Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс 5 стр.


“Durante il colloquio con il presidente ho pensato a voi, che siete il meglio di entrambi i mondi: siete forze dell’ordine civili, ma impiegate moltissimi ex membri speciali dell’esercito. Il direttore dell’FBI ha dato l’OK alla vostra partecipazione, e Don è stato tanto gentile da organizzare subito questo incontro.”

Guardò tutto il gruppo. “Mi seguite finora?”

Ci fu un mormorio generale d’assenso.

Il colonnello controllava il monitor a parete dal portatile. Apparve una mappa della zona settentrionale dell’Alaska, insieme a una sottile parte del mar Glaciale Artico. Un puntino in mezzo all’acqua era cerchiato in rosso.

“È una situazione in rapido sviluppo. Quello che posso dirvi è che un’ora e mezzo fa, una piattaforma petrolifera nel Mar Glaciale Artico è stata attaccata e sopraffatta da un gruppo di uomini pesantemente armati. C’erano circa novanta operai a lavoro sulla piattaforma e nell’isola artificiale che la circonda, e non sappiamo quanti siano stati uccisi nell’attacco iniziale. Hanno anche preso degli ostaggi, ma non abbiamo idea del loro numero.”

“Chi sono gli aggressori?” chiese Luke.

Il generale scosse la testa. “Non lo sappiamo. Hanno rifiutato i nostri tentativi di contatto, ma ci hanno mandato un video degli operai riuniti in una stanza e tenuti sotto tiro da uomini mascherati in nero. La compagnia proprietaria della piattaforma ci ha fornito l’audio dei dispositivi di monitoraggio, e la qualità non è un granché ma si sentono alcune voci. Oltre all’inglese degli operai, ci sono persone che parlano in una lingua dell’est d’Europa, forse slavo, ma se non abbiamo prove per confermarlo.”

Sullo schermo, la mappa sparì per mostrare alcune immagini aeree della piattaforma e del campo che la circondava. L’impianto di trivellazione, alto forse trenta o quaranta piani, dominava la prima foto. Al di sotto c’erano diverse baracche di lamiera, separate da passerelle. Attorno al piccolo complesso c’era un vasto mare ghiacciato.

Poi apparve un ingrandimento che mostrava l’area e gli edifici nel dettaglio. Non si vedevano persone dritte in piedi da nessuna parte, ma stesi a terra c’erano dozzine di corpi, diversi circondati da macchie di sangue.

Fu il turno di un’altra foto. Un grande striscione bianco con un messaggio scritto a mano era stato allungato sulle assi del pavimento.

AMERICA BUGIARDI + IPOCRITI

“Un messaggio interessante,” commentò Swann.

“In effetti non abbiamo molto su cui lavorare. Lo striscione che vedete suggerisce un attacco da parte di cittadini stranieri. Le riprese dei droni ci mostrano un complesso completamente vuoto. Gli aggressori sembrano aver portato ogni sopravvissuto al chiuso, ma non possiamo sapere se siano dentro le baracche di lamiera o all’interno dell’impianto stesso.”

Per un momento lo schermo rimase vuoto.

“Abbiamo un piano per riprenderci la struttura, neutralizzare i terroristi e salvare i membri sopravvissuti del personale civile. Prevede un’infiltrazione e un attacco principalmente da parte di Navy NEAL ma anche con voi. Per eseguire il piano è necessario portarvi nel Mar Glaciale Artico, quindi dobbiamo muoverci in fretta.”

Ed Newsam alzò una mano. “Quando cominciamo?”

Il generale rispose con un cenno del capo. “Stanotte, prima dell’alba. Ogni esperienza che abbiamo avuto con dei terroristi negli ultimi anni suggerisce che il protrarsi di situazioni è una strategia fallimentare, persino disastrosa. Viene coinvolto il pubblico, così come i politici. La stampa comincia a trasmettere il panico in televisione ventiquattr’ore su ventiquattro. Mettere in dubbio la risposta del governo diventa il passatempo nazionale. Un lungo stallo ispira ed esalta anche terroristi in altri paesi. Le immagini degli ostaggi bendati tenuti sotto tiro…»

Scosse la testa.

