In mezzo agli alberi ne passarono degli altri, tutti intenti ad annusare alla ricerca di qualcosa da mangiare, tutti contrassegnati con i colori di almeno un paio di fattorie. Il fischiettio era vicino ora, e in mezzo a un gruppo di ontani, Royce distinse la sagoma di un giovane seduto sul ceppo di una quercia caduta.
“Ehilà,” disse l’uomo quando vide Royce, salutando con il braccio. “Non galoppare troppo veloce qua in mezzo. I maiali sono abbastanza docili, ma se gli fai paura, sono comunque tanto grossi da poterti far inciampare il cavallo.”
“Ci sono degli uomini che stanno venendo da questa parte,” disse Royce, immaginando che essere diretti fosse il modo migliore per spiegare le cose. Un giovane come quello non avrebbe apprezzato di essere stato preso in giro da qualcuno. “Uomini che mi vogliono catturare o uccidere.”
Il guardiano dei maiali parve un poco preoccupato. “E questo che c’entra con me?” chiese. “Io sono solo qui a fare la guardia ai miei maiali.”
“Pensi che a uomini come quelli possa interessare?” chiese Royce. Ogni contadino sapeva come si comportavano gli uomini del duca, e quanto pericoloso fosse trovarsi sul loro cammino quando stavano andando a caccia di qualcuno.
“No,” rispose il ragazzo, guardando Royce. “Per cosa ti stanno dando la caccia?”
Royce sospettava che se avesse detto la verità al ragazzo, sarebbe stato troppo. Ma cos’altro poteva fare? Non era molto credibile come bracconiere.
“Io… ecco… ho ucciso il duca,” disse Royce, non sapendo cos’altro raccontare. Non poteva chiedere quello che stava per domandare senza dire al ragazzo la verità. “I suoi uomini mi stanno inseguendo, e se mi prendono mi uccideranno.”
“E hai in mente di attirarli fino ai miei maiali?” disse il guardiano. “E cosa mi succederà se sarò ancora qui quando arrivano?”
“Per quello ho un’idea,” disse Royce. Saltò giù dal cavallo e porse le redini al giovane. “Prendi il mio cavallo. Scappa da qui. È la migliore occasione per tutti e due.”
“Vuoi che io finga di essere te?” chiese il giovane guardiano di maiali. “Dopo quello che hai fatto. Mezzo regno mi sarà alle calcagna.”
Royce annuì. I due non si assomigliavano. Royce era molto più alto e con una muscolatura più pronunciata, e anche se entrambi avevano i capelli biondi lunghi fino alle spalle, era impossibile confonderli. Anche i tratti del viso erano diversi: il ragazzo aveva un volto tondo e dolce, mentre la mascella di Royce era più squadrata e modellata dalla violenza.
“Non per molto tempo. Sai andare a cavallo, no?”
“Sì, papà ha insistito. Allenavo il cavallo che trainava il carro facendolo galoppare nei campi.”
“Questo cavallo andrà più veloce,” gli promise Royce, sempre porgendogli le redini. “Prendi il cavallo, vai avanti un po’ e poi lascialo andare quando loro non ti possono vedere. Non sapranno mai che sul cavallo c’eri tu, e comunque staranno sempre cercando me.”
Royce era certo che avrebbe funzionato. Se il guardiano di maiali si fosse tenuto davanti agli avversari, allora sarebbe stato al sicuro dal momento in cui avessero perso ogni traccia di lui.
“Ed è tutto quello che devo fare?” chiese il giovane. Royce vide che ci stava pensando.
“Basta che li conduci lontano da ogni villaggio,” disse. “Io devo tornare al mio, e tu puoi tornare al tuo nel momento in cui li semini.”
“Quindi stai solo cercando un modo per passarla liscia con un omicidio sulle spalle?” chiese il ragazzo.
Royce capiva. Il giovane non era ben propenso a dare aiuto per un’impresa spietata come quella. Ma non si trattava solo di questo. Non lo era stato neanche nel momento in cui Royce aveva tirato la lancia.
“Ci opprimono in ogni modo possibile,” disse Royce. “Prendono e prendono, e non danno mai niente in cambio. Il duca ha preso la donna che amavo e l’ha data a suo figlio. Mi ha imprigionato su un’isola dove ho visto ragazzi della mia età che venivano massacrati. Ho dovuto combattere fino alla morte in una fossa! È ora di cambiare le cose. È ora di rendere il mondo migliore.”
