Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс 7 стр.


“Tanto è un lungo volo,” commentò Swann.

Trudy annuì. “Allora cominciamo.”

Fece una pausa per prendere fiato e guardò la pagina che aveva in grembo. Poi cominciò a raccontar loro una storia.


* * *


“All’inizio di questa giornata per noi, ieri per il loro fuso orario, i russi si sono impadroniti del sommergibile americano per la ricerca Nereus nelle acque internazionali del Mar Nero. Il confronto è avvenuto a centotrenta chilometri a sud-est della città di Yalta. Sì, dove si è tenuto il famoso incontro tra FDR, Winston Churchill e Joseph Stalin durante la Seconda Guerra Mondiale.”

Ed Newsam sorrise. “Stiamo sguazzando nella storia qui.”

“FDR?” ripeté Swann. “Il tizio che è stato assassinato a, uhm… Denver?”

Trudy fece un smorfia. Sembrò quasi arrossire. Luke scosse la testa e trattenne una risata. Un pubblico difficile per una lezione di storia.

“Il Nereus è stato un bersaglio facile. Un cacciatorpediniere russo lo ha seguito sin da quando ha abbandonato la nave madre. Poi insieme a due navi più piccole della Guardia Costiera Russa è converso sul sommergibile. Una volta che l’hanno circondato hanno mandato tre batiscafi, che gli si sono avvicinati e lo hanno scortato fino alla superficie. Lì hanno preso l’equipaggio in custodia.”

“Chi sono gli uomini dell’equipaggio?” domandò Luke.

Trudy cercò tra i documenti ed estrasse un foglio.

“Si tratta di tre uomini. Il pilota del sommergibile è Peter Bolger, di quarantaquattro anni, residente a Falmouth, nel Massachusetts. Si è diplomato alla Maine Maritime Academy nel 1983. Quattro anni nella Guardia Costiera, congedato con onore nel 1987 con il rango di tenente. Ha passato quasi un decennio a pilotare navi per il Wood’s Hole Oceanographic Institution di Cape Cod, collaborando con diversi college, università e acquari. Nel novembre del 1996 è stato assunto dalla Poseidon Research International. A un occhio inesperto, sembrerebbe un civile che ha passato quasi tutta la sua vita da adulto sull’acqua, a svolgere delle ricerche. La sua presenza probabilmente serve a dare una patina di rispettabilità alla PRI.”

“Sarà l’anello debole quando si tratterà di tirarli fuori,” commentò Luke.

Trudy annuì. “Secondo il suo dossier, è alto un metro e settantacinque e pesa un po’ più di cento chili.”

“Come fa a stare nel sommergibile?” domandò Swann.

Ed scrollò le spalle. “Potrebbero essere tutti muscoli.”

Fu il turno di Trudy di scuotere la testa. “Non è così.” Sollevò una foto di Peter Bolger. Non era morbosamente obeso, ma non aveva neanche un fisico da corridore.

“Prossimo,” disse Luke.

Trudy prese il foglio seguente.

“Eric Davis, ventiseienne dottorando all’Università delle Hawaii, con una borsa di studio per Wood’s Hole. Come se le inventano queste cose? In realtà è un SEAL di ventotto anni di nome Thomas Franks. ROTC navale all’Università del Michigan, laureato con lode. Dopo la laurea è entrato in Marina e ha subito fatta domanda per la BUD/S. È stato in missione in Afghanistan e in Iraq, e anche in operazioni segrete sotto il Joint Special Operations Command. In questo caso il suo compito era di proteggere gli altri due uomini, e di liberarsi del Nereus nell’eventualità di un incidente o altro. È chiaro che non ha fatto nessuna delle due cose.”

“Chiaro,” disse Swann.

“Sarà il più utile,” intervenne Luke. “Se raggiungiamo gli uomini e sono ancora vivi, cerchiamo di mettergli un’arma o diverse armi nelle mani. Il maggior rischio con Franks è che potrebbe cercare di organizzare un tentativo di fuga prima del nostro arrivo, o rubare una pistola e cercare di uscirne sparando. Okay, prossimo.”

