteo.”

“Mi chiamo Ceres.”

Notò come i due stessero vicini tra loro, il modo in cui la mano di Lin restava posata sulla spalla di Alteo. Sembravano una coppia molto innamorata. Lei e Tano sarebbero mai stati così alla fine? Presumibilmente non così trasparenti, di certo.

“La battaglia imperversava,” disse Alteo, “e noi non potevamo fermarla. Quello che gli stregoni hanno pianificato è stato malvagio.”

“Alcuni del tuo genere non sono stati tanto meglio,” disse Lin con un debole sorriso, come se avesse condotto quella conversazione molte volte. “È successo tutto così rapidamente. Gli Antichi hanno imprigionato gli stregoni così com’erano, la loro magia ha fuso passato e futuro insieme, e io e Alteo…”

“Siete diventati qualcos’altro,” concluse Ceres. Ricordi senzienti. Fantasmi del passato che potevano se non altro toccarsi tra loro.

“Ho la sensazione che tu non abbia lottato là sopra solo per venire a trovare noi,” disse Alteo.

Ceres deglutì. Non si era aspettata questa osservazione. Si era aspettata un oggetto, magari qualcosa come il punto di connessione che teneva insieme gli incantesimi di sopra. Eppure gli Antichi di fronte a lei avevano ragione: era venuta lì per un motivo.

“Posseggo il sangue degli Antichi,” disse.

Vide Alteo annuire. “Lo vedo.”

“Ma c’è qualcosa che la trattiene,” disse Lin. “Che la limita.”

“Mi hanno avvelenata,” disse Ceres. “Mi hanno tolto i miei poteri. Mia madre ha potuto sostenermi per un po’, ma non è durato.”

“Il veleno di Daskalos,” disse Lin con una nota di disgusto.

“Una cosa malvagia,” disse Alteo.

“Ma anche una cosa che può essere eliminata,” aggiunse Lin. Guardò Ceres. “Se lei vale abbastanza. Mi spiace, ma qui serve qualcuno con un sacco di potere. Abbiamo visto quali possano essere le conseguenze.”

“E vista la nostra condizione, ci vorrebbe un sacco di tempo,” disse Alteo.

Lin gli pose una mano sul braccio. “Forse è giunta l’ora di vedere cose nuove. Siamo qui da centinaia di anni. Anche date le cose che possiamo creare, magari è ora di vedere cosa viene poi.”

Ceres esitò mentre sentiva quelle parole e le possibili conseguenze si radicavano in lei.

“Aspettate, guarire me vi ucciderebbe?” Scosse la testa, ma poi i pensieri di Tano e di tutti gli altri ad Haylon la interruppero. Se non l’avesse fatto, anche loro sarebbero morti. “Non so cosa dire,” ammise. “Non voglio che qualcuno muoia per me, ma c’è un sacco di gente che morirà se non faccio questa cosa.”

Vide i due spiriti guardarsi tra loro.

“È un buon inizio,” disse Alteo. “Significa che c’è un motivo per questo. Raccontaci il resto. Raccontaci tutto quello che ha portato a questo.”

Ceres fece del suo meglio. Spiegò tutto della ribellione e della guerra. Dell’invasione che era seguita e della sua incapacità di fermarla. Dell’attacco ad Haylon che stava mettendo a rischio, anche in quel preciso momento, tutti coloro cui lei voleva bene.

“Capisco,” disse Lin allungando una mano per toccare Ceres. Con sua sorpresa sentì una sensazione di pressione. “Mi ricorda un poco la nostra guerra.”

“Il passato procede con delle eco di se stesso,” disse Alteo. “Ma ci sono alcune eco che non possono essere ripetute. Dobbiamo sapere se lei capisce.”

Ceres vide Lin annuire.

“È vero,” disse il fantasma. “Allora, una domanda per te, Ceres. Vediamo se capisci. Perché questo è ancora qui? Perché gli stregoni sono intrappolati in questo modo? Perché gli Antichi non li hanno distrutti?”

