Solo chi è valoroso - Морган Райс 5 стр.


Continuarono ad attraversare i campi, oltre gruppi di alberi e spazi dove si trovavano villaggio in sottomesso silenzio. Il terreno attorno a loro parve salire, portando a un punto in cima a una delle colline dove si ergeva un forte vecchio almeno quanto il regno, le pietre in rovina che sembravano fungere da testamento del regno che c’era stato prima.

“Ci siamo quasi, ragazzi,” disse l’uomo che stava alla guida, con un sorriso che lasciava intendere quanto si stesse divertendo. “Pronti a vedere cos’ha in mente per voi il duca Altfor?”

“Il duca Altfor?” chiese Raymond, quasi incapace di crederci.

“Quel vostro fratello è riuscito a uccidere il vecchio duca,” spiegò la guardia con la balestra. “Gli ha piantato una lancia dritta nel cuore, giù alle fosse, poi è scappato come un codardo. E ora voi pagherete anche per i suoi crimini.”

Nel momento in cui lo disse, Raymond si ritrovò con pensieri e sentimenti che vorticavano all’impazzata. Se Royce aveva davvero fatto questo, significava che aveva ottenuto qualcosa di grosso per la causa della libertà, e l’aveva fatta franca. Entrambe queste cose erano da festeggiare. Allo stesso tempo Raymond poteva solo pensare a cosa avrebbe voluto escogitare il figlio del duca precedente come strumento di vendetta, e senza Royce a fare da bersaglio, loro erano ovviamente i capri espiatori più vicini.

Si trovò allora a imprecare contro Genevieve. Se suo fratello non l’avesse mai vista, niente di tutto questo sarebbe mai successo, e poi non sembrava neanche che a lei interessasse tanto di Royce in questo momento, o no?

“Ah,” disse l’uomo con la balestra. “Penso che stiano iniziando a capire.”

I cavalli che trainavano il carro proseguirono, trottando ad andatura regolare, tipica di creature che erano fin troppo avvezze al loro compito e che sapevano che almeno loro sarebbero tornate indietro dalla loro destinazione.

Salirono la collina e Raymond sentì la tensione che iniziava a farsi palpabile tra i suoi fratelli. Garet si spostava di continuo, come se potesse trovare un modo per liberarsi e saltare giù dal carro. Se ci fosse riuscito, Raymond allora sperava che avrebbe colto l’opportunità, correndo senza guardarsi indietro, anche se sapeva che i cavalieri sarebbero stati probabilmente capaci di ucciderlo prima che potesse fare una decina di passi. Lofen stringeva e riapriva le mani, sussurrando quelle che sembravano una serie di preghiere. Raymond dubitava che avrebbero avuto qualche effetto positivo.

Alla fine raggiunsero la sommità della collina e Raymond vide tutto ciò che li aspettava. Bastò a farlo rannicchiare nel carro, incapace di muoversi.

C’erano delle gogne sistemate nel prato, cigolanti al vento mentre penzolavano all’ombra della torre crollata. C’erano dei corpi dentro, alcuni già ripuliti dagli animali spazzini, altri ancora quasi intatti, e Raymond poté vedere le ferite orribili e i segni di morsi che li ricoprivano, le bruciature e i punti in cui la pelle era stata taglia via apparentemente con lunghi coltelli. Su alcune carni erano intagliati dei simboli, e Raymond si trovò a riconoscere una donna che era stata trascinata fuori dalla loro cella, con spirali e rune incise su corpo.

“Picti,” sussurrò Lofen con ovvio orrore, ma Raymond vide che neanche quello era il peggio. Le persone nelle gogne avevano ferite che suggerivano che erano state torturate e uccise, esposte poi alla furia di qualsiasi popolo selvaggio fosse passato. Ma quello che si trovava sopra alla pietra al centro della collina era peggio, molto peggio.

La pietra stessa era una tavola che era stata intagliata sia con i simboli del popolo selvaggio che con dei segni che si sarebbero potuti considerare magici, se una tale cosa fosse stata comune in quei giorni. C’erano i resti di un uomo incatenati sopra, e la cosa peggiore, la cosa peggiore, era che l’uomo gemeva agonizzante, ancora penosamente vivo. Era ricoperto di tagli e bruciature, segni di morsi e parti strappate da artigli, ma ancora incredibilmente in vita.

