Il suo interesse era stato ora risvegliato. Decise che l’indomani avrebbe trovato la fabbrica. E se Armando Illstrom era ancora vivo, gli avrebbe chiesto dritto in faccia cosa fosse successo alla sua macchina del tempo.
Dall’angolo della cucina apparvero i suoi genitori, entrambi ricoperti di cibo.
“Noi andiamo a letto,” disse sua madre.
“Le mie coperte e le mie cose?” chiese Oliver, guardando la nicchia spoglia.
Papà sospirò. “Immagino che tu voglia che vada a prenderle dalla macchina, giusto?”
“Sarebbe carino,” rispose Oliver. “Non mi dispiacerebbe una buona nottata di sonno prima di andare a scuola domani.
Il senso di timore che provava riguardo al giorno dopo stava crescendo, rispecchiando il temporale che man mano si avvicinava. Sapeva già che sarebbe stata la giornata peggiore di sempre. Avrebbe voluto essere almeno riposato per poterla affrontare. Aveva avuto tanti di quegli orribili primi giorni in scuole nuove, da essere certo che quello di domani sarebbe stato solo un altro da aggiungere alla lista.
Suo padre uscì con riluttanza di casa, permettendo a una folata di vento di soffiare attraverso la porta d’ingresso. Tornò pochi attimo dopo con un cuscino e una coperta per Oliver.
“Ci procureremo un letto tra un paio di giorni,” disse mentre porgeva a Oliver le sue cose. Era tutto freddo per essere rimasto in auto tutto il giorno.
“Grazie,” rispose Oliver, riconoscente per quel minimo accenno di comodità.
I genitori lo lasciarono, spensero le luci e Oliver rimase nel buio. Ora l’unica luce nella stanza era quella del lampione che si trovava nella strada davanti casa.
Il vento ricominciò a soffiare impetuoso e i pannelli della finestra vibrarono. Si capiva che il tempo stava peggiorando e che c’era qualcosa di strano nell’aria. Oliver aveva sentito alla radio che quello che si stava presentando era un temporale da record. Non poteva che esserne emozionato. La maggior parte dei bambini erano terrorizzati dai temporali, ma ciò che terrorizzava Oliver era solo il suo primo giorno in una scuola nuova.
Andò alla finestra, appoggiò i gomiti sul davanzale, come aveva fatto prima. Il cielo era quasi completamente oscurato. Un albero allampanato era scosso dal vento, che lo piegava con forza di lato. Oliver si chiese se avrebbe potuto spezzarsi. Poteva immaginarselo, la corteccia sottile che si lacerava, l’albero che veniva lanciato in aria, portato via dalla ferocia del vento.
E proprio in quel momento li vide. Proprio mentre stava per passare alla sua condizione di sogno a occhi aperti, notò due persone in piedi vicino all’albero. Un uomo e una donna che gli assomigliavano notevolmente e che si sarebbero potuti facilmente scambiare per suoi genitori. Avevano due volti gentili e gli sorridevano mentre si tenevano per mano.
Oliver fece un salto allontanandosi dalla finestra, stupefatto. Per la prima volta si rendeva conto che nessuno dei suoi genitori gli assomigliava. Avevano entrambi capelli scuri e occhi azzurri, come Chris. Oliver invece era una più rara combinazione di capelli biondi e occhi castani.
Oliver si chiese, improvvisamente, se magari i suoi genitori non fossero realmente i suoi genitori. Forse era quello il motivo per cui sembravano odiarlo così tanto? Guardò fuori dalla finestra, ma le due persone ora erano sparite, mero frutto della sua immaginazione. Eppure gli erano sembrati così reali. E così famigliari.
Una pia illusione, concluse.
Oliver si sedette a terra, appoggiato alla parete fredda, accoccolandosi nella nicchia che ora era la sua nuova camera e tirandosi su la coperta. Portò le ginocchia al petto e le strinse con forza, colpito da una strana e improvvisa sensazione, un momento di consapevolezza, di chiarezza: che tutto fosse sul punto di cambiare.
