Ribelle, Pedina, Re - Морган Райс 2 стр.


“Nessuno deve disturbarmi!” gridò alla ragazza. “O ti farò scuoiare viva per questo!”

Stefania aveva bisogno di stare da sola con i suoi pensieri, anche se erano pensieri tanto oscuri che una parte di lei avrebbe voluto gettarsi dal balcone delle stanza per farla finita e basta. Tano se n’era andato. Tutto quello che lei aveva fatto, tutto ciò per cui aveva lavorato, e Tano se n’era andato. Non aveva mai creduto nell’amore prima di lui: era sempre stata convinta che fosse una debolezza che portava solo al dolore. Ma con lei era sembrato che valesse la pena correre il rischio. Ora veniva fuori che lei aveva sempre avuto ragione. L’amore rendeva solo più facile per il mondo farti del male.

Stefania sentì il rumore della porta che si apriva e si voltò alla ricerca di qualcos’altro da lanciare.

“Ho detto che non voglio essere disturbata!” disse con forza, prima di vedere di chi si trattasse.

“Non è di massima riconoscenza,” disse Lucio entrando nella stanza, “considerato che ho dovuto riaccompagnarti qui con attenzione per tenerti al sicuro.”

Lucio era vestito come una specie di principe venuto fuori da un libro di fiabe, in velluto bianco lavorato con gemme e intarsi dorati. Aveva il pugnale alla cintura, ma si era tolto armatura e spada. Addirittura i capelli sembravano appena lavati, liberi di ogni sporcizia della città. A Stefania sembrava più un uomo pronto a cantare delle canzoni sotto alla sua finestra che uno che doveva occuparsi della difesa della città.

“Accompagnarmi,” disse Stefania sorridendo a denti stretti. “Proprio la parola giusta.”

“Mi sono accertato che percorressi sana e salva le strade della nostra città, devastate dalla guerra,” disse Lucio. “I miei uomini si sono assicurati che non finissi preda dei ribelli o che venissi rapita da quel marito omicida che ti ritrovi. Non sapevi che era scappato?”

Stefania si accigliò. A che gioco stava giocando Lucio?

“Certo che lo so,” rispose Stefania con tono secco. Si alzò perché non le piaceva che Lucio torreggiasse su di lei. “C’ero.”

Vide Lucio sollevare un sopracciglio per finta sorpresa. “Perché, Stefania? Stai forse ammettendo una qualche complicità nella fuga di tuo marito? Perché nessuna delle prove punta in questa direzione.”

Stefania lo guardò negli occhi. “Cos’hai fatto?”

“Non ho fatto niente,” disse Lucio con evidente divertimento. “In effetti sto ardentemente cercando la verità della questione. Molto ardentemente.”

Il che per Lucio significava torturare la gente. Stefania non aveva alcuna obiezione contro la crudeltà, ma certo non ne godeva quanto lui.

Sospirò. “Smettila di fare giochetti, Lucio. Cos’hai fatto?”

Lucio scrollò le spalle. “Ho visto che le cose funzionano come voglio io,” disse. “Quando parlerò con mio padre, gli dirò cha Tano ha ucciso un certo numero di guardie per uscire, e che un’altra ha ammesso di averlo aiutato per simpatie con i ribelli. Purtroppo non è sopravvissuto per poter raccontare la sua storia di nuovo. Cuore debole.”

Lucio evidentemente si era assicurato che nessuno fosse sopravvissuto tra coloro che avevano visto Stefania lì. Persino Stefania provò disgusto per tale crudeltà, anche se un’altra parte di lei stava già elaborando il significato di tutto il contesto.

“Tristemente, pare che una delle tue damigelle sia rimasta invischiata nella faccenda,” disse Lucio. “Pare che Tano l’abbia sedotta.”

La rabbia lampeggiò in Stefania a quel punto. “Sono le mie damigelle!”

Non era solo il pensiero che venisse fatto del male a donne che l’avevano servita così lealmente, anche se faceva comunque piuttosto male. Era il pensiero che Lucio avesse osato nuocere a qualcuno che apparteneva così ovviamente a lei. Non era quindi solo il pensiero che qualcuno al suo servizio fosse stato offeso. Era l’insulto in sé!

