Krog si dimenava e Reece vide che il quatterno che l’aveva morso era ancora attaccato alla sua gamba. Indra prese il suo pugnale e lo conficcò nella gamba di Krog, tra le sue grida, riuscendo ad estrarre l’animale, che cade al suolo e poi si rituffò in acqua.
“Ti odio!” le disse Krog furente.
“Bene,” rispose Indra, per niente scossa.
Reece guardò Conven che stava lì in piedi, gocciolante d’acqua, provando profondo rispetto per il suo coraggio. Conven lo guardò senza alcuna espressione in volto e Reece si accorse con sgomento che un quatterno gli stava attaccato al braccio e si scuoteva. Reece non poteva credere alla tranquillità e impassibilità di Conven che semplicemente allungò l’altra mano e strappò la creatura dal braccio rigettandola subito in acqua.
“Non ti ha fatto male?” gli chiese Reece confuso.
Conven scrollò le spalle.
Reece era sempre più preoccupato per Conven anche se ammirava il suo coraggio e non poteva credere alla sua assoluta mancanza di paura. Si era tuffato senza alcuna esitazione tra quelle creature feroci, non ci aveva pensato neanche due volte.
Dalla parte opposta del fiume centinai di Cerbiti erano fermi e li fissavano infuriati sbattendo i denti.
“Finalmente,” disse O’Connor, “siamo in salvo.”
Centra scosse la testa.
“Solo per ora. Quei Cerbiti sono furbi. Conoscono le anse del fiume. Prenderanno la via più lunga, ne seguiranno la corrente e troveranno il passaggio per attraversare. Saranno presto dalla nostra parte. Abbiamo poco tempo. Dobbiamo muoverci.”
Tutti seguirono Centra che iniziò a correre tra campi di fango ed esplosioni di geyser, facendosi strada nel mezzo di quel paesaggio esotico.
Continuarono a correre fino a che la nebbia si levò e Reece fu felice di vedere, di fronte a loro, la parete del Canyon con la sua antica pietra scintillante. Sollevò lo sguardo e quei muri di roccia gli apparvero incredibilmente alti. Non aveva idea di come avrebbero fatto a scalare fin lassù.
Reece rimase fermo con gli altri a guardare con timore. La parete sembrava ancora più imponente ora di quando erano discesi. Si guardò attorno e considerò le loro misere condizioni, chiedendosi ancora una volta se sarebbero stati in grado di arrampicarsi. Erano tutti esausti, ammaccati e feriti, stanchi dopo la battaglia. Avevano mani e piedi spellati. Come avrebbero mai potuto risalire il pendio se era stato talmente difficile anche solo scenderlo?
“Io non posso salire,” disse Krog, ansimante, con la voce spezzata.
Reece si sentiva allo stesso modo, ma non disse nulla.
Erano incastrati in un angolo. Erano scampati ai Cerbiti, ma non per molto ancora. Presto li avrebbero trovati e, trovandosi in minoranza numerica, sarebbero sicuramente stati uccisi. Tutto quel duro lavoro, tutti i loro sforzi, non erano valsi a nulla.
Reece non voleva morire lì. Non in quel luogo. Se doveva morire voleva che accadesse lassù, nella sua terra, nella sua patria, con Selese al suo fianco. Se solo gli venisse concessa un’altra possibilità di fuga.
Reece udì un rumore orribile e voltandosi vide i Cerbiti forse a un centinaio di metri da loro. Erano migliaia, avevano già oltrepassato il fiume e si stavano avvicinando.
Sguainarono tutti le armi.
“Non abbiamo nessun altro posto dove fuggire,” disse Centra.
“Allora combatteremo fino alla morte!” gridò Reece.
“Reece!” si udì una voce.
Reece sollevò lo sguardo verso la parete del Canyon e mentre la nebbia si diradava vide un volto che inizialmente pensò essere una visione. Non poteva crederci. Lì, di fronte a lui, si trovava la donna a cui aveva appena pensato.
Selese.
Cosa ci stava facendo lì? Come ci era arrivata? E chi era l’altra donna che si trovava con lei? Sembrava la guaritrice reale, Illepra.
