Emma uscì finalmente dalla doccia dopo una decina di minuti. Era fresca come una rosa e si era truccata leggermente. Trovò le due donne che continuavano a parlare del loro soggiorno.
“Riuscirà a resistere tutto il giorno? Lo spero”, chiese Candice prendendo la sua borsa, che aveva messo sul letto.
“Le diamo del buon caffè nero e vedrà che reggerà”, rispose Charlotte al posto di Emma.
“Credo che sia in grado di rispondere da sola, o le manca l’uso della parola?”
“Sono in piena forma. Non la deluderò, signora Rose.”
***
Fu il telefono a svegliare Ian. Socchiuse gli occhi e vide che erano già le tre del pomeriggio. Prese il telefono, che aveva smesso di squillare, e vide che aveva perso la chiamata di Lilly Murphy. Con la mente un po’ confusa raggiunse con la mano il pacchetto di sigarette sul comodino e si ricordò di trovarsi nella stanza degli ospiti della casa estiva dei genitori di Ryan. Tolse una sigaretta dal pacchetto, che rimise vicino al suo cellulare, e la accese dopo essersi avvicinato alla finestra. Pensò per un momento a Emma e rise come uno stupido, poi il suo sorriso svanì pensando a Lilly. Inalò il fumo della sigaretta e compose il numero della giovane donna per richiamarla.
“Sono io, Lilly, che succede?” chiese quando una voce femminile rispose al secondo squillo.
“Lo chiedo io a te. È da ieri sera che cerco di contattarti.”
La preoccupazione nella voce della donna aveva lasciato il posto alla rabbia.
“C’è stata un’emergenza?” chiese Ian sospirando e iniziando a fissare una crepa nel pavimento in legno massello.
“No. Non sei tornato a casa ieri sera. Non mi hai chiamata per informarmi e non mi hai inviato nessun messaggio. Il tuo capo ne ha lasciato uno perché ti stava cercando, quindi immaginati. Come pensi che mi sia sentita?”
“Mi sono preso un giorno libero. Ho fatto tardi e ho bevuto un po’. Ho preferito dormire da Ryan…”
“Di solito, quando si prende un permesso, si fa una telefonata al proprio datore di lavoro per farglielo sapere. Rischi di perdere di nuovo il posto. Avresti almeno potuto avvertirmi, era il minimo che potessi fare. Mi sono preoccupata da morire.”
“Lilly, mi dispiace davvero. Hai ragione, ho sbagliato e avrei dovuto avvertirti. Sai come sono, tesoro. Adesso chiamo Jeff e gli spiego la situazione. Capirà. E non preoccuparti più così tanto per me e per il mio lavoro. Andrà tutto bene. Jeff è un vecchio amico. Ci conosciamo da anni.”
La giovane donna sospirò.
“Quando pensi di tornare?”
“Domani. Forse dopodomani. Non lo so, Lilly.”
Lei sapeva che lamentarsi sarebbe stato inutile e riattaccò dopo avergli fatto promettere di richiamarla. Ian aprì la finestra e gettò via il mozzicone della sigaretta. Si infilò i jeans e scese. Trovò Ryan sulla terrazza sul retro della casa, di fronte all’oceano.
“Allora, ieri sera?” chiese Ryan strizzando l’occhio.
“È stato magico.”
“Sei andato fino in fondo con lei? Ne è valsa la pena?”
Ian prese una sedia che stava di fronte al suo amico e lo guardò, con un sorrisetto compiaciuto.
“Ti cambierebbe qualcosa?”
Ryan scoppiò a ridere.
“Non sei riuscito a fartela?!”
“Quella ragazza è molto di più. Ha qualcosa che mi sfugge. Che mi attira. È una fottuta questione di anime. Il sesso viene dopo. Una fusione o qualcosa del genere…”
Ryan continuò a ridere mentre Ian scriveva un messaggio a Emma, proponendole di incontrarla la sera all’Ocean Bar come il giorno prima. Era nervoso, ma sicuro di rivederla. L’energia che scorreva tra loro era innegabile.
“E con Lilly, come la metti?”