«Meglio non esplorare questa strada. Il gruppo in questione ha attaccato senza preavviso, e noi faremo lo stesso. Li colpiremo prima dell’alba, col favore delle tenebre, appena prima dell’ora della loro stessa aggressione e così riprenderemo il controllo. Con un’operazione riuscita, e sono certo che avremo successo, dimostreremo agli altri gruppi terroristici che facciamo sul serio.”

Stark doveva aver visto gli sguardi che il personale del GIS gli stava rivolgendo.

“Crediamo che la vostra agenzia sia perfetta per partecipare a questa missione. Se non siete d’accordo…” Lasciò la frase in sospeso.

Luke doveva ammettere che non gli piaceva la direzione che stava prendendo quella storia. Aveva appena lasciato sua moglie e il figlio neonato a letto. Ora doveva andare nell’Artico?

“Il Mar Glaciale Artico sarà a più di seimila chilometri da qui,” esclamò Swann. “Come facciamo a raggiungerlo prima dell’alba?”

Il generale chinò di nuovo il capo verso di lui. “Più che altro settantamila chilometri. E ha ragione, è molto distante. Ma siamo avanti di quattro ore rispetto a loro. Sulla piattaforma non sono neanche le sette e mezza di sera. Sfrutteremo la differenza di fusi orari.”

Si interruppe.

“E abbiamo la tecnologia per portarvi lì più velocemente di quanto possiate immaginare.”

* * *

“Cos’è che non ci sta dicendo?” domandò Luke.

Era seduto nell’ufficio di Don, dall’altra parte della grande scrivania del suo capo.

L’uomo anziano scrollò le spalle. “Lo sai che tengono sempre dei segreti. Ci sarà qualcosa di confidenziale nella piattaforma. O forse sanno di più degli aggressori di quanto non ci vogliano dire. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”

“Perché noi?” volle sapere l’agente più giovane.

“Lo hai sentito,” rispose Don. “Hanno bisogno di partecipazione e supervisione civile. È un ordine diretto del presidente, che è liberale da sempre. Quell’uomo ritiene l’esercito una specie di mostro. Non sa che le agenzie civili sono piene zeppe di ex militari.”

“Ma noi siamo troppo piccoli,” insistette Luke. “Senza offesa, Don, ma l’NSA è un’agenzia civile, e anche l’FBI. Ed entrambi hanno molto più potere di noi.”

“Anche noi siamo parte dell’FBI.”

Lui annuì. “Sì, ma il Bureau ha dei distaccamenti molto più vicini all’azione. Invece vogliono trasportare noi dall’altra parte del continente.”

Don lo fissò per un lungo momento. Per la prima volta, Luke si accorse di quanto fosse ambizioso il suo capo. Era stato il presidente a scegliere il GIS per quella missione, ma l’anziano militare voleva quella missione anche più di lui. Quelle operazioni erano il suo fiore all’occhiello. Don Morris aveva messo insieme una squadra di conquistatori e voleva che tutto il mondo ne fosse consapevole.

“Come sai,” spiegò l’uomo, “i distaccamenti sul campo impiegano agenti operativi semplici. Praticamente sono solo ispettori e polizia. Ma noi siamo le forze speciali. È quello per cui siamo nati, ed è quello che facciamo. Siamo rapidi e leggeri, colpiamo duro e ci siamo fatti una certa reputazione, non solo di uscire vittoriosi anche da circostanze difficili ma anche di avere una certa discrezione.”

Luke e Don si guardarono, ai lati opposti della grande scrivania.

Don scosse la testa. “Ci stai ripensando, figliolo? Nel caso va bene. Non devi dimostrare niente a nessuno, men che meno a me. Ma in questo momento la tua squadra è là fuori a prepararsi.”

Luke alzò le spalle. “Io sono già pronto.”

Il suo capo fece un ampio sorriso. “Bene. Sono sicuro che non avrete problemi e sarete di ritorno in tempo per la colazione.”

* * *

“Diamoci una mossa,” disse Ed Newsam. “Questa missione non si sbrigherà da sola.”

Il giovane agente era alla porta di Luke, con uno zaino pesante caricato in spalla. Non sembrava entusiasta, né eccitato. Se Luke avesse dovuto usare una parola sola per descrivere la sua espressione, l’avrebbe definito rassegnata.

