Fece passare tutte le opzioni della sua lista, finché ebbe quasi raggiunto il fondo. Erano rimasti solo tre numeri, dopo i quali avrebbe dovuto ammettere la sconfitta.
Digitò il terzultimo numero, sentendosi frustrata, come se l’evasiva presenza di Jacqui la stesse prendendo in giro.
“Posso aiutarti?” chiese l’uomo dall’altro capo della linea.
Cassie aveva imparato che il significato di quella frase era “Posso aiutarti?”, ma l’uomo non sembrava molto disponibile. Sembrava impaziente e stressato, come se avesse avuto una brutta giornata. Cassie pensò che sarebbe stato di uno di quelli che le avrebbe detto che non poteva darle alcuna informazione perché erano dettagli confidenziali. Lo avrebbe detto solo per farla riattaccare, perché aveva dei clienti in attesa, o perché doveva uscire.
“Sto cercando Jacqui Vale. È mia sorella. Avevo in programma di incontrarla mentre sono in Italia, ma ieri mi hanno rubato il telefono e non mi ricordo dove dorme”.
Cassie aveva innalzato la drammaticità della sua storia, sperando di ottenere più comprensione.
“Sto chiamando in giro per cercare di rintracciarla”.
Udì l’uomo digitare su una tastiera.
Poi Cassie quasi cadde dalla sedia quando l’uomo disse, “Sì, abbiamo avuto una Jacqui Vale qui con noi. È stata qui quasi due settimane, e poi si è trasferita, in un appartamento condiviso credo, perché lavorava qui vicino”.
Il cuore di Cassie ebbe un sussulto. Quest’uomo la conosceva – l’aveva vista, ci aveva parlato. Era una svolta incredibile nella sua ricerca.
“Mi ricordo ora, aveva un lavoro part-time nella boutique dietro l’angolo, da Mirabella. Volete il numero del negozio?”
“Ma è meraviglioso, non posso credere che riuscirò a trovarla”, disse enfaticamente Cassie. “Grazie mille, la prego mi dia il numero”.
L’uomo glielo cercò e lei se lo annotò. Si sentiva frastornata per l’emozione. La sua ricerca si era rivelata un successo. Aveva trovato il posto in cui sua sorella aveva lavorato di recente. C’era anche una possibilità che si trovasse ancora lì.
Con le mani tremanti, e a corto di fiato, Cassie digitò il numero che le aveva dato quell’uomo.
Rispose una donna italiana di mezza età, e Cassie fu un po’ delusa per il fatto che non avesse risposto Jacqui stessa, perché era ciò che lei si era immaginata.
“Cosa posso fare per lei?” chiese la donna, in un inglese con un forte accento, non appena capì che Cassie non era italiana.
“Sto parlando con Mirabella?”
“Sì”.
“Mirabella, mi chiamo Cassie Vale. Sto cercando di mettermi in contatto con mia sorella, Jacqui. Ho perso i contatti con lei un po’ di tempo fa, ma ho scoperto che ha lavorato per lei. Per caso è ancora lì? Se no, potrebbe farmi avere il suo numero?”
Ci fu una pausa.
Cassie si immaginò Mirabella che chiamava Jacqui al telefono, e fu delusa quando sentì la donna parlare nuovamente.
Parve sintetica, addolorata e professionale.
“Mi spiace, ma Jacqui Vale è morta”.
Ci fu uno scatto, e la telefonata fu disconnessa.
CAPITOLO NOVE
Cassie fece cadere il telefono. O meglio, le cadde dalle mani e sbatté sulla scrivania. Lei non se ne accorse neanche. Era paralizzata dallo shock brutale che quelle parole le avevano causato.
La proprietaria della boutique le aveva appena detto che Jacqui era morta.
Aveva pronunciato quelle parole con una decisione dura e schietta. Non vi era spazio per i dubbi e le incomprensioni, nessun dettaglio o spiegazione. Solo il fatto crudo e semplice, seguito da una disconnessione immediata.
Cassie sentì i singhiozzi formarsi dentro di lei, talmente profondi e viscerali che aveva paura di farli uscire, perché sapeva che il dolore e i sensi di colpa non potevano essere fermati.
Sua sorella non era più viva.
