Il Sorriso Perfetto - Блейк Пирс 2 стр.


Quando Ernie aveva undici anni, aveva passato un anno in una struttura psichiatrica per minori dopo aver pugnalato un altro ragazzino più volte all’addome con un cacciavite. Fortunatamente per lui, la sua vittima era sopravvissuta.

Ernie aveva scontato la sua pena senza altri incidenti. Dopo la sua liberazione e il trasferimento a un’altra famiglia, non aveva avuto nessun altro problema. La sua cartella minorile era stata sigillata al passaggio alla maggiore età. Senza nessun altro bollino rosso tra i documenti, tutto quello che rimaneva era un ammirevole curriculum come parte dell’esercito statunitense, seguito da periodi di lavoro come guardia di sicurezza privata e guardia carceraria in una prigione di massima sicurezza in Colorado.

Se Kat avesse avuto accesso alla sua cartella psichiatrica del centro di detenzione minorile, avrebbe saputo che il personale medico lo considerava un sociopatico con un’incredibile capacità di controllo e un professionista nel nascondere le sue inclinazioni violente.

La riga finale dei suoi documenti diceva: “I medici ritengono che il soggetto Cortez sia un costante rischio per la comunità. Ha imparato a nascondere i suoi desideri, ma è probabile che a un certo punto, presto o forse nel futuro più lontano, le stesse problematiche psichiatriche che l’hanno condotto alla detenzione in questa struttura riemergano. Purtroppo il nostro attuale sistema non propone nessun collocamento per tale possibilità e richiede quindi il rilascio del soggetto. Ulteriori cure, anche se non obbligatorie, sono fortemente raccomandate.”

Non erano state fornite altre cure. Quando Ernie era diventato una guardia al DNR e aveva iniziato a interagire con Bolton Crutchfield, un maestro nella manipolazione delle menti, era caduto sotto al suo influsso. Ma non l’aveva mai lasciato trasparire, continuando a fare il suo lavoro e a interagire positivamente con i colleghi che alla fine avrebbe ucciso.

Kat si biasimava per tutte quelle morti, anche se non c’era proprio modo che lei avesse potuto anticiparle. Aveva tentato più e più volte di lenire il proprio senso di colpa, ma non ci era riuscita.

“Sono una profiler forense che è addestrata per accorgersi di cose come le tendenze sociopatiche,” le aveva detto Jessie. “Ho interagito con lui in decine di occasioni e non ho mai sospettato di lui una sola volta. Non so come avresti potuto farlo tu.”

“Non ha importanza,” aveva insistito Kat. “Ero responsabile della sicurezza degli altri agenti e di tenere al sicuro quei detenuti. Ho fallito su entrambi fronti. Merito di accollarmene la colpa.”

Quella conversazione aveva avuto luogo tre giorni prima. Ora Kat si trovava da qualche parte in Francia, inconsapevole del fatto che il servizio federale aveva chiesto all’Interpol di incaricare un ufficiale sotto copertura perché la seguisse per sua personale protezione. Da parte sua, Jessie era stesa su un lettino in plastica della piscina, dove poteva essere sentita se avesse gridato. Non aveva nessuno con cui parlare, praticamente nessuna privacy e ben poco per tenere la sua mente occupata, impedendole di vagare in luoghi oscuri. Nei momenti più densi di sconforto e autocommiserazione, le sembrava ancora una volta di essere vittimizzata.

Mentre si dirigeva all’interno per prendersi qualcosa da mangiare, si infilò il soprabito che uno degli agenti le aveva comprato l’altro giorno. L’uomo non aveva ricevuto istruzioni dettagliate, quindi non era una sua colpa se no le stava proprio divinamente. Però Jessie non poteva fare a meno di sentirsi frustrata che quella cosa le arrivasse appena alle anche e fosse in qualche modo grossa e ingombrante. Con la sua altezza di un metro e ottanta circa, Jessie aveva bisogno di qualcosa che fosse lungo il doppio e largo la metà. Si tirò indietro i capelli castani facendosi una coda e cercò di cancellare l’espressione scocciata dai suoi occhi verdi, quindi entrò.

