Corse alla balconata e guardò in basso, verso il piano sottostante. Molti dei rami del kapoc si erano già rotti, come anche le passerelle che prima avevano sostenuto, e i detriti giacevano sparpagliati sul pavimento. Ma lì, in mezzo a pezzi di intonaco, cemento e legno, il professor Ametisto vide una luce baluginante.
“Un portale,” disse a voce alta.
Sapeva cosa significava. C’erano solo pochi indovini al mondo con tali poteri, e gliene veniva in mente solo uno che avrebbe potuto voler fare irruzione nella scuola.
Il grande portale si allargò sempre di più, fino a che fu tanto grande da permettere a un gruppo di studenti di passarvi attraverso. Indossavano tutti la riconoscibile divisa nera della Scuola degli Indovini di Madama Ossidiana.
Il professor Ametisto socchiuse gli occhi furioso. Magdalena Ossidiana era stata, molti anni prima, la sua migliore studentessa. Aveva una mente potente e senza limiti. Una mente capace di rivaleggiare con la sua. Un’intelligenza pari solo a quella di Newton. Di Da Vinci. Di Oliver Blue. Aveva voluto metterla alla prova, ma la missione in cui l’aveva inviata l’aveva indotta a montarsi la testa. Aveva voluto più conoscenza, più accesso, più artefatti, e aveva voluto prendere tutta la conoscenza del futuro per applicarla al passato.
All’inizio la sua impresa era stata ammirevole: usare la conoscenza del futuro per risparmiare all’umanità gli errori del passato. A dire il vero, quasi tutti i giovani indovini che erano stati allievi del professor Ametisto gli avevano chiesto la stessa cosa: “Perché non si può cambiare il passato?” Ma laddove la maggior parte di essi accettava che il dovere di un indovino era quello di seguire la guida dell’universo, di riparare le crepe e le fessure nell’ordine delle cose, Magdalena Ossidiana aveva rifiutato di accettarlo. Nella sua mente idealizzata, tali eventi dovevano essere riscritti, che l’universo l’avesse deciso o meno.
“Il compito di un indovino è di mantenere il mondo sulla via della minore distruzione,” ricordava di averle detto una volta nel suo ufficio, mentre stavano seduti accanto al caminetto e lei era solo una ragazzina di dodici anni. “Non possiamo cancellare Hitler, ma possiamo impedire che ottenga una bomba nucleare. Non possiamo fermare le grandi guerre mondiali, ma possiamo cercare di ridurre le morti.”
Ma la ragazza aveva confutato le sue affermazioni. Aveva rifiutato di seguire i suoi insegnamenti, aveva rifiutato di accettare che un indovino non doveva deviare del tutto il corso della storia. E quando aveva scoperto di essere un’indovina cobalto e aveva iniziato a leggere di tutti i maggiori cobalto, beh, la sua mente si era oscurata. Alla fine aveva scelto il suo devastante percorso, era diventata una malvagia e aveva avviato una sua ‘scuola’, trovando studenti indovini prima che lo facesse il professor Ametisto, e aveva corrotto le loro menti impressionabili.
Ametisto non aveva avuto altra scelta che proteggere la scuola con un incantesimo protettivo che le impedisse di entrarvi. Non che una cosa del genere potesse fermare Magdalena Ossidiana. Ora si limitava a mandare gli studenti a eseguire i suoi ordini, o manipolava le leggi delle dimensioni per i suoi scopi. Sapeva quello che aveva fatto con Edmund. Aveva contorto la sua mente proiettando se stessa attraverso le dimensioni, una cosa estremamente pericolosa che lui stesso aveva fatto solo una volta, per disperazione, per dire a Oliver che doveva trovare lo Scettro di Fuoco. Sapeva anche che la donna mandava i suoi studenti attraverso il tempo, che aveva addirittura convocato l’esercito oscuro. Lei non si sporcava mai le mani in prima persona. Il professor Ametisto aveva passato diverse ore a pensare al perché. Era arrivato a concludere che Magdalena sapeva che se avesse mai rivisto il suo vecchio mentore negli occhi, avrebbe dovuto affrontare la realtà della situazione. Avrebbe dovuto accettare che si sbagliava. Che era diventata una malvagia. Che non aveva lasciato al suo passaggio nient’altro che distruzione e caos.
