Assassinio in villa - Грейс Фиона 6 стр.


“Io sono Stephen,” le rispose.

Si strinsero la mano.

“Aspetterò ansiosa una sua chiamata,” gli disse Lacey.

Uscì dal negozio, il cuore gonfio di trepidazione. Se Stephen avesse deciso di affittarle il locale, lei sarebbe rimasta a Wilfordshire in modo molto più permanente di quanto avesse inizialmente programmato. Il pensiero avrebbe dovuto spaventarla. E invece la rendeva contenta. Le sembrava così giusto. Più che giusto. Le sembrava veramente un segno del destino.

CAPITOLO CINQUE

“Pensavo fosse una vacanza!” La voce furiosa di Naomi esplose attraverso il telefono che Lacey teneva tra l’orecchio e la spalla.

Sospirò, mentre seguiva con poca concentrazione la tirata di sua sorella e digitava qualcosa sulla tastiera del computer della biblioteca cittadina di Wilfordshire. Stava controllando lo stato della sua richiesta online per modificare il suo visto per vacanza in un permesso per avviare un’attività lavorativa.

Dopo il suo incontro con Stephen, Lacey si era lanciata in una ricerca e aveva appreso che, in quanto madrelingua inglese con un buon capitale in banca, l’unico altro requisito necessario era un piano d’affari decente, cosa in cui aveva un sacco di esperienza, grazie alla propensione di Saskia a scaricarle sulle spalle una marea di responsabilità, che andavano ben oltre il livello di stipendio che percepiva. Lacey aveva avuto bisogno soltanto di un paio di serate per compilare il piano e presentarlo: un processo molto semplice che le aveva dato la certezza che l’universo la stesse aiutando in questa sua vita del tutto nuova.

Quando la schermata si aprì sul portale ufficiale del governo britannico, Lacey vide che la sua domanda era ancora definita ‘in lavorazione’. Era così bramosa di procedere che non poté trattenere un piccolo sbuffo di delusione. Poi la sua concentrazione tornò sulla voce di Naomi che le gridava nell’orecchio.

“NON posso credere che ti trasferisci!” stava urlando sua sorella. “Per sempre, poi!”

“Non è per sempre,” spiegò Lacey con calma. Aveva fatto un sacco di pratica nel corso degli anni su come non irritarsi davanti alle sfuriate di Naomi. “Il visto è solo per due anni.”

Ops. Mossa sbagliata.

“DUE ANNI!?!” gridò Naomi, la rabbia che arrivava al culmine.

Lacey ruotò gli occhi al cielo. Era stata certa che la sua famiglia non avrebbe appoggiato la sua decisione. Del resto Naomi aveva bisogno di lei a New York per eventuale aiuto come baby-sitter, e sua madre la trattava fondamentalmente come un’animale da compagnia. Il messaggio allegro che aveva digitato nel gruppo delle Doyle Girls era stato accolto con la gratitudine di una bomba nucleare. A giorni di distanza, Lacey ne stava ancora gestendo le conseguenze.

“Sì, Naomi,” le rispose sconfortata. “Due anni. Penso di meritarmelo, non credi? Ho regalato quattordici anni a David. Quindici al mio lavoro. New York mi ha tenuta imprigionata per trentanove. Sto andando dritta verso i quaranta, Naomi! Voglio davvero finire con il passare tutta la mia vita nello stesso posto? Con una sola professione? Con un uomo e basta?”

Il bel viso di Tom le apparve nella mente mentre lo diceva, e subito si sentì arrossire. Era stata così impegnata a organizzare la sua potenziale nuova vita, che non era più tornata alla pasticceria, la sua idea di gustosa colazione sul patio temporaneamente sostituita da una banana in corsa e un frappuccino pre-confezionato al minimarket. In effetti le era appena venuto in mente che se questo affare con Stephen e Martha fosse andato in porto, avrebbe preso in affitto il negozio di fronte a Tom, e l’avrebbe quindi potuto vedere attraverso la vetrina ogni giorno. Sentì lo stomaco che le vibrava di emozione al pensiero.

“E Frankie?” piagnucolò Naomi, riportandola alla realtà.

“Gli ho mandato dei fudge per posta.”

“Ha bisogno di sua zia!”

