La donna alla porta le vide e gelò. Sembrava che stesse facendo di tutto per formulare le parole che voleva dire. Alla fine, tutto ciò che riuscì a pronunciare fu: «Chi siete?»
Kate infilò lentamente la mano nella tasca della giacca per prendere il documento d’identità. Prima di essere riuscita a mostrarlo del tutto o a dire il suo nome, la moglie già sapeva. Lo si vide nei suoi occhi e nel modo in cui il suo viso cominciò ad accasciarsi lentamente. E mentre Kate e DeMarco finalmente raggiungevano i gradini del portico, la moglie di Jack Tucker cadde sulle ginocchia sulla soglia e cominciò a piangere.
***
Come si scoprì, i Tucker avevano dei figli. Tre, anzi, di sette, dieci e tredici anni. Erano tutti ancora svegli, lì nel soggiorno mentre Kate faceva del suo meglio per far entrare in casa la moglie – Missy, era riuscita a dire tra pianti e singhiozzi – per farla sedere. La tredicenne si precipitò al fianco della madre mentre DeMarco faceva del suo meglio per tenere gli altri lontani mentre la loro madre accettava la devastante notizia che le era appena stata data.
In un certo qual modo, Kate si accorse che forse aveva davvero corso troppo con DeMarco. I primi venti minuti trascorsi nella casa dei Tucker quella sera furono da mal di stomaco. Riusciva solo a pensare a un altro momento della sua carriera così lacerante. Guardò DeMarco, sia durante che dopo che ebbe cercato di radunare i bambini, e ci vide sprezzo e rabbia. Kate pensò che DeMarco avrebbe potuto avercela con lei per la cosa molto a lungo.
A un certo punto Missy Tucker si accorse che avrebbe dovuto trovare qualcuno che si occupasse dei suoi bambini se voleva cercare di aiutare Kate e DeMarco. Attraverso sottili vagiti chiamò suo cognato, dovendo dare anche a lui la notizia. Vivevano anche loro ad Ashton, e la moglie partì quasi immediatamente per venire a stare con i bambini.
Nello sforzo di dare a Missy e ai figli un po’ di privacy per gestire il dolore, Kate ottenne da Missy il permesso di dare un’occhiata alla casa in cerca di qualsiasi segno di quel che avrebbe potuto dare l’idea che qualcuno volesse uccidere suo marito. Cominciarono dalla camera padronale, perlustrando i comodini dei Tucker e gli articoli privati al suono della famiglia che, di sotto, piangeva.
«Che orrore» disse DeMarco.
«Sì. Scusami, DeMarco. Dico sul serio. Avevo solo pensato che sarebbe stato più facile per tutti i coinvolti.»
«Davvero?» chiese DeMarco. «Lo so che non ti conosco ancora così bene, ma una cosa che so di te è che hai la tendenza a esagerare per metterti addosso più pressione che puoi. È per questo che non riesci a capire lo sforzo, piuttosto semplice, di equilibrare il tuo tempo per il bureau con il tempo per la tua famiglia.»
«Prego?» chiese Kate con una vampata di rabbia.
DeMarco fece spallucce. «Scusa. Però è vero. Avrebbe potuto occuparsene la polizia locale e noi probabilmente saremmo già da qualche altra parte, a indagare.»
«Senza testimoni, la moglie è la nostra scommessa migliore» disse Kate. «È solo che deve gestire la morte del marito. È un orrore per tutti i coinvolti. Ma tu devi superare il tuo disagio. Nel grande schema delle cose, chi è più a disagio adesso? Tu o la nuova vedova in lutto di sotto?»
Kate non fu consapevole del tono alto e irritato fino a che non le uscirono di bocca le ultime parole. DeMarco la fissò male per un momento prima di scuotere la testa come una teenager viziata senza contestazioni da presentare, e lasciò la stanza.
Quando uscì dalla stanza anche Kate, vide che DeMarco stava guardando un ufficio e una minuscola biblioteca appena in fondo al corridoio. Kate la lasciò a lei, scegliendo di uscire in cerca di indizi. Non si aspettava di trovare nulla facendo il giro della casa, ma sapeva che sarebbe stato irresponsabile non fare tutti quei passaggi di routine.