Cosa era successo? Cassie si sentì invadere dalla confusione quando si ricordò che Jacqui era viva solo qualche settimana prima. Sia Tim, il barista amichevole, che il proprietario dell’ostello a Bellagio lo avevano confermato.
Che fosse malata, e stesse soffrendo di una malattia incurabile? O si era trattata di una tragedia accidentale, rapida e inevitabile; il suo corpo straziato in un incidente d’auto o soffocato in una fuga di gas, o coinvolto in un furto o uno scippo?
Cassie si strinse la fronte. Le tempie le pulsavano per lo stress. Era così vicina. Era giunta a un soffio dal trovare sua sorella, solo per scoprire che se ne era andata per sempre.
“Oh, Jacqui”, bisbigliò. “Mi dispiace. Ci ho provato, davvero”.
Lo shock di quelle parole la colpirono e poi seguì il dolore, e Cassie si ritrovò a piangere incontrollatamente.
Seppellì la testa tra le mani, e per un lungo momento, tutto ciò che riuscì a fare fu sopportare il dolore mentre piangeva. La perdita sembrava insopportabile. L’agonia che provava era come quella di una ferita di coltello. Le parole della donna le avevano riaperto ferite interiori tali da farle pensare che non sarebbe mai stata in grado di guarire.
Sembrò essere passato molto tempo prima che Cassie sollevasse nuovamente la testa. Si sentiva debole ed esausta, e al momento non aveva altre lacrime da versare.
Andò in bagno, si sciacquò la faccia con dell’acqua e si strofinò gli occhi. Osservando il suo riflesso con gli occhi gonfi, si rese conto di aver superato lo stadio di sconvolta accettazione. Ora, la sua mente era piena di domande.
Da quanto era morta? C’è stato un funerale, Jacqui era stata seppellita? Chi si era occupato delle cose durante quel tragico evento?
Un’altra importante domanda – perché Mirabella aveva riattaccato subito dopo averle dato quella devastante notizia? Perché non era rimasta in linea per parlare con Cassie, e spiegarle cosa era successo? Dopo tutto, si era presentata come la sorella di Jacqui.
Mirabella sapeva che stava parlando con un familiare.
Ora che Cassie stava ricominciando a pensare chiaramente, non poteva trovare una ragione valida per il comportamento di Mirabella. Era stato irrazionale, disorientato, e anche estremamente crudele.
Con un’ondata di spavento, Cassie si domandò se non ricordasse male la conversazione.
E se la donna avesse effettivamente spiegato cosa fosse successo a sua sorella, e per via dello stress del momento, Cassie avesse subito un vuoto di memoria e si fosse dimenticata cosa le era stato detto?
Quel pensiero le fece sudare i palmi della mani, perché Cassie sapeva che era possibile, le era successo prima, e solitamente era un evento causato da forte stress.
Il genere di stress che una persona potrebbe subire se le venisse detto che sua sorella era morta.
C’era solo un modo per scoprirlo. Avrebbe dovuto richiamare Mirabella e chiederle ulteriori dettagli sulla morte di sua sorella.
Riprese in mano il telefono, sentendosi male per il timore, e digitò il numero.
Con sua confusione, Mirabella non rispose. La chiamata non passò neanche alla segreteria telefonica, il telefono continuò solamente a squillare.
Cassie terminò la chiamata, chiedendosi se vi fosse stato un problema di linea. Mentre compose nuovamente il numero, fece del suo meglio per raccogliere i pensieri.
Non stava impazzendo. Era sicura di non ricordare male la conversazione. Ed era convinta che sua sorella non poteva essere morta. Non in così breve tempo, quando stava bene così di recente.
Forse Mirabella era stufa di dover rispondere a gente che chiedeva di Jacqui, forse lei aveva un ex fidanzato che stava tirando tutti scemi, o magari se ne era andata in malo modo, e in uno scatto d’ira Mirabella aveva deciso di dire una cosa terribile.
Ciò diede a Cassie un barlume di speranza, ma l’unico problema era che non poteva confermarlo. Il telefono continuò nuovamente a suonare senza risposta, e poi il rumore e lo sfregare della porta d’ingresso che si apriva le dissero che le bambine erano a casa.
Dopo una mattinata da sola, e la scioccante scoperta che doveva gestire, era felice di vedere Nina e Venetia. Era grata per la loro compagnia, che le forniva una distrazione dai suoi pensieri agitati.