“Ci sono sempre. Non sono morta, Naomi. Solo vivrò all’estero per un po’.”

Sua sorella riagganciò.

Da trentasei anni a sedici in un baleno, pensò Lacey sarcasticamente.

Mentre si infilava il cellulare in tasca, notò qualcosa che lampeggiava sullo schermo del computer. Lo stato della sua richiesta era passato da ‘in lavorazione’ ad ‘approvato’.

Con un gridolino Lacey saltò in piedi e tirò un pugno in aria. Tutti i presenti che stavano giocando al solitario agli altri computer della biblioteca si girarono a guardarla allarmati.

“Scusate,” esclamò Lacey, cercando di contenere la sua eccitazione.

Si rimise a sedere, ammutolita dallo stupore. Ce l’aveva fatta. Aveva ottenuto il via libera per mettere in moto il suo grandioso piano. Ed era stato tutto così facile, che Lacey aveva il sospetto che il destino ci avesse messo lo zampino…

C’era solo un ultimo piccolo ostacolo. Aveva bisogno che Stephen e Martha accettassero di affittarle il negozio.

*

Lacey si sentiva in ansia mentre girovagava per il centro cittadino. Non voleva allontanarsi troppo dal negozio, perché non appena avesse ricevuto la chiamata di Stephen, sarebbe andata direttamente lì con libretto degli assegni e penna per firmare quel dannato affare prima che la sua mente guastafeste le dicesse che non poteva farlo. Ma Lacey era una osservatrice di vetrine di eccezionale talento, e si mise al lavoro scrutando e analizzando ogni cosa la cittadina avesse da offrire. Mentre passeggiava, le sue scarpe a buon mercato comprate in aeroporto la fecero inciampare sui ciottoli e prendere una storta alla caviglia. Fu a quel punto che realizzò che doveva fare immediatamente quello che si era prefissata fin dall’inizio, se voleva che la prendessero sul serio in qualità di potenziale proprietaria di un’attività commerciale.

Si diresse verso il negozio di abbigliamento che si trovava accanto a quello vuoto che sperava diventasse presto suo.

Sarà bene fare amicizia con i vicini, pensò tra sé e sé.

Entrò e scoprì ce si trattava di un posto dallo stile minimalista che offriva solo una manciata di articoli selezionati. La donna dietro al bancone sollevò lo sguardo sentendola entrare, squadrandola dalla testa ai piedi con atteggiamento distaccato. La donna era magra come un grissino e aveva un aspetto piuttosto rigido e severo, ma i suoi capelli castani e ondulati erano proprio come quelli di Lacey. Il vestito nero che indossava la faceva apparire come una sorta di versione malvagia di se stessa, pensò Lacey divertita.

“Posso aiutarla?” chiese la donna con voce sottile e stridula.

“No, grazie,” rispose Lacey. “So esattamente quello che voglio.”

Prese dallo stand porta-abiti un vestito in due pezzi del tipo che era solita indossare a New York, poi esitò. Voleva ricostruire una replica di se stessa? Vestirsi come la donna che era stata prima? O voleva diventare una persona nuova?

Si rigirò verso la commessa. “A dire il vero, potrei aver bisogno di un aiutino.”

Il volto della donna rimase impassibile mentre usciva da dietro il bancone e le si avvicinava. Evidentemente pensava che Lacey fosse una perditempo – cosa poteva permettersi in una boutique come quella una donna vestita così alla buona? – e Lacey non vedeva l’ora che arrivasse il momento in cui le avrebbe sventolato sotto al naso la sua carta di credito.

“Mi serve qualcosa per il lavoro,” disse. “Formale, ma non troppo rigido, capisce?”

La donna sbatté le palpebre. “E che lavoro sarebbe?”

“Antiquariato.”

“Antiquariato?”

Lacey annuì. “Già. Antiquariato.”

La donna selezionò alcuni articoli dallo stand. Era una mise alla moda, un po’ aggressiva, con un pizzico di androginia nel taglio. Lacey portò il completo nello spogliatoio e lo provò per controllare la taglia. Il riflesso che la accolse allo specchio le illuminò il viso con un ampio sorriso. Aveva un aspetto, poteva dirlo, davvero fico. La commessa, per quanto dura nei modi di fare, aveva un gusto impeccabile e un occhio impressionante per dare tono a una figura femminile.

