Persecuzione - Блейк Пирс 3 стр.


Ryan ha ragione? pensò.

Ripensò a quanto poco sapesse della vita della ragazza, una vita di impensabili crudeltà ed abuso, apparentemente. Heidi e il suo ragazzo avevano iniziato la loro scia di morte, quando suo padre e suo fratello l’avevano stuprata. Riley non poteva biasimare Orin per averli uccisi. Poi, dopo, entrambi Orin ed Heidi dovevano essersi sentiti troppo disperati per avere idea di ciò che stavano facendo.

E anche troppo giovani, Riley pensò.

Ancora una volta, Riley non riusciva a fare a meno di ricordare il viso fresco e sorridente di Heidi, nel momento in cui aveva puntato la pistola contro Riley, l’istante prima della sua morte.

Riley mormorò ad alta voce: “Heidi era solo una ragazzina, Ryan. Non meritava di morire in quel modo. Quello che meritava era una vita migliore di quella in cui era intrappolata.”

Ryan rivolse a Riley uno sguardo interrogativo.

“Ma non hai avuto scelta” ribatté. “Se non avessi sparato come hai fatto, di sicuro, saresti rimasta …”

La sua voce si interruppe di nuovo. Riley conosceva la parola che lui non riusciva affatto a dire.

Uccisa.

“Lo so” Riley disse con un sospiro. “È quello che l’Agente Crivaro continua a ripetermi. Dice che è stato un gesto legittimo. E persino una procedura corretta. Si è trattato di autodifesa, un chiaro caso di ‘immediato pericolo di morte o seria minaccia fisica.’”

“Crivaro ha ragione, Riley” Ryan disse. “Sicuramente questo lo sai.”

“Lo so” rispose.

E, razionalmente, lei lo sapeva. Ma, intimamente, non riusciva ad accettare quel giudizio. Fu come se tutto il suo colpo la stesse accusando adesso. Si chiedeva se sarebbe mai riuscita a superare quello stato d’animo.

Ryan le toccò gentilmente la mano, e Riley lo lasciò fare. La mano del fidanzato era quasi bollente contro il suo palmo freddo e sudato.

Ryan riprese: “Riley, quante volte dovrai affrontare una situazione simile?”

“È il mio lavoro” Riley ribatté.

“Sì, ma … che tipo di lavoro è quello che ti fa sentire così male con te stessa? Questo è davvero ciò che vuoi fare nella tua vita?”

“Qualcuno deve farlo”.

“Quel qualcuno devi essere tu?” Ryan chiese.

Riley non aveva idea di come rispondere a quella domanda. E, per quanto apprezzasse la preoccupazione del fidanzato, non poteva essere sicura di quanto fosse davvero sincero. Per chi era davvero turbato Ryan, per Riley o per se stesso?

Odiava dubitare di lui in quel modo, ma non riusciva a farne a meno. Durante il breve periodo che avevano trascorso insieme come coppia, la donna aveva imparato con sgomento che Ryan aveva un lato egoistico. E lui aveva tantissime ragioni egoistiche per odiare ciò che lei stava facendo in quei giorni. Odiava anche solo il fatto che facesse la pendolare fino a Quantico ogni giorno. Lo privava dell’utilizzo della sua preziosa Ford Mustang e lo costringeva a usare il trasporto pubblico, per andare al lavoro, nel suo studio legale, ogni giorno. Non le aveva nascosto il fatto di trovarlo umiliante.

Ryan le strinse la mano e disse: “Forse dovresti solo pensare a un cambiamento. Possiamo vivere con il mio stipendio. Abbiamo anche un conto di risparmio. Anche se tu stessi a casa, e so che non vuoi farlo, potrei sempre mantenere entrambi. Potrei persino programmare un trasloco in una casa più bella nell’immediato futuro. Non devi farlo … per noi.”

Riley non rispose.

Ryan riprese: “Forse, dovresti parlarne con il tuo consulente.”

Riley sussultò bruscamente. Si pentì di detto a Ryan di dover fare almeno una sessione di terapia. Dopo che lei e Crivaro erano tornati a Quantico, l’Agente Speciale Capo Erik Lehl, le aveva detto che la consulenza era obbligatoria, avendo lei ucciso per la prima volta.

Non aveva ancora preso un appuntamento.

Ryan insistette: “Riley, sono preoccupato. Che cosa farai? Che cosa faremo?”

