Acconsentì, fingendo soltanto di essere al comando. Questa cosa funzionava solo grazie all’indole cordiale di Shelley e alla generale mancanza di interesse da parte di Zoe per la corretta osservanza delle gerarchie, a patto che il caso venisse risolto. Shelley apparve persino quasi dispiaciuta, così ansiosa di dimostrare che fosse pratica del mestiere da oltrepassare, seppure involontariamente, i limiti.
Zoe indugiò davanti all’ingresso della stazione di servizio, sapendo che le cose dovevano essere iniziate da lì. C’erano deboli tracce lasciate sul terreno,orme contrassegnate da bandierine e triangoli di plastica. La donna, anziana, con scarpe ortopediche e passo corto, aveva fatto strada. Questa stazione di servizio era così isolata che non poteva aver avuto più di qualche cliente quel giorno, e le impronte erano chiare a pochi passi dalla porta.
La donna era stata seguita, sebbene probabilmente non ne fosse consapevole. I numeri apparvero davanti agli occhi di Zoe, dicendole tutto ciò che doveva sapere: la distanza tra loro indicava un’andatura rilassata. Non c’erano altre orme che specificassero la provenienza del colpevole dall’interno della stazione di servizio o da qualche punto del parcheggio. Lei aveva camminato in modo calmo, tenendo un passo costante, verso l’angolo dell’edificio. C’era un gran casino in quel punto, ma Zoe passò oltre, continuando a osservare i passi e sapendo che, prima o poi, sarebbe tornata indietro a occuparsene.
Ora i passi proseguivano a un ritmo leggermente più rapido. Ora la donna era consapevole di essere seguita?
I due si erano fermati in questo punto, proprio in corrispondenza di alcune caramelle sparse di cui era disseminato il terreno, forse il frutto di una consegna malriuscita o l’opera di un bambino impacciato. La donna si era voltata a guardare l’altro, prima di girarsi nuovamente e muoversi più rapidamente verso una porta sul retro dell’edificio.
C’era ancora una chiave appesa alla serratura, che oscillava leggermente, di tanto in tanto, al vento. Il terreno era leggermente consumato, qui, dove la vittima si era fermata per girare la chiave nella serratura, prima di allontanarsi di corsa.
I suoi passi di ritorno mostravano un’andatura molto più lunga, un ritmo più veloce. Stava quasi correndo, cercando di scappare e di tornare all’interno del negozio che gestiva. Era spaventata? Aveva freddo, lì fuori? Desiderava soltanto tornare al bancone?
L’uomo l’aveva seguita. Non subito: c’era qualcosa, una striscia di terra smossa ai margini di un’impronta di tacco, dove lui si era lentamente girato per guardarla. Quindi, aveva iniziato a seguirla ad ampie falcate, con quello che probabilmente era un passo veloce e leggero, avvicinandosi a lei, tagliando verso l’interno del tragitto della donna per raggiungerla in prossimità dell’angolo.
Ah, ecco nuovamente quel disordine di prima. Zoe si accovacciò sui talloni, esaminandolo più attentamente. Il terreno era smosso più profondamente, segni di strisciate chiaramente visibili lì dove la vittima aveva scalciato per liberarsi dalla presa, forse per qualche secondo o anche meno. Più evidente era l’impronta più pesante delle scarpe dell’uomo, nel punto in cui doveva aver preso parte del peso di lei sul cappio.
Il corpo era già stato portato via, ma il sangue parlava da sé.
Deve essere stato veloce; la donna non aveva lottato a lungo.
Zoe si chinò per dare un’occhiata più da vicino alle orme che aveva visto, quelle del colpevole. A essere interessante era il loro aspetto. Riuscì a distinguere una leggera forma nelle orme lasciate dalla vittima, sufficiente per farsi un’idea del marchio e dello stile comodo della scarpa, ma le impronte di lui erano soltanto un vago profilo, in gran parte il calco di un tacco.
Zoe ripercorse i passi della donna, continuando a esaminarli. C’erano soltanto due punti in cui riusciva a vedere i passi dell’aggressore: vicino alla porta, dove aveva aspettato, e qui, dove lei era morta. In entrambi i casi, tutti i segni identificativi, inclusi la lunghezza e la larghezza della scarpa, erano stati cancellati.