Improvvisamente il professor Ametisto sentì i passi degli studenti ossidiani che iniziavano a salire i gradini verso di lui. Raddoppiò i propri sforzi per salire. Ma sentiva le ginocchia che cedevano. Le sue ossa e i suoi muscoli non erano abbastanza forti per questo. Dopotutto Ametisto aveva migliaia di anni. Anche il suo corpo aveva i suoi limiti.
Avrebbe dovuto combattere contro di loro.
L’ultima cosa che il professor Ametisto voleva fare era combattere contro dei ragazzi, soprattutto se avevano subito il lavaggio del cervello da parte di Magdalena Ossidiana. Ma d’altro canto, ogni minuto che gli studenti ossidiani passavano nella Scuola degli Indovini era un momento in più che non si trovavano all’inseguimento di Oliver o Esther nella loro impresa di localizzare lo Scettro di Fuoco. Magari sarebbe riuscito a guadagnare del tempo per i due gruppi, creando un po’ di distrazione qui.
Proprio in quel momento sentì i passi che raggiungevano il pianerottolo alle sue spalle. Ruotò su se stesso. Quattro ragazzi erano davanti a lui: una ragazza con le trecce rosse, una seconda con capelli e unghie neri, un ragazzo pallido con gli zigomi spigolosi e un lungo naso sottile da stregone, e infine un ragazzo dalla corporatura pesante, con le spalle larghe come un armadio e occhi neri come il carbone.
“Ah,” disse il professor Ametisto con tono gioioso ai quattro giovani. “Benvenuti. Siete futuri studenti? Temo che la scuola stia subendo una sorta di trasformazione al momento. Sta uscendo dal tempo. Pertanto vedo come improbabile la possibilità di accogliere nuovi studenti fino a che questo ribaltone non sarà risolto.”
I quattro si guardarono tra loro, confusi, le espressioni malvage e concitate. Il professor Ametisto poteva solo provare pena per loro, per non essere riuscito a trovarli prima di Magdalena Ossidiana, e per le boriose personalità che lei aveva infuso in loro.
“Di che stai blaterando, vecchio?” chiese il ragazzo robusto.
Quello dai capelli neri si girò verso di lui facendo una smorfia. Con voce malevola disse: “Non sai chi è? Questo è il professor Ametisto.”
Il preside andò avanti con la sua strategia di distrazione. Si mise una mano sul petto. “Oh! Sono famoso?”
Ma i ragazzi avevano esaurito la loro pazienza. Lo guardarono con espressioni torve, i denti digrignati come creature feroci, e iniziarono ad avanzare.
Il professor Ametisto sentì un nodo formarsi in gola. Era arrivato il momento di combattere.
CAPITOLO NOVE
“Cosa ci sta dicendo adesso la bussola?” chiese Simon ad Esther.
Lei guardò lo strumento di bronzo che teneva in mano. Tutti i simboli che mostrava sembravano essere connessi con l’oceano: barche, pesci, e ancora l’ancora.
“Penso che dovremmo andare verso il porto,” disse.
Il sole batteva sulle loro teste mentre percorrevano lo stretto sentiero che conduceva verso il mare scintillante. Si vedevano gli alberi maestri di molte imbarcazioni che ondeggiavano su e giù ed Esther li guardò meravigliata. Avevano un design davvero antico. Erano così vecchi che non le veniva in mente nessun relitto che fosse sopravvissuto all’epoca moderna e che si potesse vedere nei musei, quindi vedere una cosa del genere dal vivo era davvero sorprendente.
Quando raggiunsero il porto, lo trovarono trafficato come il mercato che avevano visto prima. C’erano uomini che indossavano mantelli di cotone che issavano reti colme di pesce fresco, come anche barche da cui venivano scaricati preziosi carichi provenienti da terre lontane. Esther si rese conto che chiaramente si trattava di un fulcro commerciale molto importante.
Fortunatamente, grazie a come erano vestiti, non richiamarono quasi nessuna attenzione e riuscirono a muoversi qua e là, cercando indizi riguardanti l’epoca, il luogo e dove avrebbero potuto trovare lo Scettro di Fuoco.
“Rodi,” disse Simon tutt’a un tratto. “Siamo a Rodi.”
“Davvero?” gli chiese Esther, sgranando gli occhi per la sorpresa.
Rodi era una delle isole che appartenevano all’impero greco. Si chiese perché il professore li avesse voluti mandare lì, piuttosto che sulla terraferma. Si scervellò tentando di ricordare quali antichi filosofi greci risiedessero a Rodi prima di Cristo.
