La Fabbrica della Magia - Морган Райс 6 стр.


Si lanciò con forza contro suo fratello, ma Chris quasi neanche barcollò per l’impatto: era grande e grosso, e chiaramente si aspettava che Oliver si scagliasse contro di lui. E ovviamente si stava godendo i tentativi del fratello di lottare contro di lui, perché si mise a ridere con forza. Era talmente grosso rispetto a lui, che gli fu sufficiente mettere una mano sulla testa di Oliver per spingerlo indietro. Oliver si dimenava senza alcun effetto, cercando inutilmente di colpire Chris.

Dal tavolo della cucina loro padre esclamò: “RAGAZZI! BASTA LITIGARE!”

“È Oliver,” rispose Chris. “Mi è saltato addosso senza motivo.”

“Sai esattamente qual è il motivo!” gridò Oliver, i pugni che volavano a vuoto, incapaci di raggiungere il corpo di Chris.

“Perché ho messo i piedi sopra ai tuoi strani cavetti?” sibilò Chris, tanto sottovoce che nessuno dei genitori poté sentirlo. “O perché ho rotto quella stupida fionda a molla? Sei così strambo, Oliver!”

“ODIO questa famiglia!” gridò Oliver.

Corse nella sua nicchia, raccolse tutti i cavi danneggiati e i pezzi di filo distrutti, le leve spezzate e il metallo piegato e gettò tutto nella valigia.

I suoi genitori arrivarono di gran carriera.

“Come osi!” gridò suo padre.

“Ritira quello che hai detto!” strillò sua madre.

“Ora l’hai davvero combinata grossa,” disse Chris con un sorriso malvagio.

Mentre tutti gli gridavano contro, Oliver capì che c’era solo un posto dove poteva scappare. Il suo mondo di sogno, il luogo della sua immaginazione.

Strizzò gli occhi e isolò tutte le voci.

Poi improvvisamente si trovò lì, nella fabbrica. Non quella piena di ragnatele che aveva visitato prima, ma una versione pulita, dove tutte le macchine brillavano e scintillavano sotto le luci chiare.

Oliver stava lì ad ammirare la fabbrica in tutta la sua gloria di un tempo. Ma proprio come nella vita reale, non c’era nessun Armando ad accoglierlo. Nessun alleato. Nessun amico. Anche nella sua immaginazione, Oliver era completamente solo.

*

Solo quando tutti furono andati a dormire e la casa si trovò avvolta nella più completa oscurità, Oliver si sentì in grado di lavorare alle sue invenzioni per aggiustarle. Voleva essere ottimista mentre armeggiava con tutti i pezzi nel tentativo di rimetterli al loro posto. Ma ogni sforzo fu inutile. Era stato tutto distrutto. Tutte le bobine di filo e i cavi erano danneggiati oltre ogni speranza. Avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.

Gettò i pezzi nella valigia e sbatté con forza il coperchio. Con entrambi i ganci di chiusura rotti, il coperchiò rimbalzò in alto e ricadde indietro restando spalancato. Oliver sospirò pesantemente e si accasciò stanco sul materasso, infilandosi sotto alla coperta.

Dovette essere per pura stanchezza e sfinimento se fu capace di dormire quella notte. Eppure dormì, e subito si perse nei suoi sogni, trovandosi alla finestra, intento a guardare l’albero allampanato dall’altra parte della strada. Lì c’erano l’uomo e la donna che aveva visto la sera precedente, e come allora si tenevano per mano.

Oliver picchiò la mano contro il vetro della finestra.

“Chi siete?” gridò.

La donna sorrise. Era un sorriso gentile, più gentile addirittura di quello della signorina Belfry.

Ma nessuno dei due parlò. Lo fissavano e basta, entrambi sorridendo.

Oliver aprì la finestra. “Chi siete?” gridò ancora, ma questa volta la sua voce fu sommersa dal vento.

L’uomo e la donna se ne stavano fermi lì stringendosi la mano, i sorrisi caldi e invitanti.

Oliver iniziò a scavalcare la finestra. Ma subito le due figure baluginarono e sobbalzarono, come se fossero ologrammi e le luci che li proiettavano avessero subito un’interferenza. Stavano iniziando a scomparire.

“Aspettate!” gridò Oliver. “Non andate via!”

