“E ovviamente, anche se non vi giustiziasse, vostra altezza, vostra madre potrebbe imprigionarvi, o spedirvi nel peggiore dei posti, con guardie ad assicurarsi che ci arriviate sano e salvo.”
Rupert indicò con il dito gli uomini che lo circondavano, marciando al passo con lui e Sir Quentin.
“Pensavo fosse ciò che si stava già verificando.”
Sir Quentin scosse la testa. “Questi uomini sono tra quelli che hanno combattuto al vostro fianco contro il Nuovo Esercito. Rispettano il coraggio della vostra decisione, e volevano assicurarsi che non ve ne andaste da solo, senza l’onore di una scorta.”
Quindi era dopotutto una guardia d’onore. Rupert non era certo di poterla considerare come tale. Lo stesso, ora che si curava di guardarsi attorno ed osservarli per bene, vide che la maggior parte degli uomini presenti erano ufficiali piuttosto che soldati comuni, e che per lo più sembravano felici di accompagnarlo. Era più vicino di quanto pensasse al genere di adulazione che Rupert desiderava, ma non era ancora sufficiente a compensare per la stupidità di ciò che sua madre gli aveva fatto.
Era un’umiliazione e, conoscendo sua madre, era ben calcolata.
Raggiunsero il molo. Rupert si era aspettato almeno che per questo ci fosse una grossa nave da guerra ad aspettarlo, con i cannoni che sparavano per salutarlo riconoscendo il suo status, se non altro.
E invece non c’era nulla.
“Dov’è la nave?” chiese Rupert guardandosi attorno. Fino a dove poteva vedere, il porto brulicava della solita selezione di navi, con i mercanti che tornavano al loro commercio dopo la ritirata del Nuovo Esercito. Aveva pensato che almeno loro lo avrebbero ringraziato per i suoi sforzi, ma sembravano troppo impegnati a guadagnare denaro.
“Credo che la nave sia lì, vostra altezza,” disse Sir Quentin indicando.
“No,” disse Rupert, seguendo la linea del dito puntato dall’uomo. “No.”
La barca era una tinozza, adatta al viaggio di un mercante, forse, e già parzialmente carica di merci per il viaggio di ritorno alle Colonie Nuove. Era tutto meno che adatta a trasportare un principe.
“È un po’ meno che grande,” disse Sir Quentin. “Ma credo che sua Maestà abbia pensato che viaggiare senza attenzione avrebbe abbassato le possibilità di pericolo strada facendo.”
Rupert dubitava che sua madre avesse pensato ai pirati. Aveva pensato a cosa l’avrebbe messo meno a suo agio, e aveva fatto un ottimo lavoro a giudicare dal risultato.
“E poi,” disse Sir Quentin con un sospiro, “almeno non sarete solo in questo.”
Rupert si fermò udendo quelle parole e fissò l’uomo.
“Mi perdoni, Sir Quentin,” disse Rupert stringendosi il setto nasale come a dimostrare un certo mal di testa, “ma perché siete qui, esattamente?”
Sir Quentin si girò verso di lui. “Mi spiace, vostra altezza. Avrei dovuto dirlo. La mia posizione è diventata… in un certo senso precarietà in questo momento.”
“Vale a dire che avete paura della rabbia di mia madre se non ci sono io in giro?” chiese Rupert.
“Voi non lo sareste?” chiese Sir Quentin, liberandosi per un attimo dalle frasi attentamente meditate del politico. “Per come la vedo io, posso aspettarmi benissimo che trovi una scusa per giustiziarmi, o in alternativa potrei seguire per un po’ gli affari della mia famiglia nelle Colonie Vicine.”
La faceva sembrare così semplice: andare nelle Colonie Vicine, liberare Sebastian, aspettare che il furore si placasse, e tornare indietro mostrandosi perfettamente castigato. Il problema era molto semplice: Rupert non poteva permettersi di fare una cosa del genere.
Non poteva fingere di essere dispiaciuto per qualcosa che si era chiaramente rivelato essere la giusta decisione. Non poteva liberare suo fratello permettendo che prendesse ciò che gli apparteneva. Suo fratello non meritava di essere libero, quando aveva messo in atto un colpo contro Rupert, usando un qualche complotto o trucco con sua madre per persuaderla a dargli il trono.
