Mariti Nel Mirino - Блейк Пирс 3 стр.


Petrie parcheggiò l’auto nel vialetto circolare, e spense il motore. Lui e Ruhl uscirono dall’auto e si diressero verso l’enorme entrata. Petrie suonò il campanello.

Dopo alcuni istanti, un uomo alto e snello aprì la porta. Ruhl dedusse dallo smoking elegante e dalla sua espressione severa e boriosa, che fosse il maggiordomo della famiglia.

Sembrò sorpreso al vedere i due poliziotti, e per niente contento.

“Potrei chiedervi a cosa è dovuta la vostra presenza?” l’uomo domandò.

Il maggiordomo non sembrava avere alcuna idea del fatto che potesse esserci un problema all’interno della villa.

Petrie guardò Ruhl, che sentiva ciò che il suo mentore stava pensando …

Solo un falso allarme.

Probabilmente uno scherzo.

Petrie disse al maggiordomo: “Potremmo parlare col Signor Farrell, per favore?”

Il maggiordomo sorrise in maniera altezzosa.

“Temo che non sia possibile” l’uomo disse. “E’ profondamente addormentato, e ho ordini molto precisi”

Petrie lo interruppe: “Abbiamo ragione di essere preoccupati riguardo alla sua sicurezza.”

Il sopracciglio del maggiordomo si sollevò.

“Davvero?” disse. “Gli darò un’occhiata, se insistete. Proverò a non svegliarlo. Vi assicuro, si lamenterebbe in maniera piuttosto accesa.”

Petrie entrò seguendo il maggiordomo nella casa, senza chiedere permesso. L’abitazione era vasta: un colonnato marmoreo conduceva ad una scalinata coperta da un tappeto rosso, fiancheggiata da un corrimano rosso curvo. Ruhl trovava sempre più difficile credere che qualcuno vivesse davvero lì. Assomigliava piuttosto ad un set cinematografico.

Ruhl e Petrie seguirono il maggiordomo in cima alle scale, poi lungo un ampio corridoio fino ad un paio di porte doppie.

“La camera padronale” il maggiordomo disse. “Aspettate qui un momento.”

Il maggiordomo oltrepassò le porte.

Poi, sentirono un grido di orrore.

Ruhl e Petrie si precipitarono all’interno e si ritrovarono in un soggiorno; da lì entrarono in un’enorme camera da letto.

Il maggiordomo aveva già acceso le luci. Per un attimo Ruhl avvertì quasi un dolore agli occhi, dovuto al repentino cambio di illuminazione. Poi, lo sguardo gli cadde su un letto a balze. Come ogni altra cosa nella casa, anche questo era enorme: sembrava un elemento uscito fuori dalla scena di un film. Ma, per quanto fosse grande, era sovrastato dal resto della grandezza della camera.

Ogni elemento nella camera padronale era oro e bianco, ad eccezione del sangue sparso su tutto il letto.

CAPITOLO TRE

Il maggiordomo era poggiato alla parete e si guardava intorno con un’espressione gelida. Anche a Ruhl sembrò che l’aria fosse uscita dai polmoni.

L’uomo era lì, sul letto: il ricco e famoso Andrew Farrell era morto e coperto di sangue. Ruhl lo riconobbe avendolo visto molte volte in televisione.

Quello era il primo cadavere di un morto ammazzato che avesse mai visto. Non si sarebbe mai aspettato una scena simile, strana e irreale.

Quello che rendeva tutto particolarmente bizzarro era la donna seduta su una poltrona riccamente decorata, proprio accanto al letto. Ruhl riconobbe anche lei. Si trattava di Morgan Farrell, precedentemente nota come Morgan Chartier, una famosa modella, che ormai si era ritirata a vita privata. Il defunto aveva trasformato il loro matrimonio in un evento mediatico, e gli piaceva mostrare la donna in pubblico.

Indossava una vestaglia sottile e costosa, che era macchiata di sangue. Era seduta immobile, con in mano un grosso coltello dal manico intagliato, insanguinato, come la mano della donna.

“Merda” mormorò Petrie in tono stupito.

Poi, parlò nel suo microfono.

“Questa è una chiamata quattro-Frank-tredici da casa Farrell. Abbiamo un vero cento-ottantasette qui, davvero. Mandate tre unità, inclusa una squadra omicidi. Contattate anche il coroner. Meglio anche dire al Capo Stiles di arrivare.”