Cadde dall’altra parte della finestra ed attraversò di corsa la strada. Si facevano sempre più sbiaditi a ogni passo che lui faceva.

Quando arrivò davanti a loro erano appena visibili. Allungò un braccio per prendere la mano della donna, ma ci passò attraverso, come se fosse un fantasma.

“Per favore, ditemi chi siete!” li implorò.

L’uomo aprì bocca per dire qualcosa, ma la sua voce venne coperta dal ruggito del vento. Oliver era sempre più disperato.

“Chi siete?” chiese un’altra volta, gridando per farsi sentire al di sopra del vento. “Perché mi state guardando?”

L’uomo e la donna erano quasi del tutto scomparsi ormai. L’uomo parlò ancora, e questa volta Oliver udì un leggero sussurro.

“Tu hai un destino…”

“Cosa?” balbettò Oliver. “Cosa intendi dire? Non capisco.”

Ma prima che avessero l’opportunità di parlare un’altra volta, scomparvero del tutto. Non c’erano più.

“Tornate qui!” gridò Oliver nel vuoto.

Poi, come se ci fosse qualcuno a bisbigliargli nelle orecchie, sentì la voce leggera della donna che diceva: “Tu salverai l’umanità.”

Oliver aprì gli occhi sbattendo le palpebre più volte. Era di nuovo nella sua nicchia, illuminato dal pallido bagliore blu che entrava dalla finestra. Era mattino. Oliver sentiva il cuore che batteva con forza.

Il sogno lo aveva scosso nel profondo. Cosa avevano voluto dirgli con quella cosa del destino? E del salvare l’umanità? E comunque chi erano quell’uomo e quella donna? Frammenti della sua immaginazione, o qualcos’altro? Era troppo da comprendere.

Mentre lo shock iniziale del sogno iniziava ad attenuarsi, Oliver si sentì pervadere da una nuova sensazione. La speranza. Da qualche parte dentro di sé sentiva di essere sul punto di vivere una giornata importantissima, nella quale tutto sarebbe cambiato.

CAPITOLO QUATTRO

Il buon umore di Oliver migliorò ancora quando scoprì che la prima lezione del giorno era scienze, il che significava che avrebbe rivisto la signorina Belfry. Già mentre attraversava il cortile, abbassandosi sotto a palloni da pallacanestro che sospettava gli fossero stati deliberatamente lanciati contro, il suo entusiasmo cresceva sempre più.

Raggiunse la scala e cedette alla forza dei ragazzi che lo travolsero e spinsero, sostenendolo come un surfista sulle onde, fino al quarto piano. Lì Oliver si divincolò dalla folla e si diresse verso la sua aula.

Era il primo ad arrivare. La signorina Belfry era già in classe, con un abito di cotone grigio, intenta a sistemare dei modellini in fila sulla cattedra. Oliver vide che c’erano un piccolo biplano, una mongolfiera, un razzo spaziale e un aeroplano moderno.

“La lezione di oggi è sul volo?” chiese.

La signorina Belfry fu presa di soprassalto: chiaramente non si era accorta che uno dei suoi studenti era entrato in aula.

“Oh, Oliver,” disse con un sorriso smagliante. “Buongiorno! Sì. Ora immagino tu sappia già alcune cose su questo tipo di invenzioni.”

Oliver annuì. Il suo libro delle invenzioni aveva una completa sezione sul volo, dai primi palloni aerostatici inventati dai fratelli francesi Montgolfier, attraverso il primo progetto di aeroplano dei fratelli Wright, fino allo studio del razzo. Come il resto delle pagine del libro, aveva letto quella sezione così tante volte da saperla quasi a memoria.

La signorina Belfry sorrideva come se già sapesse che Oliver sarebbe stato una fontana di conoscenza in questa particolare materia.

“Può darsi che tu debba aiutarmi a spiegare alcuni concetti di fisica agli altri,” gli disse.

Oliver arrossì mentre andava a sedersi. Odiava parlare a voce alta davanti ai suoi compagni di classe, soprattutto dato che già sospettavano lui fosse un nerd. Dare loro conferma era come mettersi in mostra ben più di quanto avrebbe realmente desiderato. Ma la signorina Belfry sembrava talmente calma al riguardo, come se pensasse che la conoscenza di Oliver fosse qualcosa da celebrare piuttosto che da deridere.