“Non posso farlo,” disse Rupert. “Non lo farò.”
“Vostra altezza,” disse Sir Quentin nel suo tono stupidamente ragionevole. “Vostra madre avrà già inviato parola al governatore delle Colonie Vicine. Starà aspettando il vostro arrivo, e le farà avere notizie se voi non sarete lì. Anche se doveste scappare, vostra madre invierà dei soldati, se non altro per scoprire dove si trova il Principe Sebastian.”
Rupert si trattenne a malapena, a malapena, dal colpire l’uomo che aveva davanti. Non era una buona idea colpire i propri alleati, almeno quando erano ancora così utili.
E Rupert aveva pensato a un modo in cui Sir Quentin gli sarebbe stato molto utile. Si guardò attorno scrutando il gruppo di accompagnatori fino a che non ne trovò uno con i capelli biondi e della giusta corporatura.
“Tu, come ti chiami?”
“Aubry Chomley, vostra altezza,” disse l’uomo. La sua uniforme portava la mostrina di un capitano.
“Bene Chomley,” disse Rupert. “Quanto leale sei?”
“Completamente,” rispose l’altro. “Ho visto quello che avete fatto contro il Nuovo Esercito. Avete salvato il nostro regno, e siete il legittimo erede al trono.”
“Brav’uomo,” disse Rupert. “La tua lealtà ti dà credito, ma ora ho una prova per questa lealtà.”
“Dite qual è,” disse l’uomo.
“Serve che ci scambiamo gli abiti.”
“Vostra altezza?” Il soldato e Sir Quentin riuscirono a dirlo praticamente all’unisono.
Rupert riuscì a non sospirare. “È semplice. Chomley qui andrà con voi alla barca. Fingerà di essere me, e andrà con voi alle Colonie Vicine.”
Il soldato parve nervoso come se Rupert lo avesse condannato ad assaltare un’orda di nemici.
“La… la gente non se ne accorgerà?” chiese l’uomo. “Il governatore non se ne accorgerà?”
“Perché dovrebbe?” chiese Rupert. “Non ho mai incontrato quell’uomo, e Sir Quentin qui vi darà credito. Vero, Sir Quentin?”
Sir Quentin spostò lo sguardo da Rupert al soldato, ovviamente tentando di calcolare nella propria testa quale fosse il corso d’azione più probabile da intraprendere.
Questa volta Rupert sospirò. “Guardate, è semplice. Andate nelle Colonie Nuove. Dite che Chomley è me. Dato che io sono ancora qui, questo ci concede la possibilità di raggruppare insieme il supporto di cui abbiamo bisogno. Supporto che potrebbe farvi tornare indietro molto più rapidamente che se dovessimo stare ad aspettare che mia madre si dimentichi uno sgarbo.”
Questa parte parve cogliere l’attenzione dell’uomo, che annuì. “Molto bene,” disse Sir Quentin. “Lo farò.”
“E voi, capitano?” chiese Rupert. “O dovrei dire generale?”
Ci volle solo un secondo perché l’uomo capisse perfettamente l’implicazione. Vide Chomley deglutire.
“Tutto quello che richiedete, vostra altezza,” disse alla fine.
Ci vollero pochi minuti per trovare un edificio vuoto trai vari magazzini e la copertura delle barche per cambiarsi gli abiti in modo che Chomley sembrasse… beh, francamente per niente simile al principe di un regno, ma con la raccomandazione di Sir Quentin poteva bastare.
“Andate,” ordinò loro Rupert, e loro andarono, accompagnati da metà dei soldati per far sembrare la cosa più autentica. Rupert guardò gli altri, considerando quello che avrebbe fatto adesso.
Non c’era da discutere sul fatto che avrebbe dovuto lasciare Ashton, ma avrebbe dovuto muoversi più attentamente ora, fino a che non fosse stato pronto. Sebastian era abbastanza al sicuro dove si trovava, per il momento. Il palazzo era tanto grande che sarebbe riuscito a tenerlo distante da sua madre almeno per un po’. Sapeva di avere supporto. Era ora di scoprire quanto, e quanto potere questo potesse fargli guadagnare.
“Andiamo,” disse agli altri. “È ora di capire come fare a riprenderci ciò che dovrebbe essere mio.”