Erano entrambe appese lì, sulla parete rocciosa, grazie a una lunga e spessa fune che era legata ai loro polsi e ai loro fianchi. Stavano scendendo velocemente scorrendo lungo un’altra fune spessa e lunga, di facile presa. Selese si allungò e ne lanciò a terra la parte rimanente che cadde di cinquanta metri buoni dall’alto, come la manna dal cielo, atterrando ai piedi di Reece.
Era la loro via di fuga.
Non esitarono. Corsero tutti verso la fune e nel giro di pochi istanti già si stavano arrampicando più veloci che potevano. Reece lasciò che tutti gli altri andassero prima di lui, poi saltò per ultimo e iniziò anche lui a risalire ritirandosi dietro la fune man mano che procedeva, così che i Cerbiti non potessero afferrarla.
Quando lasciò il terreno i Cerbiti apparvero, lo raggiunsero e saltarono verso i suoi piedi, ma lui era ormai fuori dalla loro presa.
Quando raggiunse Selese Reece si fermò, si chinò verso di lei e la baciò.
“Ti amo,” le disse, completamente pervaso dall’amore per lei.
“E io amo te,” gli rispose lei.
I due si voltarono e ricominciarono a risalire la parete del Canyon insieme agli altri. Si arrampicarono sempre più in alto. Presto sarebbero stati a casa. Reece stentava a crederci.
A casa.
CAPITOLO QUATTRO
Alistair si lanciò di corsa nel mezzo del caotico campo di battaglia, facendosi strada tra i soldati mentre combattevano con tutte le loro forze contro l’esercito di morti viventi che saliva tutt’attorno a loro. Gemiti e grida squarciavano l’aria mentre i soldati uccidevano gli spettri demoniaci e questi ultimi, a loro volta, uccidevano i soldati. Gli uomini dell’Argento, dei MacGil e dei Silesiani lottavano valorosamente, ma erano in terribile minoranza numerica. Per ogni morto vivente che uccidevano ne apparivano altri tre. Era solo questione di tempo, da quanto Alistair poteva vedere, e poi tutto il suo popolo sarebbe stato spazzato via.
Alistair accelerò, correndo con tutta se stessa, con i polmoni che le facevano male. Si abbassò di fronte a un morto vivente che cercò di colpirla al volto e gridò quando un altro riuscì a graffiarle un braccio facendola sanguinare. Ma non si fermò a combattere contro di loro. Non c’era tempo, doveva trovare Argon.
Correva verso la direzione dove l’aveva visto l’ultima volta, quando aveva lottato contro Rafi ed era poi collassato per lo sforzo. Pregò che non fosse morto e di poterlo sollevare. Prego di riuscire a farcela prima che lei e tutta la sua gente venissero uccisi.
Un morto vivente le apparve davanti, bloccandole la strada, ma lei tese una mano in avanti e una palla di luce bianca lo colpì al petto, mandandolo al suolo.
Ne comparvero altri cinque e lei tese di nuovo il braccio davanti a sé. Ma questa volta riuscì a generare solo una palla di luce e gli altri quattro la accerchiarono. Con sorpresa si rese conto che i suoi poteri erano limitati.
Alistair si preparò all’attacco mentre i quattro morti viventi le si stringevano attorno, ma sentì un ruggito e voltandosi vide Krohn che le balzava accanto e affondava le sue zanne nelle gole degli aggressori. I morti viventi si concentrarono contro di lui e Alistair poté fuggire. Diede una gomitata a uno di essi e lo mandò al tappeto, quindi continuò a correre.
Si fece strada a spintoni nel mezzo del caos, disperata mentre quei demoni diventavano sempre più numerosi e i suoi iniziavano ad arretrare. Mentre si abbassava e schivava i colpi, alla fine arrivò a una radura, il posto dove ricordava di aver visto Argon.
Perlustrò il terreno, disperata, e alla fine, tra i cadaveri, lo trovò. Giaceva lì a terra, accasciato al suolo, rannicchiato come una palla. Si trovava in uno spiazzo sgombero ed aveva evidentemente lanciato un incantesimo perché nessuno potesse toccarlo. Era privo di conoscenza e quando Alistair gli corse accanto sperò e pregò che fosse ancora vivo.