“Era questo il punto,” disse Lucio. “Troppe persone ti avevano visto qui in giro. E quando ho offerto alla ragazza la vita in cambio di qualsiasi cosa sapesse, mi è stata molto di aiuto.”

Stefania distolse lo sguardo. “Perché fare tutto questo, Lucio? Avresti potuto lasciare che mi arrangiassi con Tano.”

“Tano non ti meritava,” disse Lucio. “Di certo non meritava essere felice.”

“E perché hai coperto il mio ruolo nella faccenda?” gli chiese Stefania. “Avresti potuto startene da parte e guardare la condanna a morte.”

“Ci ho pensato,” ammise Lucio. “O almeno ho pensato di chiederti al re quando gliel’avessimo detto. Ma c’erano troppe possibilità che lui semplicemente ti condannasse a morte direttamente, e non potevamo permettercelo.”

Solo Lucio avrebbe parlato di una cosa del genere così apertamente, o avrebbe pensato che Stefania fosse semplicemente qualcosa da poter chiedere a suo padre come una qualche preziosa chincaglieria. Solo il pensiero le faceva accapponare la pelle.

“Ma poi mi è venuto in mente,” disse Lucio, “che mi sto godendo un po’ troppo il giochino tra noi per fare una cosa del genere. Ad ogni modo non è il modo in cui ti voglio. Voglio che tu sia una mia pari, la mia compagna. Veramente mia.”

Stefania fece un passo verso il balcone, più che altro per una boccata d’aria fresca. Così da vicino il profumo di Lucio era di costosa acqua di rose ed essenze ovviamente designati per mascherare il sangue derivato dalle azioni della giornata.

“Cosa stai dicendo?” chiese Stefania, anche se aveva già una discreta idea di cosa Lucio volesse da lei. Era diventato ormai un suo compito quello di scoprire ciò che c’era da sapere sugli altri a corte, inclusi gli appetiti di Lucio.

Anche se forse non aveva fatto poi un ottimo lavoro. Non si era resa conto che Lucio si era introdotto nella sua rete di informatori e spie. Non aveva neanche saputo delle cose che Tano stava facendo, fino a che non era stato troppo tardi.

Però non poteva certo paragonare i due. Lucio era completamente privo di morale e barriere, sempre alla ricerca di modi nuovi per fare del male agli altri. Tano era forte e pieni di sani principi, amorevole e protettivo.

Ma era stato lui a lasciarla. L’aveva abbandonata, sapendo bene cosa sarebbe potuto succedere poi.

Lucio allungò una mano per prendere la sua, stringendola in modo più gentile di quanto normalmente facesse. Anche così però Stefania dovette scacciare l’urgenza di fare una smorfia mentre lui si portava la sua mano alle labbra e le baciava l’interno del polso, proprio dove pulsava il sangue.

“Lucio,” disse Stefania tirando via la mano. “Sono una donna sposata.”

“L’ho raramente trovata una barriera,” sottolineò Lucio. “E ad essere onesti, Stefania, dubito che per te sia diverso.”

La rabbia di Stefania a quel punto avvampò di nuovo. “Tu non sai nulla di me.”

“So tutto di te,” disse Lucio. “E più vedo, più mi rendo conto che te ed io siamo fatti l’uno per l’altra.”

Stefania si allontanò, ma Lucio la seguì. Ovvio. Non era certo un uomo abituato ad essere negato.

“Pensaci, Stefania,” disse Lucio. “Pensavo non fossi nient’altro che una testa vuota, ma poi ho saputo della tela di ragno che hai tessuto in tutta Delo. Sai allora cos’ho provato?”

“Rabbia per essere stato preso in giro?” suggerì Stefania.

“Attenta,” disse Lucio. “Non ti piacerebbe avermi in collera con te. No, ho provato ammirazione. All’inizio pensavo che potessi andare bene per essere portata a letto una volta o due. Poi ho pensato che potessi essere una donna che capiva veramente come funziona il mondo.”

Oh, Stefania lo capiva meglio di quanto potesse comprendere uno come Lucio. Lui aveva la sua posizione a proteggerlo da qualsiasi cosa il mondo gli avesse gettato addosso. Stefania aveva solo la sua furbizia.

“E hai pensato che potessimo essere la coppia perfetta,” disse Stefania. “Allora dimmi, cos’hai pensato di fare del mio matrimonio con Tano?”

