La scontrosità di Emily lasciò il posto all’imbarazzo. Arrossì.
“Non è riuscita ad accendere la caldaia, vero?” disse Daniel. C’era un ironico sorriso sulle labbra che diceva a Emily che era quasi divertito dalla situazione.
“Non ne ho ancora avuto il tempo,” rispose in modo arrogante, cercando di salvare la faccia.
“Vuole che le mostri come si fa?” le chiese, quasi pigramente, come se farlo gli fosse indifferente.
“Lo farebbe?” chiese Emily, un po’ scioccata e confusa che le avesse offerto il suo aiuto.
Lui avanzò di un passo sul tappetino di benvenuto. Fiocchi di neve si alzarono dalla sua giacca, creando una piccola tempesta di neve nell’ingresso.
“Preferirei farlo io, piuttosto che vederla rompere qualcosa,” disse come spiegazione, con un’alzata di spalle.
Emily notò che la neve che cadeva fuori dal portone aperto si era trasformata in una specie di bufera. Per quanto non volesse ammetterlo, era molto più che grata che Daniel si fosse fatto vivo in quel momento. Altrimenti probabilmente sarebbe morta congelata durante la notte.
Chiuse la porta e i due percorsero il corridoio fino alla porta della cantina. Daniel si era preparato. Tirò fuori una pila, illuminando le scale che scendevano. Emily lo seguì dabbasso, un po’ spaventata dal buio e dalle ragnatele mentre scendevano nelle tenebre. Aveva avuto terrore della vecchia cantina da piccola, e raramente si era avventurata laggiù. Il luogo era pieno di vecchi macchinari e aggeggi che facevano funzionare la casa. La loro vista la schiacciò e fece sì che si chiedesse ancora una volta se venire lì fosse stato un errore.
Per fortuna, Daniel accese la caldaia in pochi secondi, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Emily non poté fare a meno di sentirsi un po’ disturbata dal fatto di aver avuto bisogno di un uomo quando la sola ragione per cui era venuta qui era innanzitutto riguadagnarsi la sua indipendenza. Capì che nonostante la forte sensualità di Daniel e l’innegabile attrazione che provava nei suoi confronti, doveva andarsene al più presto. Sarebbe stato difficile intraprendere un viaggio alla scoperta di se stessa con lui lì dentro. Averlo nella sua terra era un problema sufficiente.
Finito con la caldaia, lasciarono entrambi la cantina. Emily fu sollevata di trovarsi fuori da quel luogo umido e ammuffito e di trovarsi di nuovo nella zona principale della casa. Seguì Daniel mentre attraversava l’ingresso fino alla dispensa dietro alla cucina. Si mise subito a lavorare per drenare le tubature.
“Sa come scaldare la casa per tutto l’inverno?” le chiese da sotto il piano di lavoro. “Perché altrimenti congeleranno.”
“Resto solo per il weekend,” rispose Emily.
Daniel si trascinò fuori dal banco e sedette, i capelli increspati alti sulla testa. “Non deve incasinare una casa così vecchia,” disse, scuotendo la testa.
Ma sistemò comunque l’acqua.
“Allora dov’è il caldo?” chiese Emily non appena ebbe finito. Faceva ancora freddissimo, nonostante la caldaia fosse accesa e i tubi ormai sbloccati. Si massaggiò le braccia per agevolare la circolazione.
Daniel rise, pulendosi le mani sporche con un asciugamano. “Non è che comincia a funzionare così, per miracolo, sa. Deve farsi portare il gasolio. Tutto quello che potevo fare era accenderla.”
Emily sospirò di frustrazione. Quindi Daniel non era poi quel cavaliere dall’armatura scintillante che aveva pensato che fosse.
“Ecco,” disse Daniel allungandole un biglietto da visita. “Quello è il numero di Eric. Glielo porterà lui.”
“Grazie,” borbottò. “Ma non credo che arriverà fin qui.”
Pensò al suo telefonino, alle barre vuote, e si ricordò di quanto assolutamente sola fosse.
“C’è un telefono a pagamento alla fine della strada,” disse Daniel. “Ma io non rischierei di andar lì nel bel mezzo di una bufera. E comunque ora saranno chiusi.”
“Certo,” borbottò Emily, sentendosi frustrata e completamente disorientata.