Vide che il guardiano di maiali ci stava pensando.
“Se non torno al mio villaggio, un sacco di gente morirà,” disse Royce. “Ma se ci vado e loro mi seguono, ne moriranno ancora di più. Ho bisogno del tuo aiuto.”
Il ragazzo fece un passo avanti. “Mi pagherai per questo?”
Royce allargò le braccia. Non aveva nulla. “Se riuscirò a ritrovarti poi, troverò un modo di ripagarti. Come faccio a trovarti?”
“Sono Berwick, del Lesham Superiore.”
Royce annuì, e parve essere sufficiente per il giovane. Il ragazzo prese il cavallo di Royce e montò in sella. Spronò la bestia e scattò in mezzo agli alberi, in una direzione che non aveva niente a che vedere con nessun villaggio che Royce conoscesse. Royce fece un sospiro di sollievo.
Ma non durò a lungo. Doveva comunque trovare un modo per sparire. Si riportò in mezzo agli alberi e trovò un punto tra il fogliame dove potersi accucciare all’ombra di un tronco, circondato da fronde di agrifoglio.
Rimase lì rannicchiato, perfettamente immobile, non osando quasi respirare mentre aspettava. Attorno a lui i maiali continuavano a grufolare, e uno di loro gli si avvicinò annusando le foglie dietro alle quali stava nascosto lui.
“Vai via,” gli disse Royce sottovoce, intenzionato a scacciare l’animale. Ma fece subito silenzio quando sentì il rumore degli zoccoli che si avvicinavano.
Apparvero degli uomini, tutti armati e corazzati, tutti con l’aspetto ancora più arrabbiato di quando li aveva visti all’inizio dell’inseguimento. Royce sperava vivamente di non aver messo troppo in pericolo il guardiano di maiali, rendendolo partecipe della sua fuga.
Il maiale continuava a muoversi troppo vicino a lui. A Royce parve di vedere uno degli uomini che osservava l’animale e rimase così immobile da non arrischiarsi neanche a sbattere le palpebre. Se il maiale avesse reagito alla sua presenza, era certo che gli uomini sarebbero piombati su di lui e l’avrebbero ucciso.
Poi l’uomo distolse lo sguardo e i soldati proseguirono.
“Veloci!” gridò uno di loro. “Non può essere andato lontano!”
I soldati galopparono via, imboccando il sentiero che il guardiano di maiali aveva preso, presumibilmente seguendo le impronte del suo cavallo. Anche mentre si allontanavano, Royce rimase immobile, tenendo il pungo stretto attorno alla spada, assicurandosi che non fosse una specie di trappola progettata per attirarlo allo scoperto.
Alla fine osò muoversi, uscendo nella radura e spingendo via i maiali. Si prese un momento per guardarsi attorno, cercando di capire da che parte si trovasse il suo villaggio. Quell’inganno gli aveva guadagnato un po’ di tempo, ma ad ogni modo doveva muoversi velocemente.
Doveva arrivare a casa prima che gli uomini del duca vi uccidessero qualcuno.
CAPITOLO DUE
Genevieve non poteva che starsene in silenzio nella grande sala del castello mentre suo marito faceva la sua sfuriata. Altfor era effettivamente di bell’aspetto, con i capelli ondulati e castani di media lunghezza, i tratti del viso un po’ aquilini e due profondi occhi scuri. Genevieve si trovava sempre ad immaginarselo così, però: il volto rosso e furioso, come se fosse quella la sua vera identità, non l’altra.
Lei non osava muoversi, non osava attirare la sua ira, e chiaramente non era l’unica. Attorno a lei gli ex servitori e parassiti del duca stavano in silenzio, sperando di non essere i primi ad attirare la sua attenzione. Anche Moria sembrava trattenersi, anche se era comunque bene in vista, più vicina al marito di Genevieve, in tutti i sensi.
“Mio padre è morto!” gridò Altfor, come se ci potesse essere ancora qualcuno che non fosse stato messo al corrente di ciò che era successo nella fossa dei combattimenti. “Prima mio fratello e ora mio padre, entrambi assassinati da un traditore, e nessuno di voi sembra avere delle risposte per me.”