Petrie ascoltò la risposta nel proprio auricolare, poi sembrò riflettere per un istante.

“No, non fatelo diventare un Codice Tre. Dobbiamo mantenere quanto più possibile il silenzio intorno alla vicenda.”

Nel frattempo, Ruhl non riuscì a staccare gli occhi dalla donna. Aveva pensato che era bella, quando l’aveva vista alla TV. Abbastanza stranamente, gli appariva ancora bella persino ora. Sebbene avesse in mano un coltello insanguinato, sembrava delicata e fragile quanto una statuina di porcellana.

Era anche immobile, come se fosse stata fatta di porcellana, immobile quanto il cadavere, ed apparentemente inconsapevole delle presenze appena giunte nella stanza. Persino i suoi occhi non si muovevano, mentre continuava a fissare il coltello nella sua mano.

Mentre seguiva Petrie verso la donna, si rese conto che la scena non gli appariva più come un set cinematografico.

Sembra più l’allestimento di un museo delle cere, pensò.

Petrie toccò gentilmente la donna sulla spalla e disse: “Signora Farrell …”

La donna lo guardò, senza tradire neppure un po’ di stupore.

Sorrise e rispose: “Oh, salve, Agente. Mi chiedevo quando sarebbe arrivata la polizia.”

Petrie indossò un paio di guanti di plastica, subito imitato da Ruhl, tolse delicatamente il coltello dalla mano della donna, e lo porse a Ruhl, che lo mise delicatamente all’interno di un sacchetto.

Nel frattempo, Petrie si rivolse alla donna: “La prego mi dica che cos’è successo.”

La donna esplose in una risatina piuttosto musicale.

“Beh, che domanda sciocca. Io ho ucciso Andrew. Non è ovvio?”

Petrie rivolse uno sguardo a Ruhl, come per chiedere …

E’ ovvio?

Da un lato, non sembrava esserci una spiegazione alternativa che giustificasse questa scena bizzarra. Dall’altro …

Lei sembra così debole ed indifesa, Ruhl pensò.

Non riusciva proprio ad immaginarla mentre commetteva un atto così efferato.

Petrie disse a Ruhl: “Va’ a parlare con il maggiordomo. Scopri quello che sa.”

Mentre Petrie esaminava il corpo, Ruhl raggiunse il maggiordomo, che era ancora appoggiato alla parete.

Ruhl domandò: “Signore, potrebbe dirmi che cos’è successo qui?”

Il maggiordomo aprì la bocca, ma non emise alcun suono.

“Signore” Ruhl ripeté.

Il maggiordomo strabuzzò gli occhi, come se fosse colto da profonda confusione. Disse: “Non lo so. Siete arrivati e …”

Ricadde di nuovo nel silenzio.

Ruhl si chiese …

Sa davvero qualcosa?

Forse il maggiordomo stava fingendo shock e perplessità.

Forse era il killer.

Quell’idea ricordò a Ruhl del vecchio cliché …

“E’ stato il maggiordomo.”

L’idea avrebbe potuto essere persino buffa in altre circostanze.

Ma certamente non in quel momento.

Ruhl rifletté in fretta, provando a decidere quale domanda porre all’uomo.

Poi riprese: “C’è qualcun altro in casa?”

Il maggiordomo rispose con voce tediosa: “Soltanto il personale che abita nella casa. Sei persone oltre a me, tre uomini e tre donne. Certamente non pensate …?”

Ruhl non sapeva affatto che cosa pensare, almeno non ancora.

Domandò ancora al maggiordomo: “E’ possibile che qualcun altro sia presente da qualche parte all’interno della casa? Un intruso, forse?”

Il maggiordomo scosse il capo.

“Non vedo come” replicò. “Il nostro sistema di sicurezza è il migliore in circolazione.”

Questo non è un no, pensò Ruhl. Improvvisamente, si sentì allarmato.

Se fosse stato un intruso a uccidere, avrebbe potuto trovarsi ancora all’interno della casa?

O magari proprio in quel momento stava fuggendo?

Ruhl sentì Petrie parlare nel microfono: stava dando istruzioni su come trovare la camera da letto nell’enorme villa.

