Quasi scomparsa - Блейк Пирс 3 стр.


“È il mio ex ragazzo”, borbottò Cassie. “Sto cercando di evitarlo. Non voglio che mi crei problemi prima di partire”.

“Ma sta già creando problemi!” Jess si girò, irritata.

“Sicurezza!”, urlò. “Aiuto! Qualcuno fermi quell'uomo!”

Galvanizzato dalle urla di Jess, uno dei passeggeri afferrò la giacca di Zane, mentre lui gli passava accanto. Il ragazzo scivolò sulle piastrelle, dimenando le braccia, e trascinando con sé uno dei paletti mentre cadeva a terra.

“Trattenetelo”, Jess invocò. “Sicurezza, presto!”

Con un'ondata di sollievo, Cassie si rese conto che la sicurezza si stava effettivamente muovendo. Due poliziotti dell'aeroporto si stavano affrettando verso la fila. Avrebbero raggiunto Zane in tempo, prima che potesse avvicinarsi a lei o scappare.

“Sono venuto per salutare la mia ragazza, agenti”, farfugliò il ragazzo, ma i suoi tentativi di affascinare i due poliziotti non funzionarono.

“Cassie", chiamò Zane, mentre quello più alto gli afferrava un braccio. “Au revoir".

Restia, la ragazza si girò a osservarlo.

“Au revoir! Non è un addio", urlò lui mentre gli agenti lo facevano allontanare. “Ti rivedrò. Prima di quanto credi. Farai bene a stare attenta”.

Cassie riconobbe la minaccia nelle ultime parole del ragazzo— ma, in quel momento, si trattava di parole a vuoto.

“Grazie mille", disse a Jess, sopraffatta dalla gratitudine per quell’atto di coraggio.

“Anche io avevo un ragazzo nocivo”, simpatizzò la ragazza. “So quanto possano essere possessivi, si appiccicano come il velcro. È stato un piacere essere stata in grado di fermarlo”.

“Passiamo il controllo passaporti prima che trovi un modo per rientrare. Ti devo un drink. Cosa vuoi — caffè, birra o vino?”

“Vino, senza dubbio", rispose Jess, mentre le due ragazze si dirigevano verso i gate.

“Quindi, dove stai andando esattamente in Francia?” chiese Cassie, dopo che ebbero ordinato da bere.

“Questa volta vado da una famiglia a Versailles. Vicino a dove si trova il palazzo, credo. Spero di aver la possibilità di andare a visitarlo quando avrò un giorno libero”.

“Questa volta, hai detto? Hai già avuto un altro incarico?”

“Sì, ma non è andata molto bene”. Jess fece cadere un cubetto di ghiaccio nel suo bicchiere. “La famiglia era orribile. Infatti, ho deciso di non usare mai più Le ragazze alla pari di Maureen. Questa volta sono con un'agenzia diversa. Ma non preoccuparti”, disse di fretta, “sono sicura che a te andrà tutto bene. Maureen deve avere degli ottimi clienti nei suoi libri”.

Cassie si sentì la bocca improvvisamente asciutta. Fece un grosso sorso di vino.

“Pensavo avesse una buona reputazione. Voglio dire, il suo slogan dice La miglior agenzia europea”.

Jess rise. “Beh, si tratta solo di marketing. Anche altre persone me l’hanno descritta diversamente”.

“Che cosa ti è successo?” chiese Cassie. “Per favore dimmelo”.

“Beh, il lavoro sembrava a posto, anche se alcune delle domande di Maureen durante il colloquio mi avevano fatto preoccupare. Erano talmente strane che avevo iniziato a chiedermi che problemi avesse quella famiglia, perché a nessuna della mie amiche ragazze alla pari avevano chiesto certe cose nel corso del loro colloquio. E quando sono arrivata — beh, la situazione non era proprio quella pubblicizzata”.

“In che senso?” Cassie si sentì raggelare. Anche a lei le domande di Maureen erano parse alquanto strane. Al momento, aveva dato per scontato che a tutte le candidate venissero chieste le stesse cose; che si trattasse di un test sulle loro abilità. E forse lo era… ma non per i motivi che aveva immaginato lei.