CAPITOLO DUE
Oliver si svegliò ricolmo di un senso di trepidazione. Tutte le gambe gli facevano male per aver dormito sul pavimento duro. Le coperte non erano state abbastanza spesse da impedire che il freddo gli si infilasse dritto nelle ossa. Era sorpreso di essere comunque riuscito a dormire, considerata l’ansia che stava provano per il suo primo giorno di scuola.
La casa era molto silenziosa. Nessuno era sveglio. Oliver si rese conto di essersi effettivamente svegliato prima del necessario, grazie alla sbiadita alba la cui luce filtrava attraverso la finestra.
Si tirò su e diede un’occhiata fuori dalla finestra. Il vento aveva scatenato il caos durante la notte, abbattendo recinzioni, facendo volare cassette delle lettere e sparpagliando sui marciapiedi un sacco di rifiuti. Oliver guardò il misero albero ingobbito dove aveva avuto la visione di quella coppia dall’aspetto amichevole la notte precedente, quelle due persone che gli erano parse così simili a lui e gli avevano fatto considerare l’idea che forse lui non avesse nulla a che vedere con i Blue. Scosse la testa. Si rese conto che era solo una sua personale illusione. Chiunque avesse avuto Chris Blue come fratello maggiore avrebbe sognato di non essere in realtà un suo parente!
Sapendo di avere un po’ di tempo prima che il resto della famiglia si svegliasse, Oliver si allontanò dalla finestra e andò alla sua valigia. La aprì e guardò tutti gli ingranaggi e i cavi e le leve e i pulsanti che vi aveva raccolto dentro per le sue future invenzioni. Sorrise tra sé e sé mentre guardava la trappola esplosiva a fionda che aveva usato contro Chris il giorno prima. Ma quella era solo una delle tante invenzioni di Oliver, e di gran lunga non la più importante. L’ultima invenzione che aveva creato era qualcosa di un po’ più complesso, e decisamente molto più importante: Oliver stava tentando di inventare un modo per rendersi invisibile.
Teoricamente era possibile. Aveva letto qualcosa al riguardo. C’erano in effetti due componenti necessarie per rendere invisibile un oggetto. La prima era di flettere la luce attorno all’oggetto in modo che non potesse proiettare un’ombra, qualcosa di simile a come agiva l’acqua di una piscina, facendo apparire i nuotatori stranamente accovacciati. La seconda componente essenziale per l’invisibilità consisteva nell’eliminare il riflesso dell’oggetto.
Sembrava semplice da come lo descrivevano su carta, ma Oliver sapeva che c’era un motivo per cui nessuno c’era ancora riuscito. Questo però non l’avrebbe certo dissuaso dal provarci. Questo stratagemma gli serviva per fuggire dalla sua misera vita, e non gli importava quanto ci avrebbe messo per arrivarci.
Mise le mani nella valigia e ne tirò fuori tutti i pezzetti di stoffa che aveva raccolto nella sua ricerca di qualcosa che avesse delle proprietà rifrangenti nulle. Sfortunatamente non aveva ancora trovato la stoffa giusta. Poi tirò fuori tutti i rotoli di cavo sottile che gli servivano per le microonde elettromagnetiche necessarie a flettere la luce in modo innaturale. Sfortunatamente nessuno di essi era sufficientemente sottile. Per poter funzionare, le bobine dovevano avere una dimensione inferiore ai quaranta nanometri, che era una misura tanto piccola da risultare inconcepibile per la mente umana. Ma Oliver sapeva che prima o poi, qualcuno, da qualche parte avrebbe avuto un macchinario capace di rendere i cavi tanto sottili e la stoffa tanto rifrangente.
Proprio in quel momento, dal piano di sopra si sentì il suono della sveglia dei suoi genitori. Oliver ripose rapidamente le sue cose nella valigia, sapendo benissimo che ora sarebbero andati a svegliare Chris, e se Chris avesse mai avuto anche solo una vaga idea di ciò che lui stava tentando di fare, avrebbe distrutto ogni risultato del suo duro lavoro.
Lo stomaco di Oliver brontolò, ricordandogli che gli attacchi e i tormenti di Chris sarebbero ricominciati da capo, e che avrebbe fatto meglio a mettere del cibo in pancia prima del suo arrivo.