Quel genere di rabbia sembrava pericolosa agli occhi di Genevieve, troppo selvaggia e priva di un bersaglio diretto, alla ricerca di qualcuno da usare come capro espiatorio. Genevieve si trovò a desiderare che Royce fosse lì, ma allo stesso tempo era riconoscente che non lo fosse.
Peggio di tutto, sentiva il cuore che le faceva male per la sua assenza. Se solo avesse potuto fare qualcosa che non fosse restare accanto a suo marito a guardarlo dal bordo della fossa. Una parte di lei desiderava trovarsi anche in quel momento accanto a Royce, ma sapeva benissimo che non poteva permettere che Altfor se ne accorgesse. Era già abbastanza arrabbiato, e lei aveva già visto e sentito con sufficiente chiarezza come quella rabbia potesse trasformarsi contro di lei.
“Nessuno intende occuparsi di questa situazione?” chiese Altfor.
“È proprio quello che avevo intenzione di chiedere, nipote,” disse una voce, una voce dura.
L’uomo che entrò nella stanza fece provare a Genevieve il desiderio di scappare. Lo stesso effetto che aveva su di lei Altfor stesso. Con Altfor avrebbe voluto ritrarsi dalla sua ira, ma in quest’uomo c’era qualcosa di freddo, qualcosa che sembrava essere di ghiaccio. Aveva all’incirca una ventina d’anni più di Altfor, i capelli radi e la costituzione slanciata. Camminava appoggiandosi a quello che a primo colpo d’occhio sembrava un bastone, ma poi Genevieve vide l’elsa che spuntava dal un fodero e si rese conto che era una spada lunga. Qualcosa nel modo in cui vi si appoggiava fece capire a Genevieve che lo faceva a causa di una qualche ferita, non dell’età.
“Zio Alistair,” disse Altfor. “Noi… noi non ti aspettavamo.”
Altfor aveva un tono decisamente preoccupato per la presenza del neoarrivato, e questa fu una sorpresa per Genevieve. Le era sempre sembrato così sotto controllo prima d’ora, ma la presenza di quest’uomo sembrava agitarlo.
“Chiaramente no,” rispose l’uomo. Agitò la mano sopra alla spada che gli faceva da sostegno. “Il fatto che tu non mi abbia invitato al tuo matrimonio ti ha fatto probabilmente pensare che me ne sarei rimasto a casa mia, lontano dal villaggio, lasciandoti combinare un casino dopo la morte di mio fratello.” Si girò a guardare Genevieve, distinguendola dalla folla con la sicurezza di un falco. “Congratulazioni per il tuo matrimonio, ragazza. Vedo che mio nipote ha un certo gusto per le cose insulse.”
“Io… non mi parlare in questo modo,” disse Altfor. Parve metterci qualche secondo a capire che era suo dovere porsi a difesa di Genevieve. “E neanche a mia moglie. Sono un duca!”
Alistair si avvicinò a Genevieve e tirò fuori la spada dal fodero. Sembrava leggera nelle sue mani, sebbene grande e affilata come un rasoio. Genevieve rimase impietrita, quasi non osando respirare mentre lo zio di Altfor le teneva la punta della spada a un centimetro dalla gola.
“Potrei tagliare la gola di questa ragazza, e nessuno dei tuoi uomini alzerebbe un dito per fermarmi,” disse Alistair. “Certo non lo faresti tu.”
Genevieve non dovette spostare lo sguardo su Altfor per sapere che era vero. Non era il genere di marito che si sarebbe curato di difenderla. Nessuno dei servitori di corte l’avrebbe aiutata, e Moira… Moira la stava fissando come se in parte sperasse che Alistair lo facesse.
Genevieve avrebbe dovuto salvarsi da sola. “Perché mi vorrebbe uccidere, mio signore?” chiese.
“Perché non dovrei?” ribatté l’uomo. “Voglio dire, sì, sei carina: capelli biondi, occhi verdi, magra. Quale uomo non ti vorrebbe? Ma le contadine non sono difficili da rimpiazzare.”
“Avevo avuto l’impressione che il mio matrimonio mi avesse reso qualcosa di più che una contadina,” disse Genevieve, cercando di mantenere la voce stabile nonostante la presenza incombente della lama. “Ho forse fatto qualcosa per offenderla?”