In altre parole, aveva cancellato tutte le sue tracce.
“Nessuna prova materiale, a parte il corpo?”chiese Zoe all’agente, che non si era mosso dalla sua posizione davanti alla porta.
Lui aveva i pollici appoggiati ai passanti della cintura, strizzava gli occhi avanti e indietro in ogni direzione. “No, signora,”disse.
“Nessun capello? Tracce di pneumatici?”
“Nulla con cui poter risalire al colpevole. Pare che siano state rimosse tutte le impronte di pneumatici del parcheggio, non soltanto le sue.”
Zoe si morse il labbro, riflettendo. Poteva anche scegliere le sue vittime in modo causale, ma era tutt’altro che pazzo. Aveva il controllo delle sue azioni, proprio come aveva detto Shelley. Inoltre, era paziente e meticoloso. Persino gli assassini che programmavano gli attacchi, di solito, non erano così bravi.
La suoneria di Zoe si propagò nel silenzio della strada deserta, facendo trasalire la guardia. “Agente Speciale Prime,” rispose automaticamente, senza neanche visualizzare chi stesse chiamando.
“Z, ho una pista. Ex marito violento,” disse Shelley. Non faceva tante cerimonie. Il suo tono era frettoloso, eccitato. Quel brivido del primo indizio. “Pare che il divorzio fosse stato appena ufficializzato. Ti va di passare a prendermi e andare a verificare?”
“Non c’è molto da vedere qui,” rispose Zoe. Non aveva senso che entrambe esaminassero la scena del crimine se c’erano altre piste da seguire. Inoltre, aveva la sensazione che Shelley non volesse assolutamente vedere il posto in cui una donna aveva perso la vita. Era ancora un po’ acerba, per molti versi. “Sarò da te in venti minuti.”
***
“Allora, dove si trovava la sera prima?” incalzò Shelley, avvicinandosi all’uomo e parlandogli come se fosse il loro piccolo segreto.
“Ero in un bar,” grugnì lui. “Il Lucky’s, nella zona est della città.”
Zoe stava ascoltando, ma soltanto in parte. Aveva capito che quello non era il loro assassino dal momento in cui aveva oltrepassato la porta d’ingresso. All’ex marito poteva anche solleticare l’idea di imporre il proprio peso nel matrimonio, ma era esattamente quello il problema: il suo peso. Pesava almeno cinquanta chili di troppo per aver lasciato quelle orme, ed era anche troppo basso. Aveva l’altezza giusta per uccidere sua moglie, una donna più bassa che senza alcun dubbio aveva picchiato un sacco di volte, ma non la vittima più alta. L’uomo era alto un metro e settanta, uno e sessantanove a guardarlo meglio. Sarebbe stato un po’ troppo complicato.
“Qualcuno può confermare che si trovasse lì?” chiese Shelley.
Zoe voleva interromperla, evitare di perdere altro tempo. Ma non disse nulla. Non voleva cercare di spiegare qualcosa che per lei era scontato tanto quanto il colore blu del cielo.
“Ero svenuto,” disse lui, alzando le mani in un impeto di frustrazione. “Controllate le telecamere. Chiedete al barista. Mi ha sbattuto fuori parecchio dopo la mezzanotte.”
“Il barista ha un nome?” domandò Zoe, tirando fuori un taccuino per prendere nota. Questo almeno sarebbe stato facilmente verificabile. Annotò ciò che lui le disse.
“Quando ha visto la sua ex moglie per l’ultima volta?” chiese Shelley.
Si sforzò di pensarci, muovendo gli occhi di lato. “Non ne ho idea. La stronza mi stava sempre tra i piedi. Credo qualche mese fa. Si era scaldata un bel po’ per il mantenimento. Avevo saltato qualche rata.”
Shelley si innervosì visibilmente per il modo in cui lui parlava. C’erano alcune emozioni che per Zoe erano difficili da interpretare, cose sfuggenti che non avevano un nome o che avevano origini con le quali non riusciva a identificarsi. Ma la rabbia era un’emozione facile, una spia rossa lampeggiante. E, in quel momento, stava per eruttare dalla testa di Shelley.