Daniel doveva aver notato che Emily era seccata e che si sentiva avvilita. “Posso accenderle un fuoco,” si offrì, facendo un cenno con la testa in direzione del salotto. Le sopracciglia si sollevarono con un’aria di attesa, quasi timidamente, dandogli improvvisamente l’aspetto di un bambino.
Emily voleva protestare, dirgli di lasciarla sola nella gelida casa perché era il minimo che si meritava, ma qualcosa dentro di lei la fece esitare. Forse era il fatto che avere Daniel in casa la faceva sentire d’un tratto meno sola, meno tagliata fuori dalla civiltà. Non si era aspettata di non avere telefono, nessuna possibilità di comunicare con Amy, e la realtà di trascorrere la sua prima notte da sola nella casa fredda e buia era spaventosa.
Daniel doveva aver colto la sua esitazione, perché uscì a grandi passi dalla stanza prima che lei avesse il tempo di aprire la bocca e dire qualcosa.
Lei lo seguì, silenziosamente grata che fosse stato in gradi di leggerle la solitudine negli occhi e che si fosse offerto di rimanere, anche se in veste di addetto al fuoco. Trovò Daniel nel soggiorno, occupato a costruire un’ordinata pila di frasche, braci e legna nel caminetto. Venne colpita improvvisamente da un ricordo del padre, accucciato davanti al caminetto che con mani esperte accendeva fuochi, con tanta cura e tanto tempo come chi stia creando un’opera d’arte. Lei lo aveva guardato farlo centinaia di volte, e le aveva amate tutte. Trovava il fuoco ipnotico e avrebbe trascorso ore sul tappeto lì davanti, guardando le fiamme arancioni e rosse danzare, seduta per così tanto tempo che il calore le avrebbe pizzicato la faccia.
L’emozione si arrampicò lungo la gola di Emily, minacciando di soffocarla. Pensare a suo padre, vedere così chiaramente il ricordo nella mente, le fece sgorgare dagli occhi lacrime a lungo soppresse. Non voleva piangere davanti a Daniel, non voleva sembrare una donzella patetica e indifesa. Quindi racchiuse di nuovo le emozioni dentro di sé ed entrò decisa nella stanza.
“In realtà un fuoco lo so accendere,” disse a Daniel.
“Ah, davvero?” rispose Daniel, guardandola con un sopracciglio alzato. “Prego.” Le porse i fiammiferi.
Emily li agguantò e ne accese uno, e la piccola fiamma arancione le tremolava tra le dita. La verità era che aveva sempre e solo guardato suo padre accendere il fuoco; lei non ne aveva mai acceso uno. Ma riusciva a vedere nel ricordo in modo così vivido come farlo che si sentiva fiduciosa. Quindi si inginocchiò e preparò il fuoco con i pezzi di frasche che Daniel aveva disposto sul fondo del caminetto. Nel giro di qualche secondo il fuoco si accese, facendo il familiare whomp che suonava confortante e nostalgico per lei come tutto quello che l’immensa casa conteneva. Si sentì molto orgogliosa di sé quando le fiamme cominciarono a crescere. Ma invece di salire per la canna fumaria, il fumo nero si levava a ondate all’interno della stanza.
“CAZZO!” urlò Emily quando lingue di fumo la avvolsero.
Daniel si mise a ridere. “Pensavo che sapesse come accendere un fuoco,” disse aprendo la canna fumaria. Le lingue di fumo vennero immediatamente risucchiate dal camino. “Ta-da,” aggiunse con un largo sorriso.
Mentre il fumo attorno a lei si disperdeva, Emily gli lanciò un’occhiata irritata, troppo orgogliosa per ringraziarlo dell’aiuto di cui aveva avuto così chiaramente bisogno. Ma era un sollievo stare finalmente al caldo. Sentiva ripartire la circolazione, e il calore le tornò alle dita dei piedi e al naso. Le dita rigide le si sciolsero.
Con la luce del fuoco, il soggiorno era illuminato e inondato da una lieve luce arancione. Emily riusciva finalmente a vedere tutto l’antico mobilio di cui suo padre aveva riempito la casa. Diede un’occhiata intorno, agli oggetti squallidi e trascurati. L’alta libreria stava in un angolo, una volta piena zeppa di libri che aveva letto durante le infinite giornate estive, ora ne rimanevano solo pochi. Poi c’era il vecchio pianoforte a coda alla finestra. Nessun dubbio che fosse scordato ormai, ma una volta suo padre suonava le canzoni perché lei le cantasse. Suo padre era stato così orgoglioso della casa, e vederla adesso, con la luce brillante che ne rivelava la decadenza, la turbò.