Lui era seduto alla scrivania e stava fissando il telefono.

“L’elicottero è già sulla pista.”

Luke annuì. “Ricevuto. Arrivo subito.”

Stavano per partire. Nel frattempo, lui era stato colpito dalla sindrome del Telefono Troppo Pesante. Era fisicamente incapace di sollevare il ricevitore e fare una chiamata.

“Maledizione,” bisbigliò sotto voce.

Aveva controllato e ricontrollato le borse. Aveva l’equipaggiamento standard per i lunghi viaggi, la sua Glock nove millimetri nella fondina da spalla in cuoio e anche qualche caricatore in più per la pistola.

Un portabiti con due cambi era steso sulla sua scrivania e accanto c’era una piccola sacca piena di prodotti da bagno formato viaggio, un mucchio di barrette energetiche e mezza dozzina di pillole di dexedrina.

Le pillole erano praticamente anfetamina, o speed. Erano segnalate in maniera esplicita nel manuale d’istruzione per gli agenti speciali. Dopo la loro assunzione si rimaneva svegli e vigili per ore e ore. Ed ogni tanto le definiva ‘il tiramisù più veloce che c’è.’

Erano prodotti generici, ma non aveva senso prendere niente di più specifico. Sarebbero andati nell’Artico, la missione richiedeva attrezzatura specializzata che gli sarebbe stata fornita quando fossero atterrati. Trudy aveva già mandato le misure di tutta la squadra.

Quindi ora fissava il telefono.

Se n’era andato di casa senza spiegarle quasi niente. Ovvio, lei stava dormendo. Ma ciò non cambiava nulla.

E il bigliettino lasciato sul tavolo del soggiorno non diceva niente di sostanziale.

Sono stato chiamato per una riunione serale, forse mi toccherà passare una notte in bianco. Ti amo, L

‘Una notte in bianco’. Bell’eufemismo. Era quello che avrebbe detto un laureando all’università prima di una nottata a studiare per un esame. Aveva preso l’abitudine di mentirle sul lavoro e stava diventando difficile smettere.

Che senso avrebbe avuto dirle la verità? Certo, poteva chiamarla, svegliarla da un sonno profondo, disturbare il bambino facendolo piangere, e tutto per dirle cosa?

“Ciao, cara, sono diretto al circolo polare artico per eliminare alcuni terroristi che hanno attaccato una piattaforma petrolifera. Ci sono cadaveri sparsi ovunque. Già, sembra che sia l’ennesimo bagno di sangue. In realtà c’è il rischio che non ti riveda mai più. Okay, dormi bene. Bacia Gunner da parte mia.”

No, era meglio tenere le labbra cucite, compiere la missione e fidarsi che tra i Navy SEAL e il GIS avessero gli uomini migliori per sbrigare quel lavoro. Avrebbe chiamato la moglie il mattino seguente, una volta finito tutto. Se le cose fossero andate bene e la squadra fosse stata incolume, le avrebbe detto che avevano preso un volo per Chicago per interrogare un testimone. Avrebbe continuato con la farsa che il Gruppo d’Intervento Speciale si occupasse principalmente di lavoro investigativo, macchiato solo di tanto in tanto da qualche scoppio di violenza.

Okay, avrebbe fatto così.

“Sei pronto?” disse una voce. “Stanno salendo tutti sull’elicottero.”

Alzò lo sguardo. Alla sua porta c’era Mark Swann. Era sempre una visione sconcertante. Con la coda di cavallo, gli occhiali da aviatore, l’ombra di una barbetta incolta sul mento e le magliette delle rock band che sembrava indossare regolarmente… era come se avesse un cartello appeso al collo: NON MILITARE.

Luke annuì. “Sì, ci sono.”

Swann stava sorridendo. No, meglio, era radioso, come un bambino a Natale. Era una strana reazione di fronte alla prospettiva di un noioso volo su tutto il Nord America, seguito da uno snervante scontro armato con un nemico sconosciuto.

“Ho appena scoperto come ci porteranno lì,” annunciò il collega. “Non ci crederai. È assolutamente stratosferico.”