“La famiglia era decisamente tossica”, disse Jess. “Mi mancavano di rispetto e mi umiliavano. Il lavoro che dovevo fare esulava completamente dai miei compiti; a loro non importava, e si rifiutavano di cambiare le cose. E quando ho detto che me ne sarei andata — è lì che è diventato un campo di battaglia”.

Cassie si morse il labbro. Aveva avuto la stessa esperienza, crescendo. Si ricordava voci alte dietro porte chiuse, litigi bisbigliati in auto, un incredibile senso di tensione. Si era sempre chiesta quali motivi potesse mai riuscire a trovare sua madre — così tranquilla, sottomessa, sconfitta — per litigare con il suo pomposo e aggressivo padre. Fu solo dopo che sua madre morì in un incidente d'auto che Cassie capì che i litigi erano iniziati tutti con lo scopo di mantenere la pace, gestire la situazione, proteggere lei e sua sorella maggiore dalle aggressioni che scoppiavano senza preavviso, e senza alcuna buona ragione. Senza la presenza di sua madre, il conflitto in ebollizione si era tramutato in una vera e propria guerra.

Cassie si era immaginata che fare la ragazza alla pari avrebbe portato tra i suoi vantaggi quello di far parte della famiglia felice che non aveva mai avuto. Iniziava però a temere che la realtà fosse totalmente opposta. Lei non era stata in grado di mantenere la pace a casa. Sarebbe mai stata capace di gestire una situazione instabile nello stesso modo in cui aveva fatto sua madre?

“Sono preoccupata per la famiglia che troverò”, confessò Cassie. “Anche a me hanno fatto domande strane durante il colloquio, e la loro ragazza precedente se n'è andata prima della fine del contratto. Cosa succederà se mi trovassi costretta a fare lo stesso? Non voglio rimanere se le cose iniziano ad andar male”.

“Non andartene a meno che non si tratti di un’emergenza”, l'avvisò Jess. “È un’azione che causa contrasti enormi, e dovrai sborsare un sacco di soldi; sarai ritenuta responsabile di moltissime spese extra. Proprio per questo motivo ero quasi decisa a non provarci un’altra volta. Sono stata molto attenta prima di accettare questo incarico. Non sarei stata in grado di permettermelo se questa volta non avesse pagato tutto mio padre”.

Jess posò il suo bicchiere di vino.

“Andiamo al gate? Siamo vicino alla coda dell'aereo, quindi saremo il primo gruppo ad imbarcare”.

L'eccitazione di salire sull'aereo riuscì a distrarre Cassie da ciò che le aveva detto Jess, e una volta sedute ai loro posti, le due ragazze si misero a chiacchierare di altro. Quando l'aereo decollò, Cassie sentì risollevarsi anche il suo spirito, perché ce l'aveva fatta. Aveva lasciato il Paese, era riuscita a scappare da Zane, ed era in volo, verso un nuovo inizio in una terra straniera.

Fu solo dopo cena, quando ripensò con più attenzione ai dettagli del suo incarico, e agli avvertimenti che le aveva dato Jess, che i suoi timori iniziarono nuovamente a insinuarsi.

Non tutte le famiglie potevano essere male, no?

E se invece un'agenzia in particolare avesse la reputazione di accettare famiglie difficoltose? Beh, in quel caso le possibilità sarebbero state maggiori.

Cassie provò a leggere per un po', ma si rese subito conto di non riuscire a concentrarsi sulle parole; i suoi pensieri si susseguivano rapidi mentre si preoccupava di cosa le avrebbe riservato il futuro.

Diede un'occhiata a Jess. Dopo essersi assicurata che la ragazza fosse assorbita dal suo film, Cassie prese la confezione di pillole dalla propria borsa, senza farsi notare, e ne ingerì una con l'ultimo sorso di Coca Cola Light. Dato che non riusciva a leggere, tanto valeva provare a dormire. Spense la luce e reclinò il sedile.

*

Cassie si ritrovò nella sua malmessa cameretta al piano superiore, rannicchiata sotto al letto con la schiena contro il freddo muro ruvido.

Dal piano di sotto giungevano risate ubriache, tonfi ed urla; baldoria che, di lì a poco, sarebbe diventata violenta. La ragazzina tese bene le orecchie, in attesa di sentire rumori di vetri infranti. Riconobbe la voce di suo padre e quella della sua ultima ragazza, Deena. C'erano almeno altre quattro persone di sotto, forse di più.

