Il Peso dell’Onore - Морган Райс 3 стр.


Kyra era stupefatta: le assomigliava in modo pazzesco. Non aveva mai incontrato nessuno che possedesse i suoi tratti, neppure suo padre per quanto lei lo avesse sperato. Si era sempre sentita come una straniera nel mondo, scollegata da qualsiasi vero lignaggio. Ora però, vedendo il volto di quell’uomo, i suoi zigomi alti e ben delineati, i suoi occhi grigi e vivi, un uomo alto e fiero sulla quarantina, con le spalle ampie, muscoloso, rivestito di una scintillante maglia di ferro dorata, con i capelli castano chiaro che gli incorniciavano il mento, la barba non rasata: capì subito che era speciale. E per estensione questo rendeva speciale anche lei. Per la prima volta in vita sua Kyra lo sentiva veramente. Per la prima volta si sentiva collegata a qualcuno, a una linea di sangue potente, a qualcosa di più grande di lei stessa. Sentiva un certo senso di appartenenza al mondo.

Quell’uomo era chiaramente diverso. Era ovviamente un guerriero, fiero e nobile sebbene non avesse nessuna spada, nessuno scudo, nessun’arma di sorta. Con suo stupore e piacere portava con se un unico oggetto: un bastone dorato. Un bastone. Era proprio come lei.

“Kyra,” le disse.

La sua voce le risuonò dentro, una voce così familiare, così simile alla sua. Sentendolo parlare provò non solo un collegamento con lui ma, cosa ancora più eccitante, un collegamento con sua madre. Quello era il fratello di sua madre. Quello era l’uomo che sapeva chi fosse sua madre. Alla fine avrebbe avuto la verità: non ci sarebbero stati più segreti nella sua vita. Molto presto avrebbe saputo tutto sulla donna che aveva sempre desiderato conoscere.

L’uomo abbassò una mano e lei si allungò a prenderla. Si alzò in piedi, le gambe rigide per la lunga notte seduta davanti alla torre. Era una mano forte e muscolosa, ma sorprendentemente liscia, e la aiutò a rimettersi in piedi. Leo ed Andor gli si avvicinarono e Kyra fu sorpresa di vedere che non ringhiavano come era loro solito. Invece si fecero avanti e leccarono la mano dell’uomo come se lo conoscessero da sempre.

Poi, con stupore di Kyra, Leo ed Andor si misero sull’attenti, come se l’uomo l’avesse silenziosamente ordinato loro. Kyra non aveva mai visto una cosa del genere. Quali poteri possedeva quell’uomo?

Non aveva neanche bisogno di chiedergli se fosse suo zio: lo sentiva in ogni parte del suo corpo. Era potente, fiero, proprio come lei aveva sperato che fosse. Ma in lui c’era anche qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a comprendere fino in fondo. Era un’energia mistica che irradiava da lui, un’aura di calma e allo stesso tempo di forza.

“Zio,” disse. Le piaceva il suono di quella parola.

“Puoi chiamarmi Kolva,” rispose lui.

Kolva. In qualche modo le suonava come un nome familiare.

“Ho attraversato Escalon per conoscerti,” disse Kyra, nervosa, non sapendo cos’altro dire. Il silenzio mattutino ingoiava le sue parole, le pianure deserte erano riempite solo dal suono del lontano fragore dell’oceano. “Mi ha mandato mio padre.”

Lui le sorrise. Era un sorriso caldo, le linee del viso che si corrugavano come se vivesse da migliaia di anni.

“Non è stato tuo padre a mandarti,” le rispose. “Ma qualcosa di molto più grande.”

Improvvisamente, senza avviso, le voltò le spalle e iniziò ad allontanarsi appoggiandosi al bastone, prendendo distanza dalla torre.

Kyra lo guardò andare, stupita e senza capire: lo aveva offeso?

Si affrettò a raggiungerlo, Leo ed Andor alle calcagna.

“La torre,” disse confusa. “Non ci entriamo?”

L’uomo sorrise.

“Un’altra volta, forse,” le rispose.

“Ma pensavo di dover raggiungere la torre.”

“E questo l’hai fatto,” rispose. “Ma non devi entrare.”

Kyra si sforzava di capire mentre camminava rapidamente oltrepassando la linea del bosco e affrettandosi per tenere il passo. I loro bastoni colpivano la terra e le foglie.