***
Emma aveva potuto riposare un po’ nel tardo pomeriggio, nonostante una giornata zeppa di interviste con imprenditori e grandi nomi nel campo della moda. Era rimasta colpita nell’incontrare quei personaggi pittoreschi. Non aveva avuto molto a che fare con Candice e aveva semplicemente seguito Charlotte come un cagnolino.
Aveva ricevuto il messaggio di Ian e lo stava aspettando già da venticinque minuti all’Ocean Bar, come indicato. Era ansiosa e desiderosa di rivederlo. Il cuore le batteva forte. Il posto era molto più affollato del giorno prima e aveva dovuto intrufolarsi tra la gente per arrivare al bancone. Non ricordava più l’ultima volta che si era sentita così nervosa, era stato tanto tempo prima. Controllava regolarmente il telefono per vedere se Ian le aveva scritto per il suo ritardo.
Dopo quaranta minuti si rese conto che le aveva dato buca. I suoi occhi erano ormai offuscati dalle lacrime, che cercava invano di trattenere. Era delusa e fece il giro del locale con lo sguardo per assicurarsi che non fosse lì. Sapeva che era infantile piangere per una cosa del genere. Poi vide Candice da sola a un tavolo e soffocò le lacrime. Candice era facilmente riconoscibile perché il suo aspetto non quadrava con quello della maggioranza delle persone presenti. Era più matura della media e il suo stile era un po’ troppo di classe rispetto agli altri in bermuda, gonna e canottiera. Esitò tra andare a salutarla e rimanere seduta fingendo di non averla vista. Quella donna la terrorizzava. Aveva un temperamento per lei difficile da affrontare.
Dopo dieci minuti abbondanti, Emma si arrese di fronte alla triste evidenza che Ian non sarebbe mai venuto, anche se aveva sperato diversamente. Era arrabbiata, ma soprattutto delusa per essersi lasciata illudere da uno bravo a chiacchiere, che non avrebbe in ogni caso più rivisto quando sarebbe tornata nel Quebec. Ad ogni modo, era felice di non aver ceduto ai suoi impulsi e desideri. Decise quindi di andare a salutare Candice, che era ancora tutta sola al suo tavolo. Aveva davanti a sé un bicchiere mezzo pieno e molti altri vuoti. Emma si chiese per un attimo come fosse possibile che avesse bevuto così tanto, se la serata era appena iniziata. Nonostante la sua eleganza e il suo portamento, quasi altezzoso, i suoi occhi sembravano appannati e molto stanchi.
“Buonasera signora Rose, posso sedermi?” domandò Emma, appoggiando le mani sulla sedia di fronte a Candice.
Candice le offrì un sorriso caloroso, molto più espressivo del solito, da cui dedusse la possibilità che fosse già ubriaca. Poi la fissò dalla testa ai piedi, come faceva sempre. Questa volta si soffermò di più sul suo corpo.
“Certo, signorina”, rispose, con una voce impastata e uno sguardo vitreo.
Fu dopo averla sentita parlare che Emma ebbe la conferma che Candice era in uno stato avanzato di ebbrezza. Inizialmente ne fu sorpresa, poiché Candice era pur sempre una persona ossessionata dal potere e dal controllo, ma comprese rapidamente che ognuno ha le proprie debolezze.
“È sola ?” chiese Emma.
“La solitudine è la mia migliore amica. Cosa fa una bella donna come te senza un accompagnatore? Il tuo amante di ieri sera ti ha piantata in asso?”
Emma rimase di nuovo sorpresa per la confidenza con cui parlava.
“Voglio chiarire che non ho avuto una notte di sesso sfrenato, come lei sembra immaginare. Sì, mi aveva dato un appuntamento, ma non si è presentato.”
“Gli uomini sono sempre così affidabili. Merda!”
Emma non poté trattenere un sospiro. Fece un sorriso forzato a Candice, che bevve d’un sorso il bourbon rimasto nel bicchiere.
“Sicuramente aveva una buona ragione”, replicò Emma alzando le spalle.
In realtà stava cercando di convincersi.
