“Vivo in questa zona da vent’anni e non riconosco questa scuola o questi colori,” disse la Caldwell. “Non penso sia vera.”
“Magari era un costume,” suggerì Jessie. “Fare la cameriera e recitare difficilmente sono attività reciprocamente esclusive.”
“È possibile,” confermò Ryan. “Odio dirlo, ma Costabile potrebbe anche avere ragione. Potrebbe essere un outfit che si era messa per… un cliente. Non deve essere passato inosservato qua in giro.”
Jessie annuì, dando voce alla propria teoria.
“Qualsiasi cosa stesse facendo, a meno che non avesse un fondo fiduciario, era molto più che un semplice lavoro da cameriera. Questo posto è carino. Le opere d’arte non sono economiche ed è chiaro che si occupava con cura di pelle e capelli, appoggiandosi ad assistenza professionale. Non faceva fatica a tirare avanti. Sappiamo se ha subito un’aggressione sessuale?” chiese alla Caldwell.
“Troppo presto per dirlo. Ne sapremo di più domani.”
“Dobbiamo assolutamente parlare presto con la compagna d’appartamento,” disse Ryan. “Magari lei può dirci se Michaela avesse ricevuto delle minacce ultimamente.”
Jessie annuì e guardò più attentamente le ferite da arma da taglio. Ce n’erano cinque nel petto e altre quattro all’addome.
“Qualcuno ha trovato l’arma del delitto?” chiese.
“C’è un coltello da macellaio mancante dal ceppo in cucina,” disse l’agente Lester, che aveva sentito la domanda. “Ma non siamo riusciti a trovarlo.”
“Strano,” notò Ryan.
“Cosa?” chiese Lester.
“Beh, se si tratta di un furto andato storto, ci si aspetterebbe che il colpevole fosse sorpreso di trovare Michaela nella stanza. La confusione generale qua dentro suggerisce una lotta. Ma se il colpevole non sapeva che lei era qui, come ha fatto a prendere il coltello? Difficile credere che sia corso in cucina a prenderlo e sia poi tornato in camera.”
“Magari le ha fatto perdere i sensi e poi ha preso il coltello?” suggerì Lester.
“Ma se le ha fatto perdere conoscenza e questa era una rapina, perché non limitarsi a prendere la roba e andarsene?” si chiese Jessie a voce alta. “A quel punto non avrebbe trovato nessuna resistenza. Andare a prendere il coltello, tornare nella stanza e pugnalare una ragazza svenuta per nove volte. Non mi sembra un comportamento tipico da ladro. Questo è un gesto a sangue freddo. Eppure…”
“Cosa?” la incitò Lester.
“È stato portato via il computer portatile,” disse, indicando la scrivania vuota. “E non abbiamo qui il suo telefono. Quindi è stata derubata. La domanda è: è stato un ripensamento? Era tutto preparato o quelle cose sono state prese per un motivo specifico? Qualsiasi sia il caso, direi che non c’è niente di chiaro e concluso.”
All’ultimo commento, Costabile, che se ne stava in silenzio in un angolo da qualche minuto, sobbalzò.
“Pensavo che avesse smesso di spargere diffamazione,” disse con tono acido. “Ma immagino fosse troppo da sperare.”
Jessie stava per ribattere, quando Ryan si intromise.
“Per ora lasciamo stare,” disse. “Dopotutto dobbiamo ancora parlare con la compagna d’appartamento. Andiamo, Jessie.”
Si incamminarono verso la porta, ma Ryan si fermò proprio mentre stavano per uscire. Chinandosi in avanti in modo che solo Costabile e Jessie potessero sentire, mormorò all’uomo un ultimo commento.
“Ma le devo dire, sergente, che se pensa che abbiamo finito di chiederle perché sta gestendo questo caso in modo così frettoloso, si sta tristemente sbagliando. Non so cosa lei stia nascondendo, ma questo caso puzza. Se pensa di poterci tenere sopra un coperchio, si sta prendendo in giro da solo.”
Costabile non rispose. Ma rivolse a Ryan un grosso sorriso malevolo che suggeriva quanto diversamente la pensasse.