Di nuovo all’interno, vide che erano arrivati il fratello di Jack Tucker e sua moglie. Il fratello e Missy si tenevano in un abbraccio tremante mentre la moglie era in ginocchio dai bambini e li abbracciava tutti. Kate vide che la tredicenne – una ragazzina che somigliava tantissimo al padre – aveva uno sguardo vuoto in viso. Vedendolo, non biasimò DeMarco perché era arrabbiata con lei.
«Agente Wise?»
Kate si voltò quando stava per tornare su per le scale e vide Missy percorrere il corridoio nella sua direzione. «Sì?»
«Se dobbiamo parlare, facciamolo subito. Non so quanto ancora riuscirò a non andare a pezzi.» Stava già ricominciando a emettere piccoli gemiti e lamenti. Dato che la notizia della morte del marito era vecchia di appena un’ora, Kate la ammirò per la sua forza.
Missy non disse altro, ma salì le scale con un rapido sguardo all’indietro verso il soggiorno dove erano riuniti i bambini e i parenti. DeMarco le raggiunse dal bagno di sopra, dove stava controllando l’armadietto dei medicinali, e le tre andarono nella camera padronale – la camera che Kate e DeMarco avevano già controllato.
Missy sedette sul bordo del letto come una donna che si risveglia da un bruttissimo incubo solo per accorgersi che l’incubo era ancora in corso.
«Prima mi avete chiesto perché si trovava a New York City» disse. «Jack lavorava come senior accountant per un’azienda piuttosto grossa – la Adler and Johnson. Lavorano giorno e notte alla modernizzazione di un’azienda di smantellamento degli impianti nucleari della Carolina del Sud. Nelle ultime notti restava in centro.»
«Si aspettava che stasera tornasse o pensava che avrebbe dormito in un hotel?» chiese DeMarco.
«Ci ho parlato circa alle sette di stamattina, prima che uscisse per la corsa mattutina. Ha detto non solo che aveva in programma di essere a casa oggi, ma probabilmente anche sul presto – verso le quattro o giù di lì.»
«Presumo che lei si sia messa a chiamarlo o scrivergli a un certo punto, quando si è accorta che stava tardando, giusto?» chiese Kate.
«Sì, ma non prima delle sette, più o meno. Quando quelli lì si buttano sul lavoro, il tempo finisce fuori dalla finestra.»
«Signora Tucker, sull’omicidio di suo marito è stato chiamato a indagare l’FBI perché la situazione riflette i dettagli e le circostanze di un caso di otto anni fa. La vittima era un altro uomo che viveva qui ad Ashton, ucciso anche lui a New York» spiegò Kate. «Non c’è nessuna prova solida a supportarlo, però è abbastanza da aver allarmato il bureau. Quindi è molto importante che cerchi di pensare a persone di cui suo marito potrebbe essere diventato il nemico.»
Kate capì che Missy ancora una volta stava combattendo le lacrime. Mandò giù il bisogno di lasciar uscire il dolore, cercando di farcela.
«Non riesco a pensare a nessuno. Non lo dico perché lo amo, ma era estremamente gentile. A parte qualche piccola discussione al lavoro, penso che non abbia mai avuto una discussione accesa in tutta la sua vita.»
«E i suoi amici intimi?» chiese Kate. «Ci sono degli amici con cui usciva, uomini in particolare, che potrebbero aver visto un lato diverso di suo marito?»
«Be’, faceva un po’ lo scemo col suo gruppo di amici dello yacht club, però non penso che lo descriverebbero in modo negativo.»
«Ha i nomi di alcuni di questi amici con cui potremmo parlare?» chiese DeMarco.
«Sì. Aveva un gruppetto… lui e altri tre. Si vedono allo yacht club o al cigar bar e guardano lo sport. Più che altro il football.»
«Per caso sa se qualcuno di loro ha dei nemici, o persone che si potrebbero considerare tali?» chiese DeMarco. «Persino ex mogli gelose o parenti con cui non hanno più gran rapporti.»
«Non lo so. Non li conosco così bene e…»
Il suono di singhiozzi incontrollabili dal piano di sotto la interruppe. Missy guardò in direzione della porta della camera con un cipiglio che fece male al cuore di Kate.