Pochi secondi più tardi, la stanza brulicava di poliziotti. Tra di essi, il Capo Elmo Stiles, un uomo corpulento ed imponente.

Ruhl rimase sorpreso quando vide anche il procuratore distrettuale della contea, Seth Musil, che - normalmente tranquillo e lucido - sembrava disorientato ed aveva un aspetto disordinato, come se fosse appena stato spinto fuori dal letto. Ruhl suppose che il capo lo avesse contattato, non appena ricevuta la notizia, fosse andato a prenderlo e lo avesse condotto lì.

Il procuratore distrettuale ebbe un moto di orrore dinnanzi alla scena del delitto, e si precipitò verso la donna.

“Morgan!” la chiamò.

“Ciao, Seth” la donna rispose, come se fosse piacevolmente sorpreso del suo arrivo. Ruhl non era particolarmente sorpreso che Morgan Farrell e un politico famoso come il procuratore distrettuale si conoscessero. La donna non sembrava ancora consapevole di quanto stesse accadendo intorno a sé.

Sorridendo, la donna si rivolse a Musil: “Beh, suppongo che sia ovvio quello che è successo. E sono sicuro che tu non sia sorpreso …”

Musil interruppe bruscamente.

“No, Morgan. Non dire nulla. Non ancora. Non finché non ti avremo procurato un avvocato.”

Il Sergente Petrie stava già organizzando le persone nella stanza.

Poi si rivolse al maggiordomo: “Spieghi loro la disposizione della casa, ogni angolo ed anfratto.”

Poi si rivolse ai poliziotti: “Voglio che setacciate tutto in cerca di intrusi o segni di effrazione. E controllate il personale residente nella villa, assicuratevi che tutti forniscano una descrizione accurata di come hanno trascorse le ultime ore.”

I poliziotti si radunarono intorno al maggiordomo, che si era rimesso in piedi. L’uomo diede loro istruzioni, e i poliziotti lasciarono la stanza. Senza sapere che altro fare, Ruhl si posizionò accanto al Sergente Petrie, osservando la scena inquietante.

Il procuratore distrettuale si era fermato accanto alla donna, ricoperta di sangue e sorridente.

Ruhl ancora non si capacitava di ciò che stava vedendo. Pensò che questo era il suo primo omicidio. Si chiese …

Avrò mai a che fare con un caso più strano di questo?

Sperava anche che i poliziotti che stavano perquisendo l’abitazione non tornassero a mani vuote. Forse, sarebbero tornati con il vero colpevole. Ruhl odiava l’idea che questa donna delicata e graziosa fosse davvero in grado di commettere un omicidio.

Trascorsero lunghi minuti prima che i poliziotti ed il maggiordomo tornassero.

Dissero di non aver trovato alcun intruso e neppure segni che qualcuno si fosse introdotto all’interno della casa. Aveva trovato il personale residente nell’abitazione addormentato, ognuno nel proprio letto, e non avevano alcun motivo di pensare che qualcuno di essi fosse responsabile del crimine.

Il coroner e la sua squadra arrivarono e cominciarono ad occuparsi del corpo. L’enorme stanza era davvero piuttosto affollata adesso. Finalmente, la donna insanguinata della casa sembrò essere consapevole della confusione dell’attività.

Si alzò dalla sedia e disse al maggiordomo: “Maurice, dove sono le tue buone maniere? Chiedi a queste brave persone se desiderano qualcosa da mangiare o bere.”

Petrie le si avvicinò, estraendo le manette.

Le disse: “E’ molto gentile da parte sua, signora, ma non sarà necessario.”

Poi, in un tono estremamente gentile e cortese, cominciò a leggere a Morgan Farrell i suoi diritti.

CAPITOLO QUATTRO

Riley non riuscì a fare a meno di preoccuparsi, mentre l’udienza cominciava.

Finora, tutto era parso procedere tranquillamente. La stessa Riley aveva spiegato il tipo di casa che stava provando a creare per Jilly; Bonnie ed Arnold Flaxman avevano testimoniato in merito al disperato bisogno di Jilly di avere una famiglia stabile.

Nonostante tutto, Riley si sentiva a disagio di fronte al padre della ragazza, Albert Scarlatti.

Non aveva mai visto l’uomo prima di oggi. A giudicare da quello che Jilly le aveva detto di lui, l’aveva immaginato come un grottesco orco.