CAPITOLO SEI
Per un secondo Jessie pensò che anche la coinquilina di Michaela fosse morta.
Nonostante le rassicurazioni degli infermieri del pronto soccorso, la ragazza non reagì quando aprirono il portellone dell’ambulanza e cercarono di richiamare la sua attenzione. Anche quando la chiamarono con quello che gli infermieri dissero essere il suo nomignolo preferito, Lizzie, non fece un solo movimento. Fu solo quando Ryan alzò la coperta termica in cui era avvolta che la ragazza diede il primo segno di vita.
“Che c’è?” chiese con voce stanca e scontrosa.
La ragazza sembrava essere negli ultimi anni dell’adolescenza. Anche se non aveva visto la camera di Lizzie, Jessie capì subito che si trattava di una personalità più contenuta rispetto alla compagna di appartamento. I capelli castani erano raccolti indietro e il trucco sul viso era quasi inesistente. Era vestita in modo molto conservatore, con una felpa con cerniera dell’Università Statale della California e un paio di pantaloni. Portava al collo un crocifisso.
Jessie guardò Ryan accigliata, non soddisfatta dalla sua tattica. Ma lui scrollò le spalle come a dire che aveva esaurito tutta la pazienza.
“Lizzie,” iniziò Jessie, usando la voce più empatica che le fosse possibile, “stiamo indagando su quanto successo e dobbiamo farti delle domande.”
“Mi hanno dato qualcosa,” disse Lizzie. “Mi sento un po’ strana.”
“Capiamo,” le assicurò Jessie mentre la aiutava a mettersi seduta. “E ti faremo portare in ospedale per fare un controllo subito dopo. Ma prima abbiamo bisogno di sapere alcune cose da te, va bene?”
“Va bene.”
“Come facevi a conoscere Michaela?” le chiese.
“Siamo andate a scuola insieme,” disse Lizzie, parlando lentamente, come se avesse bisogno di concentrarsi su ogni singola parola. “Lei ha finito prima, ma siamo rimaste in contatto. Quando mi sono diplomata abbiamo deciso di diventare coinquiline. Era una brava compagna d’appartamento.”
Jessie si voltò a guardare Ryan. La ragazza era davvero fuori combattimento. Sarebbe stato difficile cavarle fuori qualcosa. Lui inarcò le sopracciglia, frustrato. Jessie tentò di nuovo.
“Lizzie, Michaela aveva famigliari in zona?”
Con molto sforzo, Lizzie scosse la testa.
“E un ragazzo, o qualcuno con qui avesse magari recentemente litigato?”
“Nessun ragazzo,” rispose Lizzie pigramente.
“Magari un collega con cui aveva dei problemi?”
Gli occhi di Lizzie, fino a quel momento piuttosto appannati, si fecero più concentrati.
“Mick era una cameriera,” disse lei frettolosamente.
“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dall’intensità della sua affermazione. “Aveva problemi con qualcuno al lavoro?”
“Era una cameriera,” ripeté Lizzie con veemenza.
Jessie si arrese e si voltò nuovamente verso Ryan.
“Penso che dovremo aspettare per parlarle. Non ha senso.”
“Sarebbe quello che preferirei anche io,” disse l’infermiere che si trovava lì vicino. “Dopo quello che ha passato, e con i medicinali che le abbiamo somministrato, vorrei davvero portarla dentro per farle dare un’occhiata.”
“Vada pure,” gli disse Ryan. “Passeremo di là a parlarle domani.”
Guardarono mentre Lizzie veniva assicurata alla barella e le porte dell’ambulanza si chiudevano. Mentre il veicolo partiva nel buio della notte, a Jessie venne in mente una cosa.
“Il detective della Valley non si è ancora visto.”
“Non sono sicuro che vogliamo essere qui quando arriverà,” le disse Ryan. “Non voglio che ci tempesti di domande sullo ‘schema investigativo’ che stiamo seguendo.”
“Non gli vuoi chiedere perché sia arrivato così tardi?” gli domandò Jessie sorpresa.
“Sì. Ma ho come la sensazione che andremmo a colpire lo stesso muro di mattoni che ci siamo trovati davanti con Costabile. Dobbiamo scoprire di più prima di pararci davanti a questi tizi.”