“Non lo so, ragazza. Secondo te?” chiese lui, gli occhi che sembravano intenti a scrutarla per trovare qualcosa. “È stato inviato un messaggio che rivelava la direzione presa dal ragazzo che ha assassinato mio fratello, eppure non mi è mai arrivato, come non è arrivato ad alcun’altra persona interessata, se non quando era ormai troppo tardi. Ne sai qualcosa?”
Genevieve sapeva tutto perfettamente, dato che era stata lei stessa a rallentare il messaggio. Era stato tutto ciò che aveva potuto fare, eppure non le era sembrato abbastanza, dato ciò che Royce aveva fatto e subito per lei. Ad ogni modo, riuscì a mantenere il volto impassibile, fingendo innocenza, dato che quella era letteralmente l’unica difesa che aveva in quel momento.
“Mio signore, non capisco,” disse. “Avete detto voi stesso che sono solo una contadina. Come avrei mai potuto fare qualcosa per fermare un messaggio del genere?”
D’istinto cadde in ginocchio, muovendosi lentamente in modo da non farsi male con la spada che aveva puntata contro.
“Sono stata onorata dalla vostra famiglia,” disse. “Sono stata scelta da vostro nipote, il duca. Sono diventata sua moglie e sono così cresciuta di rango. Vivo come non avrei mai potuto sperare prima. Perché dovrei mettere a rischio tutto questo. Se veramente credete che io sia una traditrice, allora colpite, mio signore. Colpite.”
Genevieve tenne alta la sua innocenza come fosse uno scudo, sperando solo che fosse sufficiente per sconfiggere la spada che avrebbe altrimenti potuto colpirla. Lo sperava e non lo sperava allo stesso tempo, perché proprio in quel momento forse un colpo al cuore poteva essere la soluzione più adeguata, dato il male che provava per come erano andate le cose con Royce. Guardò dritto negli occhi lo zio di Altfor, rifiutandosi di distogliere lo sguardo, rifiutandosi di dare un minimo accenno di ciò che aveva fatto. L’uomo tirò indietro la spada, come a voler infliggere il colpo fatale… poi la abbassò.
“Pare, caro Altfor, che tua moglie abbia in sé più acciaio di te.”
Genevieve riuscì a fare un respiro e si alzò in piedi mentre suo marito avanzava a grandi passi.
“Zio, basta con questi giochetti. Io sono il duca qui, e mio padre…”
“Mio fratello è stato tanto sciocco da cederti una proprietà, ma non facciamo finta che questo ti renda un vero duca,” disse Alistair. “Per quello ci vuole capacità di guida, disciplina, e il rispetto dei tuoi uomini. Non possiedi nessuna di queste qualità.”
“Potrei ordinare ai miei uomini di trascinarti in una prigione,” rispose seccamente Altfor.
“E io potrei ordinare loro di fare lo stesso,” ribatté Alistair. “Dimmi, a chi dei due credi che ubbidirebbero? Al meno preferito tra i figli di mio fratello, o al fratello che ha già guidato degli eserciti? A quello che ha perso l’assassino colpevole di tutto questo o a quello che ha eretto il muro delle uccisioni a Haldermark? A un ragazzo o a un uomo?”
Genevieve poteva immaginare la risposta a quella domanda, e la piega che potevano prendere le cose non le piaceva. Che le piacesse o no, lei era la moglie di Altfor, e se suo zio decideva di sbarazzarsi di lui, lei non aveva grosse illusioni riguardo a ciò che le sarebbe potuto capitare. Velocemente si portò accanto a suo marito, mettendogli una mano sul braccio in quello che poté probabilmente apparire come un gesto di supporto, anche se stava tentando di ricordargli di trattenersi.
“Il ducato è stato portato a terra,” disse Alistair. “Mio fratello ha fatto degli errori, e fino a che non saranno corretti, provvederò affinché le cose vadano gestite nel modo adeguato. C’è qui qualcuno che ha intenzione di mettere in discussione il mio diritto a farlo?”
Genevieve non poté fare a meno di notare che l’uomo aveva ancora la spada in mano, ovviamente in attesa del primo che avesse osato dire qualcosa. Ovviamente doveva essere Altfor.