“E allora dove ci alleneremo?” gli chiese.

“Ti allenerai dove si allenano tutti i grandiosi guerrieri,” le rispose. Guardò poi davanti a sé: “Nei boschi dietro alla torre.”

Entrò nel bosco muovendosi così velocemente che Kyra doveva quasi correre per stare al passo, anche se sembrava stesse avanzando lentamente. Il mistero attorno a lui si faceva man mano più fitto mentre milioni di domande si rincorrevano nella sua mente.

“Mia madre è viva?” chiese di getto, incapace di contenere la curiosità. “Si trova qui? La conosci?”

L’uomo si limitò a sorriderle e scosse la testa mentre continuavano a camminare.

“Così tante domande,” rispose. Camminò a lungo, la foresta era piena dei versi di strane creature. Alla fine aggiunse: “Domande che scoprirai avere poco significato qui. Le risposte ne hanno ancora meno. Devi imparare a trovare le tue risposte. La fonte delle tue risposte. E cosa ancora più importante, la fonte delle tue domande.”

Kyra si sentiva confusa mentre camminava attraverso la foresta, gli alberi verde chiaro che sembravano luccicare attorno a lei in quel luogo misterioso. Presto perse di vista la torre e l’infrangersi delle onde si fece più lontano e indistinto. Kyra si sforzava di stare al passo mentre il sentiero serpeggiava in ogni direzione.

Stava ardendo per le domande che aveva e alla fine non poté più contenere il suo silenzio.

“Dove mi stai portando?” gli chiese. “È qui che mi allenerai?”

L’uomo continuò a camminare oltre un ruscello scrosciante, svoltando e girando tra alberi antichi con la corteccia che brillava di un verde luminescente. Lei lo seguiva da vicino.

“Non sarò io ad allenarti,” le disse. “Lo farà tuo zio.”

Kyra rimase senza parole.

“Mio zio?” chiese. “Pensavo fossi tu mio zio.”

“Lo sono,” le rispose. “E ne hai un altro.”

“Un altro?” chiese.

Alla fine arrivarono a una radura nel mezzo del bosco e si fermarono al limitare. Kyra, senza fiato, si fermò accanto a lui. Guardò dritto davanti a sé e fu sorpresa da ciò che vide.

Dalla parte opposta della radura si trovava un immenso albero, il più grande che mai avesse visto, antico, con i rami che si allungavano in ogni direzione. Aveva foglie brillanti di colore viola, il tronco largo dieci metri. I rami si intrecciavano e incrociavano tra loro creando una piccola casa a forse due o tre metri dal terreno. Sembrava fosse lì da sempre. Una tenue luce proveniva dall’interno dei rami e Kyra sollevò lo sguardo vedendo una figura solitaria seduta in cima che sembrava trovarsi in uno stato di meditazione, fissandoli.

“Anche lui è tuo zio,” disse Kolva.

Il cuore le batteva forte nel petto, non capendo la situazione. Sollevò lo sguardo osservando l’uomo che doveva essere suo zio e si chiese se le stessero facendo uno scherzo. L’altro zio sembrava essere un ragazzo di forse dieci anni. Sedeva perfettamente dritto, come in meditazione, guardando dritto davanti a sé – non proprio guardandola – con scintillanti occhi blu. La sua faccia da ragazzino era segnata da rughe come se avesse mille anni, la pelle era scura e ricoperta da macchie dell’età. Poteva essere alto al massimo un metro e venti. Poteva sembrare un ragazzo con una malattia dell’invecchiamento.

Non aveva proprio idea di cosa fare.

“Kyra,” le disse il primo zio, “questo è Alva.”

CAPITOLO CINQUE

Merk entrò nella Torre di Ur attraversando le alte porte dorate che mai avrebbe pensato di oltrepassare. La luce splendeva così luminosa all’interno da accecarlo quasi. Sollevò le mani per schermarsi gli occhi e subito rimase sbalordito dalla vista che gli si presentò davanti.

Lì di fronte a lui si trovava un vero Sorvegliante, gli occhi gialli perforanti che lo fissavano, gli stessi occhi che lo avevano guardato di soppiatto da dietro la fessura della porta. Indossava una tunica gialla e leggera che gli nascondeva braccia e gambe. La poca carne che si intravedeva era pallida. Era sorprendentemente basso, la mascella allungata, le guance scavate. Mentre lo fissava Merk si sentiva a disagio. La luce abbagliante era emanata dal corto bastone dorato che teneva teso davanti a sé.