Riley si stupì, accorgendosi di essere spazientita.

Disse: “Ryan, dobbiamo davvero parlarne adesso?”

Sembrando umiliato, Ryan diede un colpetto alla sua mano e disse: “No, certo che no. Vado a preparare la cena.”

“No, ci penso io” Riley rispose.

“Non essere ridicola” Ryan esclamò. “Devi prenderla con calma. Mi occuperò io di tutto. Vuoi che ti prepari un drink?”

Riley annuì, e Ryan andò in cucina. Alcuni istanti dopo, tornò con un bicchiere di bourbon e ghiaccio e lo appoggiò sul tavolino da caffè di fronte a Riley. Poi, tornò in cucina e si mise a trafficare, iniziando a preparare la cena.

Riley avrebbe voluto che lui l’avesse lasciata cucinare quella sera. Aveva bisogno di qualcosa, qualunque cosa, da fare per tenersi occupata. Temeva davvero che il giorno dopo non avrebbe avuto alcunché da fare.

Mentre era seduta da sola sul divano, bevendo il bourbon, si sentì sopraffatta dalle emozioni. Prima di rendersene conto, stava singhiozzando. Provò a farlo silenziosamente, così che Ryan non la sentisse e tornasse e provasse a confortarla.

Non desiderava essere confortata.

Voleva soltanto piangere.

Durante il viaggio di ritorno a Quantico, l’Agente Crivaro le aveva continuato a ripetere che le avrebbe fatto bene piangere.

“Coraggio, sfogati” aveva continuato a ripeterle.

Ma, in qualche modo, non era riuscita a farlo, almeno non fino a quel momento. Era bello poter lasciar sfogare i suoi sentimenti dopo una giornata lunga ed orribile. Pianse e pianse, finché non esaurì le lacrime.

Quando finalmente le lacrime cessarono, Riley immaginò che sarebbe stato meglio andare al bagno a lavarsi il viso, così che Ryan non la vedesse in quelle condizioni. Ma, prima che potesse alzarsi dal divano, il telefono della linea fissa dell’appartamento squillò.

Sentì Ryan gridare: “Rispondo io.”

“No, ci penso io” replicò lei con lo stesso tono.

Era più vicina al telefono di quanto fosse il fidanzato. E persino un compito banale come rispondere al telefono la faceva sentire bene, sebbene non pensasse che la chiamata provenisse da qualcuno con cui avrebbe voluto parlare.

Quando alzò la cornetta, sentì una voce familiare.

“Ehi, ragazzina. Come stai?”

L’umore di Riley migliorò improvvisamente, appena riconobbe quella voce. Si trattava della sua compagna di stanza all’Accademia, Francine Dow.

“Frankie!” balbettò con sorpresa. “È … è bello sentirti!”

Riley non vedeva Frankie da quando si erano diplomate a dicembre, ed avevano soltanto parlato al telefono un paio di volte. Dopo il diploma, Frankie era stata assegnata come agente alla sede di Washington D.C. dell’FBI.

Con una voce colma di preoccupazione, Frankie la incoraggiò: “Dai, parla con me.”

Riley era stupita.

Balbettò: “Vuoi dire … sai …?”

“Sì, so che cos’è successo. E non ci crederai mai, se ti dico come l’ho scoperto. Ho ricevuto una chiamata dall’Agente Speciale Jake Crivaro in persona. Ha detto che era preoccupato per te. E che potresti aver avuto bisogno di parlare con un’amica.”

Riley sorrise, sentendo una nota di stupore nella voce di Frankie. Sebbene Riley non se ne fosse resa conto, quando l’Agente Crivaro aveva dimostrato il primo interesse per le capacità uniche di lei, nel tempo aveva appreso che il suo mentore era una sorta di leggenda vivente nell’FBI. Frankie non sembrava riuscire a smettere di meravigliarsi del fatto che ora Riley fosse la sua partner fissa.

Ricevere una telefonata da lui deve aver lasciato Frankie a bocca aperta, fu il pensiero di Riley.

Frankie disse: “Allora, come stai?”

“Non bene” Riley rispose con un sospiro. “Immagino che avessi sempre saputo … che avrei dovuto fare una cosa del genere prima o poi. Ma non sapevo quanto ci sarei stata male.”

“Beh, mi chiedevo se forse ti piacerebbe se ci vedessimo e tu potessi sfogarti un po’” Frankie propose.

