“Mi prendo un momento per apprezzare le piccole vittorie.”
“Posso sapere?” chiese, guardando la bilancia con scetticismo.
“Ho raggiunto l'obiettivo” disse lei, scendendo dalla bilancia. “Per quanto riguarda il peso, almeno.”
Entrò in bagno e la baciò sulla guancia. “Sto per uscire. Volevo solo salutarti.”
“Presto verrò anch'io con te.”
“Ah, lo so. E non vedo l'ora.”
La abbracciò, e il silenzio tra loro fu più che eloquente. Dopo l'ultimo caso in cui si era spinta ben oltre i limiti imposti delle sue condizioni, a malapena guarita a soli cinque mesi dal parto cesareo, il direttore McGrath aveva deciso di farla restare a riposo per altri tre mesi. Era ancora un'agente, ma era stata retrocessa a un incarico da casa, dove si occupava di smistare telefonate e aiutava nella ricerca e nella stesura dei rapporti.
Scalpitava per tornare nel mondo reale e affrontare casi reali. Vedere Ellington avere tre mesi piuttosto attivi era stata una tortura, specialmente il giorno in cui lui e uno dei suoi partner avevano neutralizzato un uomo armato che aveva quasi portato a termine una sparatoria in un centro commerciale.
“Di' a McGrath di preparare il mio ufficio.”
“Lo farò. Ma Mac... sai, la prossima settimana... è solo una riunione. Non c'è ancora nessuna garanzia.”
“Sì, lo so. Perché le donne sono facili da scavalcare e sottovalutare... fino a quando non hanno un figlio. Allora non diventano altro che addobbi per vetrine. Una specie di ripensamento che nessuno vuole offendere o maltrattare accidentalmente.”
“È solo prudente.”
“Lo so. Ma io ho deciso di essere incazzata.”
“Sì, lo vedo.” La baciò di nuovo e si diresse verso la porta. “Comprerò del cibo thailandese per cena, stasera. Buona giornata a te e a Ometto.”
Lo guardò andare via, poi lo seguì fuori. Kevin stava facendo il suo pisolino mattutino nel box in cameretta. Faceva tutto parte della routine. A otto mesi, si svegliava alle 5:45 del mattino, mangiava, giocava un po' e poi faceva un pisolino verso le 7:30 circa. I suoi orari per dormire e mangiare erano precisi come un orologio, il che rendeva le giornate di Mackenzie a casa un po' più semplici.
E, pur amando suo figlio più di quanto non si sarebbe mai aspettata, era eccitata all'idea di portarlo di nuovo all'asilo. Avevano già un posto prenotato al suo vecchio asilo nido. Il personale era stato molto gentile, date le particolari circostanze lavorative di Mackenzie nell'ultimo semestre.
Mackenzie si versò la seconda tazza di caffè della mattina e iniziò la sua routine quotidiana. Controllò le sue e-mail per vedere se ci fossero richieste di ricerca: non ce n'erano. Fece un sacco di bucato. Iniziò a fare la lista della spesa per il fine settimana. Mentre aggiungeva articoli di alimentari agli appunti sul telefono, sentì Kevin che cominciava a muoversi. Controllò l'orologio, vide che erano le 8:45 e non fu affatto sorpresa. Quel bambino era un orologio svizzero.
Andò da lui e lo prese in braccio. Il sorriso che le regalava sempre al risveglio dal suo pisolino mattutino era così somigliante a quello che le faceva Ellington quando si svegliava, che non poté fare a meno di ridere. Invece non la fece ridere l'odore di quello che aveva svegliato il piccolo. Gli cambiò il pannolino, lo vestì per la giornata e poi tornò fuori. Lì, lo sistemò nella sua sdraietta vibrante e controllò di nuovo le sue e-mail. C'era una richiesta di ricerca in attesa, ma conosceva già le risorse, così rispose all'e-mail inviando le informazioni in meno di dieci minuti.
Un meccanismo ad orologeria. Routine. Pannolini sporchi. Sì, si rendeva conto di avere una vita piuttosto piacevole, ma non vedeva l'ora di tornare in un ambiente di lavoro vero e proprio.