Trudy prese l’ultimo foglio di carta. “Reed Smith, il comandante della missione di trentasei anni,” disse. “Un fantasma. Una completa mina vagante. La sua vera identità e l’età sono Top Secret. Non so niente su di lui, a parte il fatto che negli ultimi sei mesi ha lavorato come ricercatore associato alla PRI. Nessuno ha idea di dove venga e che cosa abbia combinato. È l’uomo per cui sono più preoccupati alla CIA e al Pentagono. A quanto pare nella sua testolina ci sono molti segreti.”

Swann guardò Luke. “Operazioni clandestine. Sono sorpreso che lui e Franks non abbiano già rovesciato il governo russo.”

Lui sorrise. “Amo il tuo senso dell’umorismo, Swann. È per questo che ti lascio vivere.”

Poi guardò Trudy. “Vorrei un po’ di contesto, se ce l’hai. Dove hanno portato il Nereus, e quanto sono pronti i russi quando… se… arriveremo.”

La donna annuì. “Ho qualcosa. Il Nereus è stato chiuso nella stiva di una vecchia nave cargo ed è stato portato al Porto d’Adler, appena a sud della città di Sochi, e a nord del confine russo con la Georgia. Stanno cercando di nasconderlo e di fingere di non averlo. Si comportano come se il cargo avesse fatto una normale sosta nel porto. E almeno fino al momento della nostra partenza da Washington, non c’erano prove che avessero spostato l’equipaggio del Nereus in un altro posto. Praticamente non si è mosso nessuno su quei pontili.”

“Sanno che li stiamo guardando,” disse Swann.

“Sembra che sia così,” rispose Trudy.

“E i russi?” domandò Luke. “Quanto sono pronti?”

Trudy strinse le labbra. “Posso dirti la mia teoria.”

“Dimmi,” disse lui.

“È un po’ complicata.”

Luke agitò una mano. “Ancora non è l’ora della nanna.”

Trudy annuì. “Vladimir Putin sta cercando di tenere a bada diversi problemi alla volta. Il disastro del Kursk, il massacro della scuola Beslan. Chi sa quando si calmeranno le acque? Ma nel frattempo sta anche facendo progressi su diversi fronti. Ha una salda presa sul governo. L’economia russa, anche se per i nostri standard è ancora un disastro, gode della massima prosperità degli ultimi quindici anni, principalmente per via degli alti prezzi del petrolio e del gas naturale in tutto il mondo. La valutazione delle minacce del Pentagono suggerisce che il loro esercito sia meglio finanziato, meglio addestrato e che i soldati siano pagati di più di quanto non succeda da molto tempo. Hanno modernizzato il sistema degli armamenti, e in particolare i sistemi missilistici.

“La Russia ha ancora una lunga strada da fare per tornare al posto che un tempo occupava nel mondo. Non è neanche sicuro che ci riesca. Ma non ci sono dubbi che da quando Putin ha preso il controllo, almeno si è messa sulla strada giusta. In passato era più come una macchina rovesciata in un fosso.”

“Che cosa significa per noi?” chiese Luke.

“Significa che hanno preso il sommergibile per avvertirci,” disse Trudy. “Il Mar Nero è stato dei russi per generazioni. A eccezione della costa turca, è stato praticamente la loro vasca da bagno. Per anni non siamo riusciti a metterci dentro neanche una nave. Ora ci stanno dicendo che sono tornati e che non possiamo più mandargli mezzi spia come ci pare e piace.”

“Sì, ma è davvero così?” le domandò lui. “Sono tornati? Se entriamo lì e cerchiamo di salvare quegli uomini, finiamo in una trappola letale?”

La giovane donna scosse la testa, offrendogli un pallido sorriso. “No. Non sono tornati. Non ancora. Hanno tuttora il morale molto basso. Il loro centri di comando hanno poca autorità. La corruzione è ovunque. Moltissime infrastrutture ed equipaggiamento sono degradati o non funzionali. Con un piano intelligente e un attacco rapido, credo che potremo prenderli alla sprovvista. Non voglio sembrare troppo sicura, ma secondo me potremmo riuscire a salvare quegli uomini.”

Lui la fissò. Ripensò al suo piano per arrestare il mercenario rinnegato americano Edwin Lee Parr e i suoi miliziani in Iraq, e la sua valutazione ottimistica delle loro probabilità di vittoria. All’epoca Luke aveva provato ben poco rispetto per lei, per il suo piano e la sua valutazione.