Ma il suo vero aspetto la sorprese.

I capelli, che una volta erano stati neri, erano pesantemente ingrigiti e i lineamenti, come si era aspettata, erano segnati da anni di alcolismo. Nonostante tutto, sembrava perfettamente sobrio al momento. Era ben vestito ma non indossava abiti costosi, ed era gentile e affascinante con tutte le persone a cui si rivolgeva.

Riley si fece delle domande anche sulla donna seduta accanto all’uomo, mano nella mano. Anche lei sembrava aver avuto una vita difficile. Altrimenti, la sua espressione era difficile da interpretare per Riley.

Lei chi è? si chiese.

Tutto quello che Riley sapeva della moglie di Scarlatti e della madre di Jilly era che era scomparsa molti anni fa. Scarlatti aveva spesso detto alla figlia che, forse, la donna era morta.

Quella donna non poteva essere lei dopo tutti questi anni. Jilly non aveva mostrato affatto di conoscerla. Perciò, chi era?

Ora era il turno di Jilly di testimoniare.

Riley strinse la mano della ragazza per rassicurarla, e la giovane adolescente andò al banco.

Jilly appariva piccola nell’enorme sedia per i testimoni. I suoi occhi si spostarono nervosi, guardando all’interno dell’aula, osservando prima il giudice e poi il padre.

L’uomo sorrise con quello che sembrava un sincero affetto, ma Jilly evitò frettolosamente il suo sguardo.

L’avvocato di Riley, Delbert Kaul, chiese a Jilly come si sentisse per l’adozione.

Riley vide tutto il corpo di Jilly tremare per l’emozione.

“Lo voglio più di ogni altra cosa al mondo” Jilly disse con voce tremante. “Sono stata così, così felice di vivere con la mia mamma …”

“Intendi la Signora Paige” Kuhl disse, interrompendo gentilmente.

“Beh, lei è la mia mamma ora per quanto mi riguarda, ed è così che la chiamo. E sua figlia, April, è mia sorella maggiore. Prima di vivere con loro, non avevo idea di come fosse, avere una vera famiglia che mi amasse e si prendesse cura di me.”

Jilly sembrava soffocare coraggiosamente le lacrime.

Riley non era sicura di riuscire a fare la stessa cosa.

Poi, Kaul chiese: “Puoi raccontare un po’ al giudice di com’era vivere con tuo padre?”

Jilly guardò il genitore.

Poi, spostò gli occhi sul giudice e disse: “Era tremendo.”

Proseguì a raccontare alla corte che cos’aveva detto ieri a Riley, di quando il padre l’avesse rinchiusa in un armadio per giorni. Riley rabbrividì mentre ascoltava di nuovo la storia. La maggioranza dei presenti in aula sembrò profondamente scossa dal racconto. Persino il padre chinò la testa.

Quando terminò, Jilly era davvero in lacrime.

“Prima che la mia nuova mamma entrasse nella mia vita, tutti quelli che amavo se ne sono andati alla fine. Non sopportavano di vivere con papà, perché era così cattivo con loro. Mia madre, mio fratello maggiore, persino la mia cucciola, Darby, è scappata.”

A Riley si strinse la gola. Ricordò Jilly piangere, mentre parlava della cucciola che aveva perso tanti mesi fa. La ragazza si chiedeva ancora che cosa ne fosse stato di Darby.

“La prego” si rivolse al giudice. “La prego, non mi faccia ritornare lì. Sono felice con la mia nuova famiglia. Non mi porti lontano da loro.”

Poi, Jilly lasciò il banco e tornò a sedersi accanto a Riley.

Riley le strinse la mano e le sussurrò: “Sei stata molto brava. Sono orgogliosa di te.”

Jilly annuì e si asciugò le lacrime.

Poi, l’avvocato di Riley, Delbert Kaul, mostrò al giudice tutti i documenti necessari per finalizzare l’adozione. Sottolineò in particolare il modulo di consenso firmato dal padre di Jilly.

Riley si concentrò sul processo: Kaul stava facendo un lavoro ragionevolmente meticoloso. Ma la sua voce e il suo modo di fare non erano molto efficaci, ed il giudice, un uomo nerboruto, imbronciato, con piccoli occhi pungenti, non sembrava affatto colpito.

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