Oliver scelse un posto vicino alla prima fila. Se era costretto a parlare a voce alta, preferiva non avere trenta paia di occhi che si giravano a guardarlo. Almeno in questo modo sarebbe stato consapevole solo degli altri quattro ragazzi lì davanti con lui.

Proprio in quel momento i suoi compagni iniziarono ad entrare e a prendere posto. Il rumore nell’aula iniziò a crescere. Oliver non aveva mai capito cosa avessero di così importante da raccontarsi le persone. Anche se lui avrebbe potuto parlare per ore e ore di inventori e invenzioni, non c’era molto altro su cui sentiva la necessità di conversare. Era sempre stupito da come gli altri riuscissero a fare conversazione in modo così semplice, e quante parole potessero condividere su cose che, nella sua mente, avevano importanza praticamente nulla.

La signorina Belfry iniziò la sua lezione agitando le braccia nel tentativo di far tacere tutti. Oliver si sentiva in tremendo imbarazzo per lei. Era sempre una specie di battaglia riuscire a far ascoltare i ragazzi. E lei era così gentile e delicata nel parlare che non decideva mai di alzare il volume o mettersi a gridare, quindi i suoi tentativi di creare silenzio a volte richiedevano parecchio tempo per sortire il loro effetto. Alla fine per fortuna il chiacchiericcio si placò.

“Oggi ragazzi,” iniziò la signorina Belfry, “ho un problema da risolvere.” Sollevò lo stecchino di un ghiacciolo. “Mi chiedevo se qualcuno fosse in grado di dirmi come far volare questo.”

Nella stanza si sollevò una baraonda. Qualcuno gridò.

“Lo lanci!”

La signorina Belfry fece come le avevano suggerito. Lo stecchino fece poco più di mezzo metro prima di cadere a terra.

“Uhm, non so voi ragazzi,” disse, “ma a me è sembrato che sia caduto e basta. Io voglio che voli. Che sfrecci nell’aria, non che precipiti a terra.”

Paul, il ragazzo che aveva deriso Oliver il giorno prima, propose il suggerimento successivo. “Perché non lo attacca a un elastico? Come una fionda.”

“Buona idea,” disse la signorina Belfry annuendo. “Ma non vi ho detto una cosa. Questo stecchino è effettivamente lungo tre metri.

“E allora faccia una catapulta larga tre metri!” gridò qualcuno.

“O ci metta sopra un lanciarazzi!” suggerì un’altra voce.

Tutti si misero a ridere. Oliver si spostava inquieto sulla sua sedia. Lui sapeva perfettamente come lo stecco del ghiacciolo avrebbe potuto volare. Era tutta una questione di fisica.

La signorina Belfry riuscì a tranquillizzare nuovamente gli studenti.

“Questo era esattamente il problema che si trovarono davanti i fratelli Wright quando stavano tentando di creare il primo aeroplano. Come replicare il volo degli uccelli. Come trasformare questo” e sollevò lo stecchino mettendolo orizzontalmente “in ali capaci di sostenere un volo. Allora, c’è qualcuno che sa come abbiano fatto?”

Il suo sguardo andò dritto a Oliver, che deglutì. Per quanto non volesse parlare, una parte di lui voleva dare prova alla signorina Belfry della propria intelligenza.

“Bisogna creare portanza,” disse sottovoce.

“Come come?” chiese la signorina Belfry, anche se Oliver sapeva bene che l’aveva sentito perfettamente.

Con reticenza, parlò con voce un po’ più alta. “Bisogna creare portanza.”

Non aveva ancora finito di parlare che sentì un forte rossore alle gote. Percepì il cambiamento nella stanza, la tensione degli altri studenti attorno a lui. Altro che trenta paia di occhi fissi a guardarlo: Oliver poteva praticamente sentirli come se gli bruciassero la schiena.

“E cos’è la portanza?” chiese la signorina Belfry.

Oliver si inumidì le labbra secche e mandò giù la propria angoscia: “Portanza è il nome della forza che contrasta la gravità. La gravità spinge sempre gli oggetti in basso, verso il centro della terra. La portanza è la forza che fa il contrario.”

Da qualche parte dietro di lui, Oliver sentì la voce sussurrata di Paul che lo derideva, mimando le sue parole: “La portanza fa il contrario.”