Era quasi ora di pranzo quando il telefono squillò. Il nome sul display inizialmente non aveva senso per Mackenzie: Greg McAllister. Poi però realizzò che era il nome di uno dei partner a cui era stato abbinato Ellington nei tre mesi in cui lei era stata relegata a casa. Era intenta ad agitare il biberon di latte in polvere per Kevin, quando si rese conto che poteva essere successo qualcosa di brutto. Probabilmente c'era solo una ragione per cui uno dei partner di Ellington avrebbe dovuto chiamarla, e non voleva nemmeno pensarci.
Il telefono squillò tre volte, prima che riuscisse a costringersi a rispondere. “Pronto, qui agente White.” È sciocco che stia ancora usando il mio cognome, quando tutti al bureau si riferiscono a me, anche per scherzo a volte, come ‘signora Ellington’.
“White, sono l'agente McAllister. Senti, va tutto bene per lo più, ma Ellington voleva che ti chiamassi per farti sapere che sta andando all'ospedale.”
Appoggiò il biberon lentamente e guardò Kevin, appollaiato sul seggiolone su cui aveva appena imparato a sedersi comodamente.
“Che cosa è successo? Sta bene?”
“Sì, pensiamo di sì. Abbiamo fatto una visita a sorpresa a un sospettato in un caso di un traffico di droga su cui stavamo lavorando. C'è stato un breve inseguimento, ed Ellington è caduto dalle scale. Nel peggiore dei casi, ha un braccio rotto. Ha anche battuto la testa, ma non sembra essere troppo grave.”
“Grazie. Sai qual è l'ospedale?”
McAllister le diede tutti i dettagli. Mentre Mackenzie li memorizzava, cercò anche di decidere cosa fare con Kevin. Ellington la prendeva in giro perché era un po' troppo paranoica, quando si trattava della salute del figlio. Le tornò in mente ora, mentre terminava la telefonata con McAllister, perché non aveva nessuna intenzione di portare suo figlio di pochi mesi in ospedale, a meno che non fosse assolutamente necessario.
È solo un braccio rotto, pensò. Riderà di me se faccio una scenata e mi precipito in ospedale.
Ma voleva assicurarsi che stesse bene; era il colpo alla testa a preoccuparla. Si sarebbe sicuramente aspettata che lui venisse a trovarla, se la situazione fosse stata invertita. Guardò Kevin e si accigliò.
“Ti va di andare a trovare il tuo papà, piccolo? Sembra che sia maldestro quanto te. Ha fatto un ruzzolone giù per le scale. Dovrei portarti in ospedale, però. Che ne dici?”
Kevin sorrise e batté le manine sul ripiano del seggiolone in risposta.
“Anch'io la penso così.”
Anche se, onestamente, non poteva negare che quella visita imprevista all'ospedale per il braccio rotto del marito fosse la cosa più eccitante che avesse vissuto negli ultimi tre mesi.
CAPITOLO DUE
Poiché aveva subito un lieve colpo alla testa durante la caduta, Ellington era stato ricoverato in una sala esami, invece di farsi visitare il braccio da un ortopedico. Dopo aver compilato un modulo alla reception, Mackenzie lo trovò in un letto d'ospedale, con un aspetto assolutamente miserabile, non tanto per il dolore, quanto perché era costretto a stare seduto su un letto d'ospedale.
Gli occhi gli si illuminarono un po' quando vide Mackenzie, poi ancora di più quando vide che aveva con sé il seggiolino.
“Mio Dio, l'hai portato in ospedale.”
“Stai zitto. Come stai? Come è successo?”
“Beh, le radiografie hanno confermato che ho un polso rotto e una frattura del radio distale. Hanno appena finito il protocollo per la commozione cerebrale. Qualcuno dovrebbe arrivare a breve per mettermi il gesso.”
Mackenzie sistemò il seggiolino sul bordo del letto d'ospedale, in modo che Kevin potesse guardare suo padre.
“Hai almeno preso il tizio?” Mackenzie cercava di tenere il tono leggero, anche se la sconvolgeva più di quanto si aspettasse vederlo sminuire la cosa nonostante stesse evidentemente soffrendo.
“Sì. In realtà gli sono caduto addosso quando sono arrivato in fondo alle scale. McAllister lo ha ammanettato e ha chiamato un'ambulanza per me.”
Mackenzie non poté farne a meno: gli guardò la testa, trovando il punto in cui aveva chiaramente sbattuto. Era appena sopra l'occhio sinistro; non c'era gonfiore, ma c'era un taglio e uno scolorimento della pelle. Sembrava che avesse preso un debole colpo, piuttosto che uno scalino o un muro in faccia.
