E anche se non era un crimine guardare quel materiale, era illegale pubblicarlo, nella maggior parte dei paesi. E sapeva che quasi tutti quelli che pubblicavano quel tipo di materiale erano degli idioti. Chiedevano che la scure si abbattesse su di loro.
Beh, questo valeva per alcune persone. Ma non per lui. Con la sua formazione e i suoi tre anni di esperienza nel campo dell'informatica, sapeva come tutelarsi. La maggior parte degli idioti, invece, non lo sapeva. Ma questo non era un suo problema.
Guardò le immagini sullo schermo. I cadaveri. Il video di una vittima prossima alla morte, il solo segnale che fosse ancora viva era il rantolo che emetteva ogni cinque secondi. Le immagini delle persone bruciate vive in un incendio domestico, l'uomo che aveva filmato la morte della moglie mentre la soffocava a letto, mentre facevano sesso.
Immaginava che qualcuno lo avrebbe definito fuori di testa, che avesse qualche rotella fuori posto. Non credeva che fosse così, ma chi poteva saperlo? Qualcuno avrebbe anche potuto supporre che avesse avuto un'infanzia terribilmente traumatica, che avesse vissuto un'esperienza disumana che lo aveva fatto diventare così. Ma non era vero nemmeno quello. Aveva avuto un'infanzia fantastica con genitori amorevoli. Parlava ancora con loro almeno una volta alla settimana; sua madre si chiedeva ancora quando si sarebbe sistemato con una bella donna per dar loro dei nipoti.
Sua madre si era anche chiesta cosa fosse successo ai tre gatti che avevano avuto in cinque anni. Lui conosceva la risposta. Li aveva uccisi. Li aveva uccisi in modi diversi solo per vedere com'era. Solo per vedere la vita scivolare via dai loro occhi.
Non gli era piaciuto particolarmente. Non c'era stata molta lotta e, alla fine, gli era sembrato di stare soffocando un animale di peluche.
Ma con Sophie era stato diverso. Per Dio, era stato incredibile. Indescrivibile.
Perciò forse, e solo forse, c'era davvero qualcosa che non andava in lui. Molti direbbero che era così, ma a lui non sembrava.
No, niente di tutto ciò era vero. Lui stava benissimo. Gli piaceva solo guardare gli altri soffrire. Gli piaceva la vista della gente che moriva.
E gli piacevano anche le sfide. Le sfide erano quello che la Voce gli stava dando.
La Voce gli aveva lanciato diverse sfide negli ultimi mesi. All'inizio era iniziato lentamente, quasi per gioco. Spiare la coppia sposata in fondo alla strada mentre faceva sesso. Lanciare un mattone su un cane randagio dalla sua finestra, al quarto piano. Mandare per e-mail un allarme bomba a una scuola elementare locale.
La Voce aveva un nome, e lui lo conosceva. Ma gli piaceva chiamarlo la Voce. Così lo teneva lontano, facilitandogli lo svolgimento dei compiti, l'esecuzione degli ordini.
Le prime sfide erano state facili, anche se avrebbe voluto che il cane fosse morto subito dopo essere stato colpito dal mattone; ci faceva ancora gli incubi.
Dopo quei primi compiti, erano arrivate le vere sfide. Quelle sull'omicidio. La Voce sapeva cosa guardava quando andava online. A volte pensava che la Voce lo conoscesse meglio di quanto lui conoscesse se stesso, che la Voce fosse in qualche modo ai comandi dentro la sua testa.
Sì, alla fine la Voce gli aveva chiesto di uccidere, di vivere la sua fantasia piuttosto che sognarla mentre navigava nella rete oscura.
La Voce lo aveva sfidato. E lui aveva obbedito.
E adesso c'era un'altra sfida.
La Voce gliel'aveva lanciata circa un'ora prima. Era il motivo per cui stava scandagliando forum e video di contenuti tabù – contenuti che sapeva che lo avrebbero fatto finire in prigione se fosse stato scoperto.
Stava chiamando a raccolta il coraggio. Perché la Voce gli stava chiedendo di uccidere di nuovo. E questa volta voleva che lo facesse in pieno giorno.