“La chiamano la pietra della vita,” disse il cocchiere con una smorfia che lasciava intendere l’orrore che Raymond stava provando in quel momento. “Dicono che nei tempi antichi, i guaritori la usassero per tenere gli uomini in vita mentre facevano punti e operavano. Noi abbiamo trovato un uso migliore.”

“Migliore?” chiese Raymond. “Questo è…” Non aveva le parole per descriverlo. Malvagio non bastava. Questo non era un crimine contro le leggi degli uomini, ma qualcosa che stava contro ogni cosa fosse mai esistita in natura. Era sbagliato in un modo che sembrava contare contro tutto ciò che era vivo, e sano, e ordinato.

“Questo è quello che si beccano i traditori, a meno che non siano tanto fortunati da morire prima,” disse l’uomo alla guida del carro. Poi fece cenno ai due soldati a cavallo che li avevano accompagnati. “Tiratelo via di lì. Qualsiasi cosa abbia fatto, non è più il suo turno. Liberate le gabbie in modo che i resti attirino gli animali.”

Brontolando, le due guardie si misero al lavoro, e Raymond sarebbe scappato, se ne fosse stato capace. Ma la verità era che le sue catene lo tenevano troppo saldamente. Non poteva neanche alzarsi oltre il bordo del carro, figurarsi buttarsi fuori. Le guardie parevano esserne consapevoli, dato che si spostavano con andatura pigra da una gogna all’altra, tirando fuori i cadaveri di uomini e donne e gettandoli a terra. Alcuni si scomposero quando caddero, con arti o altre parti che rotolavano giù dal versante della collina, incontro a qualsiasi bestia li avesse divorati.

La donna che si trovava in cella con loro rotolò sulla pietra al centro della collina e i suoi occhi si aprirono. Lanciò poi un grido che Raymond era certo lo avrebbe perseguitato fino alla propria morte, così crudo e pieno di dolore da impedirgli anche solo di immaginare le agonie che doveva aver sopportato lì.

“Doveva essere ancora viva,” disse l’uomo con la balestra mentre gli altri la levavano dalla pietra. La donna fece nuovamente silenzio non appena non fu più a contatto con la roccia, e giusto per sicurezza l’uomo con la balestra le scoccò un dardo nel petto, prima che la gettassero di lato.

Trascinarono via l’uomo dalla pietra, e per Raymond la cosa peggiore fu che lui li ringraziò quando lo fecero. Li ringraziò perché lo portavano via a morire. Nel momento in cui si staccò dalla pietra, Raymond lo vide passare dall’essere un uomo in lotta e che gridava a un grumo di carne afflosciato, tanto da sembrare un eccesso che una delle guardie gli andasse a tagliare la gola per sicurezza.

Ora la collina era silenziosa, eccetto per i versi degli uccelli spazzini e un continuo fruscio tra la vegetazione che prometteva predatori più grossi poco distante. Magari c’erano addirittura predatori umani che li guardavano, perché Raymond aveva sentito che gli uomini civilizzati non vedevano i Picti nelle loro case selvagge quando non volevano essere visti. Non esserne certi non faceva che peggiorare le cose.

“Il duca dice che dovete morire,” disse l’uomo che aveva condotto il carro, “ma non ha detto come, quindi faremo il gioco dei traditori. Andrete nelle gogne, e magari vivrete, magari morirete. Poi, tra uno o due giorni, se me ne ricordo, torneremo e sceglieremo uno di voi per la pietra.”

Guardò Raymond dritto negli occhi. “Magari sarai tu. O magari puoi guardare mentre i tuoi fratelli muoiono, e mentre gli animali vengono ad addentarvi, o i Picti vengono a tagliarvi. Odiano il popolo del regno. Non possono attaccare la città, ma voi… voi siete come selvaggina.”