Lacey uscì dal camerino. “È perfetto. Lo prendo. E altri quattro in diversi colori.”

La donna inarcò di scatto le sopracciglia. “Mi scusi?”

Il telefono di Lacey si mise a suonare. Lei guardò lo schermo e vide che era Stephen.

Il cuore le si gonfiò nel petto. Eccola! La chiamata che stava aspettando! La telefonata che avrebbe determinato il suo futuro!

“Lo prendo,” ripeté Lacey alla commessa, improvvisamente senza fiato per l’aspettativa. “E altri quattro nei colori che pensa mi starebbero bene.”

La commessa sembrava disorientata mentre andava nel retro, da quegli orribili capanni grigi che facevano da magazzino, pensò Lacey, per trovarle altri abiti.

Lacey intanto rispose al telefono. “Stephen?”

“Pronto, Lacey? Sono qui con Martha. Ti spiacerebbe tornare al negozio per fare una chiacchierata?”

Il tono della voce sembrava promettente, e Lacey non poté fare a meno di sorridere.

“Assolutamente. Sono lì tra cinque minuti.”

La commessa tornò con le braccia cariche di vestiti. Lacey notò l’impeccabile paletta di colori: carne, nero, blu navy e rosa cipria.

“Voleva provarli?”

Lacey scosse la testa. Ora aveva fretta e non vedeva l’ora di completare gli acquisti e correre dalla porta accanto. Continuava a controllare l’uscita alle sue spalle.

“No. Se sono uguali a questo, mi fido che lei abbia fatto la scelta giusta. Può confezionarli insieme, per favore?” Parlava rapidamente. La sua impazienza era letteralmente udibile. “Oh, e tengo anche quello che ho addosso.”

La commessa non parve per niente colpita dal modo in cui Lacey stava cercando di metterle fretta. Si prese il tempo per confezione con cura ogni abito, avvolgendolo in carta tessuto.

“Aspetti!” esclamò Lacey, mentre la donna tirava fuori una borsa di carta per mettervi dentro i vestiti. “Non posso andare in giro con un sacchetto del negozio. Avrò bisogno di una borsa. Una buona borsa.” I suoi occhi sfrecciarono sulla fila di borse che si trovavano sullo scaffale alle spalle della donna. “Può scegliermi quella che starebbe bene con questi vestiti?”

L'espressione della commessa lasciava intendere appieno la sua convinzione che davanti a lei ci fosse una donna impazzita. Ad ogni modo si voltò, considerò con cure le borse e poi ne tirò giù una grande in pelle nera con una fibbia dorata.

“Perfetto,” disse Lacey, molleggiando sulle punte dei piedi come uno scattista che aspetta il segnale di partenza. “Mi faccia il conto.”

La donna obbedì alla richiesta e iniziò a riempire la borsa con i vestiti.

“Quindi in tutto sono…”

“SCARPE!” gridò Lacey all’improvviso, interrompendola. Che stordita. Erano state le sue orride enormi scarpe e portarla in quel negozio. “Mi servono delle scarpe!”

La commessa parve in qualche modo ancor meno impressionata. Magari pensava che Lacey la stesse prendendo in giro e che alla fine di tutto se ne sarebbe scappata via.

“Le nostre scarpe sono da quella parte,” disse con tono freddo, indicando con una mano.

Lacey guardò la piccola selezione di scarpe con i tacchi di ottima fattura dello stesso stile che avrebbe indossato a New York, dove era stata solita considerare le caviglie gonfie un rischio sul lavoro. Ma ricordò a se stessa che le cose erano diverse adesso. Non serviva che indossasse calzature dolorose.

L’occhio le cadde su un paio di scarpe nere basse in vernice. Sarebbero state benissimo con la qualità androgina dei suoi nuovi abiti. Lacey andò dritta a prenderle.

“Queste,” disse, lasciandole cadere sul bancone davanti alla commessa.

La donna non si preoccupò di chiedere a Lacey se voleva provarle, e le confezionò subito, tossicchiando mentre il prezzo a quattro cifre compariva sul display della cassa.