“Questo lo capisco,” gli disse Jessie. “Ma giusto per essere chiari, siamo d’accordo che c’è qualcosa di seriamente losco qui, giusto? Voglio dire, quel Costabile sembra più un capo della mafia che un sergente della polizia. O magari è il Don Corleone dell’ufficio della Valley.”
Ryan la guardò, chiaramente a disagio con le sue parole, ma non cercò di controbattere. Jessie decise di lasciarlo stare e continuò a parlare prima che lui potesse risponderle.
“Non penso che tireremo fuori niente di utile stasera.” Sospirò.
“No. Sarà meglio riprendere la cosa per mano domattina. A quel punto Lizzie sarà più coerente. La Caldwell potrebbe avere qualcosa di più definito sulla potenziale aggressione sessuale e potremo vedere se qualcuno ha tentato di vendere il portatile o il telefono di Michaela.”
“Ok,” disse Jessie riluttante. “Una cosa la sappiamo per certo. La tua Cathy Bla-bla aveva ragione. C’è decisamente qualcosa di poco chiaro in questo caso.”
*
Hannah era sveglia quando Jessie tornò a casa.
La ragazza quasi non alzò lo sguardo dal film che stava guardando quando lei entrò. Era quasi l’una di notte e domani sarebbe dovuta andare a scuola, ma Jessie non aveva energie per mettersi a discutere.
“È stata una lunga serata,” disse. “Vado a letto. Puoi abbassare il volume per favore e cercare di andare a letto presto, in modo da essere in forma domani?”
Hannah abbassò il volume di qualche tacca, ma per il resto non diede alcun cenno di aver sentito le parole della sorellastra. Jessie rimase sulla soglia della sua camera da letto per qualche secondo, dibattuta se tentare di nuovo. Ma alla fine decise che non ne valeva la pena e si limitò a chiudere la porta.
Dormì un sonno inquieto quella notte. Non era una cosa insolita. Negli ultimi anni aveva potuto contare su regolari incubi centrati sugli uomini che avevano costituito una minaccia per la sua vita. Erano generalmente un mix in cui comparivano il suo ex-marito, suo padre e Bolton Crutchfield.
Ma questa notte, come molte delle notti recenti, i suoi sogni furono centrati su Hannah. La sua mente era scossa da un vortice di immagini sconnesse, alcune della ragazza in pericolo nelle mani di un aggressore mascherato, altre in cui camminava indifferente verso il pericolo.
Ma il sogno che la preoccupò di più fu l’ultimo, in cui Hannah sedeva a un tavolo, sorridendo noncurante mentre un cameriere non identificabile le serviva un piatto pieno di parti di corpo umano. Si stava proprio portando una forchettata di carne umana alla bocca quando Jessie si svegliò di soprassalto, madida di sudore e con il respiro affannoso.
I primi raggi di sole del mattino filtravano attraverso una fessura tra le tende. Jessie si mise a sedere, ruotò le gambe fuori dal lato del letto e si appoggiò la testa tra le mani. La fronte le batteva dolorante e sentiva un vago senso di nausea. Mentre prendeva dell’ibuprofene e una bottiglietta di Pepto-Bismol, cercò di non interpretare troppo i sogni fatti.
Sapeva per esperienza che non erano tanto premonitori, quando una manifestazione delle sue paure. Faceva sogni del genere perché temeva per il futuro di Hannah, non perché quello che vi vedeva fosse destinato a divenire realtà.
Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.
CAPITOLO SETTE
Nonostante la sua stanchezza, Jessie era elettrizzata mentre andava verso la centrale.
Era riuscita a trascinare Hannah fuori dalla porta solo con dieci minuti di ritardo questa mattina e aveva immaginato che beccando solo pochi semafori rossi, sarebbe comunque arrivata al lavoro prima che ci fosse troppa confusione. Voleva un po’ di tranquillità per potersi concentrare sul caso di Michaela Penn, che le sembrava sempre più losco ogni volta che ci pensava.