CAPITOLO SEI
“Sono Lady Emmeline Constance Ysalt D’Angelica, Marchesa di Sowerd e Signora dell’Ordine della Fascia!” gridò Angelica, sperando che qualcuno la sentisse. Sperando che il suo nome completo ottenesse se non altro un po’ di attenzione. “Mi stanno per ammazzare contro la mia volontà!”
La guardia che la trascinava non parve preoccupata dalle sue grida, il che diceva ad Angelica che non c’erano reali possibilità che qualcuno la sentisse. Nessuno l’avrebbe aiutata. In un posto con così tante crudeltà come il palazzo, i servitori erano da tempo abituati a ignorare le grida d’aiuto, ad essere ciechi e sordi a meno che i loro superiori non dicessero loro di fare il contrario.
“Non ti permetterò di farlo,” disse Angelica, cercando di piantare i piedi a terra e frenare. La guardia si limitò a tirarla avanti, molto più forte di lei. Angelica lo colpì e lo fece con tale forza da sentire male alla mano. Per un momento la presa della guardia parve rilassarsi, e Angelica si girò per fuggire.
La guardia le fu addosso in pochi attimi, afferrandola e colpendola a sua volta tanto da farle rimbombare il ceffone nella testa.
“Non puoi… non puoi colpirmi,” disse lei. “La gente verrà a saperlo. Devi farlo passare per un incidente!”
L’uomo le diede un altro schiaffo, e Angelica ebbe la sensazione che lo facesse solo perché gli era concesso.
“Dopo che sarai caduta dall’edificio, nessuno noterà i lividi,” le disse. Quindi la tirò su e se la mise in spalla, facilmente e agilmente come se fosse un bambino capriccioso. Angelica non si era mai sentita così indifesa come in quel momento.
“Grida ancora,” la avvisò, “e le prendi un’altra volta.”
Angelica non lo fece, se non altro perché non pareva fare alcuna differenza. Non aveva visto nessuno lungo il tragitto, sia perché tutti erano ancora occupati con le nozze che non si erano svolte, o perché la vedova li aveva attentamente tenuti alla larga come preparativo a questa cosa. Angelica non si sarebbe lasciata prevaricare. Quella vecchia programmava con pazienza e crudeltà come un gatto che aspetta fuori dalla tana del topo.
“Non serve che lo fai,” disse Angelica.
La guardia rispose con una semplice scrollata di spalle che la fece rimbalzare nel punto in cui stava appoggiata. Attraversarono il palazzo, percorrendo scale che si restringevano man mano che salivano. A un certo punto la guardia dovette mettere Angelica a terra per poter passare, ma mantenne la sua crudele stretta con una forza tale da farla gridare dal dolore.
“Potresti solo lasciarmi andare,” disse Angelica. “Nessuno verrebbe a saperlo.”
La guardia sbuffò. “Nessuno lo noterebbe quando ricomparissi all’improvviso a corte, o nella tua casa di famiglia? Le spie della vedova non verrebbero a sapere che sei viva?”
“Potrei andarmene,” tentò Angelica. La verità era che probabilmente avrebbe dovuto andarsene, se voleva vivere. La vedova non si sarebbe fermata solo a quel tentativo di prenderle la vita. “La mia famiglia ha degli interessi dall’altra parte dell’oceano e da lì non ci sono praticamente mai notizie. Potrei scomparire.”
La guardia non parve per nulla impressionata dall’idea. “E se delle spie dovessero parlare di te? No, sono convinto di dover fare il mio dovere.”
“Potrei darti del denaro,” disse Angelica. Stavano andando sempre più in alto adesso. Così in alto che, guardando attraverso le sottili finestre, poteva vedere la città disposta là sotto come il giocattolo di un bambino. Forse era così che la vedeva la vedova: come un giocattolo da sistemare per suo puro divertimento.
Significava che dovevano essere praticamente arrivati al tetto.
“Non vuoi dei soldi?” chiese Angelica. “Sicuramente un uomo come te non guadagna molto. Ti potrei dare abbastanza ricchezza da farti diventare un uomo ricco.”
“Non puoi darmi nulla se sei morta,” sottolineò la guardia. “E io non posso spendere i soldi se sono morto io.”