“Come fai a saperlo?” chiese Walter a Simon.
Simon indicò delle lettere stampate su un cartello vicino al porto. Non era il loro solito alfabeto, ma era anzi completamente diverso. Walter fece una faccia sorpresa.
“Come fai a leggere Rodi lì?” chiese. “Per me è arabo!”
Simon ruotò gli occhi al cielo. “La mia educazione scolastica nella Londra vittoriana è stata molto approfondita. Abbiamo studiato sia latino che greco antico. Onestamente, non c’è modo migliore di leggere gli antichi filosofi che nella loro lingua originale.”
Mentre i ragazzi bisticciavano, Esther tentò di capire in che data potessero essere arrivati. Ricordava il Colosso di Rodi, la grande statua costruita accanto all’oceano, una delle antiche meraviglie del mondo. Ma tutto quello che se ne poteva vedere adesso erano le due colonne di pietra sulle quali una volta si erano trovati i suoi piedi. Quindi dovevano essere arrivati dopo il suo crollo, avvenuto nel 226 a.C.
Questo restringeva un poco le possibilità. Ma c’era ancora tanto da capire per arrivare a una soluzione concreta.
“Dato che sai così tanto dei filosofi greci,” disse Esther a Simon, “hai idea di quali siano vissuti qui a Rodi?”
“Beh, c’è Andronico di Rodi,” disse Simon, “che è vissuto qui attorno al 60 a.C.”
Proprio in quel momento Esther fu attratta da un uomo anziano seduto da solo su una cassa capovolta, intento a fissare il mare. Qualcosa del suo volto le sembrava familiare, anche se non era in grado di dirne il motivo. Il modo in cui fissava davanti a sé in quel modo così assorto lo faceva davvero spiccare in mezzo a tutta la gente che correva avanti a indietro attorno a lui. I suoi abiti lo facevano apparire ricco e importante. Il modo in cui guardava il mare, immerso nei suoi pensieri, gli dava l’aria di uno studioso. Teneva anche una pila di carte appoggiate in grembo, ed Esther vide che erano piene di appunti e bozzetti.
Chiunque fosse quell’uomo, sembrava essere qualcuno di davvero importante. Uno studioso. Forse addirittura un filosofo. E considerato il fatto che la maggior parte degli studiosi del passato si erano rivelati essere indovini, o collegati in qualche modo ad essi, decise che quello poteva essere un buon punto d’inizio.
“È lui?” chiese Esther, interrompendo il monologo di Simon sui filosofi e indicano l’uomo.
Simon strizzò gli occhi e si schermò il volto dal sole con la mano. “Beh, non saprei. Non penso ci siano ritratti esistenti di Andronico di Rodi.”
Walter scrollò le spalle. “Mah. A me sembra un filosofo. Potremmo comunque andare a salutarlo.”
Partì diretto verso l’uomo. Simon ed Esther si scambiarono un’occhiata e una scrollata di spalle, poi seguirono il loro amico deciso e imperturbato.
Ma mentre si avvicinavano, Esther si rese conto di dove aveva visto il volto dell’anziano prima. Era stato nelle aule di storia della Scuola degli Indovini! La scuola aveva un sacco di busti in mostra raffiguranti famosi scienziati, matematici, filosofi, politici e personaggi del genere. Quel volto, sebbene ora fosse segnato dalle rughe, era quello di Posidonio, il filosofo stoico di cui erano andati per lo più perduti gli insegnamenti.
Esther allungò un braccio e afferrò Simon per il polso. “Penso di sapere chi è.”
Simon stava annuendo, dato che chiaramente anche lui aveva fatto due più due proprio come lei.
“Posidonio!” esclamarono entrambi contemporaneamente.
L’uomo sollevò lo sguardo di colpo e vide Walter che gli stava davanti e che, nonostante la sua toga e i sandali, aveva ancora un aspetto del tutto diverso, con la sua pelle scura rispetto a quella bronzea dei Greci. Poi lo sguardo dell’uomo passò a Esther e Simon, scrutandoli dalla testa ai piedi. Parve estremamente sorpreso dal pallore di Simon con i suoi abiti messi insieme alla meno peggio.
Si accigliò, chiaramente confuso dai tre giovani che aveva davanti, che in qualche modo conoscevano il suo nome e che l’avevano esclamato con tale entusiasmo.