Se lei udisse - Блейк Пирс 4 стр.


Kate e DeMarco osservarono l’ex stanza di Kayla. Mostrava i segni della ragazza che era stata, i residui dei poster di Hannah Montana a lato della cassettiera, dei quadrati leggermente sbiaditi sulle pareti dove un tempo erano appesi i poster. Trovarono due valigie fatte ai piedi del letto. Una era chiaramente adibita alle cose relative al matrimonio. Era piena di vestiti carini, trucchi e di quelli che sembravano appunti per un brindisi. L’altra era molto meno formale, con diversi abiti buttati lì insieme a un tascabile e ad articoli per l’igiene personale. Ma non c’era assolutamente nulla di utile per il caso.

«Ha parlato con le amiche con cui è uscita la sera dell’omicidio?» chiese DeMarco.

«Con tutte tranne una. A quel che ho raccolto, erano in tutto in quattro, Kayla inclusa.»

«Mi piacerebbe parlare con tutte» disse DeMarco. Poi si girò verso Kate, come in cerca della sua approvazione. Kate le fece solo un breve cenno col capo, apprezzando il gesto di DeMarco.

«Be’, è lunedì pomeriggio e lavorano. Potrei fare qualche telefonata per vedere cosa posso fare per radunarle tutte. Magari al distretto.»

«Che ne dice di un bar o un ristorante?» chiese DeMarco.

Gates parve perplesso, ma annuì lentamente. «Sì, in città ci sono un paio di bar. Be’, appena fuori città, in realtà. Sono piuttosto sicuro che alcune ragazze ne frequentino uno, un posto che si chiama Esther’s Place. Posso organizzarvi un appuntamento lì per le sei.»

«Si assicuri che sappiano che non è facoltativo» disse DeMarco. «Se non ce la fanno a venire, andremo a casa loro.»

Kate sorrise. Non era la strada che avrebbe percorso lei, ma era comunque efficace. Sapeva quello che stava pensando DeMarco. Solitamente, quando si interrogavano testimoni al di fuori di sale interrogatori e case private, la conversazione tendeva a fluire in modo più naturale. Kate non aveva mai preferito quell’approccio, in quanto le eventuali distrazioni diventavano un problema. Ma quello era il palco di DeMarco e le avrebbe permesso di condurre lo show come preferiva.

Il terzetto uscì di casa e quando raggiunsero le rispettive auto, lo sceriffo Gates era già al telefono per organizzare l’incontro.

«Mi chiedo perché abbia permesso alla madre di andarsene così» disse DeMarco montando in auto.

«Quella donna ha appena perso la figlia. A meno che non ci siano prove sostanziali della sua colpevolezza o che sia in possesso di informazioni valide, non ha senso trascinarla in tutto ciò. Inoltre il dossier dice che non ha parenti né amici in zona. E parenti e amici sono esattamente ciò che le servono in questo momento.»

DeMarco ridacchiò. «Cavoli, mi sei mancata, Kate. Stavo cominciando a temere di far volare fuori dalla finestra l’empatia per il prossimo quando lavoro a un caso.»

«È facile farlo» disse Kate. «Dopo un po’, per quanto sia triste, può diventare facile smettere di vedere la gente che incontriamo sui casi come delle persone vere. Noi abbiamo il nostro puzzle da risolvere e loro hanno gli strumenti per aiutarci a farlo. Un modo schifoso di pensare, ma penso che tutti gli agenti scivolino per questa china, prima o poi.»

«Io non ti ci vedo a comportarti così.»

Chiedi a Melissa, pensò. Lei ti racconterebbe di come ho messo il lavoro davanti a tutto.

Il pensiero le portò il bruciore delle lacrime agli occhi, che asciugò subito. Un ultimo strattone dalla vita che la trascinava a sé. Sì, era stata una madre terribile per Melissa, aveva sempre scelto il lavoro prima di lei.

Si trovava di nuovo lì, solo che adesso erano passati vent’anni e c’era Michael. Aveva l’opportunità di fare le cose nella maniera giusta, stavolta.

E, mentre quest’ultimo pensiero le bruciava ancora in mente, pensò che, finito tutto, avrebbe fatto le cose nella maniera giusta.