Poi tutto si era svolto quasi come Trudy l’aveva descritto. Luke ed Ed avevano comunque dovuto andare di persona a sbrigare il lavoro, ma quello era scontato.

“Speriamo che tu abbia ragione.”


* * *


Luke era caduto in un sonno agitato. Fece sogni strani, spaventosi e mutevoli. Un salto nel vuoto notturno. Quando si buttò, il paracadute non si aprì. Sotto di lui c’erano le vaste acque di un fiume nero. Alligatori, a decine, lo guardarono cadere dal cielo. Si gettarono verso di lui. Ma aveva le gambe legate a una corda per bungee jumping. Rimbalzò, un salto al rallentatore, appena sopra l’acqua. Rimase con le braccia tese verso il basso e gli alligatori cercarono di morderlo.

Poi divenne giorno. Un elicottero Black Hawk era stato abbattuto e stava precipitando giù dal cielo. Il rotore sulla coda era sparito, il mezzo roteava fuori controllo e stava crollando verso terra. Luke stava correndo in mezzo a un campo, un vecchio stadio da calcio, in direzione dell’elicottero. Se fosse riuscito a raggiungerlo prima che arrivasse al suolo, avrebbe potuto prenderlo e salvare gli uomini a bordo. Ma l’erba cresceva tutto intorno a lui, si alzava e si arrotolava, afferrandogli le gambe, rallentandolo. Spalancò le braccia, sporgendosi… ma arrivò tardi. Era troppo tardi.

Dio, l’elicottero stava atterrando su un fianco. Ecco… che… arriva…

Si svegliò di colpo nel bel mezzo di una turbolenza. L’aereo sobbalzò, e seguì le correnti d’aria come se fosse sulle montagne russe. Luke si guardò intorno. Le luci erano spente. Per un momento non capì se era sveglio o se stava ancora dormendo. Poi notò il resto della sua squadra, stesi e addormentati in vari punti della cabina buia.

Guardò fuori dal finestrino, ma non vide nulla oltre alle luci lampeggianti sull’ala. Molto più in basso, l’oceano era vasto, infinito e nero. Si erano lasciati il sole alle spalle da parecchio, il giorno era ormai finito.

Volavano da ore, e il viaggio era ancora lungo.

Tra diverse ore, mano a mano che si fossero avvicinati a est, il cielo avrebbe iniziato a rischiararsi. Controllò l’orologio. A DC era appena passata la mezzanotte, che significava che a Sochi erano passate da poco le otto del mattino.

Fissare l’orologio gli diede il senso degli eventi che precipitavano. I russi potevano spostare quegli uomini quando volevano. Magari lo avevano già fatto quella notte.

Era frustrante essere intrappolato su quell’aereo mentre le lancette correvano.

Non aveva dormito molto, ma sapeva che non si sarebbe riaddormentato. Aveva molti pensieri per la testa. I fantasmi del suo passato. Becca e Gunner. Il futuro incerto di un bambino nato in un mondo terribile. Quella missione pericolosa.

Si alzò, andò nel piccolo cucinotto in fondo all’aereo. Superò Ed Newsam e Mark Swann, che stavano sonnecchiando sui lati opposti del corridoi, uno di fianco all’altro. Senza accendere la luce, riempì metà tazza di acqua calda e la mescolò con la polvere di caffè istantaneo. Lo preparò nero con solo un po’ di zucchero. La assaggiò. Eh. Non era cattivo. Prese una mela Danish avvolta nella plastica e tornò al suo posto.

Accese il faretto sopra la sua testa.

Guardò dall’altra parte del corridoio. Trudy dormiva, raggomitolata su se stessa. Era giovane per quel lavoro. Doveva essere bello sapere tante cose a quell’età. Ripensò a come era stato quando aveva avuto vent’anni. Era stato una specie di supereroe dozzinale, che reagiva correndo a testa bassa attraverso i muri. Non era stato un tipo molto riflessivo.

Scosse il capo e abbassò lo sguardo sui documenti che aveva in grembo. La ragazza gli aveva consegnato molti dati utili. C’erano immagini satellitari del cargo, inclusi i primi piani delle passerelle in cima e delle stanze dove si riteneva stessero tenendo gli uomini. Anche della stiva dove probabilmente si trovava il sommergibile.