I due divani erano coperti da lenzuola bianche. Emily pensò di toglierle, ma sapeva che avrebbe creato una nuvola di polvere. Dopo quella di fumo, non era sicura che i suoi polmoni avrebbero potuto permettersela. E comunque, Daniel sembrava piuttosto comodo seduto sul pavimento accanto al caminetto, quindi si sistemò accanto a lui.
“Dunque,” disse Daniel, scaldandosi le mani al fuoco. “Alla fine un po’ di caldo l’abbiamo tirato fuori. Ma non c’è corrente in casa e dubito che lei abbia pensato di mettersi in valigia una lanterna o una candela.”
Emily scosse la testa. Aveva riempito la valigia di cose frivole, niente di utile, niente che davvero aveva bisogno di portarsi qui.
“Papà aveva sempre candele e fiammiferi,” disse. “Era preparato. Credo che mi aspettassi di trovarne una credenza ancora piena, ma dopo vent’anni…”
Si zittì, improvvisamente conscia di aver parlato di suo padre a voce alta. Non era qualcosa che faceva spesso, di solito teneva i sentimenti nei suoi confronti nascosti nel profondo di se stessa. La facilità con cui ne aveva parlato la scioccò.
“Possiamo rimanere qui allora,” disse Daniel dolcemente, accorgendosi che Emily stava provando un’emozione dolorosa del passato. “Vicino al fuoco c’è abbastanza luce per vedere. Vuole del tè?”
Emily si accigliò. “Tè? E come lo vuol fare senza corrente?”
Daniel sorrise come se avesse accettato una specie di sfida. “Guardi e impari.”
Si alzò e scomparve dal grande soggiorno, tornando pochi minuti dopo con un pentolino rotondo che sembrava un calderone.
“Che cos’ha lì?” chiese Emily, curiosa.
“Oh, solo il miglior tè della sua vita,” disse sistemando il calderone sulle fiamme. “Non si sa cosa sia il tè finché non si è bevuto un tè scaldato sul fuoco.”
Emily lo guardava, e il modo in cui la luce del fuoco danzava sui suoi lineamenti li accentuava rendendolo anche più attraente. La concentrazione che dedicava tutta al suo lavoro aggiungeva fascino. Emily non poteva fare a meno di meravigliarsi di fronte al suo senso pratico, alle sue risorse infinite.
“Ecco,” disse porgendole una tazza e riportandola dalle sue fantasticherie alla realtà. Guardò con aria di attesa mentre beveva il suo primo sorso.
“Oh, è davvero buono,” disse Emily, sollevata almeno di levarsi il freddo dalle ossa.
Daniel cominciò a ridere.
“Che c’è?” lo sfidò Emily.
“Non l’avevo ancora vista sorridere, ecco tutto,” rispose.
Emily distolse lo sguardo, sentendosi improvvisamente in imbarazzo. Daniel era l’uomo più diverso da Ben che potesse esistere, eppure l’attrazione che provava nei suoi confronti era potente. Forse in un altro luogo, in un altro momento, si sarebbe abbandonata al desiderio. Era stata solo con Ben per sette anni, dopotutto, e si meritava un po’ di attenzione, un po’ di eccitazione.
Ma quello non era il momento giusto. Non con quello che stava accadendo, con la sua vita che era un casino totale in sconvolgimento, e con i ricordi di suo padre che le vorticavano nella mente. Ovunque guardasse, le sembrava di vedere la sua ombra; seduto sul divano con una giovane Emily raggomitolata al suo fianco, a leggere un libro a voce alta; che irrompeva in casa tutto raggiante per aver trovato un antico pezzo di antiquariato al mercatino delle pulci, per poi trascorrere ore e ore a pulirlo, a riportarlo alla sua gloria passata. Dov’erano tutte queste antichità adesso? Tutte le statuette e le opere d’arte, il vasellame commemorativo e le posate dell’epoca della Guerra Civile? La casa non se n’era rimasta ferma, congelata, come nei suoi ricordi. Il tempo aveva preteso il suo tributo sulla proprietà in un modo che lei non aveva preso in considerazione.