Entrando in casa, vide l’agente che si trovava vicino alla porta scorrevole girare leggermente la testa. Stava chiaramente ascoltando qualche messaggio nel suo auricolare. Il suo corpo si irrigidì involontariamente per quello che aveva sentito. Jesse capì che stava succedendo qualcosa ancora prima di entrare in cucina.

L’uomo non le disse niente, quindi Jessie continuò verso la cucina, fingendo di essere ignara di qualsiasi cosa stesse accadendo. Incerta se il messaggio potesse riguardare un’irruzione in casa, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa per proteggersi in caso Crutchfield l’avesse trovata. Sul tavolo della sala da pranzo vicino alla cucina c’era una sfera con la neve raffigurante San Francisco, grande più o meno come un piccolo melone.

Mentre si chiedeva di sfuggita come potesse esserci neve a San Francisco, Jessie afferrò la sfera e la tenne stretta dietro la schiena. Poi entrò in cucina tenendo il peso verso le punte dei piedi, il corpo teso e pronto all’azione e gli occhi che scattavano da destra a sinistra alla ricerca di qualsiasi minaccia. In fondo alla cucina, una porta si aprì.

CAPITOLO DUE

Mentre aspettava di vedere di chi si trattasse, Jessie si rese conto di essere rimasta in apnea, quindi si sforzò di espirare lentamente e silenziosamente.

Nella stanza fece il suo ingresso, bruscamente e senza la minima apprensione, Frank Corcoran. L’agente federale supervisore del suo caso, Corcoran era uno che faceva sul serio. Con la mascella squadrata e le spalle larghe, indossava pantaloni e giacca blu navy con una camicia bianca e una cravatta nera perfettamente annodata. I suoi baffi tagliati con attenzione avevano i primi accenni di grigio ai lati, come anche i capelli corti e neri.

“Si sieda, signorina Hunt,” disse, senza alcuna traccia di informalità. “Dobbiamo parlare. E può mettere giù quella sfera di neve. Le assicuro che non ne avrà bisogno.”

Posando la sfera sul tavolo della cucina e rifiutandosi di chiedere come facesse a saperlo, Jessie si sedette, chiedendosi cosa diamine stesse per rivelarle. Xander Thurman aveva appena assassinato i suoi genitori adottivi. Aveva quasi ammazzato due poliziotti nel tentativo di arrivare a lei nel suo appartamento. La violenta fuga di Bolton Crutchfield dal DNR aveva portato alla morte di sei guardie. Uno dei restanti fuggitivi aveva trovato Kat in Europa? Avevano inseguito il suo amico e collega, il detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles Ryan Hernandez, che non sentiva da giorni? Si preparò al peggio.

“Ho degli aggiornamenti per lei,” le disse Corcoran, quando si rese conto che Jessie non aveva intenzione di fare domande.

“Va bene.”

“Ho parlato con il suo capitano,” le disse, tirando fuori un pezzo di carta e leggendolo. “Voleva comunicarle i buoni desideri dell’intero distretto di polizia. Dicono che stanno seguendo ogni pista a disposizione e spera che lei non sia costretta a restare in stretta custodia per molto altro tempo.”

Dal tono scettico della voce di Corcoran e dalle sue sopracciglia leggermente inarcate, Jessie poteva dire che non condivideva il punto di vista del capitano Decker sulla situazione.

“Lei è meno ottimista di lui, mi pare di intuire?”

“Ed ecco l’altro aggiornamento,” rispose, tecnicamente non rispondendo alla sua domanda. “Non abbiamo avuto fortuna nella ricerca del signor Crutchfield. Mentre due fuggitivi sono stati catturati, come lei ben sa, altri due sono ancora liberi, per non parlare del signor Cortez.”

“Gli uomini catturati hanno fornito qualche informazione utile dall’ultima volta che mi avete aggiornata?”