Quando fu più vicina si sentì avvolta e protetta dalla sua bolla magica. Si inginocchiò accanto a lui e fece un respiro profondo, finalmente al sicuro dalla battaglia che le imperversava attorno, trovando un attimo di tregua nell’occhio del ciclone.
Eppure Alistair era anche pervasa dal terrore mentre guardava Argon a terra: giaceva immobile, con gli occhi chiusi, e sembrava non respirasse. Fu presa dal panico.
“Argon!” gridò scuotendogli le spalle con entrambe le mani, tremando. “Argon, sono io! Alistair! Svegliati! Devi svegliarti!”
Argon rimase fermò lì, senza dare alcuna risposta, mentre attorno a loro la battaglia si stava intensificando.
“Argon, ti prego! Abbiamo bisogno di te. Non siamo in grado di combattere la magia di Rafi. Non abbiamo le tue abilità. Ti prego, torna da noi. Per l’Anello. Per Gwendolyn. Per Thorgrin.”
Alistair lo scosse ancora, ma lui non rispose.
Nella disperazione le venne un’idea. Mise entrambe le mani sul suo petto, chiuse gli occhi e si concentrò. Raccolse tutta la sua energia interiore, se mai ne era rimasta, e lentamente sentì che le mani le si scaldavano. Quando riaprì gli occhi vide che dai palmi veniva emanata una luce blu che si stava diffondendo sul petto e sulle spalle di Argon. Presto tutto il corpo del druido ne fu avvolto. Alistair stava facendo uso di un antico incantesimo che aveva imparato in passato e che serviva per ridare vita ai malati. La stava sfinendo e sentiva che l’energia stava abbandonando il suo corpo. Stava diventando sempre più debole, ma voleva che Argon tornasse in sé.
Alistair collassò, esausta per lo sforzo, e rimase stesa al fianco di Argon, troppo debole per muoversi.
Percepì del movimento e sollevando lo sguardo vide sbalordita che Argon iniziava a spostarsi.
Si mise a sedere e si voltò verso di lei, gli occhi scintillanti e pieni di un’intensità che quasi la spaventò. La fissò, il volto privo di espressione, poi allungò una mano, afferrò il suo bastone e si rimise in piedi. Si chinò verso di lei, le afferrò una mano e senza alcuno sforzo la tirò in piedi.
Mentre le teneva la mano Alistair sentì che tutta la sua energia veniva rinvigorita.
“Dov’è lui?” chiese Argon.
Poi non attese alcuna risposta, era come se sapesse esattamente dove c’era bisogno che andasse. Quindi si voltò, con il bastone saldo in mano, e si inoltrò verso il fitto della battaglia.
Alistair non poteva capire come Argon non esitasse neppure un poco aggirandosi a quel modo tra i soldati. Poi si rese conto del perché: era in grado di generare una bolla magica attorno a sé mentre camminava e quando i morti viventi si lanciavano contro di lui da ogni parte non erano in grado di penetrarla. Alistair si tenne stretta a lui mentre avanzava senza paura, rimanendo incolume nel bel mezzo dei combattimenti, come se stesse semplicemente passeggiando in un prato in una giornata di sole.
Entrambi si fecero strada attraverso il campo di battaglia e Argon rimase sempre in silenzio, camminando avvolto nel suo lungo mantello bianco e coperto dal suo cappuccio, avanzando così velocemente che Alistair faceva fatica a tenere il passo.
Alla fine si fermò al centro della battaglia, in uno spazzo di fronte a Rafi. Rafi era ancora lì, con entrambe le braccia aperte ai lati, gli occhi ruotati indietro mentre continuava a richiamare migliaia di morti viventi che si riversavano sulla terra emergendo dal precipizio.
Argon sollevò una sola mano sopra la propria testa, con il palmo rivolto verso il cielo, e sgranò gli occhi.
“RAFI!” gridò con tono di sfida.
Nonostante l’assordante rumore, il grido di Argon oltrepassò i suoni della battaglia e riverberò fino alle colline.