“Considera tutte le donne una seccatura, o soltanto quelle che divorziano da lei dopo un’aggressione violenta?”
Gli occhi dell’uomo stavano praticamente schizzando fuori dalle orbite. “Ehi, stia a sentire, non le permetto di …”
Shelley lo interruppe prima che potesse finire. “Lei ha un passato di violenza nei confronti di Linda, dico bene? I suoi precedenti indicano diversi arresti in seguito a varie denunce di violenza domestica. Pare che avesse l’abitudine di gonfiarla di botte.”
“Io…” L’uomo scosse la testa, come se cercasse di chiarire. “Non le ho mai fatto del male in quel modo. Voglio dire, così tanto. Insomma, non l’avrei mai uccisa.”
“Perché no? Sicuramente vorrà fare a meno di pagare il mantenimento, o sbaglio?” incalzò Shelley.
Zoe si irrigidì, le sue mani si strinsero a pugno. Ancora un po’ e avrebbe dovuto intervenire. Shelley stava perdendo il controllo, la sua voce cresceva sia in tono che in volume.
“Non lo stavo comunque pagando,” puntualizzò. Aveva le braccia incrociate al petto, era sulla difensiva.
“Allora forse non ci ha visto più l’ultima volta, è così? Voleva farle del male e si è spinto più in là del solito?”
“Basta!” urlò lui, perdendo la sua compostezza. Portò improvvisamente le mani al viso per poi abbassarle nuovamente, mostrando lacrime che fuoriuscivano dagli occhi e scendevano lungo le guance. “Ho smesso di pagare gli alimenti perché così sarebbe venuta a trovarmi. Mi mancava, va bene? Ero molto legato a quella stupida stronza. Esco e mi ubriaco ogni sera perché sono completamente solo. Volevate sentire questo? Siete soddisfatte, ora?”
Avevano finito, ormai era chiaro. Shelley ringraziò rigidamente l’uomo, porgendogli un biglietto e chiedendogli di chiamarle se gli fosse venuto in mente qualcos’altro. Avrebbe potuto farlo Zoe, se avesse pensato che sarebbe servito a qualcosa. La maggior parte delle persone non richiamava mai.
E, in questo caso, dubitava fortemente che l’uomo le avrebbe richiamate.
Shelley fece un respiro profondo mentre andavano via. “Punto morto. Mi spiace, il gioco di parole non era voluto. Va bene, mi bevo la sua storia. Cosa pensi che dovremmo fare adesso?”
“Vorrei vedere il corpo,” rispose Zoe. “Se esistono ulteriori indizi, sono con la vittima.”
CAPITOLO CINQUE
La sede del medico legale era un edificio tozzo accanto alla centrale di polizia, come praticamente qualsiasi altra cosa in questo paesino. C’era soltanto una strada che l’attraversava; negozi, una piccola scuola elementare e qualsiasi altra cosa di cui una città aveva bisogno per sopravvivere, distribuiti a destra e a sinistra.
Zoe si sentì a disagio. Troppo simile a casa sua.
Il medico legale le stava aspettando al piano di sotto, la vittima già stesa sul tavolo per loro, come una macabra presentazione. L’uomo, un tipo attempato a cui mancavano pochi anni per il pensionamento e che aveva alle sue spalle una discreta quantità di pettegolezzi, iniziò una lunga e contorta spiegazione delle sue conclusioni, che Zoe filtrò.
Riusciva a vedere le cose che lui stava dicendo proprio lì, distese davanti ai suoi occhi. La ferita da taglio sul collo le rivelò il preciso spessore del filo metallico che stavano cercando. Pur essendo bassa, la donna pesava poco più di settantasette chili, sebbene avesse perso quasi tre litri di sangue.
L’angolo di incisione e la forza applicata le dissero due cose. Primo, che l’assassino aveva un’altezza compresa tra un metro e settantotto e un metro e ottantatre centimetri. Secondo, che non faceva affidamento sulla forza per commettere i suoi crimini. Il peso della vittima non era rimasto a lungo aggrappato al cappio. Una volta collassata, lui l’aveva lasciata cadere. Questo aspetto, e la scelta del filo metallico come arma, indicavano una limitata forza fisica.