E poi, sopra le urla, Cassie sentì lo scricchiolio delle assi del pavimento, mentre passi pesanti salivano le scale.

“Ehi, tesoro”, bisbigliò una voce profonda, e la dodicenne rabbrividì per il terrore. “Ci sei, ragazzina?”

Lei chiuse gli occhi strizzandoli, dicendo a se stessa che si trattava solo di un incubo, che si trovava al sicuro nel suo letto e che gli sconosciuti al piano di sotto stavano per andarsene.

La porta si aprì lentamente, scricchiolando, e Cassie vide comparire un grosso stivale nella scia di luce della luna.

I piedi attraversarono la stanza.

“Ehi, ragazzina”. Un bisbiglio rauco. “Sono venuto a salutarti”.

Cassie chiuse gli occhi, pregando che l’uomo non riuscisse a sentire il suo respiro affannato.

Sentì il fruscio del tessuto quando lui tirò indietro le coperte… e il suo grugnito di sorpresa quando vide il cuscino e il cappotto che lei aveva appallottolato sotto di esse.

“In giro”, aveva bisbigliato. Cassie ipotizzò che stesse guardando le tende sudicie che fluttuavano nella brezza, con il tubo di scolo che suggeriva una via di fuga precaria. La prossima volta, si disse, avrebbe trovato il coraggio di scendere; non poteva certo essere peggio che nascondersi lì sotto.

Gli stivali uscirono dalla sua visuale. Un'esplosione di musica arrivò dal piano di sotto, seguito da un litigio acceso.

La stanza era in silenzio.

Cassie stava tremando; se doveva trascorrere la notte nascosta, avrebbe avuto bisogno di una coperta. Era meglio se la prendeva subito. La ragazza si allontanò dal muro.

Ma come fece fuoriuscire il braccio da sotto al letto, una mano ruvida l'afferrò.

“Eccoti!”

L’uomo la trascinò fuori — lei si strinse alla struttura del letto, con l'acciaio freddo che le graffiava le mani, e iniziò ad urlare. Le sue urla terrorizzate riempivano la stanza, riempivano la casa…

Si svegliò, sudando, urlando, sentendo la voce preoccupata di Jess. “Ehi, Cassie, tutto bene?”

Gli stralci del suo incubo erano ancora in agguato, pronti a trascinarla di nuovo al suo interno. Cassie poteva sentire i graffi freschi sul braccio, dove la struttura arrugginita del letto l’aveva ferita. Premette la zona con le dita e fu sollevata nel trovare la pelle intatta. Spalancando gli occhi, accese la luce sopra la sua testa per allontanare l'oscurità.

“Sto bene. È stato solo un brutto sogno”.

“Vuoi un po' d'acqua? Del tè? Posso chiamare la hostess”.

Cassie stava per rifiutare educatamente, ma poi si ricordò di dover prendere nuovamente le sue medicine. Se una compressa non aveva funzionato, due di solito impedivano agli incubi di ripetersi.

“Dell'acqua. Grazie”, disse.

Aspettò che Jess guardasse altrove e in fretta ingerì un'altra pillola.

Non provò nuovamente a dormire.

Durante la discesa, Cassie e Jess si scambiarono il numero di cellulare — e, per sicurezza, lei si scrisse il nome della famiglia per cui Jess avrebbe lavorato, e il loro indirizzo. Si disse che si trattava giusto di una misura preventiva, e che c'era la speranza che, dato che possedeva queste informazioni, non le sarebbero servite. Le due ragazze si promisero che avrebbero visitato il Palazzo di Versailles insieme, alla prima occasione possibile.

Quando entrarono nell'aeroporto Charles de Gaulle, Jess fece una risatina eccitata. Mostrò a Cassie il selfie che la sua famiglia si era fatta mentre tutti insieme la attendevano in aeroporto. Una coppia attraente e due bambini che stavano sorridendo, tenendo in mano un cartello con il nome della ragazza.