Passò accanto al tavolo da pranzo ancora rotto e andò in cucina. La maggior parte della dispensa era vuota. Sua madre non aveva ancora avuto la possibilità di andare a fare la spesa per la casa nuova. Ma Oliver trovò una scatola di cereali che si erano portati nel trasloco, e c’era del latte fresco in frigorifero, quindi si preparò rapidamente una tazza e la trangugiò. Appena in tempo: pochi secondi dopo i suoi genitori arrivarono in cucina.
“Caffè?” chiese mamma a papà, gli occhi assonnati, i capelli in disordine.
Papà sbuffò il suo sì. Guardò il tavolo rotto e con un pesante sospiro prese dello scotch da pacchi. Si mise al lavoro riparando la gamba rotta, sussultando talvolta di dolore.
“È quel letto,” mormorò mentre lavorava. “È instabile. E il materasso è troppo molle.” Si massaggiò la schiena per enfatizzare la situazione.
Oliver provò un’ondata di rabbia. Almeno suo padre aveva dormito su un letto! Lui aveva dovuto accontentarsi di una coperta in una nicchia! Quell’ingiustizia lo feriva.
“Non ho idea di come farò a superare un’intera giornata al call center,” aggiunse la madre di Oliver, avvicinandosi con il caffè. Lo posò sul tavolo ora aggiustato in modo provvisorio e pericolante.
“Hai un lavoro nuovo, mamma?” chiese Oliver.
Con tutti quei traslochi, era difficile per i suoi genitori mantenere un lavoro a tempo pieno. Le cose in casa erano sempre più difficili quando loro due erano disoccupati. Ma se mamma lavorava, questo significava cibo più buono, vestiti migliori e qualche paghetta per comprare congegni per le sue invenzioni.
“Sì,” disse lei con un sorriso forzato. “Sia io che papà. Sono tante ore però. Oggi è una giornata di formazione, ma poi faremo il turno fino a tardi. Quindi non saremo qui dopo scuola. Chris ti terrà d’occhio, quindi non c’è nulla di cui preoccuparsi.”
Oliver sentì una stretta allo stomaco. Avrebbe preferito che Chris non fosse un elemento incluso nella situazione. Oliver era perfettamente capace di badare a se stesso.
Come richiamato dal suono del suo nome, Chris fece la sua improvvisa comparsa in cucina. Era l’unico Blue ad apparire fresco e riposato questa mattina. Si stiracchiò e fece uno sbadiglio teatrale, la maglietta che si sollevava scoprendo la pancia rotonda e rosa.
“Buongiorno, meravigliosa famiglia,” disse con un sorriso sarcastico. Mise un braccio attorno alle spalle di Oliver, tirandolo a sé un una stretta chiaramente mascherata di finto affetto fraterno. “Come stai, moccioso? Non vedi l’ora di andare a scuola?”
Oliver poteva a malapena respirare: Chris lo stava tenendo troppo stretto. Come sempre i loro genitori parevano ignari della reale situazione.
“Non vedo… l’ora…” riuscì a dire.
Chris lo lasciò andare e si sedette di fronte a suo padre al tavolo.
Mamma arrivò dal banco della cucina con un piatto di fette tostate imburrate. Lo mise in mezzo al tavolo. Papà prese una fetta. Poi Chris si chinò in avanti e afferrò il resto, senza lasciare nulla per Oliver.
“EHI!” gridò Oliver. “Avete visto?”
Sua madre guardò il piatto vuoto e fece uno dei suoi soliti sospiri esasperati. Poi guardò suo padre come ad aspettarsi che intervenisse e dicesse qualcosa. Ma lui si limitò a scrollare le spalle.
Oliver strinse i pugni. Era così ingiusto. Se non avesse anticipato una cosa del genere, si sarebbe perso un altro pasto grazie a Chris. Il fatto che nessuno dei suoi genitori si mettesse dalla sua parte lo faceva andare su tutte le furie: sembrava che neanche si accorgessero di quanto spesso saltasse i pasti a causa di Chris.
“Voi due andate a scuola a piedi insieme?” chiese sua madre nell’ovvio tentativo di scansare il problema.