C’era una porticina davanti a loro, contornata di ferro e chiusa da un semplice cordino. Angelica pensava che la via verso la sua morte dovesse contenere maggiore pathos, in qualche modo. Ma lo stesso la vista di quella porticina fece crescere ancor più la sua paura, inducendola a tirare indietro anche mentre la guardia la trascinava avanti.
Se Angelica avesse avuto un pugnale lo avrebbe usato mentre l’uomo slegava il nodo alla porta e la apriva lasciando che l’aria fredda le sferzasse il volto. Se avesse avuto anche solo un coltellino da pasto, affilato, avrebbe almeno tentato di tagliargli la gola con quello, ma non lo aveva. Non nell’abito da sposa. Tutto quello che aveva erano un paio di polveri intese a dare una rifrescata al trucco, oltre a una sorta di sedativo che sarebbe servito a calmarle i nervi nel caso e… basta. Questo era tutto quello che aveva. Tutto il resto era di sotto da qualche parte, messo da parte fino alla conclusione del suo matrimonio.
“Per favore,” implorò, e non le servì molta arte recitativa per dare a vedere quanto inerme fosse, “se i soldi non funzionano, allora cosa ne pensi della moralità? Sono solo una giovane donna, incastrata in un gioco che non voleva. Ti prego, aiutami.”
La guardia la tirò sopra al tetto. Era piatto, con una piccola balaustra che non aveva nulla a che fare con una vera difesa. Il vento soffiava tra i capelli di Angelica sollevandoli.
“Pensi che ci creda?” chiese la guardia. “Che sei una cosetta innocente? Sai quali sono le storie che raccontano sul tuo conto al palazzo, milady?”
Angelica ne conosceva la maggior parte. Era importante per lei sapere quello che la gente diceva sul suo conto, in modo da potersi un giorno vendicare degli sgarri.
“Dicono che tu sia vanesia e crudele. Che hai rovinato della gente solo perché ti ha parlato con il tono sbagliato, e che hai spedito via le rivali con il marchio delle vincolate addosso, anche se prima non c’era. Pensi di meritare pietà?”
“Sono bugie,” disse Angelica. “Sono…”
“Ad ogni modo non mi interessa molto.” La spinse oltre il parapetto. “La vedova mi ha dato i miei ordini da eseguire.”
“E cosa farà quando li avrai eseguiti?” chiese Angelica. “Pensi che ti lascerà vivere? Se l’Assemblea dovesse scoprire che ha assassinato una nobildonna, verrebbe deposta.”
L’uomo scrollò le spalle. “Ho già ucciso per lei.”
Lo disse come se non fosse nulla, e Angelica allora capì che sarebbe morta. Qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi cosa avesse tentato, quest’uomo l’avrebbe assassinata. E a vederlo, probabilmente si sarebbe addirittura divertito a farlo.
L’uomo spinse Angelica verso il bordo, e lei capì che sarebbe stata questione di attimi perché cadesse. Inspiegabilmente si trovò a pensare a Sebastian, e i pensieri non erano quelli pieni di odio che avrebbe dovuto avere dato il modo in cui l’aveva abbandonata. Angelica non capiva perché non fosse così, dato che non era nient’altro che l’uomo cui aveva puntato come marito per salire di posizione, un uomo che era stata pronta a portare a letto con l’inganno per mezzo di una polvere sonnifero…
Le venne in mente un’idea. Era un’idea disperata, ma in quel momento tutto era disperato.
“Potrei offrirti qualcosa di maggior valore dei soldi,” disse Angelica. “Qualcosa di meglio.”
La guardia rise, ma lo stesso si fermò. “Cosa?”
Angelica portò la mano alla cintura e tirò fuori la scatolina contenete il sedativo, sollevandola come se fosse la cosa più preziosa al mondo. La guardia glielo permise, fissando l’oggetto quasi in trance, nel tentativo di capire di cosa si trattasse. Molto delicatamente Angelica aprì la scatola.
“Che cos’è?” chiese la guardia. “Sembra…”
Angelica soffiò con forza in modo che una buona dose di polvere finisse in faccia alla guardia, che annaspò. Si divincolò mentre lui tentava di afferrarla, sperando di schivarlo e andare oltre mentre era ancora impegnato con la polvere che gli era finita negli occhi. Una mano nerboruta le si strinse attorno al braccio e cominciò a spingerla di nuovo verso il bordo del tetto del palazzo.