CAPITOLO CINQUE

Il bar non era per nulla un bar, ma una zona drink all’interno di una specie di bettola. C’erano bersagli per le freccette e nientepopodimeno che un jukebox, ma la zona ristorante pareva la ragione dell’esistenza dell’attività. La zona bar lì all’Esther’s Place era ficcata in fondo, tanto che pareva che la proprietaria si vergognasse di ciò che vi accadeva. Ma quando Kate e DeMarco entrarono alle cinque e quarantacinque per vedere le amiche di Kayla Peterson, pareva un posto abbastanza carino, anche se leggermente datato.

C’erano tre giovani a un tavolino in angolo. Kate si accorse subito che nessuna di loro beveva alcolici, presumibilmente perché avevano tutte meno di ventun anni. Due avevano ordinato dell’acqua, e l’altra quella che sembrava acqua gassata o Sprite. Tutte e tre parvero accorgersi delle agenti dell’FBI nello stesso istante. Non sembravano spaventate di per sé, ma sicuramente in allarme. Kate si chiese quanto avrebbero aspettato, dopo la fine dell’interrogatorio, per andare in cerca illegalmente di uno o due drink.

DeMarco prese il comando mentre si avvicinavano al tavolino. «Claire Lee, Tabby Amos e Olivia Macintyre?»

«Sì» disse la ragazza seduta in mezzo. Aveva meravigliosi capelli rossi e una figura snella e alta che esibì alzandosi per stringerle la mano. «Io sono Tabitha Amos» disse. «Tabby per quasi tutti, però.»

«Io Claire Lee» disse la ragazza sulla sinistra. Anche lei era piuttosto carina, ma in maniera semplice. Indossava una leggera felpa con cappuccio nella quale sembrava star comoda; non era chiaramente tipo da pensare di dover essere spettacolare ogni volta che usciva di casa.

«E quindi io sono Olivia Macintyre» disse l’ultima. Aveva capelli biondo scuro che parevano quasi castani nell’illuminazione fioca del bar. Portava un paio di occhiali di moda e aveva un’aria introversa.

«Agenti DeMarco e Wise» disse DeMarco. Mostrò con discrezione il distintivo avvicinandosi al tavolino. «Possiamo unirci?»

Il terzetto si accalcò per far spazio a Kate e DeMarco. Nell’istante in cui si sedettero, arrivò una cameriera per prendere l’ordine. Ordinarono entrambe acqua e, dato che avevano saltato il pranzo, anche un cheeseburger a testa da asporto. Le ragazze parvero un po’ perplesse dalla cosa, e Kate capì subito che la decisione di DeMarco di vederle lì era stata furba.

«Allora, sono sicura che lo sceriffo vi ha detto» disse DeMarco «che vogliamo parlare di Kayla Peterson. In particolare abbiamo bisogno di sapere qualsiasi cosa ci possiate dire sull’ultima serata che avete trascorso insieme.»

Le ragazze si guardarono cupe. Parevano tutte sconvolte dagli eventi, ma per lo più calme. Kate non rimase granché sorpresa di scoprire che la portavoce del gruppo era Tabby Amos. Per la maggior parte della gente era la più carina, e perciò quella apparentemente più sicura di sé del gruppo. Era pure stata la prima ad alzarsi per presentarsi.

«Be’, è stata una mia idea. Noi quattro eravamo molto unite alle superiori. Poi Kayla e Claire, qui, hanno deciso di andare al college e ci vedevamo raramente. Ci siamo riunite il Natale scorso… era stata l’ultima volta che ci eravamo viste tutte e quattro. Ho pensato che sarebbe stata bella una serata tra noi prima del matrimonio.»

«Quand’è il matrimonio?» chiese Kate.

«Questo sabato» disse Olivia.

«Chi si sposa?»

«Mio fratello» disse Olivia.

«Ha fatto praticamente da fratello maggiore per tutte alle superiori» disse Tabby. «Diceva due paroline ai viscidi che ci chiedevano di uscire e che non gestivano un rifiuto.»

«Io sono una delle damigelle d’onore» disse Olivia. «E ho invitato tutte le mie amiche, ovviamente.»

«Ma abbiamo pensato che sarebbe stata stupida una serata di deliri il giorno prima del matrimonio» disse Tabby. «Quindi abbiamo deciso per sabato sera.»

«Che cos’avete fatto?» chiese DeMarco.