L'idea era oltremodo elettrizzante... oltremodo eccitante. Era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Non era sicuro di come avrebbe fatto, ma aveva già in mente una vittima. Aveva già in mente la vittima prima ancora che la Voce cominciasse a parlargli. Un'altra donna, un'altra bella creatura che lo faceva sentire sporco e inferiore. Probabilmente non meritava di morire, ma queste cose non dipendevano da lui.
La Voce aveva lanciato la sfida e lui non poteva andarle contro. Anche se avesse voluto, non poteva. La sua mente, il suo corpo e il suo cuore erano pronti ad accettare la sfida. Sarebbe stato facile. Sarebbe stato come respirare, come dormire. Sarebbe stato naturale, come tutto ciò che la Voce gli aveva chiesto.
Fallo di nuovo, questa volta di giorno.
Poteva ancora sentire la voce nella sua testa, ogni parola lenta e strascicata.
Era ancora lì, quando si addormentò sulla sedia del computer, con lo schermo davanti a sé che mostrava le sue immagini ripugnanti.
CAPITOLO SETTE
Non era mai facile fare visita a una famiglia così presto dopo la morte di una persona cara, soprattutto quando stavi per fare domande sulla loro morte. Mackenzie aveva perso il conto delle volte in cui le era capitato, ma ce n'erano alcune che le erano rimaste impresse nella mente. Le manifestazioni del dolore non erano mai state uguali in nessuna situazione, ma non aveva mai assistito a una manifestazione in forma di collera pura. Almeno fino a quando non andarono a casa dei genitori di Sophie Torres. La madre, una donna bionda di nome Esmeralda, era chiaramente annientata dalla disperazione. Glielo si leggeva sul viso e negli occhi, quando li accolse in casa sua.
Esmeralda li accompagnò dentro casa come un fantasma che stesse infestando la sua stessa casa. Non aveva detto nulla, a parte: “Prego, entrate.” Camminava come se le gambe stessero perdendo forza, come se nessun muscolo del suo corpo vedesse alcun motivo per andare avanti, ora che sua figlia non era più viva.
Era davvero quella l'unica parte del suo lavoro che Mackenzie detestava. Guardò Webber e vide che aveva uno sguardo solenne e quasi di rimpianto sul volto. Considerato come l'aveva visto finora lavorando insieme, non gli si addiceva.
Esmeralda li condusse in cucina. Lì, Mackenzie vide il marito seduto al tavolo. Davanti a lui c'erano un album di foto e una bottiglia di liquore. Il suo volto era un muro di pietra. Tutto il suo corpo sembrava racchiuso in una corazza di rabbia. L'ira era così densa che a Mackenzie sembrò di sentirla irradiare da lui come calore.
“Mio marito” disse Esmeralda, facendo un cenno passivo nella sua direzione. Non si preoccupò di dire il suo nome, quasi stesse semplicemente nominando un mobile a caso.
All'inizio lui non disse nulla, anche se si alzò in piedi quando gli agenti entrarono in cucina. Lasciò l'album fotografico sul tavolo, ma prese il liquore. Non disse nulla mentre si appoggiava al bancone della cucina.
“Tè?” disse Esmeralda. “Caffè?”
Mackenzie non ne voleva, ma si era già trovata in situazioni simili. Sapeva che dare qualcosa da fare a Esmeralda Torres sarebbe stata una benedizione per la poveretta. Qualsiasi cosa pur di tenersi occupata, pur di sentire di avere il controllo su qualcosa.
“Sappiamo che è incredibilmente dura” disse Webber, mentre si accomodavano sugli sgabelli del bancone. “Vi ringraziamo per averci ricevuti. Riteniamo che sia essenziale per arrivare a capire molte cose su questo caso.”
Esmeralda non disse nulla, occupandosi del tè. Nella cucina dei Torres non fu pronunciata una sola parola fino a quando il bollitore non fischiò sul fornello e la signora cominciò a versare il tè nelle tazze con le bustine.
Esmeralda porse loro le tazze di tè. Mackenzie sorseggiò subito il suo e lo trovò piuttosto forte. Era una specie di tè verde, se non sbagliava, anche se aveva sempre preferito il caffè al tè.
“Cosa possiamo fare per voi?” chiese infine Esmeralda.
