Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì - Ana Escudero 2 стр.


Uscì dalla stanza e andò dalla signora:

– Mi scusi, ha visto passare di qui un bambino?

– Be', a dire il vero non ci ho fatto caso. L'ha perso?

– No. E il dentista? L'ha visto?

– Non è passato di qui. Che succede? Io avevo un appuntamento per le nove e mezza ed è già passato parecchio tempo.

Peter non rispose, iniziò ad aprire alcune porte, mentre chiamava suo figlio.

– Alexis! Alexis! Dove diavolo sei? Guarda che mi arrabbierò se non ti fai vedere subito.

III – Indagine nella clinica

Allora si ricordò di Sultán e andò a cercarlo. Sultán stava aspettando pazientemente vicino alla porta della clinica.

– Sultán, vieni. Hai da fare. Devi cercare Alexis.

Sultán si alzò, sbadigliò e si stirò prima di avvicinarsi a Peter.

– Bau? – chiese interrogativo.

– Cerca, Sultán! Cerca! – gli chiese Peter.

Come aveva perso il bambino? Cosa aveva fatto quello sciocco per perderlo?

Peter lasciò entrare Sultán nello studio davanti allo sguardo accusatorio della paziente successiva.

Sultán raggiunse la stanza dov'erano prima e abbaiò forte poiché non gli piaceva quel posto, gli ricordava quando lo portavano dal veterinario.

– Sultán, smettila di perdere tempo e cerca Alexis.

Sultán si diresse verso la porta dalla quale erano spariti e poi verso una seconda porta che era chiusa.

Sollevò la zampa per abbassare la maniglia. La porta si aprì, permettendo a Sultán e a Peter di entrare in un'altra stanza, anch'essa vuota. Dove potevano essere?

Peter aprì l'unica porta che c'era e si trovò faccia a faccia con suo fratello. L'espressione di preoccupazione lo allertò, conosceva abbastanza bene Peter per sapere che stava succedendo qualcosa.

– Cosa ci fai ancora qui? È da un po' che il dottore se n'è andato.

– Cosa hai fatto con Alexis? Sicuramente sei stato tu!

– Alexis? – chiese pensieroso —. No, non l'ho visto.

– Non mentire! L'hai visto e l'hai sequestrato.

– L'hai perso? Sicuramente è da queste parti. Hai guardato in bagno?

– No.

– Allora andiamo a vedere. Vieni, andiamoci insieme.

Peter seguì suo fratello con un'espressione incerta fino alla porta del gabinetto. L'Esattore l'aprì e invitò Peter a entrare per primo.

La luce del bagno era spenta. Peter premette l'interruttore e la lampadina che penzolava dal soffitto illuminò la piccola stanza.

Sultán abbaiò varie volte, il suo olfatto l'aveva condotto alla porta d'emergenza.

– Andiamo, Peter! Adesso non è il momento di pisciare – gli disse l'Esattore quando vide Peter che si slacciava i bottoni dei pantaloni.

– Lasciami fare la pipì. Bisogna approfittare del momento.

– Sei proprio un bambino.

Peter si allacciò i bottoni e si lavò le mani.

– Non vuoi pisciare? Dovresti approfittarne anche tu.

Nel frattempo Sultán stava abbaiando senza sosta. Cosa stavano aspettando quegli stupidi umani?

Peter uscì dal bagno ed esclamò:

– Andiamo! Sultán sta abbaiando.

Sultán vide apparire i due umani, era ora!

L'Esattore aprì la porta che dava accesso a delle scale e alla fine a un'altra porta che dava sulla strada. Sultán si diresse sicuro verso questa seconda porta e aspettò finché qualcuno l'aprisse mettendosi di fianco ed emettendo un breve latrato.

– Non può essere uscito in strada! – esclamò Peter preoccupato —. Sa che non deve uscire da solo.

– La questione è se sia uscito di sua spontanea volontà o se l'abbiano obbligato.

– Obbligato? Chi l'avrebbe obbligato? Tu, tu, sapevo che sei stato tu!

– Come faccio a essere stato io se sono qui ad aiutarti? Non essere sciocco, fratellino.

– Hai mandato qualcuno. Hai dei servi persino all'inferno.

– È vero che le cose sarebbero potute andare così. L'hai pensata bene, Peter.

– Bau, bau, bau – abbaiò Sultán furioso. Perché agli umani piaceva così tanto perdere tempo?

L'Esattore aprì la porta e uscì fuori, seguito da Peter e Sultán.

