Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс 2 стр.


“Esegui una manovra evasiva,” stava per ordinargli Smith, ma non ne ebbe modo. All’improvviso, una luce brillante si accese di fronte a loro. L’effetto nella minuscola capsula fu accecante.

“Gira il mezzo,” disse allora, coprendosi gli occhi. “Nemici.”

Il pilota fece roteare di colpo il Nereus di trecentosessanta gradi. Prima di poter finire la manovra, un’altra luce accecante si accese alle loro spalle. Erano circondati, davanti e dietro, da sottomarini come il primo. Simili al loro, a parte che Smith riconosceva lo stile dei nemici. Erano stati progettati e costruiti negli anni ’60, durante l’epoca delle calcolatrici tascabili.

Fece un sforzo per non sferrare un pugno sullo schermo davanti a sé. Maledizione! E per di più davanti a loro ce n’era uno più grosso, probabilmente un cacciatore.

La missione, altamente classificata, sarebbe fallita. Ma non era quella la parte peggiore. Neanche lontanamente. La parte peggiore era la presenza di Reed Smith stesso. Non poteva farsi catturare, a nessun costo.

“Davis, opzioni?”

“Potremmo provare a scappare con il sommergibile,” disse Davis. “Ma personalmente gli lascerei prendere questo rottame e vivere per combattere un altro giorno.”

Smith grugnì. Non riusciva a farsi venire in mente niente. Poteva solo decidere se morire in quella bolla oppure… non voleva pensare alle altre possibilità.

Fantastico. Di chi era stata quell’idea?

Tese una mano verso il polpaccio e aprì una zip dei suoi pantaloni cargo. Aveva una minuscola Derriger da due colpi legata alla gamba. Era una pistola per il suicidio. Strappò il nastro adesivo dalla pelle, senza sentire quasi niente nonostante i peli strappati. Si portò l’arma alla testa e fece un profondo respiro.

“Che cosa stai facendo?” domandò Bolger, con voce allarmata. “Non puoi sparare qua dentro. Farai un buco in questa cosa. Siamo a centinaia di metri sotto la superficie.”

Indicò la bolla che li circondava.

Smith scosse la testa. “Tu non capisci.”

All’improvviso il ragazzo delle forze speciali si erse dietro di lui. Si moveva come un grosso serpente. Gli afferrò il polso in una potente morsa. Come faceva a spostarsi tanto in fretta in uno spazio così ristretto? Per un momento, grugnirono e lottarono, senza riuscire quasi a muoversi. L’avambraccio del giovane uomo si tese contro la gola di Smith, e poi gli sbatté la mano sulla console.

“Lasciala!” ordinò. “Lascia la pistola!”

L’arma cadde. Smith spinse giù le gambe e si tese all’indietro, cercando di liberarsi del giovane.

“Non sai chi sono.”

“Smettetela!” urlò il pilota. “Smettetela di lottare! State colpendo i comandi.”

Smith riuscì ad alzarsi dal sedile, ma ormai l’altro era sopra di lui. Era forte, immensamente forte, e lo costrinse ad accovacciarsi tra la seduta e la parete del sottomarino. Lo spinse lì e lo fece raggomitolare a terra. Gli si chinò sopra, ansimando pesantemente. Il suo fiato di caffè soffiò all’orecchio di Reed Smith.

“Posso ucciderti, okay?” disse il giovane uomo. “Posso ucciderti. Se è necessario farlo, okay. Ma non puoi sparare un colpo qua dentro. Io e l'altro tizio vogliamo vivere.”

“Ho un grosso problema,” insistette Reed. “Se mi interrogano… Se mi torturano…”

“Lo so,” gli garantì l’altro. “Lo capisco.”

Si fermò, respirando affannato.

“Vuoi che ti ammazzi? Lo faccio, decidi tu.”

Reed rifletté. La pistola sarebbe stata un modo facile per farla finita. Non avrebbe dovuto pensarci tanto. Gli sarebbe bastato premere il grilletto e poi… qualsiasi cosa venisse dopo. Ma a lui piaceva vivere. Non voleva morire così presto. Magari sarebbe riuscito a cavarsela, e non avrebbero scoperto la sua identità. Forse non lo avrebbero torturato.