“Stiamo essenzialmente cercando di scoprire se ci fosse qualche possibilità che Sophie avesse dei nemici” disse Mackenzie. “Odio usare un termine così drastico, ma alcuni dettagli sulla sua morte ci portano a pensare che possa essere collegata a un altro omicidio avvenuto di recente.”
“Nemici, no...” disse la signora Torres. “Ma ci sono state delle cose che...”
Lasciò la frase in sospeso, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento e sforzandosi visibilmente di non mettersi a piangere. Il signor Torres, nel frattempo, fu più che felice di riprendere da dove la moglie aveva lasciato. E quando lo fece, la rabbia che Mackenzie aveva percepito prima in lui era altrettanto evidente nella sua voce.
“Nessun nemico” disse, parlando a ritmo serrato. “Ma il suo ex fidanzato è andato fuori di testa quando lei lo ha lasciato. Le ha mandato messaggi terribili.”
“Quanto tempo fa è finita la relazione?” volle sapere Mackenzie.
“Non lo so. Poco più di una settimana, credo. Non più di due settimane di sicuro.”
“Come fa a sapere dei messaggi?” chiese Webber.
“Ce li ha mostrati lei” disse il signor Torres. “È passata da noi, un po' spaventata, capite? Ci ha chiesto se secondo noi fosse il caso di chiamare la polizia. Le ho detto di lasciarmi parlare con quello stronzetto. Gli ho telefonato, ma non ha mai risposto. Ho lasciato un messaggio piuttosto aggressivo e, per quanto ne so, gli sms si sono interrotti.”
“Che tipo di messaggi le mandava, questo ex fidanzato?” chiese Mackenzie.
“Ossessivi. Le diceva che aveva commesso un errore, che lui poteva seguirla quando voleva e sapeva sempre dove si trovava. In uno dei messaggi ha scritto che sperava che un giorno qualcuno le avrebbe fatto del male tanto quanto lei ne aveva fatto a lui.”
“Immagino che non abbiamo il telefonino, vero?” Chiese Mackenzie. Guardò nella direzione di Webber nel porre la domanda.
“No. Ce l'ha ancora la polizia locale.”
“Avete mai conosciuto di persona questo ragazzo?” Chiese Mackenzie.
“Una volta” disse il signor Torres. “Una volta l'ha invitato a cena e giuro che... pensavo fosse un bravo ragazzo. Ma lei aveva lasciato intendere che le cose erano difficili quasi sempre. E poi quei dannati messaggi...”
“Per quanto tempo sono usciti insieme?" Chiese Webber.
“Forse un anno?” ipotizzò Il signor Torres. “Oppure un po' di più, credo.”
“Avete idea del perché si sono lasciati?” Chiese Mackenzie.
“Credo che stesse diventando troppo appiccicoso.” Stavolta fu la signora Torres a rispondere. A quanto pareva, aveva ripreso il controllo delle sue emozioni e voleva collaborare. “Sophie era in quella fase in cui era pronta a cominciare a fare l'adulta. Stava cercando di smettere di fare la cameriera per dedicarsi alla carriera di modella.”
“Era una modella?”
“Solo part-time” disse la signora Torres. “Niente di grosso. Qualche servizio fotografico per annunci su stampa e online. Ha fatto una pubblicità non molto tempo fa, ma non è mai stata mandata in onda.”
“Quando è stata l'ultima volta che uno di voi due ha parlato con l'ex fidanzato?” Chiese Webber.
“A parte il messaggio che gli ho lasciato” disse il signor Torres, “abbiamo parlato con lui solo quando lo ha portato a casa per cena.”
“Come si chiama?”
“Ken Grainger” rispose la signora Torres.
“Se lo vedete” disse il signor Torres, “assicuratevi che sappia che una delle ultime cose che la mia bambina ha visto è stato probabilmente uno dei suoi messaggi ignoranti. E se scoprite che è stato davvero lui... vi pagherei per lasciarmi anche solo cinque minuti da solo con lui.”
Una lacrima gli sfuggì dall'occhio destro. Mackenzie pensò che fosse la prima volta che vedeva qualcuno piangere per la rabbia. Né lei né Webber fecero commenti. Si alzarono e tolsero il disturbo, e Mackenzie sentiva ancora la rabbia del signor Torres aggrapparsi a lei come una ragnatela.