La macchina dell'Esattore era parcheggiata lì vicino, così tutti e tre corsero verso di essa. Qualche secondo dopo l'Esattore accese il motore.

– Alexis è uscito dietro il dentista – ricordò Peter —, che mi ha lasciato un buco, e sì che Vivian diceva che era il migliore della città.

– Spiegami, Peter, cos'è successo? Dov'è andato il dentista?

– Non lo so. C'è stata un'esplosione, non l'hai sentita? E all'improvviso mi sono trovato solo.

– Ti spieghi proprio male. Pensa che quello che mi dici può aiutarci a trovare Alexis. Spiegami tutto quello che è successo nella clinica.

– Siamo entrati. Alexis era molto contento. L'infermiera era al banco e poi ha preso il telefono.

– Non ce n'è bisogno – iniziò a dire l'Esattore per poi aggiungere —, ma continua, cos'altro?

– L'infermiera ha detto che potevamo entrare, ma io non potevo fare un passo. Osservavo Alexis che mi stava tirando, ma io non volevo entrare.

– Tuo figlio dev'essere un santo per sopportarti. Cos'altro è successo quando hai smesso di fare lo sciocco?

– Ho inspirato e ho espirato… ho inspirato e ho espirato… – ripeté Peter tante volte quante l'aveva fatto nello studio.

– Se continui a spiegare le cose di questo passo, faremo notte. Accelera!

– Dopo aver fatto la revisione ad Alexis, ha insistito affinché mi sedessi io e poi ha insistito sul fatto che avevo un molare cariato e che doveva otturarlo.

– Ed era vero?

– No, ma mi ha minacciato che me l'avrebbe tolto un dentista sadico. Dopo un po' c'è stata l'esplosione.

– Esplosione? Che esplosione?

– Non dirmi che non l'hai sentita! È stata molto forte, anche se è sembrata lontana. Boom!

– Io ho sentito come dei rimbombi, mi sono sembrati più dei fuochi d'artificio che un'esplosione, ma adesso che ci penso ti do ragione.

– Bene. Be', il dottore ordinò all'infermiera di portare Alexis in un'altra stanza e poco dopo ho sentito una sedia muoversi, come se qualcuno si stesse alzando, ho sentito una porta aprirsi e dei passi – ricordò Peter – e poi silenzio.

– Ma Alexis è andato nell'altra stanza o no? Perché mi sembra che tu abbia detto che è andato a cercare il dottore.

– Questo è successo dopo. Alexis è uscito a cercare il dottore e anch'io. – La suoneria del cellulare lo interruppe —. È Vivian! Cosa le dico?

– La verità. È tua moglie e la madre di Alexis.

– Non posso dirle la verità. Si arrabbierà molto.

– Con ragione, non credi?

– Io non posso dirglielo, sarà meglio che glielo dica tu. Con te non si arrabbierà.

– Che non mi tocchi portare questa croce! – rispose l'Esattore, dopodiché prese il telefono e rispose: – Vivian, ciao. Adesso ti passo tuo marito. – E tese il cellulare a Peter.

– Ciao, Vivian, cosa vuoi?

– Peter, hai lasciato qui la tessera sanitaria di Alexis.

– Eh? Cosa? – rispose Peter, che non si aspettava quella risposta.

– La receptionist non te l'ha chiesta?

– No. Siamo passati direttamente nello studio.

– Allora te la chiederà quando uscirete. E Alexis?

– Sta bene. Sai, credo che manderò l'Esattore a prenderla. Ci ha accompagnato fin qui – le comunicò di fronte allo sguardo di rimprovero di quest'ultimo.

– Buona idea. Frans gli aprirà la porta.

– Vuoi dirmi qualcos'altro? No? – E riattaccò senza dare tempo a Vivian di reagire.

– Ho guadagnato un po' di tempo. Mentre tu vai a prendere la tessera, io e Sultán cerchiamo Alexis.

– Sai già dove cercarlo? Hai qualche piano?

– No, però magari qualcuno l'ha visto. Ho una foto sul cellulare – disse facendogliela vedere.

– Solo una? Bel padre! Anch'io ho delle foto di Alexis sul cellulare essendo suo zio.

– I miei genitori hanno avuto solo un figlio, cioè me. Dopo tanti anni credevo che ti fosse chiaro.

– È vero? Ne sei sicuro? Tua madre mi ha sempre trattato molto bene.

– Mia madre tratta tutti bene. È stata una madre in affidamento, lo sapevi?