Doveva ammettere che non lo considerava una sua priorità, ma sapeva che gli altri non concordavano. Volevano che il mezzo venisse distrutto. Okay. Se fosse stato possibile e non avesse messo in pericolo gli uomini, okay. L’avrebbe fatto.

Mmh. Che altro c’era? Parecchia roba. Le schematiche del cargo. Mappe e immagini satellitari delle strade della città tutt’intorno, i moli, e il lungo argine che proteggeva il porto dal Mar Nero. C’era un reportage con mappe di tutta l’area, con il grande stabilimento balneare di Sochi a nord, le acque aperte e il confine con la Georgia a sud, a breve distanza.

Così vicina eppure così lontana.

Che altro? Le analisi delle truppe al porto e nei vicini stabilimenti, che in realtà erano solo valide ipotesi. Le valutazioni delle capacità del primo intervento della città metropolitana di Sochi, che un tempo erano state buone ma attualmente erano sottofinanziate e mal gestite. La valutazione del morale: genericamente a terra. Le due disastrose guerre cecene e i successivi attacchi terroristici contro obiettivi civili, insieme alla tragedia del Kursk, aveva fatto cadere molte teste tra i pezzi grossi dell’esercito russo, e le truppe erano allo sbando.

Luke non ne dubitava. Lo shock dell’11 settembre, insieme alle ripetute battute d’arresto in Iraq e Afghanistan, e la pessima pubblicità fatta dalla stampa… aveva fatto lo stesso con il morale di molta gente dalla sua parte della barricata. L’equipaggiamento, l’addestramento e il personale americano erano in genere eccellenti, ma le persone erano persone, e quando c’erano problemi tutti ne soffrivano.

Lasciò che le informazioni si depositassero nella sua mente.

Don gli aveva promesso rinforzi una volta che fosse arrivato in Turchia, operativi sotto copertura con una profonda conoscenza del luogo, della lingua russa ed esperienza in operazioni segrete rapide e violente. Non gli aveva detto da dove sarebbero venuti, solo che sarebbero stati i migliori sulla piazza. Gli aveva promesso un modo con cui lui ed Ed, separatamente, sarebbero potuti entrare in Russia senza essere scoperti. Gli aveva promesso qualsiasi materiale avesse voluto, entro certi limiti: pistole, bombe, auto, aeroplani, tutto.

Un’immagine iniziò a prendere forma dentro di lui.

Già. Cominciò a delineare un piano. In un mondo ideale… se avesse avuto qualsiasi cosa avesse voluto… con l’elemento della sorpresa… totale impegno… movimenti rapidissimi…

Forse poteva funzionare.


* * *


“Un tempo mi chiamavano Mostro.”

Luke fissò Ed. Erano gli unici svegli, seduti in fondo all’aereo. Ma Luke stava iniziando a spegnersi. Davanti a loro Trudy era ancora raggomitolata su se stessa, e Swann era steso in maniera scomposta, con le lunghe gambe allungate attraverso il corridoio.

Le tende sui finestrini erano abbassate ma cominciavano a intravedersi i primi raggi di sole alle estremità. In qualsiasi parte del mondo si trovassero, ormai era mattina.

Lui aveva appena spiegato la missione a Ed, così come l’aveva immaginata. Pensava che l’altro uomo gli avrebbe dato un parere. Quella parte gli sembrava possibile? C’erano dei buchi di cui non si era accorto? Che tipo di armi avrebbero dovuto portare? Che genere di equipaggiamento dovevano usare?

Invece si sentì dire quella frase: “Un tempo mi chiamavano Mostro.”

Era l’unica risposta che gli serviva. Quell’uomo era davvero un mostro. Se fosse stato necessario, si sarebbe occupato di quel problema con metà piano e una manciata di chiodi arrugginiti.

“Chissà perché la cosa non mi sorprende,” commentò.

Ed scosse la testa. Anche lui era semi-addormentato. “Non per via della mia stazza. Perché ero malvagio. Sono cresciuto a Crenshaw, a Los Angeles. Il maggiore di quattro fratelli. La cosa più vicina a un supermercato nel quartiere era un negozio che vendeva liquori, biglietti della lotteria e lattine di zuppa e tonno. A volte mia madre non riusciva a pagare le bollette.

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