«Siamo state un po’ da me» disse Claire. «Cioè, dai miei. Ma loro erano via per il finesettimana, sapevano che ero in città e che volevo vedere le amiche. Quindi a loro stava bene che venissero. Abbiamo guardato dei film, bevuto vino e mangiato la pizza.»

«Siete andate da qualche parte?»

«Io e Kayla siamo andate al supermercato di Glensville per prendere altro vino» disse Olivia.

«Glensville dov’è?”

«A una ventina di minuti da Harper Hills.»

«Non potevate prenderlo in città?» chiese Kate.

«No» disse Tabby. «Non abbiamo ancora ventun anni e qui si conoscono tutti.»

«Già» disse Olivia. «E poi a Glensville c’è uno con cui sono uscita, di un paio d’anni più di me. Conosce il gestore del supermercato di Glensville. Loro non ci chiedevano il documento e ci davano da bere.» Allora fece una pausa e poi aggiunse «Cazzo. Non finiranno nei guai, vero?»

«Dovrebbero» disse DeMarco. «Ma questo è nulla in confronto a ciò che stiamo esaminando al momento. Allora… a Glensville è successo qualcosa di interessante?»

«Niente» disse Olivia. «Siamo entrate, abbiamo preso tre bottiglie di vino e siamo uscite.»

«Avete avuto problemi col tipo con cui uscivi?»

«No. Cavoli, ci ho appena parlato. E poi aveva una nuova ragazza. Aveva tipo fretta di andarsene.»

«Qualcuno ha bevuto troppo quella sera?» chiese Kate.

«Tutte e quattro» disse Tabby. «Io me la sono presa quando ho scoperto che Kayla se n’era andata. La casa di sua mamma è a soli dieci minuti da quella di Claire, però… vabbè. È stata irresponsabile a guidare dopo aver bevuto. Ovviamente poi ho scoperto che era stata uccisa e…»

«Che significa quando ho scoperto che Kayla se n’era andata?» chiese DeMarco.

«Be’, intorno alla mezzanotte Claire ha tirato fuori i liquori dei suoi» disse Tabby. «Avevamo un po’ troppo da bere. Io verso l’una sono svenuta.»

«Io poco dopo» disse Claire.

«Già» aggiunse Olivia. «Io e Kayla eravamo le ultime sveglie. Non penso che abbia bevuto i liquori. Certo, era confusa, ma non credo sfatta. Non quando sono svenuta io, almeno.»

«Quindi pensate che vi abbia viste crollare tutte e che abbia deciso di andarsene a casa?» chiese DeMarco.

«Così è parso» disse Claire.

«E quando se n’è andata non vi ha chiamato né vi ha mandato un messaggio?» chiese Kate. «Non ha lasciato un biglietto?»

«Niente» disse Olivia.

«Io ho pensato che fosse in imbarazzo» disse Tabby. «Non è mai stata una gran bevitrice, eh. Credo che la cosa non sia cambiata al college. Certo, magari era un po’ in imbarazzo a uscire con amiche che non avevano mai deciso di andarsene da Harper Hills per il college. Boh.»

«Si comportava diversamente rispetto al passato, a quel che ricordate?» chiese Kate.

«No, e questa è la cosa più strana» disse Claire. «Era sempre la solita vecchia Kayla. Spiritosa, aperta, sincera. Era quasi come se non fosse cambiato niente dal diploma.»

DeMarco fece qualche altra domanda, in particolare riguardo alla conversazione che riuscivano a ricordare di aver avuto quella sera. Mentre lei orchestrava la domanda, Kate fece del suo meglio per esaminare i modi e il linguaggio del corpo delle tre ragazze. Non aveva ragione di sospettare che una di loro nascondesse qualcosa, ma l’attenzione continuava a riportarla su Olivia. Si agitava di continuo e non teneva gli occhi fissi su un posto tanto a lungo.

Lei è rimasta sola con Kayla la notte che è morta, pensò Kate. Magari potremmo cavarle di bocca altro se non ci fossero le altre. Prese nota mentalmente della cosa e la mise da parte mentre DeMarco concludeva le domande.

La cameriera portò i panini e le agenti salutarono. DeMarco terminò la conversazione dando a ogni ragazza il suo biglietto da visita e istruendole di chiamarla se fosse loro venuto in mente altro o avessero sentito voci su ciò che era accaduto a Kayla.

«Che ne pensi?» chiese a Kate mentre tornavano alla macchina.