Rise e le guardie sollevarono Raymond, slegando le catene dal carro e mettendolo giù con forza. Per un momento si diressero verso la roccia, e Raymond quasi li implorò di non legarlo lì, pensando che avessero cambiato idea e deciso di metterlo lì direttamente. Invece lo portarono fino a una delle gabbie penzolanti e ve lo spinsero dentro, chiudendo la porta alle sue spalle e assicurandola con un lucchetto impossibile da tagliare, se non con martello e scalpello.

Si stava stretti nella gabbia, e Raymond non aveva modo di sedersi comodamente, e non poteva neppure pensare di sdraiarsi. La gabbia cigolava e si spostava a ogni movimento del vento, producendo dei rumori così forti da essere di per sé una tortura. Tutto ciò che Raymond poteva fare era stare seduto lì mentre gli uomini trascinavano i suoi fratelli da altre due gabbie, incapace di aiutarli.

Garet lottò, perché Garet lottava sempre. Ma questo gli guadagnò solo un pugno nello stomaco prima che lo sollevassero e lo schiacciassero dentro alla sua gabbia, come un contadino avrebbe potuto fare con una pecora poco collaborativa per rimetterla nell’ovile. Sollevarono Lofen con la stessa facilità, gettandolo in un’altra delle gabbie, lasciandoli lì sospesi, circondati dall’odore della morte che proveniva dai corpi abbandonati lungo i versanti della collina.

“Come avete potuto pensare, tutti e tre, di poter combattere contro il duca?” chiese la guardia. “Il duca Altfor ha detto che pagherete per quello che ha fatto vostro fratello, e così sarà. Aspettate, e contemplate, e soffrite. Torneremo.”

Senza dire una parola di più, girò il carro e iniziò ad allontanarsi, lasciando Raymond e i suoi fratelli lì a penzolare.

“Se solo potessi…” disse Garet, tentando ovviamente di raggiungere il lucchetto della sua gogna.

“Non puoi aprire il lucchetto,” disse Lofen.

“Posso provare, no?” ribatté Garet. “Dobbiamo provare qualcosa. Dobbiamo…”

“Non c’è niente da provare,” disse Lofen. “Magari possiamo uccidere le guardie quando tornano, ma non potremo mai aprire quei lucchetti.”

Raymond scosse la testa. “Basta,” disse. “Non è tempo di litigare. Non c’è nessun posto dove andare, e niente che possiamo fare, quindi il minimo che possiamo fare è non lottare tra noi.”

Sapeva cosa significasse un posto come quello, e che non c’erano vere possibilità di fuga.

“Presto,” disse, “ci saranno animali che arriveranno, o peggio. Forse poi non saremo in grado di parlare. Magari io… magari saremo tutti morti.”

“No,” disse Garet scuotendo la testa. “No, no, no.”

“Sì,” disse Raymond. “Non è una cosa che possiamo controllare, ma possiamo affrontare con coraggio le nostre morti. Possiamo mostrare loro come muoiono bene le persone oneste. Possiamo rifiutarci di concedere loro la paura che vogliono.”

Vide Garet impallidire, poi annuire.

“Va bene,” disse suo fratello. “Ok, possiamo farlo.”

“So che potete,” disse Raymond. “Potete fare qualsiasi cosa, tutti e due. Voglio dire…” Come poteva dirlo? “Voglio bene ad entrambi, e sono riconoscente di essere stato vostro fratello. Se devo morire, sono felice almeno di farlo con le migliori persone che conosco al mondo.”

“Se,” disse Lofen. “Non è ancora finita.”

“Se,” confermò Raymond. “Ma in caso succeda, volevo che lo sapeste.”

“Anche io,” disse Garet.

Raymond stava seduto nella sua gabbia tentando di apparire coraggioso per i suoi fratelli, e per chiunque stesse guardando, perché era certo che ci fosse qualcosa o qualcuno che guardava dalle rovine della torre. Per tutto il tempo cercò di non pensare alla verità: non c’era nessun ‘se’. Raymond poteva già vedere i primi uccelli spazzini che si riunivano sugli alberi. Sarebbero morti. Era solo questione di quanto presto e quanto orribilmente.

