Erano più o meno a metà del loro pranzo quando la porta automatica si aprì alle loro spalle e nel locale entrarono nientemeno che Buck e la sua stupida moglie. Lacey sbuffò.
“Ehi, pollastra,” disse Buck schiccando le dita per richiamare Brooke e lasciandosi cadere su una sedia. “Ci serve un caffè. E io prendo una bistecca con le patatine.” Indicò il tavolino come se si aspettasse che le cose vi venissero posate sopra all’istante. “Daisy? Cosa vuoi tu?”
La donna stava esitando vicino alla porta, in piedi nelle sue scarpe dai vertiginosi tacchi a spillo, in un certo senso terrorizzata da tutti i cactus.
“Basta una cosa con pochissimi carboidrati dentro,” mormorò.
“Un’insalata per la signorina,” disse Buck con tono secco, sempre rivolgendosi a Brooke. “Piano con il condimento.”
Brooke lanciò un’occhiata a Lacey e Gina, poi andò a preparare le ordinazioni dei suoi scortesi clienti.
Lacey affondò il volto tra le mani, provando un estremo imbarazzo per la coppia. Sperava sul serio che la gente di Wilfordshire non pensasse che tutti gli americani fossero così. Buck e Daisy stavano mettendo il suo paese sotto una cattiva luce.
“Fantastico,” mormorò Lacey mentre Buck iniziava a parlare a voce alta con sua moglie. “Questi due hanno rovinato la mia pausa tè con Tom. Ora mi stanno rovinando il pranzo con te!”
Gina pareva non essere per niente impressionata dalla coppia. “Ho un’idea,” disse.
Si chinò e sussurrò qualcosa a Boudicca. Il cane sollevò le orecchie. Poi Gina la liberò dal guinzaglio. Il Border Collie cominciò a gironzolare per la sala da tè e saltò sul tavolo dei due americani, afferrando la bistecca dal piatto di Buck.
“EHI!” tuonò l’uomo.
Brooke non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
Lacey sussultò, divertita dallo stratagemma di Gina.
“Portamene un’altra!” ordinò Buck. “E fate USCIRE quel cane!”
“Mi spiace, ma quella era l’ultima bistecca,” disse Brooke, facendo di soppiatto l’occhiolino a Lacey.
La coppia si alzò bruscamente e se ne andò in malo modo.
Le tre donne scoppiarono a ridere.
“Non era davvero l’ultima, giusto?” chiese Lacey.
“No,” rispose Brooke ridacchiando. “Ho il freezer pieno!”
*
La giornata lavorativa stava volgendo al termine e Lacey aveva finito di valutare tutti gli articoli navali per l’asta del giorno dopo. Era davvero emozionata.
Sensazione che durò fino a che il campanello sopra alla porta suonò, e nel negozio entrarono Buck e Daisy.
Lacey sbuffò. Non era calma quanto Tom e non era certo gioviale come Brooke. Era certa che il loro incontro non sarebbe andato per niente bene.
“Guarda sta spazzatura,” disse Buck parlando con la moglie. “Davvero un’accozzaglia di nullità. Perché diavolo hai voluto entrare qua dentro, Daisy?” I suoi occhi caddero su Chester. “Ancora quel disgustoso cane!”
Lacey strinse i denti così forte che pensò le si potessero rompere. Cercò di incanalare la calma di Tom mentre si avvicinava alla coppia.
“Temo che Wilfordshire sia una cittadina molto piccola,” disse. “Ci si imbatte di continuo nelle stesse persone. E cani.”
“È lei,” chiese Daisy, evidentemente riconoscendo Lacey dai precedenti incontri. “Questo è il suo negozio?” Aveva una voce svampita, da tipica bionda media.
“Sì,” confermò Lacey, sentendosi sempre più nervosa. La domanda di Daisy le era suonata sovraccarica, come una sorta di accusa.
“Quando ho sentito il suo accento in pasticceria, ho immaginato che fosse una cliente,” continuò Daisy. “Ma abita davvero in questo posto?” Fece una faccia basita. “Cosa l’ha spinta a lasciare l’America per venire qui?”
Lacey sentì che ogni singolo muscolo del suo corpo si irrigidiva, mentre il sangue iniziava a ribollire.
“Forse per lo stesso motivo per cui voi ci siete venuti in vacanza?” rispose con la voce più calma che riuscì a modulare. “La spiaggia. L’oceano. La campagna. L’architettura affascinante.”