“Nessuno avrà mai una buona ragione per mancarti di rispetto. Ficcatelo bene in quella testa”, rispose Candice puntando alla sua testa con l’indice.
Emma sussultò al tono che la donna aveva usato e sentì un leggero disagio. Scelse quel momento per accomiatarsi.
“Torno in albergo. Vado a riposarmi un po’ per domani…”
“Resta ancora un po’. Vuoi qualcosa da bere? Te lo offro. Cosa prendi?”
Candice alzò la mano per far venire uno dei camerieri. Emma giocò con le dita sotto il tavolo e si sentì costretta a rimanere. Provava pietà per la donna di fronte a lei. Temeva anche che le potesse succedere qualcosa nello stato in cui si trovava, se fosse rimasta sola.
Disse al cameriere che voleva del vino rosso, mentre Candice chiese un altro bourbon con ghiaccio. La donna fissò di nuovo Emma. Le ricordava vagamente qualcuno del suo passato che aveva significato molto per lei. Sembrava fragile, eppure dimostrava una certa forza. Le persone come Emma affascinavano Candice. Per lei era una debolezza far vedere la propria vulnerabilità. Emma si sentì ancora a disagio per essere così sotto osservazione. Era troppo intimidita per chiederle la ragione di tanta insistenza o per iniziare una conversazione. Poi si arrischiò a fare una domanda, pensando che avrebbero passato il resto della serata a guardarsi se una di loro non avesse rotto il silenzio.
“Ha avuto una bella giornata?”
“Una come le altre”, rispose Candice scacciando l’argomento con un gesto della mano e continuò: ”Hai potuto dormire un po’?”
“Sa, non sono abituata a passare la notte fuori, è piuttosto Charl…”
Emma si mise la mano davanti alla bocca e interruppe la sua risposta, rendendosi conto che stava per rivelare un comportamento intimo di Charlotte. Fornire quel tipo di dettagli sulla sua migliore amica non era molto utile ed era ancora meno saggio fornirli alla persona che l’aveva assunta professionalmente. Sentì un senso di colpa invaderla. Candice rise liberamente. La sincerità di quella risata sconcertò Emma. Dava un nuovo volto alla donna dura che conosceva e addolciva i tratti particolarmente freddi e intrattabili che la contraddistinguevano.
“Non ti preoccupare, Emma, non tradirò il tuo piccolo segreto. So molto di più su Charlotte di quanto lei possa immaginare. Stai solo confermando quello che pensavo e quello che ho sentito dire.”
“Avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Non voglio che questo cambi l’opinione che ha di lei.”
Candice sorrise e posò la mano su quella della giovane donna, che si irrigidì al contatto e tolse subito la sua. Emma aveva molte difficoltà con la vicinanza fisica delle persone. Candice notò il suo gesto, ma preferì non farlo presente.
“Charlotte ha molto carattere. Andrà lontano, almeno finché la sua debolezza per il genere maschile non le sia di intralcio.”
“Ne sarei davvero sorpresa. Gli uomini sono seduti su sedili a espulsione con lei.”
Emma si morse la lingua. Si era resa conto di avere di nuovo parlato troppo, vedendo il sorriso di Candice disegnarsi sulle sue labbra. Continuava a dire spropositi e preferì stare zitta. Candice, nonostante l’effetto dell’alcol, si accorse del suo disagio e cercò di cambiare argomento.
“Hai sempre vissuto a Montreal?”
“No. Sono nata in un grazioso villaggio della Beauce, molto vicino al confine americano. Mio padre è americano.”
“Che lavoro fanno i tuoi genitori?”
“Mio padre lavora in una pescheria. Mia madre se n’è andata quando ero ancora bambina. Non fa più parte della mia vita.”
A Emma non piaceva parlare della sua famiglia. Spesso si limitava a rispondere brevemente alle domande che le venivano poste al riguardo, senza aggiungere dettagli superflui. Deviò la conversazione concentrandosi su Candice e sulle sue origini.