La domanda le dava l’impressione di essere una prova, e Ceres sentiva che se non fosse stata in grado di darvi una buona risposta, non avrebbe ricevuto alcun aiuto da quei due. Dato quello che avevano detto sarebbe costato loro, Ceres fu stupita che stessero considerando la cosa.

“Gli Antichi avrebbero potuto distruggerli?” chiese Ceres.

Alteo fece una pausa e poi annuì. “Non era questo. Pensa al mondo.”

Ceres pensò. Pensò agli affetti della guerra. Ai dannati scempi di Cadipolvere e alla rovina dell’isola sopra di lei. A quanto pochi Antichi fossero rimasti al mondo. Alle invasioni e alla gente che era morta lottando contro l’Impero.

“Penso che non li abbiate distrutti per quello che questo sarebbe costato,” disse Ceres. “Che senso ha vincere se poi non resta nulla?” Ma immaginava che ci fosse dell’altro. “Sono stata parte della ribellione. Abbiamo combattuto contro qualcosa che era grande e malvagio, e rendeva sempre peggiori le vite delle persone, ma quanta gente è morta ormai? Non si possono risolvere le cose semplicemente massacrando tutti.”

Vide allora che Lin e Alteo si guardavano tra loro. Annuirono.

“Abbiamo inizialmente permesso la ribellione degli stregoni,” disse Alteo. “Pensavamo che non avrebbe portato a nulla. Poi è cresciuta e abbiamo combattuto, ma nel combattere abbiamo fatto tanto danno quanto loro. Avevamo il potere di devastare interi paesaggi, e l’abbiamo usato. Oh, se l’abbiamo usato.”

“Hai visto le cose fatte a quest’isola,” disse Lin. “Quando ti guarirò, se ti guarirò, avrai quel genere di potere. Cosa ne farai, Ceres?”

C’era stato un tempo in cui la risposta sarebbe stata semplice. Avrebbe annientato l’Impero. Avrebbe distrutto i nobili. Ora voleva solo che la gente fosse capace di vivere al sicuro e felicemente. Non sembrava una cosa così grossa da chiedere.

“Voglio solo salvare la gente che amo,” disse. “Non voglio distruggere nessuno. Solo… penso che potrebbe essere necessario. Odio questa cosa, voglio solo la pace.”

Addirittura lei stessa fu un po’ sorpresa da quella risposta. Non voleva altra violenza. Doveva farlo solo per evitare che gente innocente venisse massacrata. Questo le guadagnò un altro cenno d’approvazione.

“Buona risposta,” disse Lin. “Vieni qui.”

La ex stregona si portò tra le fiale di vetro e l’attrezzatura da alchimista che sembrava esistere in forma illusoria. Si muoveva in mezzo a quegli oggetti mescolando e spostando cose. Alteo la seguì e i due parvero lavorare in una sorta di armonia che si poteva creare solo in tanti anni. Versarono soluzioni in nuovi contenitori, aggiunsero ingredienti, consultarono testi.

Ceres rimase a guardarli e dovette ammettere che non capiva la metà di quello che stavano facendo. Quando si portarono davanti a lei con una fiala di vetro, quasi non le sembrò possibile che potesse bastare.

“Bevi questo,” disse Lin. La porse a Ceres, e anche se sembrava priva di sostanza, quando Ceres la prese la sua mano toccò vetro vero. Lo sollevò e vide il luccichio del liquido dorato che combaciava con la tinta della cupola che aveva attorno.

Ceres bevve e le parve di mandare giù luce di stelle.

Sembrò che le scorresse dentro e poté sentirla avanzare nel rilassamento dei muscoli, nell’alleviarsi di dolori di cui non sapeva l’esistenza. Sentì anche qualcosa che cresceva in lei e si espandeva come un sistema di radici che le percorrevano il corpo mentre i canali lungo i quali fluivano i suoi poteri venivano ricostruiti a nuovo.

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