C’era la possibilità che i russi volessero solo confiscare il loro sottomarino altamente tecnologico, per poi proporre uno scambio di prigionieri senza tante domande. Forse.

Iniziò a respirare con più calma. Non sarebbe mai dovuto andare lì. Era vero che sapeva intercettare i cavi delle comunicazioni, che aveva esperienza nelle missioni subacquee e che era un abile agente. Ma…

L'interno del sommergibile era ancora illuminato da un chiarore accecante. I russi avevano appena assistito a tutto lo spettacolo.

Già quello gli sarebbe valso diverse domande.

Ma Reed Smith voleva vivere.

“Okay,” disse. “Okay. Non uccidermi. Fammi alzare, va bene? Non farò niente.”

Il ragazzo iniziò a levarsi in piedi. Non fu semplice. Lo spazio nel sommergibile era tanto stretto che erano come se fossero caduti e rimasti travolti dalla calca alla Mecca. Era difficile districarsi.

Dopo pochi istanti Reed Smith tornò nel suo sedile. Aveva preso la sua decisione. Sperò che fosse quella giusta.

“Accendi la radio,” disse a Bolger. “Vediamo che cosa vogliono quei buffoni.”

CAPITOLO DUE

10:15 a.m. Ora legale orientale

La Situation Room

La Casa Bianca, Washington, DC


“A quanto pare tutta la missione era mal concepita,” stava dicendo un assistente. “Il nostro problema è trovare una scusa plausibile.”

David Barrett, dall’alto dei suoi due metri, abbassò lo sguardo sull’uomo. L’assistente aveva capelli biondi e radi, era lievemente sovrappeso e portava un abito troppo largo sulle spalle e troppo stretto attorno alla vita. Si chiamava Jepsum. Era un nome infelice per un uomo altrettanto sfortunato. A Barrett non piacevano gli uomini più bassi di un metro e ottanta, né quelli che non si tenevano in forma.

Barrett e Jepsum stavano attraversando rapidamente i corridoi dell’Ala Ovest, diretti verso l’ascensore che li avrebbe portati alla Situation Room.

“Quindi?” disse Barrett, spazientito. “Questa scusa plausibile?”

Jepsum scosse la testa. “Ecco. Non ne abbiamo una.”

Una schiera di persone avanzava insieme ai due uomini, davanti a loro, dietro e tutt’intorno. Erano assistenti, stagisti, agenti dei Servizi Segreti, staff di vario genere. Come sempre Barrett non aveva idea di chi fosse una buona metà di quella gente. Era una massa confusa di umanità che gli sfrecciava accanto, e lui si ergeva di una testa sopra quasi tutti. Quelli più bassi avrebbero potuto essere persino di un’altra specie rispetto a lui.

La persone basse lo frustravano, ogni giorno sempre di più. David Barrett, il presidente degli Stati Uniti, era tornato a lavoro troppo presto.

Erano passate solo sei settimane da quando sua figlia Elizabeth era stata rapita dai terroristi e poi salvata dai commando americani in una delle missioni segrete più audaci nella storia recente. Lui aveva avuto un esaurimento durante la crisi. Aveva abbandonato il suo incarico, e chi avrebbe potuto biasimarlo? In seguito era stato così esausto, sfiancato e sollevato per il salvataggio della figlia da non avere le parole per riuscire a esprimerlo.

L’intero gruppo entrò in ascensore, pigiandosi come tante sardine in scatola. Insieme a loro c'erano due uomini dei Servizi Segreti. Erano entrambi alti, uno di colore e uno bianco. Le teste di Barrett e dei suoi custodi svettavano al di sopra di tutti gli altri nella cabina, come statue dell’Isola di Pasqua.

Jepsum lo stava ancora guardando dal basso, con occhi così accorati da sembrare quasi un cucciolo di foca. “… e la loro ambasciata non dà nemmeno segno di aver ricevuto le nostre comunicazioni. Dopo il disastro alle Nazioni Unite del mese scorso, non credo che possiamo aspettarci la loro cooperazione.”