Cassie non aveva ricevuto alcun messaggio — Maureen le aveva solo detto che la famiglia sarebbe venuta a prenderla al suo arrivo. La fila per il controllo passaporti sembrava infinita. La ragazza era circondata da stralci di conversazioni in una serie di lingue diverse. Sintonizzandosi sulla coppia che le camminava accanto, si rese conto di quanto poco francese parlato fosse in grado di comprendere. La realtà era totalmente diversa dalle lezioni in classe e dalle cassette per imparare la lingua. Si sentì spaventata, sola, e stanca, e improvvisamente si rese conto di come fossero stropicciati e sudati i suoi vestiti, in confronto a quelli degli eleganti francesi che la circondavano.

Non appena ebbe ritirato i suoi bagagli, Cassie si affrettò verso il bagno, si mise una maglietta pulita e si sistemò i capelli. Non si sentiva ancora pronta ad incontrare la sua famiglia e non aveva idea di chi la stesse aspettando. Maureen le aveva detto che la casa si trovava ad oltre un'ora di distanza dall'aeroporto, perciò forse i bambini non sarebbero venuti. Non doveva cercare un gruppo numeroso. Qualunque faccia amichevole sarebbe andata bene.

Ma nel mare di persone che la osservavano, sembrò che non vi fosse nessuno che la riconoscesse, anche se aveva messo il suo zainetto "Ragazze alla pari di Maureen" ben in vista nel carrello bagagli. Camminò lentamente dal gate agli Arrivi, cercando ansiosamente qualcuno che la notasse, la salutasse o la chiamasse.

Ma sembrava che tutti i presenti stessero aspettando qualcun altro.

Afferrando la maniglia del carrello con le mani fredde, Cassie vagò per l'atrio degli Arrivi, cercando invano, mentre la folla si disperdeva lentamente. Maureen non le aveva detto cosa fare nel caso fosse successa una cosa simile. Avrebbe dovuto chiamare qualcuno? Non sapeva nemmeno se il suo telefono funzionava in Francia.

E poi, mentre faceva un ultimo frenetico giro intorno al piano, lo vide.

“CASSANDRA VALE".

Un piccolo cartello, tenuto da un uomo magro, coi capelli scuri, vestito in jeans e giacca nera.

Appoggiato al muro, e assorto nel suo telefono, non la stava neanche cercando.

La ragazza gli si avvicinò incerta.

“Buongiorno, sono Cassie. Lei è…?” chiese, abbassando la voce quando si rese conto che non aveva idea di chi potesse essere quella persona.

“Sì”, disse l'uomo in un inglese con un forte accento. “Vieni con me”.

La ragazza stava per presentarsi in maniera adeguata, per recitare le parole che aveva provato e riprovato su quanto era contenta di poter essere parte della famiglia, quando vide la targhetta sulla giacca dell’uomo. Era solo un tassista; la targhetta era il suo pass per l'aeroporto.

La famiglia non si era neanche preoccupata di andarla a prendere.

CAPITOLO TRE

Davanti agli occhi di Cassie si stendeva il paesaggio urbano. Alti palazzi, appartamenti e cupi quartieri industriali lasciarono man mano spazio alla periferia alberata. Il pomeriggio era grigio e freddo, e il vento scuoteva una pioggia intermittente.

Cassie cercava di allungarsi per leggere i cartelli stradali che scorrevano accanto alla macchina. Si stavano dirigendo verso Saint Maur, e per un po’ la ragazza pensò che quella potesse essere la loro destinazione, ma l'autista superò lo svincolo e proseguì sulla strada che portava fuori città.

“Quanto manca?” chiese lei, cercando di instaurare una conversazione, ma lui grugnì in maniera evasiva ed alzò il volume della radio.

La pioggia picchiettava sui finestrini e Cassie poteva sentire il vetro freddo contro la guancia. Desiderò aver tirato fuori dal baule la giacca pesante. Stava anche morendo di fame — non aveva fatto colazione e non aveva avuto alcun modo di comprare del cibo.

Dopo più di mezz’ora di tragitto, il veicolo raggiunse l'aperta campagna e l’autista guidò lungo la Marna, dove chiatte dipinte con colori brillanti donavano uno spruzzo di colore al grigiore circostante, e alcune persone, avvolte negli impermeabili, camminavano sotto gli alberi. Alcuni dei rami erano già spogli, altri erano ancora ricoperti di foglie marroni e rossicce.

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