“Purtroppo no,” le rispose. “Entrambi dicono ancora la stessa cosa: che sono andati ciascuno per la propria strada dopo la fuga. Nessuno di loro neanche sapeva che la cosa sarebbe successa, fino a che non sono stati fatti uscire dalle loro celle.”

“Quindi è probabile che Crutchfield e Cortez siano stati gli unici a programmare la cosa?”

“È quello che siamo propensi a pensare,” disse Corcoran. “Dopotutto abbiamo un’enorme squadra di uomini messi sulle tracce dei fuggitivi. Oltre al Dipartimento di Polizia di Los Angeles, sono coinvolti anche il Dipartimento dello Sceriffo, la Polizia di Stato della California, il Bureau Investigativo della California e l’FBI, come, ovviamente, il Servizio Federale.”

“Ho notato che ha detto che state cercando i fuggitivi,” disse. “E Xander Thurman?”

“Cosa c’entra?”

“Beh, è un serial killer anche lui. Ha cercato di uccidere me e due agenti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles ed è in libertà. Quanti dei vostri lo stanno cercando?”

Corcoran la guardò come se fosse sorpreso di dover esprimere il commento successivo.

“Sulla base della descrizione che lei ha fornito delle sue ferite, lo vediamo come una minaccia meno immediata. E il suo attuale stato nel Programma di Protezione Testimoni ci fa preoccupare di lui in modo minore. Inoltre, attualmente la nostra priorità è per i diversi fuggitivi evasi da una struttura di detenzione psichiatrica criminale, non per un uomo della cui presenza nessuno è al corrente.”

“Mi sta dicendo che la vostra ricerca è pilotata da media e politica,” notò Jessie con tono deciso.

“Questo è un modo, non certo sconsiderato, di descrivere la cosa.”

Jessie apprezzò la sua onestà. E per uno nella sua posizione, non poteva realmente obiettare al fatto che si trattasse di un utilizzo irragionevole delle risorse. Jessie decise di lasciar perdere, per il momento.

“Ci sono potenziali piste?” chiese dubbiosa.

“Crediamo che i nostri migliori sforzi siano puntati sul signor Cortez. Il pensiero è che abbia approntato un piano per il post-fuga. Stiamo controllando il suo conto bancario, gli acquisti tramite carta di credito e i dati GPS del telefono nelle settimane precedenti all’evasione. Fino ad ora non abbiamo trovato nulla che possa essere utile come dei biglietti per un volo.”

“Non li troverete,” mormorò Jessie.

“Perché dice questo?”

“Cortez starà alle calcagna di Crutchfield. E vi garantisco che Bolton Crutchfield non andrà da nessuna parte.”

“Come può esserne tanto sicura?” chiese Corcoran.

“Perché non ha ancora finito con me.”

*

Quella notte Jessie non poté dormire. Dopo essersi girata e rigirata per quelle che le parvero delle ore, uscì da sotto le coperte e andò in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.

Mentre percorreva il corridoio rivestito di moquette, sentì subito che c’era qualcosa che non andava. L’agente federale che di solito stava seduto su una sedia all’intersezione tra il corridoio e il salotto non c’era. Jessie considerò l’idea di tornare in camera sua per prendere una pistola, ma poi ricordò che effettivamente non ce l’aveva. Il Servizio Federale gliel’aveva messa ‘sotto sicurezza’ fino a ulteriore avviso.

Invece premette la schiena contro la parete del corridoio, ignorando il cuore che improvvisamente batteva all’impazzata, e continuò in punta di piedi fino alla sedia. Quando fu più vicina, grazie alla luce della luna che filtrava dalle finestre, vide una macchia scura e umida sulla moquette color crema. L’ampio raggio dello spruzzo suggeriva che non si trattava di vino versato per sbaglio. Jessie notò anche una netta scia che da lì proseguiva fino a dove la sua vista non poteva più seguirla.