Un fiorire di risatine si diffuse tra gli studenti alle sue spalle. Oliver sentì i muscoli che si irrigidivano in maniera difensiva.

La signorina Belfry era chiaramente ignara della tacita derisione di cui Oliver era oggetto.

“Uhm,” disse, come se per lei fossero tutte novità. “Sembra complicato. Contrastare la gravità? Non è impossibile?”

Oliver si mosse nervosamente sulla sua sedia. Voleva veramente smettere di parlare, avere un piccolo respiro di pausa da tutti quei sussurri. Ma era evidente che nessun altro conosceva la risposta, e la signorina Belfry lo stava guardando con i suoi occhi luccicanti e incoraggianti.

“Per niente,” rispose Oliver, abboccando finalmente all’esca. “Per creare portanza basta cambiare la velocità con cui l’aria scorre attorno a qualcosa, e lo si può fare modificando la forma dell’oggetto. Quindi, con lo stecchino del ghiacciolo, basterà creare una cresta sulla sommità. Ciò significa che mentre lo stecchino si muove in avanti, l’aria che soffia sopra e sotto di esso avrà dei percorsi di forma diversa. Sopra il lato gobbo dell’ala, il percorso è curvo, mentre sotto all’ala il percorso è piatto e ininterrotto.”

Oliver smise di parlare e subito premette le labbra tra loro. Non solo aveva risposto alla domanda, ma era andato ben oltre nella spiegazione. Si era lasciato trasportare e ora lo avrebbero preso in giro senza pietà. Si preparò.

“Potresti farcene un disegno?” chiese le signorina Belfry.

Gli porse un pennarello da lavagna. Oliver lo guardò sgranando gli occhi. Parlare era una cosa, ma stare davanti a tutti come un bersaglio era decisamente diverso!

“Preferirei di no,” mormorò dal lato della bocca.

Vide il barlume di comprensione nell’espressione della signorina Belfry. Doveva essersi resa conto di averlo spinto oltre la sua zona di tranquillità e sicurezza, e quello che gli stava domandando adesso era una cosa impossibile.

“A dire il vero,” disse ritirando il pennarello e facendo un passo indietro, “magari qualcun altro potrebbe disegnare quello che Oliver ha spiegato?”

Samantha, una delle ragazze più impertinenti e a caccia di attenzioni, balzò in piedi e prese il pennarello dalla mano della professoressa. Andarono insieme alla lavagna e la signorina Belfry aiutò Samantha a disegnare un diagramma di ciò che Oliver aveva descritto.

Ma non appena la professoressa fu con la schiena rivolta alla classe, Oliver sentì qualcosa colpirlo alla nuca. Si girò e vide una palla di carta ai suoi piedi. Si abbassò a raccoglierla, non volendo aprirla, consapevole che all’interno vi avrebbe trovato un messaggio crudele.

“Ehi…” sibilò Paul. “Non ignorarmi. Leggi il bigliettino!”

Irrigidito, Oliver aprì la carta appallottolata che aveva tra le mani. La lisciò sul banco davanti a sé. Scritte con calligrafia orribile c’erano le parole Indovina cos’altro può volare?

E in quel momento sentì un altro colpo alla testa. Un’altra palla di carta, che venne seguita da un’altra, e poi da un’altra ancora.

“EHI!” gridò Oliver saltando in piedi e girandosi furioso.

Anche la signorina Belfry si voltò, accigliandosi per la scena che aveva davanti.

“Cosa sta succedendo?” chiese.

“Stiamo solo cercando cose che volano,” disse Paul con innocenza. “Una deve aver colpito Oliver per sbaglio.”

La signorina Belfry parve scettica. “Oliver?” chiese, rivolgendosi a lui.

Oliver si rimise a sedere. “È vero,” mormorò.

A quel punto la boriosa Samantha aveva completato il suo diagramma e la signorina Belfry poté riportare la propria attenzione alla classe. Indicò la lavagna, dove ora c’era il diagramma di un’ala, non dritta ma curva come una lacrima allargata ai lati. Due linee tratteggiate indicavano i percorsi dell’aria che passava sopra e sotto l’ala. Il flusso d’aria sopra all’ala ingobbita era diverso rispetto a quello sottostante.

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