«È Dylan, il mio secondo figlio. Lui e suo padre erano…»
Si fermò lì, il labbro che tremava mentre cercava di riprendersi.
«Non c’è problema, signora Tucker» disse DeMarco. «Vada dai suoi figli. Abbiamo abbastanza per cominciare.»
Missy si alzò rapida e si precipitò alla porta, cominciando già a piangere. DeMarco le andò dietro lentamente, lanciando un’occhiata rabbiosa a Kate. Kate rimase nella camera un attimo di più, riprendendosi dalle sue emozioni. No, quella parte del lavoro non si svolgeva mai davvero facilmente. E il fatto che avessero ottenuto così poche informazioni dalla visita la rendeva anche peggio.
Finalmente tornò in corridoio, capendo perché DeMarco ce l’avesse con lei. Cavolo, anche lei era un po’ arrabbiata con se stessa.
Kate scese di sotto e puntò alla porta. Vide che DeMarco stava già montando in macchina, asciugandosi con le mani le lacrime dagli occhi. Kate chiuse la porta dolcemente dietro di sé, col dolore e il pianto della famiglia Tucker che la spingevano come un usciere che la conduceva sempre più in profondità in un caso che sembrava già perso.
CAPITOLO QUATTRO
Per le nove del mattino seguente, la notizia dell’assassinio di Jack Tucker aveva cominciato a fare il giro di Ashton. Fu la ragione principale per cui fu così facile per Kate e DeMarco mettersi in contatto con gli amici di Jack – di cui Missy la sera precedente aveva dato loro i numeri e i nomi. Non solo gli amici avevano già sentito la notizia, ma avevano cominciato a organizzarsi per aiutare Missy e i bambini durante il lutto.
Dopo qualche rapida telefonata, Kate e DeMarco avevano organizzato un incontro con i tre amici di Jack allo yacht club. Era un sabato, perciò il parcheggio stava già cominciando a riempirsi, persino alle nove del mattino. Il club si trovava proprio lungo il Long Island Sound e aveva quella che Kate pensava fosse probabilmente la miglior vista del canale senza avere in mezzo tutto il pretenzioso traffico delle barche.
Il club di per sé era un edificio a due piani che sembrava quasi in stile coloniale, con una piega moderna, in particolare negli esterni e nei giardini. Kate venne accolta da un uomo che stava già sulle porte. Indossava una semplice camicia button-down e un paio di pantaloni cachi – probabilmente quel che passava per un casual da weekend per il socio di uno yacht club del genere.
«È lei l’agente Wise?» chiese.
«Sì. E lei è la mia partner, l’agente DeMarco.»
DeMarco fece solo un cenno del capo, la rabbia e l’amarezza della sera precedente ancora molto presenti. Quando il giorno prima si erano separate all’hotel, DeMarco non aveva detto neanche una parola. Era però riuscita a dire un semplice “buongiorno” durante la veloce colazione, ma non era andata più in là.
«Sono James Cortez» disse l’uomo. «Ho parlato con lei al telefono stamattina. Gli altri sono fuori sulla veranda, pronti e in attesa, con i caffè.»
Le accompagnò attraverso il club, dagli alti soffitti e caldi ambienti incredibilmente affascinanti. Kate si chiese quanto costasse essere membro di quel posto per un anno. Di sicuro era fuori dalle sue possibilità. Quando uscirono sulla veranda che dava sul Long Island Sound, ne fu certa. Era bellissima, dava direttamente sull’acqua con le alte forme e la foschia della città sull’altro lato.
C’erano altri due uomini seduti al tavolino in legno che ospitava un piatto di pasticcini e bagel e una caraffa di caffè. Entrambi alzarono lo sguardo sulle agenti e si misero in piedi per salutarle. Uno sembrava piuttosto giovane, sicuramente non superava i trent’anni, mentre James Cortez e l’altro uomo arrivavano facilmente ai quarantacinque.
«Duncan Ertz» disse il più giovane allungando la mano.
Kate e DeMarco strinsero le mani agli uomini durante il breve giro di presentazioni. Il più vecchio era Paul Wickers, appena andato in pensione dal suo lavoro di intermediario finanziario e più che disposto a parlarne, dato che fu la seconda cosa che gli uscì di bocca.