Perché gli agenti sulla scena volevano chiudere il caso e liquidarlo così rapidamente? Perché il detective non era arrivato più velocemente, se mai era poi arrivato? Cos’aveva indotto Cathy Bla-bla a chiamare Ryan? Il sesto senso di Jessie le stava gridando che qui si trattava di ben più di una semplice rapina. Nove pugnalate le sembravano una cosa molto personale.
Eppure, come le avevano ripetutamente ricordato durante le sue dieci settimane di addestramento all’Accademia dell’FBI che aveva frequentato, il suo sesto senso non poteva sostituire le prove. Solo perché una persona o uno scenario sembravano sospetti, questo non si poteva considerare come prova di nulla. Per Jessie, che aveva superato con eccellenza quasi tutti i test che le avevano fatto fare a Quantico, imparare quella lezione a memoria era stata la cosa più difficile.
Quando arrivò alla sua scrivania alle 7:33, l’ufficio centrale era ancora poco popolato. Sapeva di avere circa mezz’ora prima che le cose cambiassero, quindi si tuffò a capofitto. Prima chiamò l’ufficio del medico legale della Valley per sapere dei risultati che potevano essere saltati fuori. Maggie Caldwell non c’era. Ma secondo Jimmy, il tipo che le aveva risposto, la donna gli aveva dato istruzioni di passare ogni aggiornamento se qualcuno della stazione centrale avesse chiamato. Almeno la Caldwell non sembrava essere parte dell’operazione – qualsiasi essa fosse – che il sergente Costabile stava portando avanti.
Secondo Jimmy, Michaela era stata aggredita sessualmente prima di morire. Ma a quanto pareva l’aggressore aveva usato un preservativo e poi l’aveva riempita di una sorta di disinfettante che preveniva la giacenza di ogni utilizzabile traccia di DNA. Stavano aspettando di vedere se altri test dettagliati potessero offrire qualcosa di più, ma non era molto ottimista.
La chiamata successiva fu all’ospedale per controllare le condizioni di Lizzie. Mentre aspettava in linea per avere un aggiornamento, i suoi pensieri tornarono ad Hannah. Le somiglianze tra lei e Michaela Penn non le erano sfuggite. Entrambe le ragazze avevano diciassette anni. Entrambe avevano frequentato scuole private nella Fernando Valley. Sembrava che entrambe fossero state costrette a crescere più velocemente del necessario. Jessie si chiese quali altri elementi avessero in comune.
Un’infermiera venne al telefono, risvegliandola dai suoi pensieri. A quanto pareva Lizzie era ancora sedata. L’infermiera disse che probabilmente si sarebbe svegliata per metà mattinata e le suggerì di aspettare fino ad allora per una visita.
Dopodiché Jessie chiamò la stazione di Van Nuys e chiese dell’agente Burnside, quello che stava di guardia fuori dal condominio. Fra tutti i poliziotti che aveva incontrato ieri notte, lui era quello che le sembrava più a suo agio con l’intera situazione. Sperava di potergli cavare fuori qualche dettaglio. Gli dissero che aveva appena terminato il turno, dalle 19 della sera precedente alle 7.
Con un po’ di persuasione, riuscì a convincere il sergente di scrivania a darle il numero di cellulare del giovane. La sua speranza che fosse sveglio e stesse andando a casa fu ricompensata quando l’uomo rispose alla chiamata al secondo squillo.
“Pronto?” disse esitante.
“Agente Burnside? Sono Jessie Hunt. Ci siamo incontrati ieri notte sulla scena del delitto della Penn.”
“So chi è lei,” disse lui con voce cauta.
Percependo la sua intensa insicurezza, Jessie era dibattuta se tentare di metterlo a suo agio o accettare il suo disagio nell’affrontare la situazione. Decise che essere diretta era la mossa più intelligente.
“Senta, Agente, so che lei non impazzisce dal desiderio di fare questa telefonata. E io non voglio metterla in nessuna situazione difficile, quindi sarò breve.”
Fece una pausa, ma non ottenendo risposta, continuò.
“Mi stavo chiedendo se lei avesse ricevuto nessun aggiornamento sullo stato del telefono o del portatile di Michaela. Il telefono squilla? Che lei sappia, ci sono stati tentativi di dare in pegno il computer?”