“Daisy,” disse Buck con voce rude. “Puoi sbrigarti a trovare quella cosa per cui mi hai trascinato qua dentro?”
Daisy guardò verso il bancone. “Non c’è più.” Guardò poi Lacey. “Dov’è quella cosa di ottone che era là sopra prima?”
Cosa di ottone? Lacey ripensò agli oggetti ai quali aveva lavorato prima dell’arrivo di Gina.
Daisy continuò. “È come una specie di bussola, con un telescopio attaccato. Per le barche. L’ho visto attraverso la vetrina quando il negozio era chiuso per pranzo. L’ha già venduto?”
“Intende dire il sestante?” chiese Lacey, corrugando la fronte confusa al pensiero che una svampita come Daisy volesse avere un antico sestante.
“Giusto!” esclamò la donna. “Un sestante.”
Buck rise. Ovviamente quel nome lo divertiva.
“Non fai abbastanza sess…tante a casa?” disse con tono di scherno.
Daisy ridacchiò, anche se a Lacey parve una reazione forzata, come se non fosse realmente divertita, ma volesse più che altro accontentarlo.
Lacey, dal canto suo, non ci trovava niente di divertente. Incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia.
“Temo che il sestante non sia in vendita,” spiegò, mantenendo la propria concentrazione su Daisy piuttosto che su Buck, che le stava impedendo in tutti i modi di essere gentile. “Tutti i miei articoli navali andranno all’asta domani, quindi non sono disponibili per la comune vendita al banco.”
Daisy fece il broncio, spingendo in fuori il labbro inferiore. “Ma io lo voglio. Buck pagherà il doppio del suo valore, non è vero, Bucky?” disse, tirandogli il braccio.
Prima che Buck potesse rispondere, Lacey intervenne. “No, mi spiace, non è possibile. Non so quanto mi renderà. È così che funzionano le aste. È un pezzo raro e ci sono degli specialisti che verranno da tutto il paese solo per quello. Il prezzo potrebbe essere qualsiasi cosa. Se ve lo vendessi adesso, potrei perderci, e dato che i proventi andranno in beneficienza, voglio assicurare il migliore affare.”
La fronte di Buck era segnata da una profonda ruga. In quel momento Lacey si rese effettivamente conto di quanto quell’uomo fosse grande e grosso. Era ben più alto di un metro e ottanta e largo il doppio di lei, come una grossa quercia. Le metteva soggezione sia per la stazza che per l’atteggiamento.
“Non h sentito quello che mia moglie ha appena detto?” disse con tono rude. “Vuole comprare quel suo aggeggio, quindi ci dica il prezzo.”
“L’ho sentita, sì,” rispose Lacey, senza lasciarsi intimidire. “Siete voi che non state ascoltando me. Il sestante non è in vendita.”
Aveva una voce molto più sicura di quanto realmente si sentisse. Un piccolo campanello d’allarme iniziò a suonare nella sua testa, dicendole che si stava tuffando in una situazione pericolosa.
Buck fece un passo avanti, e la sua ombra si portò minacciosa su di lei. Chester reagì balzando in piedi e ringhiando, ma Buck non ne fu particolarmente colpito e lo ignorò.
“Mi sta rifiutando una vendita?” le chiese. “Non è illegale? I nostri soldi non sono abbastanza buoni per lei?” Tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote e le sventolò sotto al naso di Lacey in maniera decisamente minacciosa. “Hanno sopra la faccia della regina e tutto il resto. Non le basta?”
Chester iniziò ad abbaiare furiosamente. Lacey gli fece cenno di smettere con la mano, e il cane obbedì, ma rimase al suo posto, come fosse pronto ad attaccare nel momento in cui lei gli avesse concesso di procedere.
Lacey incrociò le braccia e affrontò Buck con decisione, consapevole della sua enorme stazza, ma anche decisa a non dargliela vinta. Non si sarebbe lasciata convincere con le minacce a vendere il sestante. Non avrebbe permesso a quest’omone grande e grosso di intimidirla e rovinarle quindi l’asta a cui stava lavorando tanto sodo e che non vedeva l’ora di tenere.
“Se volete comprare il sestante, allora dovrete venire domani all’asta e fare un’offerta,” disse.