Barrett non riusciva a seguirlo, ma qualsiasi cosa stesse dicendo mancava di vigore. Il presidente non aveva uomini più forti a sua disposizione?

Stavano parlando tutti insieme. Prima del rapimento di Elizabeth, si sarebbe lanciato in una delle sue leggendarie filippiche solo per chiudere la bocca al gruppo. Ma ora? Li lasciò farfugliare, le loro parole una musica senza senso. Si perse nel rumore.

Ormai era tornato a lavoro da cinque settimane, e quel tempo era passato in un lampo. Aveva licenziato il suo capo dello staff, Lawrence Keller, in seguito al rapimento. Anche Keller era un tappo—non raggiungeva il metro e ottanta—e Barrett aveva iniziato a sospettare che non gli fosse leale. Non ne aveva le prove, e non riusciva nemmeno a ricordare perché se ne fosse stato convinto, ma aveva creduto che in ogni caso fosse meglio liberarsi di lui.

Purtroppo significava che ora non aveva più la calma elegante e l’efficienza spietata di Keller. Senza il suo capo dello staff, Barrett si sentiva instabile, spaesato, incapace di dare un senso alle continue crisi, i mini-disastri e le pure informazioni con cui era bombardato quotidianamente.

Stava iniziando a pensare di essere sull'orlo di un altro esaurimento. Faceva fatica a dormire. A dirla tutta, quasi non dormiva affatto. A volte, quando era da solo, iniziava a iperventilare. In qualche occasione, a tarda notte, si era ritrovato chiuso nel suo bagno privato a piangere in silenzio.

Probabilmente gli avrebbe fatto bene vedere uno psicologo, ma quando eri il presidente degli Stati Uniti non potevi assumerne uno come niente fosse. Se la stampa lo avesse saputo, e i talk show… non voleva nemmeno pensarci.

Sarebbe stata la fine, per usare un eufemismo.

L'ascensore si aprì nella Situation Room, una sala a forma di uovo. Era moderna, come il ponte di comando di una nave spaziale della televisione. Era progettata per sfruttare al massimo lo spazio, con grandi schermi integrati nelle parete a mezzo metro l'uno dall’altro, e uno ancora più ampio di fronte al tavolo.

A eccezione della poltrona di Barrett, ogni altra comoda seduta di pelle attorno al tavolo per le conferenze era già occupata; c’erano uomini corpulenti in giacca e cravatta, e militari snelli e dritti in uniforme. Un soldato alto in uniforme di gala era in piedi all’altro capo della sala.

L’altezza. Per qualche motivo era rassicurante. David Barrett era alto e per la maggior parte della vita era stato estremamente sicuro di sé. Anche quell'uomo che si stava preparando a gestire la riunione sarebbe stato sicuro. In effetti, trasmetteva affidabilità e autorità. Quell’uomo, quel generale a quattro stelle...

Richard Stark.

Barrett si ricordò che il generale non gli piaceva molto. Ma d'altra parte non gli piaceva molto nessuno in quel momento. E Stark lavorava al Pentagono. Magari avrebbe potuto fare luce su quell'ultimo misterioso contrattempo.

“Calmatevi,” disse il generale, mentre il gruppo appena uscito dall’ascensore si avviava verso le poltrone.

“Signori! Calmatevi. È arrivato il presidente.”

La stanza si acquietò. Si udì ancora qualche mormorio, ma anche gli ultimi si ammutolirono in fretta.

David Barrett si accomodò nella sua poltrona.

“Okay, Richard,” esordì. “Lasciamo perdere i convenevoli e rimandiamo le lezioni di storia. Le abbiamo giù sentite tutti. In nome di Dio, mi dica solo che cosa sta succedendo.”

Stark si infilò un paio da occhiali da lettura con la montatura nera e chinò lo sguardo sui fogli che aveva tra le mani. Fece un profondo respiro e sospirò.

Sugli schermi della sala apparve un corpo d’acqua.