***
Con l'aiuto dei tecnici dell'ufficio operativo, Mackenzie e Webber riuscirono ad ottenere l'indirizzo di casa, l'indirizzo del lavoro e il numero di cellulare di Ken Grainger nel giro di quindici minuti. Il suo appartamento si trovava a undici chilometri da casa Torres, più vicino ai quartieri più degradati del centro. Era una zona della città che sembrava essere rimasta bloccata nel passato. I graffiti ai lati dell'edificio recitavano NIRVANA FOREVER, RIP KURT e LAYNE VIVE.
“Capisco i riferimenti ai Nirvana e a Kurt Cobain” disse Mackenzie. “Ma che cosa vuol dire Layne vive?”
“Layne Staley. Era il cantante del gruppo Alice in Chains. Non puoi sfuggire al fenomeno grunge, se abiti in una città come questa.”
Mackenzie annuì. Oltre che per Starbucks e per il costante rumore della pioggia, Seattle era anche conosciuta come luogo di nascita della musica grunge. Vide altri graffiti, piccoli locali e un numero impressionante di negozi di dischi, mentre si dirigevano verso l'appartamento di Grainger. Una volta arrivati lì, nessuno rispose alla porta. Non era un grande shock, perché erano nel bel mezzo della giornata e la maggior parte delle persone era probabilmente al lavoro.
Tuttavia, la telefonata al suo posto di lavoro, la Next Wave Graphics, diede risultati simili. Un uomo dal tono decisamente arrabbiato li informò che Ken Grainger non si presentava al lavoro da tre giorni e non rispondeva alle telefonate. L'uomo, adirato, chiese a Mackenzie di avvisare Ken che poteva considerarsi licenziato.
“Sembra estremamente sospetto, direi” disse Webber.
“Sono d'accordo. Dobbiamo comunque adoperarci per trovarlo in fretta. Se si tratta davvero del nostro uomo e riesce a spostarsi senza problemi da uno stato all'altro, non c'è modo di sapere dove potrebbe essere.” Ci pensò su per un po' mentre lei e Webber erano seduti in macchina, entrambi a sorseggiare una tazza di caffè. Mentre cercava di valutare i passi successivi, Mackenzie chiese: “Ti viene in mente qualcuno del Bureau che sia in grado di ottenere rapidamente informazioni personali? Numeri di previdenza sociale, informazioni sulla carta di credito, cose del genere?”
“Beh, sono dati piuttosto standard, quindi dovrebbero bastare una ventina di minuti o giù di lì per scoprirli.”
“Li vorrei ancora più in fretta. Salta la previdenza sociale per ora. Vediamo se riusciamo a trovare una carta di credito intestata a Ken Grainger.”
Webber lo fece, prendendo il cellulare quasi troppo diligentemente. Spostava lo sguardo da Mackenzie alla strada oltre il parabrezza, mentre parlava con qualcuno. Mackenzie restò in ascolto, colpita da come Webber riusciva a gestire bene la persona all'altro capo del telefono. Cominciava a rendersi conto che molte persone dell'ufficio di Seattle rispettavano parecchio Webber. Quando chiedeva qualcosa, di solito la otteneva rapidamente e senza domande.
Fu così anche per le informazioni sulla carta di credito di Ken Grainger. Webber ottenne quello che cercava nel giro di sei minuti. Coprì il microfono e guardò Mackenzie. “Ce l'ho. Stanno facendo un controllo per vedere quando è stata usata l'ultima volta...” Si interruppe, quindi si rivolse di nuovo alla persona in linea. “Sì... oh, davvero? Sì, sarebbe fantastico. Grazie.”
Terminò la chiamata e mise in moto l'auto. “La carta di credito di Ken Grainger è stata usata fisicamente l'ultima volta presso una stazione di servizio a circa venti chilometri da qui. L'ha usata a una pompa di benzina alle 8:37 di questa mattina.”
“Quindi è ancora in città" commentò Mackenzie. “Non sono passate nemmeno tre ore.”
“Il meglio deve ancora venire. È l'ultima volta che è stata usata fisicamente. Il mio collega dice che è stata usata ancora più di recente per pagare un ordine su Amazon. Quell'ordine è stato effettuato meno di un'ora fa.”