«Penso che Olivia potrebbe avere dell’altro da dire, se non ci fossero le amiche. Sembrava ansiosa. Ed è stata l’unica a rimanere da sola con Kayla.»

«Pensi che sia successo qualcosa quando sono uscite per il vino?»

«Non lo so. Ma, anche in caso contrario, mi chiedo se non abbiano parlato di qualcosa di relativo a ciò che è accaduto dopo. Sono solo ipotesi, però…»

«No, ho visto anch’io che era a disagio.»

Ci rifletterono montando in auto. Stava scendendo lentamente la sera e, anche se la giornata sembrava lunga, Kate sapeva che non era ancora finita. DeMarco era sempre stata una tipa notturna, di quelle che spremevano ogni minuto di produttività dalla giornata.

E a Kate stava bene. Perché, mentre quella prima giornata giungeva alla sua conclusione, qualcosa nel suo cuore si faceva sempre più sicuro che quello poteva essere il suo ultimo lavoro. In caso affermativo, intendeva trarne il massimo.

CAPITOLO SEI

DeMarco faceva tutto ciò che poteva per non rimuginare. Ma doveva anche essere onesta con se stessa. Per un attimo, anche se breve, si era un po’ arrabbiata quando Duran l’aveva informata che Kate si sarebbe unita a lei nelle indagini. La delusione era però stata presto sostituita dalla gioia. La cooperazione con Kate Wise all’inizio era stata quasi un rapporto tra mentore e allieva. Ma crescendo entrambe e conoscendo le abitudini e i modi reciproci, si era trasformata in qualcosa di più. Comunque DeMarco aveva sempre avuto la sensazione di essere un’agente junior… che stava ancora imparando i fondamenti nella speranza di colpire Kate mentre le sue competenze continuavano a sviluppare e a maturare.

DeMarco lo sapeva che il caso era suo. Kate era salita a bordo all’ultimo minuto e stava facendo l’impossibile per restarsene in seconda fila. Pur apprezzando il gesto più di quanto potesse dire, DeMarco si sentiva pure a disagio. Kate era una leader nata, e guardarla cedere consapevolmente il controllo era strano.

E le veniva anche da chiedersi cosa potesse accadere dietro le quinte. Come vedeva Kate la sua carriera adesso che era la cosiddetta Madre Miracolosa e finalmente era tornata al lavoro?

DeMarco non ne era sicura, ma aveva la sensazione che l’avrebbe scoperto una volta chiuso il caso. Prima, ovviamente, dovevano chiuderlo.

Arrivò al Bowling di Larry alle sei e un quarto. Il parcheggio era quasi vuoto, tinto dello strano rosso del neon sbiadito delle parole BOWLING E SALA GIOCHI dell’insegna sul davanti. DeMarco parcheggiò il più vicino possibile all’ingresso, non sapendo dove fosse stato trovato il corpo della prima vittima. Entrando riesaminò a mente i rapporti memorizzati la sera precedente prima di andare a dormire.

La vittima era Mariah Ogden, diciannove anni. Era stata trovata dal proprietario del bowling alle ventidue e quaranta di mercoledì. Giaceva sull’asfalto dietro alla sua auto. Anche se Larry non li aveva visti, il rapporto del coroner indicava lividi sul collo e le prove di un’immensa pressione contro alla trachea della ragazza. Mariah, come Kayla, era stata strangolata da una persona apparentemente molto forte. Finora pareva che nessuno avesse visto l’accaduto e non c’erano piste.

DeMarco e Kate si avvicinarono al bancone del noleggio scarpe, dove un uomo sui sessant’anni si trovava in piedi accanto a un piccolo televisore. Pareva estremamente annoiato. Una rapida occhiata alle quindici piste dietro di lei mostrò che di occupate ce n’erano solo due – una da cinque signore e l’altra, in fondo all’edificio, da un solitario.

L’uomo dietro al bancone delle scarpine fece loro un cenno quando si avvicinarono, con un’espressione strana. Il risvolto della camicia diceva LARRY. «Posso aiutarvi?»

DeMarco agì rapidamente prima che nascessero tensioni tra lei e Kate. Mostrò il distintivo e il documento e disse «Agenti DeMarco e Wise dell’FBI. Speravo di ottenere delle informazioni sulla morte di Mariah Ogden»

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