Una Corte di Ladri - Морган Райс 6 стр.


Le altre ragazze si allontanarono da lei mentre Sofia tentava di trovare uno spazio per sé. Il suo talento le presentò le loro paure. Erano preoccupate che potesse essere violenta come era stata la ragazza dagli occhi scuri che stava nell’angolo, o che avrebbe gridato fino a che maestro Karg non avesse picchiato tutte, nel modo in cui aveva fatto la ragazza con i lividi attorno alla bocca.

“Non intendo fare del male a nessuna di voi,” disse Sofia. “Mi chiamo Sofia.”

Delle cose che potevano essere dei nomi vennero mormorate nella tenue luce del carro prigione, troppo sottovoce perché Sofia potesse capirli tutti. I suoi poteri le permisero di cogliere il resto, ma in quel momento era troppo rinchiusa nella sua personale miseria perché la cosa le importasse.

Un giorno prima le cose erano state così diverse. Era stata felice. Si era trovata ben sistemata nel palazzo, a preparare il suo matrimonio, non rinchiusa in una gabbia. Era stata circondata da servitrici e aiutanti, non da ragazze spaventate. Aveva avuto addosso dei begli abiti, non stracci, e aveva avuto la salvezza, non il persistente dolore delle percosse.

Aveva avuto la prospettiva di trascorrere la sua vita con Sebastian, non di essere usata da una schiera di uomini.

Non c’era nulla che potesse fare. Nient’altro che sedere lì, guardando tra le sbarre e vedendo ora maestro Karg che usciva dall’orfanotrofio con espressione compiaciuta. Si avvicinò con passo rilassato al carro, poi si issò al posto del conduttore sbuffando per lo sforzo. Sofia udì lo schiocco di una frusta e rabbrividì istintivamente dopo tutto quello che le era successo sotto le mani di sorella O’Venn, aspettandosi il dolore fisico mentre il carro si metteva in moto.

Si fece strada tra le vie di Ashton, le ruote di legno che rimbalzavano ogni qualvolta trovavano delle buche tra i ciottoli. Sofia vide le case cui il carro passava accanto a passo d’uomo, senza nessuna fretta di allontanarsi e arrivare alla sua destinazione. Avrebbe dovuto essere una cosa buona, in un certo senso, ma sembrava invece solo un modo di far perdurare la miseria, schernendo lei e le altre per la loro incapacità di scappare.

Sofia vide dei passanti che si spostavano dalla strada al passaggio del carro solo come avrebbero fatto per qualsiasi altro grosso mezzo capace di schiacciarli. Alcuni lanciavano un’occhiata, ma nessuno fece alcuno commento. Cosa diceva di un posto come Ashton il fatto che questo fosse pressoché normale?

Un grasso panettiere si fermò a guardarle passare. Un paio si fecero da parte scansando i raggi delle ruote. I bambini venivano tirati in disparte dalle madri, o correvano a fissare più da vicino per sfidare i loro amici. Degli uomini lanciavano occhiate pensierose, come se si stessero chiedendo se potevano permettersi qualcuna delle ragazze lì dentro. Sofia si sforzò di lanciare loro delle occhiatacce, sfidandoli a non incrociare il suo sguardo.

Avrebbe voluto che Sebastian fosse lì. Nessun altro in quella città l’avrebbe aiutata, ma lei sapeva che anche dopo tutto quello che era successo, Sebastian avrebbe spalancato le porte del carro e l’avrebbe tirata fuori. Almeno sperava che l’avrebbe fatto. Aveva visto l’imbarazzo sul suo volto quando aveva scoperto cos’era Sofia. Forse anche lui avrebbe distolto lo sguardo e avrebbe finto di non vederla.

Sofia sperava di no, perché poteva vedere in parte ciò che attendeva lei e le altre, lo poteva vedere nella mente di maestro Karg. Aveva in mente di prendere altre ragazze strada facendo per condurle a una nave che le avrebbe portate alla sua città natale, dove c’era un bordello che trattava di ragazze così “esotiche”. Aveva sempre bisogno di procurarsene di nuove, perché gli uomini del posto pagavano bene per poter fare quello che volevano con gli arrivi freschi.