“Oh, lo farò,” disse Buck con gli occhi stretti e fissi su di lei. Poi le puntò un dito in faccia: “Ci può scommettere. Si segni le mie parole. Buckland Stringer se lo aggiudicherà.”
Detto questo, la coppia partì, uscendo dal negozio così rapidamente da lasciare quasi una turbolenza d’aria sulla loro scia. Chester corse alla finestra, posò le zampe anteriori contro il vetro e ringhiò contro i due che si allontanavano. Anche Lacey li guardò andarsene, fino a che non scomparvero alla vista. Solo allora si rese conto di quanto velocemente le stesse battendo il cuore, e di come le tremassero le gambe. Si aggrappò al bancone per tenersi in equilibrio.
Tom aveva ragione, si era tirata addosso il malocchio dicendo che quella coppia non aveva alcun motivo per venire nel suo negozio. Ma la si poteva perdonare per essere stata così ingenua e aver pensato che non ci fosse niente di interessante per loro lì. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Daisy desiderasse possedere un antico sestante navale!
“Oh, Chester,” disse Lacey sprofondando la testa tra le mani. “Perché ho detto loro dell’asta?”
Il cane mugolò, cogliendo il tono di malinconico pentimento nella sua voce.
“Ora dovrò affrontarli anche domani!” esclamò. “E che probabilità ho che sappiano qualcosa di etichetta in ambito d’asta? Sarà un disastro.”
E così, tutto il suo entusiasmo per l’asta del giorno dopo fu spento come una fiamma stretta tra due dita. Al suo posto ora Lacey poteva provare solo timore.
CAPITOLO QUATTRO
Dopo il suo incontro con Buck e Daisy, Lacey era più che pronta a chiudere bottega per quella giornata e dirigersi verso casa. Quella sera sarebbe venuto Tom a cucinare per lei, e lei davvero non vedeva l’ora di raggomitolarsi sul divano con un bicchiere di vino e un film. Ma c’era ancora da fare il bilancio della cassa, riordinare, spazzare il pavimento e pulire la macchinetta del caffè… Non che Lacey si stesse lamentando. Amava il suo negozio e tutto ciò che esso comportava.
Quando ebbe finalmente terminato, andò verso l’uscita, Chester alle calcagna, notando che le lancette sul vecchio orologio da parete in ferro segnavano le sette e fuori era buio. Sebbene la primavera avesse portato con sé delle giornate più lunghe, Lacey non se ne era ancora goduta nessuna. Ma poteva sentire il cambiamento nell’atmosfera: la città sembrava più vibrante, con molte delle caffetterie e dei pub che restavano aperti più a lungo e la gente che sedeva ai tavoli all’aperto bevendo caffè e birra. Il tutto contribuiva a rendere l’atmosfera molto più festosa.
Lacey chiuse a chiave la serranda del negozio. Era diventata molto più diligente da quando avevano fatto irruzione all’interno, ma anche se la cosa non si era mai più ripetuta, aveva imparato la lezione. Quel negozio era come un figlio ormai. Era una cosa che aveva bisogno di essere nutrita, protetta e amata. In un tempo brevissimo, si era completamente innamorata di quel posto.
“Chi avrebbe mai detto che ci si potesse innamorare di un negozio?” si chiese, parlando a voce alta con un profondo sospiro di soddisfazione per la svolta che la sua vita aveva preso.
Accanto a lei, Chester mugolò.
Lacey gli accarezzò la testa. “Sì, sono innamorata anche di te, non ti preoccupare!”
Parlando di amore, si ricordò i programmi per quella serata insieme a Tom, e si girò a guardare la pasticceria.
Con sua sorpresa vide che tutte le luci erano accese. Era piuttosto insolito. Tom doveva aprire il suo negozio al disumano orario delle 5 di mattina per assicurarsi che tutto fosse pronto per la folla che si presentava a fare colazione alle 7, il che significava che di solito chiudeva alle 5 del pomeriggio. Ma ora erano le 7 di sera, e lui era evidentemente ancora dentro. Il cartellone pubblicitario era ancora in strada. Il cartellino sulla porta era ancora girato su ‘Aperto’.
“Su, Chester,” disse al suo compagno peloso, “andiamo a vedere che succede.”
Attraversarono la strada insieme ed entrarono nella pasticceria.