CAPITOLO CINQUE

Royce si inginocchiò tra le ceneri della casa dei suoi genitori, frammenti anneriti di legno che cadevano dalla struttura in un modo che sembrava combaciare con le lacrime che gli scorrevano lungo le guance e andavano a tracciare dei segni in mezzo alla fuliggine e alla terra che gli ricoprivano il volto, donandogli uno strano aspetto rigato. Ma a Royce non importava.

Tutto quello che contava in quel momento era che i suoi genitori erano morti.

Il dolore lo riempiva in maniera insopportabile mentre guardava i loro corpi sdraiati sul pavimento in sorprendente posa di quieto riposo, nonostante gli effetti delle fiamme. Si sentiva come se avesse potuto fare il mondo a pezzi con la stessa facilità con cui le dita cercavano di sgrovigliare i capelli impiastricciati di fuliggine. Voleva trovare un modo per sistemare le cose, ma non era possibile, quindi Royce gridò la sua rabbia e il suo dolore con il volto rivolto al cielo.

Aveva visto l’uomo che aveva fatto loro questo. Royce lo aveva visto sulla strada, di ritorno dal villaggio con estrema calma, come se non fosse successo niente. L’uomo lo aveva addirittura messo in guardia, inconsapevole, dei soldati che stavano venendo al villaggio. Che genere di assassino faceva una cosa del genere? Che razza di assassino uccideva e poi sistemava le sue vittime come se le volesse preparare per una onorata sepoltura?

Questa però non era una sepoltura, quindi Royce andò dietro alla fattoria, trovò un’ascia di legno e una pala, e iniziò a lavorare la terra, non volendo lasciare che i suoi genitori diventassero carne per i primi animali spazzini che sarebbero arrivati. Parte del terreno era duro e annerito e i muscoli di Royce dolevano per lo sforzo, ma in quel momento lui si sentiva di meritare un tale dolore. La vecchia Lori aveva avuto ragione… tutto questo era causa sua.

Scavò la fossa più profonda che poté e poi vi depose i corpi bruciacchiati dei suoi genitori. Rimase sul bordo, cercando di pensare a delle parole da dire, ma non gli veniva in mente nulla che avesse senso e che li potesse accompagnare in paradiso. Royce non era un sacerdote e non sapeva quali erano i rituali per gli dei. Non era neanche un abile narratore, sempre con le parole pronte per ogni occasione, da una festa a un funerale.

“Amo tantissimo tutti e due,” disse invece. “Vorrei… vorrei poter dire di più, ma niente potrebbe cambiare le cose.”

Li seppellì con maggior cura possibile e ogni palata di terra gli sembrava un colpo di martello quando cadeva. Sopra di sé Royce poteva sentire il verso di un falco, ma lo ignorò, non interessato alla presenza di corvi o gazze nel resto del villaggio. Questi erano i suoi genitori.

Mentre ci pensava, Royce capì che seppellire loro non era sufficiente. Gli uomini del duca erano venuti qui a causa sua: non poteva abbandonare ai corvi tutti quelli che avevano ucciso. Sapeva anche di non avere la possibilità, da solo, di scavare una fossa tanto profonda per tutti quei corpi.

Il meglio che poteva sperare di fare era costruire una pira per finire ciò che gli edifici incendiati avevano iniziato, quindi Royce si mise al lavoro attraverso il villaggio, raccogliendo legna, tirandola fuori dalle scorte per l’inverno, trascinandola via dai resti degli edifici. Le travi erano le più pesanti, ma la sua forza era sufficiente a spostarle e accatastarle per la pira che stava innalzando.

Quando ebbe finito era completamente buio, ma non aveva la minima intenzione di dormire in un villaggio di morte come quello. Cercò invece fino a che trovò una lanterna fuori da una delle case, solo un po’ contorta dal calore del fuoco che l’aveva colpita. La accese e seguendone la luce iniziò a raccogliere i morti.

Li mise insieme tutti, anche se si sentiva spezzare il cuore mentre lo faceva, Giovani e anziani, uomini e donne, li raccolse tutti. Trascinava i più pesanti e portava in spalla i più leggeri, posandoli al loro posto nella pira e sperando che in qualche modo ciò significasse che sarebbero stati insieme in qualsiasi posto ci fosse dopo questo mondo.

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