– Credi che sia un momento opportuno per affrontare questo argomento? Non hai in ballo qualcosa di più importante?

– È vero! Corri, vai a casa. Io e Sultán ti aspettiamo qui.

L'Esattore rifletté un millesimo di secondo: era meglio fidarsi di Peter e seguirlo nel gioco, per così dire.

Parcheggiò la macchina in doppia fila e disse a Peter:

– Scendete. Io torno subito.

Peter saltò giù dalla macchina, seguito da un Sultán ricalcitrante. La macchina si perse dietro l'angolo.

– E adesso cosa facciamo, Sultán?

– Bau – rispose quest'ultimo. Aveva perso la traccia quattro strade prima.

– Bau? Non capisco questo bau. Io non parlo il cagnesco. Cosa vuoi dire, Sultán?

– Bau – abbaiò di nuovo e si sdraiò sulla strada allungandosi più che poté.

– Sultán! Non è né l'ora, né il luogo adatto per un sonnellino.

Sultán chiuse gli occhi. Non pensava di muoversi finché l'Esattore non fosse tornato, non aveva intenzione di andare in giro senza una meta precisa.

– Alzati, Sultán! So che gli anni pesano, ma Alexis ha bisogno di noi – disse Peter.

– Bau! – rispose Sultán con più energia, sedendosi di nuovo dopo aver sentito il nome di Alexis.

IV – Sette biglie

Alexis si guardò intorno, soprattutto meravigliato. Non riconosceva il luogo dove si trovava, né si ricordava com'era arrivato fin lì. L'ultima cosa di cui si ricordava era il fatto di essere nello studio con suo padre ed essere uscito dopo il dottore. Il corridoio era costellato di biglie e lui si era chinato per prenderle e tenersele nella tasca dei pantaloni. Ne era sicuro perché un attimo prima aveva messo le mani nelle tasche e ora vedeva davanti ai suoi occhi una di quelle biglie colorate.

Sentì un rumore fuori dalla stanza. A sei anni non riconosceva molti rumori, per questo per un attimo non fu capace di identificarlo.

Si alzò e corse verso la porta, quindi girò il pomello per aprirla. La porta rimase chiusa.

– Papà, aprimi! Papà! Non posso uscire! Papà!!! – gridò così forte che sembrava di poterlo sentire a distanza di un chilometro.

Né suo padre, né nessun altro rispose alla disperata richiesta di Alexis.

Si guardò intorno istintivamente cercando una finestra. A un metro e mezzo da terra vide una finestrella sporca. Si avvicinò a essa e si allungò più che poté, ma non raggiunse neanche l'infisso inferiore. Alexis non era un bambino alto e ora ricordava sua madre che gli diceva:

– Alexis, mangia tutta la verdura. Devi crescere e diventare un uomo alto e bello.

Corse verso l'unica sedia che c'era nella stanza e la trascinò fino alla finestra. Si girò un attimo in direzione della porta e aspettò per vedere se sentiva qualche rumore da fuori.

Niente. Salì sulla sedia, si mise in ginocchio e guardò dalla finestra sporca. Passò la punta delle dita sul vetro, cercando di pulirlo per poter vedere meglio fuori. Non riuscì a fare granché, sicuramente erano secoli che non la pulivano. Sputò sul vetro, allungò la manica della felpa fino a nascondere la mano, nascondendo così del tutto il suo costume da supereroe e in seguito strofinò il vetro, facendo diventare la manica da grigia chiara a grigia scura.

Provò ad aprirla, ma fu inutile. Osservò i cardini, pieni di ruggine. Alexis li guardò senza sapere cosa fossero, ma capì che erano la causa per cui non poteva aprire la finestra.

Saltò giù dalla sedia e rimase a pensare qualche secondo. Cosa avrebbe dovuto fare ora?

La porta si aprì e davanti agli occhi di Alexis apparve Topolino con in mano una foto di un bambino dall'età di Alexis, ma con una tonalità di capelli un po' meno rossiccia, che stava osservando comparandola con il bambino che aveva davanti.

– Topolino! Topolino! – esclamò, mentre saltava da una parte all'altra.

Topolino osservò che la sedia era sotto la finestra. Si avvicinò ad Alexis e gli offrì una caramella al sapore di arancia.

Alexis non fece caso alla caramella. Cercava di mettersi dietro Topolino, ma quest'ultimo glielo impediva.

– Topolino, che ci facciamo qui? – chiese.