“Non avevo capito che saresti venuto anche tu,” osservò lui.

Il sorriso di Swann si fece persino più ampio.

“L’ho deciso adesso.”

CAPITOLO SEI

5 settembre 2005

8:30 a.m. Orario di Mosca (12:30 a.m. Ora legale orientale)

L’“Aquarium”

Quartier Generale del Main Intelligence Directorate (GRU)

Aeroporto di Khodynka

Mosca, Russia


“Che novità dal nostro amico?” chiese l'uomo di nome Marmilov.

Era seduto alla scrivania di un ufficio senza finestre nel seminterrato, e fumava una sigaretta. Sul ripiano di acciaio verdastro che aveva di fronte c'era un posacenere di ceramica, già pieno di diversi mozziconi nonostante l’ora del mattino. C'era anche una tazza di caffè (corretto con un goccio di whiskey, Jameson, importato dall'Irlanda).

Ogni mattino l'uomo fumava una sigaretta e beveva caffè nero. Era così che cominciava le sue giornate. Portava un abito scuro e i capelli radi erano pettinati di traverso sulla testa, irrigiditi e tenuti fermi dalla lacca. Tutto in quell’uomo era formato da spigoli duri e ossa sporgenti. Somigliava quasi a uno spaventapasseri. Ma i suoi occhi erano severi e intelligenti.

Era nel giro da molto tempo e aveva visto tantissime cose. Era sopravvissuto alle epurazioni degli anni ’80, e quando c’era stato il cambiamento negli anni ’90 aveva resistito anche a quello. Tutto il GRU ne era uscito praticamente intatto, a differenza del suo povero fratellino, il KGB, che era stato fatto a pezzi e sparso al vento.

Il GRU era vasto e potente come era sempre stato, forse persino di più. E Oleg Marmilov, di cinquantotto anni, aveva avuto un ruolo cruciale nella sua organizzazione per molto tempo. Era una piovra, la maggiore agenzia di intelligence russa, con i suoi tentacoli nelle missioni speciali, le reti di spionaggio di tutto il mondo, l’intercettazione di comunicazioni, gli omicidi politici, la destabilizzazione di governi, il traffico di droga, la disinformazione, la guerra psicologica, le operazioni sotto falsa bandiera, senza parlare del dispiegamento di 25mila soldati d’élite Spettanza.

Marmilov era un polpo rintanato all’interno della piovra. Aveva le mani in pasta in talmente tanti affari che a volte un subordinato gli dava un rapporto e lui brancolava nel buio per un istante prima di pensare:

“Oh, sì. Quella faccenda. Come sta andando?”

Ma alcune delle sue attività erano in cima alla sua lista di priorità.

Inchiodato sulla sua scrivania c’era un monitor. A un americano della giusta età, lo schermo avrebbe fatto pensare a una di quelle TV a gettoni che un tempo avevano riempito le stazioni degli autobus di tutto il paese.

Sullo schermo stavano passando le riprese di telecamere di sicurezza. Dava per scontato che ci fosse un ritardo nella trasmissione, forse anche di mezzo minuto. A eccezione di quello, il video era dal vivo.

Era buio, era calata la notte, ma Marmilov riusciva a vedere quanto bastava. Una scalinata metallica lungo il lato di una piattaforma petrolifera. Un agglomerato di baracche malconce in corrugato su un terreno freddo e arido. Un minuscolo impianto portuale sul mare ghiacciato, a cui era ormeggiata una piccola nave rompighiaccio. Non sembrava ci fosse anima viva.

Alzò lo sguardo sull’uomo di fronte alla sua scrivania.

“Beh? Ci sono novità?”

Il suo ospite era un giovanotto che, nonostante l’abito civile della taglia sbagliata che portava, stava sull’attenti come un militare. Stava fissando qualcosa di immaginario in lontananza, invece che l’uomo a poco più di un metro da lui.

“Sì, signore. Il nostro contatto ci ha fatto sapere che è stato scelto un gruppo di commando. La maggior parte di loro si sta radunando all’aeroporto di Deadhorse, in Alaska. Alcuni altri uomini, che rappresentano la supervisione civile del progetto, sono in viaggio su un aereo supersonico e arriveranno nelle prossime ore.”

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