Subito Lacey sentì della confusione che proveniva dalla cucina. Sembravano i soliti rumori di pentole e padelle, ma a velocità supersonica.
“Tom?” chiamò con tono un po’ nervoso.
“Ehi!” le rispose la sua voce incorporea dal retro della cucina. Aveva il solito tono solare e allegro.
Ora che Lacey aveva capito che non c’era nessun ladro di macaron a derubarlo, si rilassò. Si mise a sedere sul suo solito sgabello, mentre il rumore di stoviglie continuava.
“Tutto a posto là dietro?” chiese.
“Certo!” esclamò Tom in risposta.
Un attimo dopo apparve finalmente dall’arco del cucinino. Aveva indosso il grembiule che era – come buona parte degli abiti e dei capelli – ricoperto di farina. “C’è stato un piccolo disastro.”
“Piccolo?” lo canzonò Lacey. Ora che sapeva che Tom non aveva fatto a botte con un intruso, era in grado di apprezzare la comicità della situazione.
“È stato Paul, a dire il vero,” iniziò Tom.
“Cos’ha combinato adesso?” chiese Lacey, ricordando che l’apprendista di Tom aveva accidentalmente usato il bicarbonato al posto della farina in un impasto, rendendolo del tutto inutilizzabile.
Tom sollevò due pacchetti quasi del tutto identici. A sinistra l’etichetta sbiadita diceva ‘zucchero’. Sull’altra c’era scritto ‘sale’.
“Ah,” commentò Lacey.
Tom annuì. “È l’impasto per le paste di domattina. Dovrò rifare tutto, oppure decidere di rischiare l’ira della gente del posto quando arriveranno per colazione e scopriranno che non ho nulla da vendere loro.”
“Mi stai dicendo che stai cancellando i nostri piani per stasera?” chiese Lacey. L’allegria che aveva provato pochi secondi prima era improvvisamente sparita, sostituita ora da un pesante senso di delusione.
Tom la guardò dispiaciuto. “Mi dispiace. Riprogrammiamo. Domani? Vengo da te e cucino.”
“Non posso,” gli rispose Lacey. “Ho quella riunione con Ivan domani.”
“L’incontro per la vendita del Crag Cottage,” disse Tom, schioccando le dita. “Certo. Ricordo. Che ne dici di mercoledì sera?”
“Non devi andare a quel corso sulla focaccia di mercoledì?”
Tom parve turbato. Controllò il calendario, poi sospirò. “Ok, è il prossimo mercoledì.” Ridacchiò. “Mi hai fatto prendere un colpo. Oh, ma dopotutto sono impegnato mercoledì sera. E giovedì…”
“C’è l’allenamento di badminton,” disse Lacey completando la frase per lui.
“Il che significa che il prossimo giorno libero è venerdì. Va bene venerdì?”
Il suo tono era spensierato come sempre, notò Lacey, ma quell’atteggiamento così noncurante per aver dovuto cancellare il loro programma insieme in un certo senso la infastidiva. Sembrava non dargli il minimo fastidio che non si sarebbero potuti vedere fino alla fine della settimana.
Anche se sapeva benissimo di non avere programmi per venerdì, Lacey si ritrovò comunque a dire: “Dovrò controllare l’agenda. Ti faccio sapere.”
E non appena le parole le furono uscite di bocca, una nuova emozione le strisciò nello stomaco, mescolandosi con la delusione. Con sua sorpresa, si trattava di sollievo.
Sollievo che per una settimana non sarebbe riuscita ad avere un appuntamento romantico con Tom? Non riusciva a capire da dove venisse quella sensazione, e la fece sentire improvvisamente in colpa.
“Certo,” le disse lui, apparentemente ignaro di tutto. “Per ora ce lo possiamo appuntare e poi programmare di fare qualcos’altro di speciale la prossima volta, quando saremo entrambi meno impegnati, ok?” Si fermò per aspettare risposta, e non sentendo nulla, incalzò: “Lacey?”
Lei ritornò in sé. “Sì… giusto. Mi pare bene.”
Tom si avvicinò e posò i gomiti sul bancone, così che i loro volti fossero allo stesso livello. “Ora. Domanda seria. Sei sistemata con il mangiare per stasera? Perché ovviamente ti aspettavi una cenetta nutriente e succulenta. Ho della torta di carne che mi è rimasta da oggi, se vuoi portartene un po’ a casa.”