Quest’ultima non si rese conto di nulla, tanto alcol aveva in corpo. Cominciò allora a spiegarle che circolava una leggenda metropolitana sulla sua nascita. Non l’aveva mai negata. Alcuni avevano spinto la storia al punto di dire che aveva sangue reale. Persino che i suoi antenati discendevano direttamente da una principessa, ma era tutto falso. Candice proveniva da una famiglia modesta di un villaggio costiero dell’Inghilterra. Non aveva studiato a Oxford, ma aveva frequentato corsi di comunicazione per corrispondenza. Aveva incontrato suo marito, Nicolas Campeau, non a un ricevimento mondano dove erano stati entrambi invitati, ma mentre lei serviva le bevande in un bar dove lui era andato a festeggiare la firma di un importante contratto con un cliente del posto. L’aveva sedotta e le aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonata. Lei aveva finito per cedere, ignara che fosse un importante uomo d’affari nel suo paese d’origine. Era felicissima di abbandonare il suo villaggio sperduto e vivere finalmente la vita che aveva sognato. Era partita su due piedi e non immaginava che quell’uomo sarebbe stato ancora suo marito decenni dopo. Il monologo di Candice era presto diventato sconclusionato, così Emma le propose di andarsene e tornare in albergo.
CAPITOLO 4 – L’ASCENSORE
Candice camminava barcollando, sostenuta da Emma che la aiutava ad andare avanti. Quest’ultima si chiese per un attimo in che guaio si fosse cacciata volendo fare la salvatrice. Non aveva osato chiedere soccorso alla sua migliore amica, mandandole un messaggio. Non voleva che Charlotte vedesse il triste spettacolo che il suo capo stava offrendo. La sua amica le aveva già confessato di avere una certa ammirazione per Candice ed Emma non voleva rovinare l’immagine che se ne era fatta. Inoltre, per l’orgoglio di Candice, sapeva che era meglio che nessuno dei suoi dipendenti la vedesse in condizioni così deplorevoli.
Aveva chiamato un taxi per tornare all’albergo, anche se si trovava nelle vicinanze. Non si era persa nessuna fase dell’ubriachezza di Candice. Quest’ultima si era confidata, in modo abbastanza deprimente, sui suoi figli, che non erano ben riusciti. Aveva anche parlato di suo marito che la tradiva, senza nemmeno nasconderlo, con donne più giovani di lui, e aveva una relazione stabile con una delle sue assistenti. Candice temeva che alla fine l’avrebbe lasciata per quella ‘puttana’, come lei l’aveva soprannominata. Emma non aveva immaginato neanche per un secondo che la sua serata sarebbe andata così, a fare la psicologa improvvisata per una ricca donna d’affari. Provava compassione per quella donna che, dietro una spessa corazza, nascondeva una persona ferita e umiliata che aveva avuto una vita difficile, nonostante tutti i soldi che possedeva.
Candice si era mostrata nella sua vera luce. In tutta la sua vulnerabilità e senza andare per il sottile. Emma non poteva che rispettare quell’audacia, anche se incoraggiata dall’alcol. L’alcol era diventato una stampella per lei. Un modo come un altro per sfuggire alla realtà che stava diventando troppo difficile. Sotto quella facciata fredda e forte si nascondeva un’anima sofferente. Una donna con una sete irrimediabile di amore. Chi non aveva bisogno di essere amato? Emma era la prima. Eppure, come quella donna che indossava una maschera per tenere le persone lontane da sé, anche lei faceva tutto il possibile per evitare che gli altri le si avvicinassero troppo. Charlotte era una delle poche che accettava nella sua cerchia ristretta. Non dava nessuna relazione per scontata.
“Qual è il numero della sua stanza?” chiese, entrando nell’ascensore.
“Allora… wait a minute. It’s… ho… I think…”
Candice, appoggiata a Emma, cercò nella borsa e tirò fuori la sua smart card, che le consegnò. Emma constatò che non era al suo stesso piano e compose il numero corretto corrispondente al piano della camera di Candice. La trascinò lungo il corridoio fino al numero 349 e infilò la smart card. Quando aprì la porta notò che sembrava più una suite che la piccola stanza che lei e Charlotte condividevano. Avrebbe dovuto immaginare che, con i suoi mezzi finanziari e il suo status, si concedeva dei lussi.