Riley fu presa da un senso di gratitudine.

“Oh, sarebbe meraviglioso, Frankie” rispose. “Domani ho il giorno libero. Ti va di pranzare insieme?”

“Sembra grandioso”.

Si accordarono e chiusero la telefonata. Riley rimase a fissare il telefono nella sua mano. Solo in quel momento si stava rendendo conto di una cosa.

L’Agente Crivaro ha contattato Frankie.

L’ha chiamata per me.

Era una cosa sorprendente e incredibilmente premurosa da fare, e Riley si sentì profondamente commossa dalla preoccupazione del suo mentore. E andare a pranzo con Frankie l’indomani le dava qualcosa da attendere, dopo una giornata talmente terribile.

Sentendosi improvvisamente molto meglio, Riley entrò in cucina.

Pensò. Aiuterò Ryan con la cena, che gli piaccia o no.

Quel giorno era stato peggiore di quanto avesse mai immaginato. Ma aveva degli amici che l’avrebbero aiutata a venirne fuori. Forse l’indomani sarebbe stato più facile. Dopotutto, che tipo di incubo sarebbe stato peggiore di quello che aveva appena affrontato?

CAPITOLO TRE


Il giorno seguente, prima delle dodici, Riley uscì per aspettare che Frankie passasse a prenderla per andare a pranzo. Si ritrovò a chiedersi se sarebbe davvero stata in grado di parlare con la sua amica d’Accademia di quello che si era verificato il giorno precedente. Ryan era andato al lavoro come al solito, cogliendo con gioia l’opportunità di guidare la loro auto per una volta. Perciò, Riley aveva dormito fino a tardi, trascorrendo una mattina rilassandosi.

Presto Frankie arrivò nel suo hatchback malconcio, e Riley ci saltò dentro. Si rese conto del fatto che i lineamenti rossastri e i capelli color ruggine dell’amica erano una vista piacevole. Si disse che questo sarebbe stato senz’altro un giorno migliore.

Frankie guidò fino al loro ristorante preferito per il pranzo a Washington D.C., Tiffin’s Grub & Pub. Si sedettero ad un tavolino ed entrambe ordinarono dei sandwich al tonno. Poi consumarono del caffè e chiacchierarono per poco, evitando l’argomento della prima uccisione di Riley.

Forse non ci gireremo intorno per parlarne, Riley pensò.

Se così era, le sarebbe stato bene. Passare più tempo con Frankie sarebbe bastato per farla sentire molto meglio. Intanto, lei e l’amica dovevano aggiornarsi un po’.

Frankie disse: “Ho sentito dire che hai lavorato ad altri tre casi dall’ultima volta in cui ci siamo viste. Questo è piuttosto ammirevole. Si sta spargendo la voce che tu sia quasi un prodigio, il prossimo Jake Crivaro, a quanto dicono.”

Riley arrossì dinnanzi a quella che sapeva essere un’alta lode.

“Ho ancora tanto da imparare” replicò. “Raccontami, come ti va qui a Washington D.C.? Come sta procedendo la tua vita da agente dell’FBI?”

Frankie aggrottò il sopracciglio e sospirò.

“Non è tutto come speravo che fosse, a dire il vero” rispose.

Riley provò un pizzico di preoccupazione. Sapeva che Frankie aveva passato ben sei mesi a lavorare sotto copertura come corriere della droga, prima di riuscire ad entrare nell’Accademia. Per la sua esperienza passata, Frankie era stata felice e speranzosa nei confronti del suo incarico. Ora sembrava triste e delusa.

Quando arrivarono i panini, Riley chiese a Frankie di parlargliene. L’amica prese un sorso di caffè e rifletté per un momento.

Poi disse: “Sai, ho imparato una vera lezione mentre lavoravo come poliziotta sotto copertura a Cincinnati. Ho imparato che l’intera ‘Guerra alla Droga’ è senza senso. È una guerra che non può essere vinta. Il vero problema è che c’è molto dolore là fuori, e molte persone infelici. Rinchiuderle per l’uso di droga non arriva alla radice del problema. E immagino che io …”

La voce di Frankie si interruppe per un momento.