“Non posso,” disse Chris con la bocca piena. Il burro gli gocciolava sul mento. “Se mi faccio vedere in giro con un nerd, non riuscirò mai a farmi degli amici.”
Papà sollevò la testa. Per un secondo parve sul punto di dire qualcosa a Chris, magari per rimproverarlo di aver usato quel nomignolo per Oliver. Ma poi decise evidentemente di non farlo, perché si limitò a sospirare stancamente, riabbassando lo sguardo sul tavolo.
Oliver strinse i denti, cercando di tenere a bada la propria rabbia.
“Non è un problema per me,” sibilò, lanciando un’occhiataccia a Chris. “Ad ogni modo preferisco starti ad almeno trenta metri di distanza.”
Chris si lasciò andare a una fragorosa e perfida risata.
“Ragazzi,” li mise in guardia la mamma con la voce più mite possibile.
Finita la colazione, la famiglia si preparò rapidamente e tutti uscirono di casa per dare inizio alle rispettive giornate.
Oliver guardò i genitori che salivano sulla vecchia auto ammaccata e partivano. Poi Chris si allontanò a grandi passi senza aggiungere una parola di più, le mani in tasca e il volto accigliato. Oliver sapeva quanto fosse per lui importante stabilire immediatamente che lui era un tipo con cui non bisognava fare casino. Era la sua armatura, il modo in cui gestiva il fatto di dover cambiare scuola ogni sei settimane durante l’anno scolastico. Sfortunatamente per Oliver, lui era troppo magrolino e basso per poter anche solo tentare di seguire le sue orme e coltivare una tale immagine anche per sé. Il suo aspetto fisico semplicemente contribuiva a metterlo ancor più in evidenza.
Chris andò velocemente avanti fino a scomparire dalla vista di Oliver, lasciandolo camminare da solo per quelle strade così sconosciute. Non fu la passeggiata più piacevole nella vita di Oliver. Il quartiere era duro, con un sacco di cani che abbaiavano dietro ringhiere di ferro, e auto malridotte e rumorose che percorrevano le vie piene di buche senza riguardo per i bambini che potevano attraversarle.
Quando la Scuola Media Campbell comparve davanti a lui, Oliver sentì scorrere un brivido lungo la schiena. Era un posto dall’aspetto orribile, fatto di mattoni grigi, completamente quadrato e con la facciata rovinata dal tempo e dalle intemperie. Non c’era neanche dell’erba su cui sedersi, solo un ampio cortile di asfalto con canestri da pallacanestro rotti da entrambi i lati. I ragazzini si spingevano a vicenda contendendosi la palla. E il baccano! Era assordante: discussioni, canti, grida e chiacchiericci vari.
Oliver avrebbe voluto girarsi e tornare di corsa da dove era venuto. Ma riuscì a cacciare giù la paura e continuò a camminare a testa bassa, le mani in tasca, attraversando il cortile e poi entrando da una grande porta di vetro.
I corridoi della Campbell erano bui. Sapevano di candeggina, sebbene sembrasse che non li pulissero da un decennio. Oliver vide l’indicazione della reception e la seguì, sapendo di doversi annunciare a qualcuno. Quando trovò l’ufficio, vide che dentro c’era una donna dall’aspetto piuttosto annoiato e scontroso, le lunghe unghie rosse che digitavano qualcosa sulla tastiera del computer.
“Mi scusi,” disse Oliver.
La donna non rispose. Lui si schiarì la voce e tentò di nuovo, solo con tono un po’ più alto.
“Mi scusi. Sono un nuovo studente, inizio oggi.”
Alla fine la donna distolse lo sguardo dal computer e lo guardò. Socchiuse gli occhi. “Un nuovo studente?” chiese con voce molto sospettosa. “È ottobre.”
“Lo so,” rispose Oliver. Non serviva che glielo ricordasse. “La mia famiglia si è appena trasferita qui. Mi chiamo Oliver Blue.”
La donna lo guardò in silenzio per un lungo momento. Poi, senza pronunciare un’altra parola, riportò l’attenzione sul computer e riprese a scrivere. Le sue unghie lunghe ticchettavano sui tasti.