Lacey tirò fuori la sua carta, pagò e si infilò le scarpe nuove. Ringraziò la donna e saltellò fuori dal negozio, per infilarsi subito in quello vuoto adiacente. La speranza le gonfiava il petto al pensiero che nel giro di pochi momenti, una volta prese le chiavi da Stephen, diventando la nuova vicina dell’indifferente commessa di negozio, avrebbe fatto pieno ingresso nella sua nuova vita.

Quando entrò, Stephen parve non riconoscerla.

“Pensavo avessi detto che sembrava un po’ trasandata,” disse in un sussurro la donna accanto a lui, che doveva essere sua moglie Martha. Se stava tentando di essere discreta, stava miseramente fallendo. Lacey sentì ogni singola parola.

Indicò il suo nuovo outfit. “Ta-da. Le avevo detto che sapevo quello che stavo facendo,” disse con tono ironico.

Martha lanciò un’occhiata a Stephen. “Di cosa ti preoccupavi, vecchio sciocco? Questa è la risposta alle nostre preghiere! Falle subito il contratto di affitto!”

Lacey non ci poteva credere. Che fortuna. Il destino finalmente aveva completato il suo intervento.

Stephen tirò fuori frettolosamente alcuni documenti dalla sua borsa e li mise sul bancone davanti a lei. Diversamente dalle carte del divorzio che aveva fissato incredula in un momento di disincarnato dolore, questi fogli sembravano brillare di promessa, di opportunità. Lacey prese la sua penna, la stessa che aveva usato per firmare i documenti del divorzio, e appose la propria firma.

Lacey Doyle. Commerciante.

La sua nuova vita ora era sancita.

CAPITOLO SEI

Con una scopa in mano, Lacey spazzava il pavimento del negozio di cui ora era orgogliosa affittuaria, il cuore sul punto di esploderle per la contentezza.

Non si era mai sentita così prima d’ora. Era come avere il controllo di tutta la propria vita e del proprio destino, come se il suo futuro fosse ora a portata di mano. I pensieri galoppavano a velocità supersonica, mentre già formulava alcuni grossi progetti. Voleva trasformare la grande stanza sul retro in una sala d’aste, in onore del sogno che suo padre non aveva mai realizzato. Era stata a miriadi di aste lavorando per Saskia (a dire il vero dalla parte dell’acquirente e non del venditore), ma era sicura di poter imparare quello che c’era bisogno di fare. Non aveva mai gestito un negozio prima d’ora, eppure ora era qui. E oltretutto, non c’erano cose che non necessitassero di sforzo per essere conquistate.

Proprio in quel momento vide una figura che passeggiava davanti al negozio e si fermava di colpo, guardandola attraverso la vetrina. Lacey sollevò lo sguardo dal suo lavoro, sperando che si trattasse di Tom, ma si rese conto che la persona immobile davanti a lei era una donna. E non una donna a caso, ma una che Lacey conosceva bene. Magra come un grissino, vestito nero e gli stessi capelli lunghi e ondulati che aveva lei. Era la sua gemella cattiva: la commessa della porta accanto.

La donna entrò nel negozio a grandi passi varcando la porta aperta.

“Cosa ci fai qui?” le chiese.

Lacey appoggiò la scopa al bancone e con sicurezza porse la mano alla donna. “Mi chiamo Lacey Doyle. La tua nuova vicina.”

La donna fissò la mano con disgusto, come se fosse ricoperta di germi. “Cosa?”

“Sono la tua nuova vicina,” ripeté Lacey con lo stesso tono deciso. “Ho appena firmato l’affitto di questo posto.”

La donna reagì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in faccia. “Ma…” mormorò.

“La boutique è tua o ci lavori soltanto?” la incalzò Lacey, cercando di darle il tempo di riprendersi dal suo stupore.

La commessa annuì come in uno stato di ipnosi. “È mia. Mi chiamo Taryn. Taryn Maguire.” Poi all’improvviso scosse la testa come se avesse ripreso il controllo e si sforzò di rivolgerle un sorriso amichevole. “Bene, è magnifico avere una nuova vicina. È un posto bellissimo, no? Sono sicura che la mancanza di luce agirà in tuo favore, aiutandoti anche a nascondere la pessima condizione del posto.”

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