“Quello che vede sugli schermi è il Mar Nero,” cominciò. “Da quel che sappiamo, circa due ore fa un piccolo sommergibile a tre posti di proprietà di una compagnia americana chiamata Poseidon Research stava operando in profondità sotto la superficie, in acque internazionali a più di millecinquecento chilometri a sud-est della località di Yalta in Crimea. Sembra che sia stato intercettato e sequestrato dalla Marina russa. L’obiettivo dichiarato del sottomarino era di trovare e segnalare la posizione di un’antica nave commerciale greca che si crede affondata in quell’area quasi duemilacinquecento anni fa.”

Il presidente Barrett fissò il generale. Fece un profondo respiro. Non sembrava niente di terribile. Era per quello che erano tutti agitati?

Un sommergibile civile era stato impegnato in un’esplorazione archeologica in acque internazionali. I russi stavano ricostituendo il loro arsenale dopo una quindicina di anni disastrosi e volevano che il Mar Nero tornasse a essere il loro lago privato. Quindi si erano irritati e si erano intromessi. Niente di grave. Bastava sporgere un reclamo all’ambasciata e riprendersi gli scienziati. Magari anche il sommergibile. Era solo un malinteso.

“Mi perdoni, generale, ma mi sembra una questione di cui si potrebbero occupare i diplomatici. Apprezzo che abbia voluto informarmi ma direi che in questo caso sarà semplice evitare ulteriori difficoltà. Possiamo chiedere all’ambasciatore…”

“Signore,” intervenne Stark. “Temo che sia un po’ più complicato di così.”

Barrett si risentì subito di essere stato interrotto davanti allo staff. “Okay,” replicò. “Ma sarà meglio che sia vero.”

Il generale scosse la testa e sospirò di nuovo. “Signor presidente, la Poseidon Research International è una compagnia fondata e gestita dalla Central Intelligence Agency. È un’operazione di copertura. Il sommergibile il questione, il Nereus, era solo travestito da vascello civile per le ricerche. In effetti, era impegnato in un’operazione segreta sotto l’egida congiunta del Gruppo Operazioni Speciali della CIA e del Joint Special Operations Command. I tre uomini catturati sono un civile con un’autorizzazione di alto livello, un agente speciale della CIA e un Navy SEAL.”

Per la prima volta da più di un mese, David Barrett si sentì crescere dentro una sensazione familiare. La rabbia. Gli piaceva sentirsi così. Avevano mandato un sottomarino in una missione di spionaggio nel Mar Nero? Non doveva guardare una mappa su uno schermo per capire quali erano gli interessi geopolitici coinvolti.

“Richard, scusi la franchezza, ma che diavolo stavamo combinando con un sommergibile spia nel Mar Nero? Vogliamo entrare in guerra con i russi? Quella è praticamente casa loro.”

“Signore, con tutto il rispetto, si tratta di acque internazionali aperte alla navigazione, e vogliamo che rimangano tali.”

Barrett scosse la testa. Ma certo che era così. “Che cosa stava facendo il sommergibile?”

Il generale si schiarì la gola. “Era in missione per intercettare i cavi delle comunicazioni russe in fondo al mare. Come sa, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica, i russi affittano il vecchio porto navale di Sebastopoli dagli ucraini. Quel porto era il pilastro della flotta sovietica nella regione, e attualmente svolge la stessa funzione per la Marina russa. Come potrà immaginare, è un accordo piuttosto instabile.

“Le linee telefoniche russe e i cavi per le comunicazioni informatiche attraversano il territorio ucraino e la Crimea per entrare in Russia. In questo momento stanno crescendo le tensioni tra la Russia e la Georgia, appena a sud del paese, e temiamo che potrebbe scoppiare una guerra, se non subito nel prossimo futuro.”

“La Georgia è in buoni rapporti con noi, e ci piacerebbe che insieme all’Ucraina si unisse alla NATO. Fino a quando ciò non accadrà, entrambi i paesi saranno vulnerabili alle aggressioni russe. Di recente i russi hanno steso cavi di comunicazione lungo il fondale marino da Sebastopoli a Sochi, aggirando quelli che attraversano la Crimea.

“La missione del Nereus era di trovare questi cavi, e se possibile accedervi. In questa maniera se i russi avessero deciso di attaccare la Georgia, la flotta di Sebastopoli lo avrebbe saputo in anticipo. E anche a noi avrebbe fatto comodo quest’informazione.”

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