Solo il pensiero fece venire la nausea a Sofia, anche se forse questo aveva qualcosa a che vedere con il costante ondeggiamento del carro. Le suore sapevano dove l’avevano venduta? Lei conosceva la risposta: certo che lo sapevano. Ci avevano scherzato sopra, e avevano anche fatto dell’ironia sul fatto che non sarebbe mai stata libera, perché non ci sarebbe stato modo di pagare il debito che avevano imposto su di lei.

Significava una vita di schiavitù in tutto tranne che per il nome, costretta a fare qualsiasi cosa il suo grasso e olezzante padrone volesse, fino a che non avesse più avuto alcun valore neanche per quello. Allora forse l’avrebbe lasciata andare, ma solo perché era più facile lasciarla morire di fame che tenerla. Sofia voleva credere che si sarebbe uccisa prima di permettere che tutto questo accadesse, ma la verità era che avrebbe probabilmente obbedito. Non aveva forse obbedito per anni mentre le suore abusavano di lei?

Il carro si fermò, ma Sofia non fu tanto sciocca da credere che fossero arrivati a una destinazione finale. Si erano fermati invece fuori dalla bottega di un cappellaio, e maestro Karg entrò senza neanche dare un’occhiata al suo carico.

Sofia corse in avanti, cercando di trovare un modo di raggiungere i catenacci fuori dalle sbarre. Infilò la mano tra le fessure a lato del carro, ma semplicemente non c’era modo di raggiungere il lucchetto da dove si trovava.

“Non farlo,” disse la ragazza con il livido attorno alla bocca. “Ti picchierà se ti trova a farlo.”

“Ci picchierà tutte,” disse un’altra.

Sofia ritirò la mano, ma solo perché vedeva che non l’avrebbe portata da nessuna parte. Non aveva senso andare a farsi male quando la cosa non avrebbe cambiato nulla. Era meglio restare ad aspettare e…

E cosa? Sofia aveva visto quello che le aspettava nei pensieri di maestro Karg. Avrebbe potuto indovinarlo probabilmente anche senza il suo talento, e il suo stomaco si sarebbe comunque stretto per la paura. Il carro dello schiavista non era la cosa peggiore che potesse succedere a tutte loro, e Sofia doveva trovare un modo per uscire di lì prima che le cose peggiorassero.

Ma quale modo? Sofia non aveva una risposta.

C’erano altre cose a cui non aveva una risposta. Come avevano fatto a trovarla in città, quando era riuscita a nascondersi prima dagli inseguitori? Come avevano fatto a sapere cosa cercare? Più Sofia ci pensava, e più era convinta che qualcuno doveva aver dato notizia della sua partenza ai cacciatori.

Qualcuno l’aveva tradita, e quel pensiero le faceva più male di qualsiasi percossa.

Maestro Karg uscì dal negozio, trascinando con sé una donna. Questa aveva qualche anno più di Sofia, e sembrava essere già stata vincolata da un po’ di tempo.

“Per favore,” implorava lo schiavista mentre la trascinava. “Non potete farlo! Ancora qualche mese e avrò ripagato il mio vincolo!”

“E fino a che non lo avrai pagato del tutto, il tuo padrone può sempre venderti,” disse maestro Karg. E quasi sovrappensiero, colpì la donna. Nessuno si mosse per fermarlo. La gente quasi neanche si fermava a guardare.

Oppure potrà farlo la moglie del tuo padrone quando diventerà gelosa di te.

Sofia colse chiaramente quel pensiero, comprendendo l’orrore della situazione in quel momento attraverso una combinazione dei pensieri di Karg e della donna. Si chiamava Mellis, ed eseguiva bene la professione per cui era stata comprata e vincolata. Tanto bene che era stata sul punto di ottenere la libertà, eccetto per il fatto che la moglie del cappellaio si era convinta che il marito l’avrebbe lasciata per la ragazza non appena ella avesse ripagato il suo debito.

Quindi l’aveva venduta a un uomo che si sarebbe assicurato che lei non potesse mai più tornare ad Ashton.