“Non c'era bisogno che venissi, davvero.”
“Lo so. Ma volevo farlo. Ho pensato che sarebbe stato un buon esempio da usare per mostrare a Kevin come deve sempre stare attento quando insegue i cattivi.”
“Divertente. Ehi, sai... McGrath mi ha chiamato, stamattina. Detto tra noi, voleva sapere come stavi. Mi ha chiesto se pensavo che fossi pronta ad affrontare un caso. Credo che ne abbia uno pronto per te nelle prossime settimane.”
“Questa è una buona notizia. Ma in questo momento vorrei concentrarmi su di te.”
“Non c'è molto su cui concentrarsi. Sono caduto dalle scale e mi sono rotto un braccio.”
Dietro Mackenzie, un medico entrò nella stanza portando con sé una serie di lastre. “Questo è sicuro” disse il dottore. “Una brutta rottura, per giunta. Non ci vorranno perni, come avevo inizialmente temuto, ma potrebbe volerci un po' più di tempo per guarire di quanto avessi previsto. Quella frattura del distale così vicina all’altra rottura... è una doppia sfortuna.”
Mackenzie spostò il seggiolino di Kevin quando il dottore si avvicinò a Ellington. “Pronto a farti ingessare?”
“Ho scelta?”
“No, non ce l'hai.” Dal seggiolino, Kevin sbuffò, come a dirsi d'accordo.
Mentre guardava il dottore che iniziava a preparare lo stampo del gesso nel grande lavabo dall'altro lato della stanza, Mackenzie si avvicinò a Ellington. “Non cercare di fare il duro. Come stai?”
“Fa un male cane, ma mi hanno dato dell'ossicodone circa cinque minuti prima che tu entrassi, quindi dovrei essere a posto da un momento all'altro.”
“E la testa?”
“Mi fa un po’ male. Potrebbe essere peggio, ma è difficile capirlo, con tutto il dolore che si irradia dal mio braccio. Come ho detto, però, hanno controllato che non ci fossero segnali di una commozione cerebrale e...”
Il telefono di Mackenzie squillò, interrompendolo. Controllò, dando per scontato che la chiamata fosse legata alla ricerca che aveva completato quella mattina. Quando vide il nome di McGrath sul display del telefonino, però, capì che non era così.
“Hai fatto sapere a McGrath cosa è successo?” gli domandò.
“No, ma ci ha pensato McAllister. Perché, è lui?”
Mackenzie annuì mentre rispondeva alla chiamata, leggermente confusa. “Sono l'agente White.”
“Ciao, White. Suppongo che abbia già sentito del piccolo incidente di Ellington?”
“Sì, signore. Sono qui con lui proprio ora. Sta per farsi mettere il gesso.”
“Beh, questo potrebbe rendere la conversazione un po' imbarazzante. E odio parlare di lavoro mentre è in ospedale con lui, ma il tempo stringe.”
“Non fa niente. Cosa succede?”
“Nulla di grave. Ma stavo mettendo insieme la documentazione per assegnare a Ellington un caso per cui ho bisogno di lui subito. Poi però McAllister mi ha chiamato per informarmi dell'incidente. E, per quanto possa sembrare insensibile, mi trovo ad avere bisogno di un agente che si occupi delle indagini.”
Mackenzie non disse nulla, non volendo saltare alle conclusioni. Ma quando il silenzio di McGrath si protrasse, non poté farne a meno. “Posso farcela, signore.”
“Ecco perché l'ho chiamata. Stavo per mandare McAllister, ma non voglio toglierlo dal caso a cui sta lavorando, visto che lui ed Ellington l'hanno quasi chiuso.”
“Allora lo dia a me.”
“Sicura di essere pronta?”
Quella domanda la irritava, ma si trattenne. Era pronta? Beh, aveva dato la caccia a un killer scalando la parete di una montagna appena cinque mesi dopo il parto cesareo. I tre mesi in più che le aveva fatto passare a casa erano stati una decisione di McGrath – una decisione che Mackenzie non approvava, ma che aveva fatto del suo meglio per accettare con obbedienza.
“Sì, signore. In ogni caso mi avrebbe fatta tornare la prossima settimana, no?”