Quando Argon urlò, improvvisamente le nuvole si divisero sopra la sua testa. Un’ondata di luce bianca scese dal cielo, proprio verso il palmo di Argon, come se ci fosse una connessione tra lui e i cieli. Il fascio di luce divenne sempre più ampio, come un tornado, e avvolse il campo di battaglia e tutto ciò che si trovava attorno a lui.
Si formò un vento potente e si udì un forte fruscio. Alistair guardava incredula mentre sotto di lei la terra iniziava a tremare ancora più violentemente e l’enorme precipizio iniziava a stringersi richiudendosi lentamente.
Mentre la terra si richiudeva su se stessa decine di morti viventi gridavano, schiacciati mentre cercavano di strisciare fuori.
Nel giro di pochi istanti centinaia di morti viventi stavano scivolando, incespicando e precipitando di nuovo nella terra, mentre la spaccatura si faceva sempre più stretta.
La terra si scosse un’ultima volta, poi tutto tacque e la spaccatura fu finalmente del tutto ricucita, il terreno di nuovo compatto, come se nessuna fessura fosse neanche mai comparsa. L’aria era pregna delle orribili grida dei morti viventi che giungevano attutite da sotto la superficie terrestre.
Seguì un silenzio sbalordito, un momento di stallo nella battaglia mentre tutti stavano fermi a guardare.
Rafi gridò e si voltò posando gli occhi su Argon.
“ARGON!” gridò Rafi.
Era giunto il momento dello scontro finale tra quei due grandiosi titani.
Rafi corse nello spiazzo, tenendo alto il suo bastone rosso, ed Argon non esitò, lanciandoglisi contro.
I due si trovarono al centro, ciascuno con il proprio bastone sollevato sopra la testa. Rafi calò il suo contro Argon, che parò il colpo con il proprio. Ne scaturì una forte luce bianca, come scintille, quando i due bastoni si scontrarono. Argon rispose al colpo e questa volta fu Rafi a parare.
Proseguirono colpo dopo colpo nel combattimento, attaccando e parando, emanando luce bianca da tutte le parti. La terra tremava ad ogni colpo e Alistair percepiva un’energia monumentale nell’aria.
Alla fine Argon trovò via libera e roteando il bastone dal basso verso l’alto, mandando in frantumi il bastone di Rafi.
Il suolo si scosse violentemente.
Argon fece un passo avanti, sollevò alto il proprio bastone con entrambe le mani e lo abbassò con forza verso il petto di Rafi.
Rafi emise un grido orribile e migliaia di piccoli pipistrelli uscirono volando dalla sua bocca mentre teneva la mandibola spalancata. Il cielo si fece nero per un momento con nuvole nere che si raggrupparono proprio sopra la testa di Rafi, vorticando verso terra. Lo inghiottirono e Rafi ululò mentre lo sollevavano in aria facendolo ruotare, diretto verso un orribile destino che Alistair neanche voleva immaginare.
Argon rimase fermo, respirando affannosamente, mentre tutto finalmente tornava quieto dopo la morte di Rafi.
L’esercito di morti viventi levò delle grida mentre uno alla volta i demoni si disintegravano davanti agli occhi di Argon, cadendo a terra in cumuli di cenere. Presto il campo di battaglia fu disseminato da migliaia di cumuli, tutto ciò che rimaneva degli incantesimi di Rafi.
Alistair scrutò il campo di battaglia e vide che solo una lotta stava ancora continuando: dall’altra parte del campo suo fratello Thorgrin stava già affrontando suo padre Andronico. Alistair sapeva che nel combattimento che stava per verificarsi uno di quei due uomini forti e determinati avrebbe perso la propria vita: suo fratello o suo padre. Pregò che fosse suo fratello a uscirne vivo.
CAPITOLO CINQUE
Luanda giaceva a terra ai piedi di Romolo mentre guardava con orrore le migliaia di soldati dell’Impero che invadevano il ponte, gridando di trionfo mentre si riversavano nell’Anello. Stavano invadendo la sua terra, e non c’era nulla che lei potesse fare se non starsene lì, inutile, a guardare chiedendosi se in qualche modo fosse stata tutta colpa sua. Non poteva fare a meno di sentirsi responsabile se lo Scudo era stato alla fine disattivato.