Era un destino orribile, ma era anche un promemoria per Sofia che lei non era l’unica lì ad aver vissuto una dura esistenza. Si era così concentrata su quello che era successo a lei con Sebastian e la corte, ma la verità era che probabilmente tutte avevano un racconto tremendo dietro alla loro presenza nel carro. Di certo nessuna si trovava lì per propria scelta.

E ora nessuna di loro avrebbe potuto scegliere niente nella propria vita.

“Dentro,” disse maestro Karg, gettando la donna in mezzo al resto delle altre ragazze. Sofia cercò di spingersi in avanti nel momento in cui la porta si aprì, ma le si richiuse subito in faccia prima che ci si potesse avvicinare. “Abbiamo un sacco di strada da fare.”

Sofia colse un accenno della strada nei suoi pensieri. Ci sarebbero stati numerosi percorsi in mezzo alla città, raccogliendo schiave che non erano più desiderate, apprendiste che erano riuscite a far arrabbiare i loro padroni. Ci sarebbe stato un viaggio fuori dalla città, nei villaggi di periferia, a nord fino alla città di Focolare, dove li aspettava un altro orfanotrofio. Dopodiché c’era una nave attraccata al limitare di Palude Infuocata.

Era un tragitto che avrebbe richiesto almeno un paio di giorni, e Sofia non aveva dubbio che le condizioni sarebbero state orrende. Il sole del giorno stava già trasformando il carro in uno spazio pieno di calore, sudore e disperazione. Quando il sole ebbe raggiunto il punto più alto, Sofia dubitava di poter essere capace di ragionare.

“Aiuto!” gridò Mellis alla gente in strada. Era ovviamente più coraggiosa di Sofia. “Non vedete cosa sta succedendo? Tu, Benna, mi conosci. Fai qualcosa!”

La gente continuava a camminare oltre, e Sofia vide quanto inutile fosse. Non interessava a nessuno, oppure nessuno aveva comunque l’impressione di poter veramente fare qualcosa. Non avrebbero infranto la legge per il bene di un pugno di ragazze vincolate che non erano certo diverse dalle altre che erano state vendute in città nel corso degli anni. Era possibile che anche alcuni dei presenti avessero le loro schiave o apprendiste sotto contratto. Chiedere aiuto a quel modo non avrebbe funzionato.

Ma Sofia aveva un’opzione che avrebbe potuto andare a buon fine.

“So che non volete intromettervi,” gridò, “ma se portate un messaggio al principe Sebastian e gli dite che Sofia è qui, non ho alcun dubbio che vi ricompenserà per…”

“Basta!” gridò maestro Karg, sbattendo l’impugnatura della sua frusta contro le sbarre. Sofia sapeva cosa la aspettava se fosse rimasta in silenzio, però, e non poteva accettarlo. Le venne in mente che le persone di strada della città non era forse le più adatte a dare loro aiuto.

“E voi?” gli gridò Sofia. “Potreste portarmi da Sebastian. Fate questo solo per i soldi, no? Beh, lui potrebbe farvi guadagnare bene con me, e avreste anche i ringraziamenti di un principe del regno. Mi voleva come fidanzata due giorni fa. Pagherebbe per la mia libertà.”

Poté vedere i pensieri di maestro Karg mentre considerava la cosa. Questo la fece rannicchiare indietro un istante prima che la frusta colpisse ancora le sbarre.

“È più probabile che ti prenda e non paghi un solo centesimo per te,” disse lo schiavista. “Sempre che ti voglia. No, guadagnerò con te in un modo più sicuro. Ci sono un sacco di uomini che vorranno farsi un giro con te, ragazza. Magari assaggerò un bocconcino anche quando ci fermeremo.”

La parte peggiore era che Sofia poteva vedere quanto fosse serio. Stava veramente pensando a quello mentre il carro si rimetteva in moto, dirigendosi fuori dalla città. Nel retro del carro Sofia non poté fare di meglio che serrare la propria mente al prospetto di quell’avvenire. Si rannicchiò insieme alle altre, e poté sentire il loro sollievo nel pensare che sarebbe stata lei, e non loro, la prescelta dal grassone per la notte.

Kate, implorò Sofia per quella che le sembrava la centesima volta. Ti prego. Ho bisogno del tuo aiuto.