“Queste sono cose che si possono mettere da parte,” disse Lucio come se fosse semplice quanto schiccare le dita. “Dopo quello che ha fatto, pensavo fossi felice di essere libera da quel legame.”

Ci sarebbe stato un vantaggio a farlo fare ai preti, perché altrimenti Stefania avrebbe rischiato di essere macchiata dai crimini di Tano. Sarebbe sempre stata la donna sposata con il traditore, anche se Lucio aveva assicurato che nessuno l’avrebbe mai potuta collegare ai crimini.

“O se non lo vuoi,” disse Lucio, “sono certo che non ci vorrà molto per accertarsi del suo decesso. Dopotutto ci eri già quasi riuscita una volta. Indipendentemente da dove sia andato, si potrebbe organizzare un altro assassinio. Potresti restare in lutto per… un periodo adeguato. Sono certo che il nero ti starebbe bene. Sei adorabile con qualsiasi cosa tu ti metta addosso.”

C’era qualcosa nell’aspetto di Lucio che metteva Stefania a disagio, come se stesse cercando di indovinare come sarebbe sembrata senza niente addosso. Lo guardò dritto negli occhi cercando di mantenere un tono formale.

“E poi?” gli chiese.

“E poi ti sposi un principe più adatto,” disse Lucio. “Pensa a tutto quello che potremmo fare insieme, con le cose che sai tu e le cose che posso fare io. Potremmo governare l’Impero insieme e la ribellione non ci toccherebbe mai. Devi ammetterlo, saremmo una coppia adorabile.”

Stefania allora rise. Non poté trattenersi. “No, Lucio. Non lo saremmo, perché non provo niente per te, se non sdegno. Sei un criminale, e peggio ancora sei il motivo per cui ho perso tutto. Perché dovrei mai prendere in considerazione l’idea di sposarti?”

Vide il volto di Lucio farsi duro.

“Potrei farti fare,” disse Lucio, “potrei farti fare tutto quello che voglio. Pensi che potrei far sapere della tua parte nella fuga di Tano? Magari ho tenuto da parte quella tua damigella, per sicurezza.”

“Per cercare di forzarmi a sposarti?” disse Stefania. Quale razza di uomo avrebbe mai fatto una cosa del genere?

Lucio allargò le braccia. “Non sei così diversa da me, Stefania. Tu giochi. Non vorresti mai che qualche scemo venisse da te con fiori e gioielli. E poi impareresti ad amarmi. Che tu lo voglia o no.”

Allungò ancora una mano verso di lei e Stefania gli mise una mano sul petto. “Toccami, e non uscirai vivo da questa stanza.”

“Vuoi che riveli la tua parte nell’aiutare Tano a fuggire?” le chiese.

“Dimentichi la tua parte,” disse Stefania. “Dopotutto sapevi tutto di questa cosa. Come reagirebbe il re se glielo dicessi?”

Si aspettava ira da Lucio, magari anche violenza. Invece lo vide sorridere.

“Sapevo che eri perfetta per me,” le disse. “Anche nella tua posizione trovi un modo di reagire, e lo fai meravigliosamente. Insieme non ci sarà nulla che non potremo fare. Ti ci vorrà del tempo per capirlo, lo so. Ne hai passate tante.”

Aveva la perfetta espressione dell’ideale spasimante preoccupato, cosa che indusse Stefania a fidarsi ancor meno di lui.

“Prenditi il tempo di pensare a tutto quello che ho detto,” disse Lucio. “Pensa a tutto quello che un matrimonio con me potrebbe offrirti. Certo se paragonato allo stato di una donna che è stata sposata con un traditore. Potrai anche non amarmi ancora, ma la gente come noi non prende decisioni basate su quel tipo di follia. Ne compiamo perché siamo superiori e riconosciamo quelli come noi quando li vediamo.”

Stefania non era per niente come Lucio, ma sapeva che non era il caso di dirlo. Voleva solo che se ne andasse.

“Nel frattempo,” disse Lucio vedendo che non gli rispondeva, “ho un regalo per te. La tua damigella ha pensato che potessi averne bisogno. Mi ha detto ogni genere di cosa su di te mentre implorava che la lasciassi in vita.”

Trasse una fiala dalla tasca che aveva alla cintura e la mise sul tavolino accanto alla finestra.