Un’altra ondata di dolore si abbatté su Emily quando si guardò intorno nella stanza polverosa e disordinata che una volta traboccava di vita e risate.
“Come si è ridotto così questo posto?” scattò d’un tratto, incapace di sopprimere il tono accusatorio dalla voce. Si accigliò. “Voglio dire, lei dovrebbe prendersene cura, no?”
Daniel trasalì, come sorpreso dalla sua improvvisa aggressività. Appena un istante prima avevano condiviso un momento dolce e tenero. Secondi dopo lei gli urlava contro. Daniel le diede un’occhiataccia fredda. “Faccio del mio meglio. È una casa grande. E io sono da solo.”
“Scusi,” disse Emily tornando subito sui suoi passi, non volendo essere assolutamente la causa dell’espressione divenuta tetra di Daniel. “Non era mia intenzione attaccarla. Volevo solo…” Guardò la tazza e mescolò le foglie di tè. “Questo posto sembrava uscito da una favola quando ero bambina. Era così maestoso, sa? Così bello.” Alzò lo sguardo e scorse Daniel guardarla attentamente. “È solo che è triste vederlo così.”
“Che cosa si aspettava?” rispose Daniel. “È rimasto abbandonato per vent’anni.”
Emily distolse lo sguardo con tristezza. “Lo so. Probabilmente volevo immaginarlo sospeso nel tempo.”
Sospeso nel tempo, come l’immagine di suo padre che aveva in mente. Aveva ancora quarant’anni, non era invecchiato di un giorno, identico all’ultima volta che l’aveva visto. Ma in qualunque luogo si trovasse, il tempo doveva averlo toccato così come aveva fatto con la casa. La determinazione di Emily di sistemare la casa durante il weekend si fece ancora più forte. Non voleva niente di più che riportarla, anche se solo leggermente, alla sua vecchia gloria. Forse farlo sarebbe stato come riportare suo padre da lei. Poteva farlo in suo onore.
Emily bevve l’ultimo sorso di tè e mise giù la tazza. “Dovrei andare a letto,” disse. “È stata una giornata lunga.”
“Certo,” rispose Daniel, mettendosi in piedi. Si mosse veloce, lasciando la stanza e uscendo sul corridoio fino a raggiungere il portone, lasciando che Emily lo tallonasse. “Mi chiami quando è nei guai, okay?” aggiunse. “Sono nella rimessa che sta laggiù.”
“Non ne avrò bisogno,” disse Emily con sdegno. “Posso fare da sola.”
Daniel aprì la portone, lasciando che la neve ristoratrice entrasse. Si raccolse nella giacca, poi guardò indietro, al di sopra della spalla. “L’orgoglio non la porterà lontano qui, Emily. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto.”
Voleva urlargli qualcosa, litigare, rifiutare la sua affermazione che lei fosse troppo orgogliosa, ma invece gli guardò la schiena mentre lui spariva nella buia neve che vorticava, incapace di parlare, la lingua completamente legata.
Emily chiuse la porta, chiudendo fuori il mondo esterno e la furia della bufera. Ora era completamente sola. La luce si riversava nell’ingresso dal fuoco nel soggiorno, ma non era abbastanza intensa da raggiungere le scale. Guardò su la lunga scala di legno sparire nel buio. A meno che non fosse preparata a dormire su uno dei divani impolverati, avrebbe dovuto trovare il coraggio di avventurarsi di sopra nel buio pesto. Si sentì di nuovo una bambina, impaurita all’idea di scendere nella cantina piena di ombre, inventandosi ogni genere di mostri e cose macabre che la stavano ad aspettare là sotto per prenderla. Solo che ora era una donna adulta di trentacinque anni, troppo spaventata all’idea di salire di sopra perché sapeva che la vista dell’abbandono era peggiore di qualsiasi mostro che la sua mente riuscisse a creare.
Invece Emily tornò nel soggiorno per assorbire l’ultimo calore dal fuoco. C’erano ancora alcuni libri sulla libreria – Il giardino segreto, Cinque bambini e la cosa – dei classici che suo padre le leggeva. Ma il resto? Dov’erano finite le cose di suo padre? Erano scomparse in un luogo sconosciuto così come aveva fatto lui.
Mentre le braci si spegnevano l’oscurità la avvolgeva, in accordo con il suo umore tetro. Non poteva più ignorare la stanchezza; era venuto il momento di salire quei gradini.