Il Sorvegliante lo osservò in silenzio e Merk sentì uno spiffero alle spalle mentre le porte venivano improvvisamente chiuse intrappolandolo nella torre. Il suono vuoto riecheggiò tra le pareti e lui rabbrividì involontariamente. Si rese conto di quanto teso fosse dopo tutti quei giorni passati senza dormire, le notti popolate da sogni turbolenti, l’ossessione di accedere a quel luogo. Trovandovisi all’interno adesso provava una strana sensazione di appartenenza, come se finalmente fosse entrato nella sua nuova casa.

Merk si aspettava che il Sorvegliante gli desse il benvenuto, gli spiegasse dove si trovava. Invece si voltò senza dire una parole e se ne andò lasciandolo lì da solo e pieno di dubbi. Non aveva idea se seguirlo o meno.

Il Sorvegliante si diresse verso una scala a chiocciola in avorio dalla parte opposta della stanza e, con sorpresa di Merk, scese anziché salire. Andò giù velocemente e presto scomparve alla vista.

Merk rimase lì in silenzio, disorientato, non sapendo cosa si aspettassero da lui.

“Devo seguirti?” esclamò alla fine.

La sua voce risuonò e gli tornò indietro come un’eco, rimbalzando contro le pareti come a prendersi gioco di lui.

Merk si guardò attorno esaminando l’interno della torre. Vide le pareti, scintillanti, fatte di oro massiccio; vide il pavimento costruito in antico marmo nero striato d’oro. Il posto era in penombra, illuminato solo dal misterioso bagliore che proveniva dalla pareti. Sollevò lo sguardo a vedere l’antica scala a spirale fatta d’avorio. Si avvicinò e allungò il collo vedendo proprio in cima una cupola dorata alta almeno trenta metri dalla quale la luce filtrava verso il basso. Vide in alto tutti i piani, tutte le rampe che conducevano ai diversi livelli. Si chiese quindi cosa ci fosse lassù.

Abbassò poi lo sguardo e, ancora più curioso, vide i gradini che continuavano anche verso il basso, verso dei piani sotterranei, dove era andato il Sorvegliante. Si sentiva pieno di domande. Le bellissime scale d’avorio, somiglianti a un’opera d’arte, ruotavano misteriosamente in entrambe le direzioni, come a salire verso il cielo e a scendere allo stesso tempo verso i più bassi meandri dell’inferno. Merk si chiedeva, soprattutto, se la leggendaria Spada delle Fiamme, la spada che proteggeva tutta Escalon, si trovasse tra quelle mura. Provò un’ondata di eccitazione solo al pensiero. Dove poteva essere? Di sopra o di sotto? Quali altre reliquie e tesori erano contenuti là dentro?

Improvvisamente si aprì una porta segreta da un lato della parete e Merk si voltò vedendo uscirne un guerriero dal volto severo, un uomo pressappoco della sua taglia con indosso una maglia di ferro, la pelle pallida per i troppi anni trascorsi senza vedere la luce del sole. Si diresse verso Merk, un umano con la spada alla cintura e con una evidente insegna, lo stesso simbolo che Merk aveva visto intagliato fuori dalle pareti della torre: una scala d’avorio che si levava verso il cielo.

“Solo i Sorveglianti scendono,” disse l’uomo con voce oscura e rude. “E tu, amico mio, non sei un Sorvegliante. Non ancora, almeno.”

L’uomo si fermò davanti a lui e lo guardò dall’alto al basso tenendo le mani ai fianchi.

“Bene,” continuò. “Suppongo che se ti hanno lasciato entrare deve esserci un motivo.”

Sospirò.

“Seguimi.”

Detto questo lo sbrigativo guerriero si voltò e prese la scala. Il cuore di Merk gli batteva forte nel petto mentre si affrettava per tenere il passo, la testa piena di domande, il mistero di quel posto che si infittiva a ogni passo.