Poi, proseguì: “Beh, pensavo di poter fare la differenza, lavorando nell’FBI. Pensavo di poter cambiare come sono state fatte le cose. Ma non sta funzionando in quel modo. Resta sempre tutto uguale, proprio come a Cincinnati. L’unica differenza è che ora non lavoro più sotto copertura. Ma sono ancora coinvolta nella stessa tipologia di operazioni, e non posso cambiare alcunché. Mi sento come una ingenua idiota per aver pensato di poter fare la differenza.”

Riley si protese sul tavolo, verso l’amica, e disse: “Frankie, concediti del tempo. Hai appena iniziato. Sii paziente.”

Frankie sbuffò. “Sì, beh, la pazienza non è esattamente il mio forte. E, ad ogni modo, i miei problemi sembrano piuttosto banali in confronto a quello che ti è capitato ieri. Crivaro sembrava davvero preoccupato per te al telefono. Vuoi parlarne? Vuoi raccontarmi cosa è successo?”

Riley esitò per un istante. Poi, immaginò che parlarne fosse parte del motivo per cui era lì. Appena cominciò a raccontare a Frankie tutto quello che era successo il giorno precedente, sentì un nodo in gola.

Non ricominciare a piangere, si disse.

Riuscì a controllare le lacrime, mentre descriveva il momento in cui aveva ucciso Heidi Wright.

Poi disse: “Frankie, era solo una ragazzina, quindici anni. Non era colpa sua il fatto di aver avuto una vita così orrenda. Non aveva alcuna opzione. Era disperata. Aveva bisogno di qualcuno che le desse una buona casa, che la guidasse e le desse un po’ d’amore. Non meritava di morire così.”

Ora la voce di Frankie era colma di preoccupazione.

“Non credo che serva che io dica l’ovvio” Frankie disse.

Riley annuì e rispose: “Lo so, lo so. Non ho avuto altra scelta. Era la sua vita o la mia.”

“E la tua vita conta, Riley” Frankie disse. “Conta molto.”

Riley dovette asciugarsi una lacrima ora.

“Sento che le cose non torneranno più come prima” disse.

Frankie inclinò il capo e disse: “Beh, non ho mai dovuto sparare a qualcuno, ma … so come ci si sente a fare qualcosa che ti cambia davvero. Ci sono passata. Lo capisco.”

Riley sapeva a quale terribile evento l’amica si riferisse. Quando lavorava sotto copertura a Cincinnati, uno spacciatore l’aveva costretta a iniettarsi di eroina, minacciandola con un coltello. La donna non aveva avuto scelta.

Riley ricordò quello che Frankie le aveva detto dell’incredibile stato di euforia che aveva vissuto.

“Se fossi morta allora, sarei morta felice.”

Quello era l’evento che aveva convinto Frankie che la ‘Guerra alla Droga’ era inutile. Riley sapeva che Frankie avrebbe combattuto con tale esperienza per il resto della sua vita. Fino a quel momento, Riley non era riuscita ad immaginare come fosse per lei.

Forse adesso posso comprendere, pensò.

Riley diede un morso al sandwich e rifletté per un momento.

Poi disse: “Ecco la cosa strana, Frankie. Circa due settimane fa, volevo davvero uccidere qualcuno. Mi ci è voluto tutto il mio autocontrollo per non farlo.”

“Che cos’è successo?” Frankie chiese.

Riley rispose: “Forse hai sentito parlare del caso a cui io e Crivaro abbiamo lavorato in Maryland.”

“Sì, un brutto affare” Frankie esclamò. “Il killer si chiamava Mullins, giusto?”

Riley annuì. “Sì, Larry Mullins. Ha ucciso due bambini, di cui era il babysitter, soffocandoli in due diversi parchi giochi.”

Poi, con un lieve gemito, aggiunse: “Naturalmente, Mullins non è ancora stato incarcerato. La data del processo non era nemmeno stata stabilita, e le prove che abbiamo contro di lui sono ancora inconsistenti. Ma io e Crivaro sappiamo che è colpevole, e così i genitori dei bambini.”

Riley fece una pausa per un momento, temendo il ricordo che stava per descrivere.

“Mullins è un bastardo orgoglioso” riprese. “Ha questa faccia da ragazzino, e questo è il motivo per cui i genitori dei bambini si sono fidati di lui. Ho odiato l’atteggiamento che aveva nell’istante in cui io e Crivaro l’abbiamo preso. Mi ha rivolto un largo sorriso, praticamente ammettendo con gli occhi di essere colpevole. Ma sapeva anche dannatamente bene che sarebbe stata dura per noi dimostrarlo.”

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