Jessie fece capolino con la testa da dietro la parete e vide l’agente seduto con la schiena appoggiata al muro, dove a quanto pareva era stato trascinato. Aveva la gola tagliata. Accanto a lui sul pavimento c’era la sua pistola di servizio.

Jessie avvertì un’esplosione di adrenalina generata dall’ansia che le fece sentire un formicolio alle dita. Ricordando a se stessa di restare concentrata, si inginocchiò a terra e perlustrò la stanza con lo sguardo mentre aspettava che il suo corpo ritrovasse la calma. Le ci volle meno tempo di quanto credesse.

Senza nessuno in vista, sfrecciò fuori e afferrò la pistola. Guardando in basso vide una scia di impronte insanguinate che si allontanavano dal corpo dell’agente e andavano in direzione dell’adiacente sala da pranzo. Restando accucciata dietro al divano, Jessie avanzò fino a quando poté vedere chiaramente dentro alla stanza.

Lì c’era un altro agente steso a terra. Questo era a faccia in giù, con una chiazza di sangue che si stava rapidamente allargando, riversandosi dal collo e formando una pozza attorno a volto e busto.

Jessie si sforzò di non restare imbambolata a guardare mentre seguiva le impronte che dalla sala da pranzo andavano alla veranda che poi portava alla piscina sul retro. La porta scorrevole era aperta e una leggera brezza spingeva le tende verso l’interno, facendole gonfiare.

Jessie controllò la stanza. Era vuota, quindi lei si portò fino alla porta scorrevole e sbirciò fuori. Si vedeva un corpo in uniforme che galleggiava a faccia in giù nell’acqua, che stava rapidamente prendendo una tinta rosata. Fu a quel punto che sentì qualcuno schiarirsi la gola alle sue spalle.

Ruotò su se stessa, armando al contempo la pistola. Di fronte a lei, dalla parte opposta della stanza, c’erano sia Bolton Crutchfield che suo padre, Xander Thurman, che sembrava in ottima forma, considerato che solo poche settimane prima era stato colpito da degli spari al ventre e alla spalla, che aveva probabilmente il cranio fratturato e che era saltato giù dal quarto piano. Entrambi gli uomini erano armati di lunghi coltelli da caccia.

Suo padre sorrise mentre scandiva silenziosamente con le labbra la parola “farfallina”, il suo nomignolo di bambina. Jessie sollevò la pistola e si preparò a sparare. Mentre le sue dita si apprestavano a premere il grilletto, Crutchfield parlò.

“Ti avevo promesso che ci saremmo rivisti, signorina Jessie,” le disse, l’atteggiamento pacifico come quando le aveva parlato attraverso la spessa barriera di vetro nella sua cella.

Le sue settimane di libertà non l’avevano reso meno morbido. Alto un metro e settanta o poco più e con un peso di forse settanta chili, era meno fisicamente prestante di Jessie. La sua faccia paffuta lo faceva sembrare più giovane di una decina d’anni, rispetto ai trentacinque che effettivamente aveva. I suoi capelli castani ordinatamente pettinati con la riga in parte le ricordavano i ragazzi del club di matematica alla scuola media. Solo i suoi freddi occhi castani lasciavano trasparire ciò di cui era realmente capace.

“Pare che tu ti sia messo con brutta gente,” disse Jessie con voce purtroppo tremante, accennando con un movimento del capo a suo padre.

“È questo che adoro di te, signorina Jessie,” disse Crutchfield con tono ammirevole. “Non ti tiri mai indietro, neanche quanto ti trovi in una situazione senza speranze.”

“Credo che si possa riformulare la frase,” sottolineò Jessie. “Siete venuti entrambi a uno scontro a fuoco, armati di coltelli.”

“Che maliziosa,” si meravigliò Crutchfield, girandosi verso Thurman per avere la sua conferma.

Suo padre annuì, sempre in silenzio. Poi entrambi gli uomini riportarono l’attenzione su di lei. Contemporaneamente, i loro sorrisi svanirono.

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