“Salvo imprevisti, sì. Ora, White... questo caso è a Seattle. Se la sente di accettare?”
Quasi rispose subito di sì. Aveva già la parola sulla punta della lingua, poi però pensò a come sarebbe stato essere così lontano da Kevin. Si era affezionata ancora di più a lui in quegli ultimi tre mesi, sperimentando di persona quel legame di cui parlavano i manuali che aveva letto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo figlio, e il pensiero di stare dall'altra parte del paese per un periodo di tempo indeterminato non la allettava. Per non parlare del fatto che sarebbe rimasto con il papà, che poteva usare solo un braccio.
Ma McGrath le stava essenzialmente restituendo la sua carriera... su un piatto d'argento, niente di meno. Doveva accettare.
“Dovrebbe andare bene, signore.”
“Non posso accontentarmi del condizionale, White. Senta... darò a lei ed Ellington dieci minuti per parlarne. Ma ho bisogno di un agente su un volo per Seattle per le sette di stasera. C'è un aereo che parte tra due ore e mezza.”
“Ok. La richiamo subito.”
Terminò la chiamata e vide Ellington che la guardava. Il dottore si era avvicinato e aveva iniziato ad applicare la garza bagnata sul braccio, avvolgendola intorno alla zona gonfia e scolorita. Lo sguardo sul volto di Ellington le disse tutto quello che doveva sapere. Aveva sentito almeno una parte della conversazione e non aveva ancora deciso come si sentiva.
“Allora, dov'è?” Chiese Ellington. “È l'unica cosa che non sono riuscito a sentire.”
Le sorrise, facendole sapere che era riuscito a sentire l'intera conversazione. Avevano spesso scherzato sul fatto che il direttore McGrath aveva una voce incredibilmente alta, al telefono.
“A Seattle. Partirei questo pomeriggio o questa sera.” Poi guardò Kevin e scosse la testa. “Ma non posso lasciarti con lui... non con un braccio rotto.”
“Mac, basta guardarti in faccia per capire quanto desideri questo incarico. Io e Kevin ce la caveremo.”
“Tesoro, riesci a malapena a cambiare un pannolino con due mani.”
Ellington annuì. Anche se Mackenzie scherzava, era evidente che lui capiva il suo punto di vista. All’improvviso, però, sembrò avere un’illuminazione. Rimasero in silenzio per un po', e l'unico rumore proveniva dal dottore che applicava il gesso. Anche quest’ultimo rimase in silenzio, facendo del suo meglio per rispettare la loro situazione d'impaccio.
“Sai che c'è?” disse infine Ellington. “Mia madre mi ha chiesto quando potrà tornare per passare un po' di tempo con Kevin. Posso garantirti che coglierà l'occasione al volo. A meno che tu non l'abbia dimenticato, lei adora sentirsi l’eroina della situazione.”
Mackenzie ci pensò. Lei ed Ellington avevano entrambi problemi con le loro madri, ma renderle nonne sembrava aver fatto meraviglie per quanto riguardava le loro relazioni individuali. E, egoisticamente, se la madre di Ellington fosse venuta a trovarlo mentre lei era fuori città, sarebbe stato fantastico. Mackenzie faceva finta che le piacesse quando era nei paraggi, ma sia lei che Ellington sapevano che in realtà non le andava affatto a genio quella donna.
“Ma sarà libera?”
“Parliamo di mia madre. Cos'altro potrebbe avere da fare? Inoltre... che ti piaccia o meno, questo piccoletto ce l’ha in pugno. Anche se fosse occupata, lascerebbe volentieri tutto per precipitarsi da lui. Lascia che la chiami. Tu intanto richiama McGrath.”
Prima che potesse protestare, Ellington stava tirando fuori il cellulare dalla tasca con il braccio buono. Il dottore gli lanciò uno sguardo severo, facendo una pausa nell’applicazione del gesso.
Mackenzie richiamò subito McGrath. Mentre il telefono iniziava a squillare, si voltò verso Kevin. Era intento a guardare il padre, sorridendogli. Anche se il suo cuore fremeva d'eccitazione all’idea di tornare al lavoro così all’improvviso, cominciava anche a soffrire al pensiero di essere lontana dal suo bambino. Immaginò che sarebbe stata una sensazione che avrebbe provato più volte, mentre Kevin cresceva. Un cuore diviso tra due amori: lavoro e famiglia.