“Grazie, signore,” disse Jessie.
“Solo non travalicare, Hunt,” la implorò Decker. “So che non è facile per te. Ma attieniti agli interrogatori, lavoro che si può giustificare come attinente alla professione di un profiler. Sarai da sola per un po’, fino a che Hernandez non verrà fuori dal tribunale. Senza un poliziotto a farti da copertura, dovrai muoverti con maggiore leggerezza. È un concetto che ti suona famigliare, Hunt?”
“Vagamente, signore,” disse Jessie sorridendo. “Grazie.”
“Ti prego, fa che non me ne penta,” le disse il capitano, quasi implorandola.
Jessie rispose il più onestamente possibile.
“Farò del mio meglio.”
CAPITOLO NOVE
Jessie stava aspettando nella stanza d’ospedale quando Lizzie si svegliò.
La ragazza si guardò attorno, chiaramente disorientata. Jessie si alzò in piedi e le porse una tazza con la cannuccia. Lei succhiò voracemente l’acqua.
“Riesci a parlare?” le chiese Jessie mentre la giovane deglutiva.
“Dove mi trovo?” chiese lei con voce roca. “Tu chi sei?”
“Ti trovi nell’Ospedale Presbiteriano della Valley,” le spiegò Jessie con pazienza. “Io sono Jessie Hunt e faccio parte del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Ci siamo incontrate ieri notte, anche se eri decisamente sedata dai farmaci in quel momento. Hai ricordi di ieri notte?”
All’inizio Lizzie parve confusa. Ma poi i ricordi parvero tornare alla sua mente. In un istante fece una smorfia e chiuse con forza gli occhi.
“Ricordo,” disse sottovoce.
“Ricordi di aver parlato con me?”
“Non proprio.”
“Ok, allora ricominciamo da capo. Mi spiace, ma le domande che devo farti saranno difficili. Ma per scoprire cosa sia successo a Michaela…”
“Mick,” la corresse Lizzie. “Si faceva chiamare Mick.”
“Per scoprire cos’è successo a Mick, dovrò essere diretta e ho bisogno che tu sia onesta, ok? Non cercare di proteggere il suo ricordo trattenendo dettagli importanti. Tutto alla fine verrà fuori, quindi prima è, e meglio potremo lavorare. Siamo intesi?”
Lizzie annuì.
“Ok, partiamo da come facevi a conoscere Mick.”