Una forza non elevata, unita ad un’altezza considerevole, significava probabilmente che l’uomo non era né muscoloso né pesante. Se lo fosse stato, il suo stesso peso corporeo avrebbe fatto da contrappeso. Ciò voleva dire che l’uomo, probabilmente, aveva una corporatura esile, abbastanza in linea con l’idea generale di uomo comune, di statura media.
C’era soltanto una cosa che sicuramente non era comune, e quella cosa era il suo atto omicida.
Per il resto, non c’era molto su cui lavorare. Il suo colore di capelli, il suo nome, da dove venisse, perché lo stesse facendo: nulla di tutto questo era scritto nell’involucro vuoto e abbandonato di ciò che una volta era una donna, steso davanti a loro.
“Allora, ciò che possiamo dedurre,” diceva lentamente il coroner, con una voce lagnosa e tediosa. “È che l’assassino è probabilmente un uomo d’altezza media, forse compresa tra un metro e settantacinque e poco più di un metro e ottantatre.”
Zoe si trattenne a malapena dallo scuotere la testa. Era una stima troppo ampia.
“La famiglia si è messa in contatto?” chiese Shelley.
“Nessuno, da quando l’ex marito è venuto a identificarla”. Il medico legale scrollò le spalle.
Shelley strinse un piccolo ciondolo che portava al collo, muovendolo avanti e indietro lungo una sottile catenina d’oro. “Che cosa triste,” sospirò. “Povera Linda. Meritava di meglio.”
“Come ti sono sembrati quando li hai interrogati?” domandò Zoe. Qualsiasi pista era importante, sebbene fosse ormai fermamente convinta che la scelta di questa Linda come vittima non fosse nulla di più dell’atto casuale di uno sconosciuto.
Shelley alzò le spalle con impotenza. “Stupiti dalla notizia. Non addolorati. Non credo fossero molto uniti.”
Zoe reagì domandandosi a chi sarebbe importato di lei o chi sarebbe venuto a vedere il suo cadavere se fosse morta, e sostituì quel pensiero con la frustrazione. Non era difficile da capire. Si trattava di un altro punto morto … letteralmente. Linda non aveva più alcun segreto da rivelare.
Restare qui a dolersi per lei era molto bello, ma non le avvicinava alle risposte che cercavano.
Zoe chiuse gli occhi per un istante e si allontanò verso l’altro lato della stanza, in direzione della porta dalla quale erano entrate. Dovevano muoversi, ma Shelley stava ancora discutendo con il medico legale, a voce bassa e con un tono di rispetto, su chi fosse stata in vita quella donna.
Non aveva importanza. Come faceva Shelley a non capirlo? La causa della morte di Linda era molto semplice: si trovava in una stazione di servizio isolata, da sola, quando l’assassino era arrivato. Non c’era nessun altro aspetto importante a proposito della sua vita.
Shelley sembrò cogliere la volontà di Zoe di andar via e si mosse verso di lei, allontanandosi cortesemente dal medico legale. “Cosa dovremmo fare adesso?” domandò.
Zoe desiderava rispondere a quella domanda, ma non poteva farlo. C’era soltanto una cosa da fare a quel punto, e non era l’azione diretta che voleva. “Elaboreremo un profilo dell’assassino,” rispose. “Dirameremo un comunicato negli stati confinanti per avvertire le forze dell’ordine locali di stare in guardia. Dopodiché, esamineremo i documenti relativi agli omicidi precedenti.”
Shelley annuì, concordando senza problemi, mentre Zoe si diresse verso la porta. Non che dovessero andare troppo lontano.
Zoe salì le scale e uscì all’esterno attraverso la porta dell’ufficio, guardandosi intorno e fissando nuovamente la linea dell’orizzonte, facilmente visibile oltre la piccola serie di case e strutture che costituivano la città. Sospirò, incrociando le braccia al petto e voltando la testa in direzione del distretto e della loro destinazione. Meno tempo passava a guardare quel posto, meglio era.