Kate e DeMarco presero posto al tavolo. Kate prese una delle tazze vuote di caffè e la riempì, alterandolo con lo zucchero e la crema disposti accanto al piatto di pasticcini della colazione.
«Duole pensare alla povera Missy e a quei bambini stamattina» disse Duncan dando un morso a un danese.
Kate ricordò il trauma della sera precedente, e sentì di aver bisogno di controllare come stesse la poverina. Guardò DeMarco all’altro capo del tavolo e si chiese se fosse così anche per lei. Lontana dalla situazione, Kate stava cominciando a capire che forse DeMarco l’aveva presa così male per via di qualcosa del suo passato – qualcosa che ancora non aveva superato.
«Be’» disse Kate «Missy ha specificatamente menzionato voi come i più intimi di Jack al di fuori della famiglia. Speravo di saperne un po’ di più sul tipo di uomo che era fuori dalla casa e dal lavoro.»
«Be’, il punto è questo» disse James Cortez. «A quel che so, Jack era lo stesso uomo a prescindere da dove si trovasse. Una persona giusta e onesta. Un animo gentile che voleva sempre aiutare gli altri. Se aveva dei difetti, direi che era un po’ troppo preso dal lavoro.»
«Raccontava sempre barzellette» disse Duncan. «La maggior parte delle volte non facevano ridere, però adorava raccontarle.»
«Questo è sicuro» disse Paul.
«Non c’erano segreti di cui vi ha parlato?» chiese DeMarco. «Magari una relazione extraconiugale, o persino pensieri in merito?»
«Dio, no» disse Paul. «Jack Tucker era follemente innamorato di sua moglie. Mi sento sicuro a dire che quell’uomo amava tutto della sua vita. Moglie, figli, lavoro, amici…»
«È per questo che non ha senso» disse James. «Lo dico nel modo più rispettoso possibile, ma da una prospettiva esterna Jack era un tipo piuttosto standard. Noioso, quasi.»
«Idee se possa essere stato collegato alla vittima di un omicidio avvenuto otto anni fa?» chiese Kate. «Un tizio di nome Frank Nobilini, che viveva anche lui ad Ashton ed è stato ucciso a New York.»
«Frank Nobilini?» disse Duncan Ertz scuotendo il capo.
«Sì» disse James. «Lavorava per quell’immensa agenzia pubblicitaria che fa tutti i lavori per le scarpe da ginnastica. Sua moglie era Jennifer… tua moglie probabilmente la conosce. Una signora gentile. Nei progetti di abbellimento della comunità, ed è molto attiva nell’associazione genitori insegnanti e cose così.»
Ertz si strinse nelle spalle. Apparentemente era il nuovo del gruppo e non ne sapeva niente.
«Pensate che l’omicidio di Jack sia collegato a quello di Nobilini?» chiese Paul.
«È decisamente troppo presto per saperlo» disse Kate. «Però, data la sua natura, dobbiamo esaminarlo da quel punto di vista.»
«Per caso qualcuno di voi conosce i nomi di qualcuno con cui lavorava Jack?» chiese DeMarco.
«Ci sono solo due persone sopra di lui» disse Paul. «Uno è un tizio di nome Luca. Vive in Svizzera e viene qui tre o quattro volte l’anno. L’altro è uno del posto di nome Daiju Hiroto. Sono piuttosto sicuro che sia il supervisore degli uffici newyorchesi della Adler and Johnson.»
«Stando a Jack» disse Duncan «Daiju è il tipo di persona che praticamente vive al lavoro.»
«Era comune per Jack dover lavorare nel weekend?» chiese Kate.
«Di tanto in tanto» disse James. «Di recente l’ha fatto molto, a dire il vero. Sono nel bel mezzo di un grosso lavoro per tirar fuori dai guai un’azienda di smantellamento di impianti nucleari. L’ultima volta che ho parlato con Jack ha detto che se avessero sistemato tutto in tempo, sarebbero potuti venir fuori molti soldi dalla cosa.»
«Scommetto dei bei bigliettoni che troverete quasi tutto il gruppo al lavoro oggi» disse Paul. «Potrebbero essere in grado di dirvi cose di cui noi non siamo al corrente.»