Come tutte le altre volte il suo pensiero non ottenne risposta. Volò via nel buio del mondo, e Sofia non ebbe modo di sapere se fosse per lo meno arrivato al suo bersaglio. Era sola, e la cosa era terrificante, perché da sola Sofia sospettava di non poter fare nulla per evitare tutte le cose che stavano per accaderle.

CAPITOLO SETTE

Kate si allenò fino ad essere sicura di non potersi sobbarcare ulteriori morti. Fece pratica con lame e bastoni, scoccò frecce e lanciò coltelli. Corse e saltò, si nascose e uccise dall’ombra. Per tutto il tempo la sua mente era rivolta al cerchio di alberi e alla spada che vi si trovava al centro.

Poteva ancora sentire il dolore delle sue ferite. Siobhan aveva ricoperto i graffi delle spine e il taglio più profondo con erbe per aiutarne la guarigione, ma non avevano fatto nulla per fermare il dolore che ne scaturiva a ogni passo.

“Devi imparare a superare il dolore,” disse Siobhan. “Non permettere a niente di distrarti dai tuoi obiettivi.”

“Conosco il dolore,” disse Kate. La Casa degli Indesiderati le aveva insegnato parecchio al riguardo, almeno. C’erano stati momenti in cui era parso che quella fosse l’unica lezione che avessero da offrire.

“Allora devi imparare a usarlo,” disse Siobhan. “Non avrai mai i poteri di quelli come me, ma se puoi toccare una mente, puoi distrarla, puoi calmarla.”

Siobhan convocò allora le forme evanescenti di animali: orsi e gatti selvatici maculati, lupi e falchi. Colpivano Kate con velocità inumana, gli artigli letali come lame, i loro sensi tali da poterla trovare anche quando si nascondeva. L’unico modo di respingerli era gettare dei pensieri contro di essi, l’unico modo per nascondersi da loro e calmarli portandoli al sonno.

Ovviamente Siobhan non le insegnò questo con pazienza, ma facendola uccidere più e più volte fino a che Kate ebbe imparato quello di cui aveva bisogno.

E imparò. Lentamente, con il costante dolore del fallimento, imparò le abilità che le servivano nel modo in cui aveva imparato a nascondersi e a combattere. Imparò a deviare i falchi con lampi di pensiero, e a rendere la sua mente così immobile da apparire ai lupi come qualcosa di inanimato. Imparò anche ad ammansire gli orsi, cullandoli fino a farli addormentare con l’equivalente mentale di una ninna-nanna.

Per tutto il tempo Siobhan la guardò, sedendosi sui rami vicini o seguendola mentre Kate correva. Non sembrava avere mai la velocità di Kate, ma era sempre lì quando Kate aveva finito, apparendo da dietro un albero o da dentro i bui recessi di un cespuglio.

“Vorresti provare ancora il cerchio?” chiese Siobhan, mentre il sole si levava alto in cielo.

Kate aggrottò la fronte. Lo voleva più di ogni altra cosa, ma poteva anche sentire la paura che veniva a lei insieme a quel pensiero. Paura di ciò che sarebbe potuto accadere. Paura di ulteriore dolore.

“Pensi che sia pronta?” chiese Kate.

Siobhan allargò le braccia. “Chi può dirlo?” ribatté “Tu pensi di essere pronta? Nel cerchio trovi quello che ci porti tu stessa. Ricordatelo quando sarai là dentro.”

Da qualche parte in quel discorso c’era una decisione già presa, senza che Kate se ne fosse resa conto. Avrebbe riprovato il cerchio, a quanto pareva. Le ferite ancora in via di guarigione le facevano male al solo pensiero. Lo stesso attraversò la foresta insieme a Siobhan, cercando di concentrarsi.

“Ogni tua paura ti rallenta,” disse Siobhan. “Sei su un sentiero di violenza, e per percorrerlo non devi guardare né a destra né a sinistra. Non devi esitare, né per paura, né per dolore, né per debolezza. Ci sono quelli che se ne stanno seduti per anni diventando un tutt’uno con gli elementi, o che si tormentano alla ricerca della parola perfetta con cui influenzarli. Sul tuo sentiero, devi agire.”

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