Quest'ultimo mise l'indice in mezzo alle labbra per indicare di fare silenzio. Alexis lo imitò e aspettò l'azione successiva del suo amico Topolino. Quest'ultimo gli tese la mano.

– Grazie, Topolino, ma non mi piacciono le caramelle all'arancia. Non mi piace per niente l'arancia.

Topolino mise via la caramella e ne tirò fuori un'altra al limone. Alexis lo guardò con occhi bramosi, ma una voce femminile risuonò nella sua testa, la voce di sua madre.

– Non prendere niente offertoti da uno sconosciuto. O meglio, prendi solo ciò che ti do io.

– No, grazie – disse Alexis ricordandosi anche che sua madre gli diceva che innanzitutto doveva essere molto educato.

Allora Topolino prese Alexis per mano e lo tirò verso di sé.

– Cosa vuoi? Mi porterai da mio padre?

Topolino annuì con la testa e gli indicò la porta che era rimasta aperta.

– Sei poco loquace. Non sarai mica Cucciolo travestito da Topolino?!

Quest'ultimo fece un gesto come per dire "Forse" e poi lo tirò verso la porta.

– Non so se dovrei venire con te. Non ti conosco. Tu mi conosci? Conosci i miei genitori?

Topolino sospirò. Non era un uomo molto fantasioso e non gli veniva in mente un buon motivo per fare uscire il bambino da quel buco. Lasciò andare la mano del bambino e uscì lasciando Alexis solo e rinchiuso un'altra volta. Alexis corse verso la porta e la picchiò varie volte, mentre gridava:

– Ascolti, signor Topolino, se n'è andato senza salutare!

Nessuno rispose ad Alexis e il bambino sentì il desiderio di piangere per la prima volta quella mattina. Ma a cosa serviva piangere se non lo vedeva nessuno? Lui non piangeva mai se era da solo. Ora doveva raggiungere un pubblico, aveva solo bisogno di un'idea. Si guardò intorno cercando un'ispirazione. L'ispirazione che cercava arrivò in fretta, forse influenzato dai suoi geni paterni. L'idea non era una delle più intelligenti. Prese una delle biglie che aveva addosso e la lanciò contro la finestrella, causando un leggero suono tintinnante quando essa rimbalzò sul vetro e fece dei piccoli salti sul pavimento. Però quel suono non fu abbastanza intenso per essere sentito dall'esterno. Prese la biglia e ci riprovò, stavolta usando tutta la sua forza. L'effetto fu proporzionale alla forza esercitata e la piccola biglia rimbalzò di nuovo, seppur stavolta andando in pezzi una volta caduta sul pavimento, di sicuro come conseguenza di una microscopica breccia che attraversava parte della biglia. Alexis rimase paralizzato e un attimo imbarazzato di fronte al fatto che aveva rotto qualcosa che in realtà non gli apparteneva. Questa sensazione scomparve velocemente quando mise la mano nella tasca dei pantaloni e osservò il resto delle biglie nella sua mano.

<>, pensò. <>.

Le soppesò leggermente facendole saltare sulla mano probabilmente per stimare il loro peso e l'effetto che avrebbero potuto esercitare sbattendo contro il vetro della finestra. Portò la sua mano all'indietro per lanciare le biglie mentre emetteva un grido. Le biglie si alzarono per un breve istante alla stessa altezza, ma presto si separarono e alcune rimasero più in alto delle altre durante il loro viaggio aereo, un viaggio che si concluse in pochi secondi, quando sbatterono contro qualcosa col risultato che quelle palline colorate rimbalzarono. Varie biglie sbatterono tra loro, alcune in aria, altre già sul pavimento e quelle che non trovarono il duro pavimento al loro ritorno andarono invece contro il tenero corpo di Alexis. Quest'ultimo gridò di nuovo, ma stavolta indolenzito dal picchiettio di quelle biglie sulla sua testa, sulle sue braccia e sul suo petto.

– Ahiaaaaaaa! Ahiaaaaaaa!

Ma Alexis non cambiava idea facilmente, quindi raccolse le biglie dal pavimento per lanciarle di nuovo, senza rendersi conto che insieme alle biglie aveva raccolto un diamante e che proprio in quel momento la porta che lo stava tenendo rinchiuso si riaprì. Ma invece di vedere entrare Topolino, vide tra le lacrime entrare un personaggio che lo fece rabbrividire, un personaggio non così incantevole come il buon Topolino, con le braccia sui fianchi e un'aria arrabbiata.

Назад Дальше