“Mi ha detto del motivo per cui sei dovuta scappare dalla festa della luna di sangue,” disse Lucio. “Mi ha detto della tua gravidanza. Chiaramente non potrei mai allevare il figlio di Tano. Bevi questo, e non ci saranno problemi. In nessun senso.”

Stefania avrebbe voluto gettargliela addosso quella fiala. La prese proprio per questo motivo, ma era già arrivato alla porta.

Andò verso di lui per gettargliela comunque, ma si fermò, tornando alla finestra e fissando la boccetta.

Era trasparente, la luce del sole la attraversava e la faceva apparire più innocente di quanto fosse. Se la beveva sarebbe stata libera di sposare Lucio, il che era un pensiero orribile. Ma questo l’avrebbe anche messa in una posizione pericolosissima all’interno dell’Impero. Se la beveva gli ultimi rimasugli di Tano sarebbero spariti.

Stefania rimase lì non sapendo cosa fare e lentamente le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance.

Magari dopotutto l’avrebbe bevuta.

CAPITOLO TRE

Ceres lottava disperatamente cercando di riprendere conoscenza, spingendo tra i veli di buio che la bloccavano a terra, come una donna che sta annegando e che si dimena nel tentativo di risalire in superficie. Ancora sentiva le grida dei morenti. L’imboscata. La battaglia. Doveva sforzarsi di svegliarsi, o sarebbe andato tutto perduto…

Gli occhi le si aprirono di scatto e lei balzò in piedi, pronta a combattere ancora. Ad ogni modo ci provò. C’era qualcosa che le teneva fermi polsi e caviglie. Il sonno finalmente la lasciò e Ceres vide dove si trovava.

Muri di pietra la circondavano, incurvandosi in uno spazio largo appena da consentirle di starvi sdraiata dentro. Non c’era nessuno letto, solo il duro pavimento di pietra. Una piccola finestra sbarrata lasciava trapelare la luce. Ceres poteva sentire il costrittivo peso dell’acciaio attorno ai polsi e alle caviglie e vide la massiccia staffa alla quale erano fissate le catene che la tenevano al muro. La spessa porta chiusa con barre di ferro dichiarava il suo stato di prigioniera. La catena scompariva attraverso una fessura nella porta, suggerendo che avrebbero potuto tirarla indietro da fuori, fino alla staffa, bloccandola al muro.

La rabbia pervase Ceres quando si rese conto di essere bloccata là dentro a quel modo. Tirò la catena cercando semplicemente di tenderla dal muro con la forza che le veniva dai suoi poteri. Non accadde nulla.

Era come se nella sua mente ci fosse una sorta di nebbia e lei stesse cercando di vederci attraverso per scorgere il paesaggio oltre ad essa. Qua e là la luce della memoria sembrava filtrare attraverso la nebbia, ma era qualcosa di frammentato.

Poteva ricordare i cancelli della città che si aprivano e i ‘ribelli’ che facevano loro segno di entrare. La corsa là dentro, gettandosi pienamente in quella che pensavano sarebbe stata la battaglia finale per la presa della città.

Ceres si accasciò indietro. Era dolorante e alcune ferite erano più profonde di quelle fisiche.

“Qualcuno ci ha traditi,” disse sottovoce.

Erano stati vicinissimi alla vittoria e qualcuno li aveva traditi in tutto. Per denaro, o per paura, o per necessità di potere. Ad ogni modo qualcuno aveva ceduto tutto ciò per cui avevano lavorato e li aveva lasciati finire in trappola.

Ceres allora ricordò. Ricordò il nipote di Lord West con una freccia che gli spuntava dalla gola, lo sguardo di incredulità e impotenza sul volto prima di cadere di sella.

Ricordò le frecce che avevano oscurato il sole, e le barricate, e il fuoco.

Gli uomini di Lord West avevano cercato di tirare in risposta agli arcieri che li avevano assaliti. Ceres aveva visto le loro doti di arcieri a cavallo mentre si dirigevano verso Delo, capaci di cacciare con archi piccoli e tirare a pieno galoppo se necessario. Quando avevano scoccato le prime frecce del contrattacco, Ceres aveva addirittura osato provare speranza, perché sembrava che quegli uomini potessero essere capaci di prevalere su tutto.

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