“Fai il tuo lavoro e fallo bene,” disse l’uomo dando le spalle a Merk, la voce oscura e riecheggiante contro le pareti, “e ti verrà concesso di prestare servizio qui. Sorvegliare la torre è il compito più elevato che Escalon abbia da offrire. Devi essere ben più che un mero guerriero.”

Passarono al piano successivo e l’uomo si fermò guardando Merk negli occhi, come se percepisse una qualche profonda verità in lui. Questo fece sentire Merk a disagio.

“Abbiamo tutti dei passati oscuri,” disse l’uomo. “È questo che ci ha portati qui. Quale virtù si cela nella tua oscurità? Sei pronto a nascere di nuovo?”

Fece una pausa e Merk rimase fermo cercando di comprendere le sue parole, insicuro su come rispondere.

“Il rispetto è difficile da guadagnare qui,” continuò. “Siamo, ciascuno di noi, il meglio che Escalon abbia da offrire. Guadagnatelo e un giorno potrai essere accettato nella nostra confraternita. Altrimenti ti verrà chiesto di andartene. Ricorda: quelle porte che si sono aperte per lasciarti entrare possono altrettanto facilmente aprirsi per farti uscire.”

Merk si sentì sprofondare il cuore in petto al pensiero.

“Come posso prestare servizio?” chiese sentendo la forte motivazione che aveva sempre desiderato avere.

Il guerriero rimase lì per molto tempo, quindi si voltò e iniziò a salire verso il piano successivo. Mentre Merk lo guardava andare ebbe la consapevolezza che i quella torre c’erano molte cose proibite, molti segreti che probabilmente mai avrebbe conosciuto.

Si incamminò per seguirlo, ma improvvisamente una mano forte e nerboruta gli diede un colpo al petto fermandolo. Sollevò lo sguardo e vide apparire un altro guerriero, uscito da un’altra porta nascosta mentre il primo continuava a salire e scompariva al piano successivo. Il nuovo guerriero era più alto di Merk e indossava la stessa maglia di ferro dorata.

“Presterai servizio a questo piano,” disse con tono burbero, “con il resto di loro. Io sono il tuo comandante. Vicor.”

Il suo nuovo comandante, un uomo magro con il volto duro come la roccia, sembrava tipo da non doversi contrariare. Vicor si voltò e fece cenno verso una porta aperta nella parete. Merk entrò con cautela, chiedendosi che posto fosse quello man mano che serpeggiava tra stretti corridoi in pietra. Camminavano in silenzio oltrepassando archi incavati nella roccia, quindi il corridoio si aprì in un’ampia stanza con un alto soffitto decorato, pavimento e pareti di pietra, illuminato dalla luce del sole che filtrava attraverso strette finestre rastremate. Merk era stupito di vedere decine di volti che lo fissavano, volti di guerrieri, alcuni magri, altri muscolosi, tutti con occhi duri e immobili, tutti infiammati da un senso di dovere e determinazione. Erano tutti sparpagliati per la stanza, tutti disposti davanti a una finestra. Ciascuno indossava una maglia di ferro dorata e tutti si voltarono a guardare lo straniero che entrava nella loro stanza.

Merk si sentiva imbarazzato e li guardò in quel goffo silenzio.

Accanto a lui Vicor si schiarì la voce.

“I fratelli non si fidano di te,” disse a Merk. “Potrebbero non fidarsi mai di te. E tu potresti non fidarti mai di loro. Il rispetto non viene regalato qui e non esistono seconde possibilità.”

“Cosa devo fare?” chiese Merk perplesso.

“La stessa cosa che fanno questi uomini,” rispose Vicor in modo secco. “Guarderai.”

Merk scrutò la stanza di pietra curva e dalla parte opposta, forse a quindici metri da lui, vide una finestra aperta alla quale non si trovava nessun guerriero. Vicor vi si diresse lentamente e Merk lo seguì passando oltre i guerrieri che lo guardavano avanzare e poi tornavano a voltarsi verso le proprie finestre. Era una sensazione strana trovarsi tra quegli uomini e non esserne comunque parte. Non ancora. Merk aveva sempre combattuto da solo e non sapeva cosa significasse appartenere a un gruppo.

Mentre passava e li guardava sentiva che erano tutti, come lui, uomini distrutti, uomini senza un posto dove andare, senza nessun altro scopo nella vita. Uomini che avevano fatto di quella torre di pietra la loro casa. Uomini come lui.

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