“Avete passato una bella giornata a scuola?” chiese.
Le bambine sembravano curate e in ordine come quando erano uscite di casa. Cassie aveva dei vaghi ricordi dei suoi giorni di scuola, quando tornava a casa in uno stato di disordine, senza laccio dei capelli o con la borsa rotta o senza giacca.
“Io ho avuto una buona giornata”, disse educatamente Nina.
Venetia fu più loquace.
“Ho fatto una verifica di matematica e sono stata la più brava della classe”, disse, e questo invogliò Nina a parlare di nuovo.
“Domani abbiamo una gara di spelling. Non vedo l’ora, perché la scorsa volta la mia squadra ha vinto”.
“Bravissima per la tua verifica di matematica, Venetia; e Nina, sono certa che sarete bravissimi. Posso aiutarti a fare pratica dopo, se ti va. Ora, avete pranzato entrambe?”
“Sì”, rispose Nina.
“Allora perché non andate a togliervi la divisa e mettervi qualcosa di più comodo? E poi vogliamo trovare qualcosa di divertente da fare per un po’, prima che faccia buio?”
Le ragazze si scambiarono uno sguardo. Era una cosa che facevano spesso, aveva notato Cassie, come se dovessero controllare l’una con l’altra prima di dire di sì”.
“Va bene”, disse Nina.
Mentre le ragazze salivano di sopra per cambiarsi, Cassie si sentì perplessa per il loro comportamento estremamente formale. Si era aspettata che a quel punto fossero rilassate abbastanza da far uscire le loro vere personalità. Era come se le bambine la tenessero a distanza, ed era preoccupata che fossero contrarie alla sua presenza, anche se non sapeva perché.
Ciò rendeva anche difficile interagire con loro; era come se fossero due piccoli robot perfettamente ubbidienti. L’unica conversazione reale che avevano offerto fino a quel momento era riguardo alla scuola.
C’era solo una persona che avrebbe potuto cambiare la situazione, ed era lei. Senza dubbio queste bambine non erano abituate a stare con persone ordinarie, che non erano specialisti super intelligenti o imprenditori, ma lei poteva solo essere se stessa.
Le era passata per la testa l’idea di aiutarle con i compiti, ma si trattava di un’attività noiosa, e in ogni caso le bambine sembravano preferire fare le loro cose da sole e in autonomia.
Cassie pensò di giocare con loro a un vero gioco. Era quello che sembrava mancare nella loro vita troppo seria e senza pause. Certo erano brillanti e destinate al successo, ma avevano ancora solo otto e nove anni, e avevano bisogno di giocare.
Contenta per aver pensato ad un’attività che sarebbe loro piaciuta, dove anche lei avrebbe potuto contribuire con la propria energia ed immaginazione, si diresse al piano di sopra per indossare la giacca.
“Sembra che potrebbe piovere tra poco, ma per ora regge, perciò vi va di uscire a giocare in giardino?” chiese a Nina.
Nina la guardò educatamente.
“Di solito non lo facciamo”, disse.
Cassie si sentì il cuore sprofondare. Queste bambine la stavano respingendo.
Venetia apparve sulla porta della camera di Nina.
“Io vorrei giocare”, disse.
Cassie vide che sulla mensola sopra la libreria di Nina vi erano alcuni giocattoli. Erano troppo in alto perché le bambine potessero raggiungerli, ma c’era una bellissima bambola che sembrava un costosissimo articolo da collezione, un puzzle in una scatola chiusa e una morbida palla colorata.
“Vogliamo uscire a giocare a passaggi?” suggerì, afferrando il pallone.
Di nuovo, le bimbe si scambiarono uno sguardo, come per prendere una decisione.
“Non abbiamo il permesso di giocare con quei giochi”, disse Nina.
Presa dalla frustrazione del momento, per poco Cassie non perse la pazienza e gridò alle bambine. Si sentiva emotivamente distrutta dopo la scoperta della morte di Jacqui, e stava iniziando a percepire questo ostruzionismo come un attacco personale.
Sul punto di esplodere, riuscì ad afferrare l’ultimo scampolo di autocontrollo.
“Ok”, disse, riempiendo la voce di finta allegria il più possibile. “Non avete il permesso di usare quei giochi, ma volete comunque giocare a qualcosa?”