“Faremo tutto il possibile per riportarlo fra noi,” intervenne Vars. “Tutto il necessario.”
“Puoi… puoi trovare il Maestro Grey?” domandò lei. “Il dottore non può farci niente, quindi forse lui…”
“Lo farò convocare,” rispose Vars. “E, nel frattempo, terrò tutto sotto controllo qui.”
“Io ti aiuterò,” replicò Aethe. “Qualsiasi cosa ti serva. Terremo al sicuro il regno insieme. Per Godwin.”
Poté avvertire le lacrime precipitare giù e si sentì quasi cadere per la debolezza dovuta al lutto.
“Non sarà necessario,” disse Vars.
“Ma Vars…” esordì Aethe. Aveva bisogno di un compito che la facesse sentire utile, che la facesse sentire di nuovo parte delle cose.
“La moglie di mio padre è chiaramente sconvolta,” affermò Vars, girandosi verso un paio di guardie. Non la chiamò la regina, notò Aethe. “Ha bisogno di riposare. Portatela ai suoi alloggi e fate in modo che non venga disturbata.”
“Che cosa?” domandò Aethe. “Non ho bisogno di andare da nessuna parte.”
“Sì invece,” insistette Vars. “Sei stanca, sei sconvolta. Vai a riposare; è per il tuo bene.”
Il problema era che più protestava, più appariva come nient’altro che una moglie afflitta dal dolore. Le guardie la raggiunsero, afferrandola per le braccia. Si dimenò per liberarsi dalla presa, determinata a camminare da sola, ma non poté fermare le lacrime che iniziarono a scivolarle giù per il volto. Lanciò uno sguardo a Vars, in piedi su suo marito. Come poteva stare accadendo tutto ciò?
E, ancora più importante, che disastro significava per il regno?
CAPITOLO SECONDO
Quasi nello stesso momento in cui era arrivata quando era solo un bambino, Vars aveva desiderato poter mandare via Aethe. La moglie di suo padre, il suo rimpiazzo della madre di Vars, era stata il fulcro di così tante delusioni nella sua vita. Aveva sussurrato all’orecchio di suo padre per più tempo di quanto riuscisse a ricordare, dicendogli che Vars era debole, codardo, oppure indegno, e che dovevano governare le sue figlie.
L’aveva insinuato persino nella loro conversazione poco prima. Aveva fatto delle domande sul come Lenore si fosse ritrovata sola, e quello ovviamente suggeriva che sospettasse che Vars era venuto in qualche modo meno ai suoi doveri di scorta. Aveva suggerito che la sua discendenza poteva aiutare a gestire il lavoro del regno, e Vars sapeva bene come chiunque altro che quello era solo un modo velato per dire che avrebbero potuto sottrargli il potere. Adesso, mentre le guardie scortavano via Aethe verso i suoi alloggi, Vars arrischiò un sorrisetto di soddisfazione.
“Che cosa state facendo tutti qui?” domandò, mentre si guardava intorno nella stanza, verso i domestici e le guardie. Per quanto poteva vedere, erano lì fermi con le mani in mano. “Pensate che mio padre si tirerà su a sedere e vi chiederà un bicchiere di vino, o che vi guiderà tutti all’attacco?”
La maggior parte di loro distolse lo sguardo alle sue parole, come non volessero ascoltarle. Beh, Vars era il reggente adesso, e loro dovevano ascoltarlo.
“Restiamo con il re per lealtà, vostra altezza,” rispose uno dei domestici. “Qualora avesse bisogno del nostro aiuto.”
“Quale aiuto?” domandò Vars. “Ho visto il Dottor Jarran andarsene mentre venivo su. Il suo aiuto è stato sufficiente? No. Neanche il lodato stregone di mio padre ha concluso qualcosa, se non borbottare fra sé e sé nella torre. E adesso tutti voi volete offrirgli il vostro aiuto? Uscite!”
“Ma vostra altezza…”
Vars si rivolse aggressivo al domestico. “Hai parlato di lealtà prima. Io sono il reggente del re e parlo per conto del re. Se sei leale, obbedirai. Mio padre non ha bisogno di essere circondato da guardie o domestici. Andatevene o vi farò uscire da questa stanza con la forza.”
Vars carpì che nessuno di loro apprezzava l’idea di andarsene, ma la verità era che non gli importava. Aveva da tempo scoperto che le persone facevano solo ciò che veniva detto loro. Quelli che parlavano di onore, lealtà o patriottismo, erano semplicemente dei bugiardi, che fingevano di essere molto migliori di lui.
Quando iniziarono a uscire, una delle guardie si fermò. “Che cosa se il re si sveglia, vostra altezza? Non dovrebbe uno di noi vegliare su di lui e informarvi se accade?”
Vars non gridò in faccia all’uomo solo perché non voleva essere visto come un figlio che odiava suo padre, o come uno sciocco che non sapeva controllare il suo regno. Ciò che le persone vedevano era molto più importante della verità, dopotutto.
“Questo non è un compito per nessuno di voi,” replicò lui. “Si tratta di una mansione che potrebbe fare un bambino.” Gli venne un’idea a quel punto. “Chi è il più giovane dei paggi qui?”
“Sarebbe Merin, vostra altezza,” disse uno dei domestici. “Ha undici anni.”
“Undici anni sono abbastanza per restare qui a vedere se mio padre si sveglia, ma sono pochi perché sia utile per qualsiasi altra cosa,” affermò Vars. “Portatelo qui e poi occupatevi dei vostri veri doveri. Siamo nel mezzo di una guerra, dopotutto!”
Quelle parole bastarono a far mettere tutti in marcia, costringendoli a muoversi quando la sola aura di comando di Vars non ci sarebbe riuscita. Li odiava per quello, ma non erano i soli che odiava, certo. Andò al capezzale di suo padre, fissando in basso la mole comatosa di Re Godwin.
Appariva così fragile e grigio; i muscoli del suo corpo erano meno distesi, adesso che giaceva sulla schiena. Gli sembrava più vecchio che mai, e meno spaventoso.
“Questa è pressoché l’unica volta che ricordo, in cui non mi guardi dall’alto per dirmi quanto pensi che sia inutile,” disse Vars. Nonostante suo padre non potesse sentire le sue parole, era comunque bello pronunciarle. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgliele se fosse stato sveglio; non avrebbe mai potuto tirarle fuori.
Vars camminò nella stanza, pensando a tutte le cose che avrebbe sempre voluto dire a suo padre, a tutte le cose che aveva in testa, intrappolate dietro alla paura che le aveva sempre tenute lì. Persino adesso, era dura pronunciarle, ma sapendo che suo padre non poteva davvero udirle, era di aiuto comunque esternarle.
“Dicono che potresti vivere o morire,” proseguì Vars. “Sto sperando che tu muoia; è ciò che meriti, dato il genere di padre che sei stato.” Fissò in basso suo padre con odio. Se avesse avuto il coraggio di farlo, avrebbe potuto afferrare un cuscino e trattenerlo giù, sopra al volto di suo padre.
“Sai com’è stato crescere con te come padre?” chiese. “Qualsiasi cosa facessi non andava bene. Rodry era sempre il tuo prediletto. Oh, lui ti piaceva, quando non aggrediva gli ambasciatori. Sono felice che tu abbia saputo che era morto prima che ti accoltellassero. E Nerra… cosa deve aver provato quando è dovuta andarsene?”
Non ci fu nessuna risposta, ovviamente, neanche un accenno di risposta dai tratti flosci di suo padre. In un certo senso, quello era persino più irritante.
“Quando mia madre è morta, sei stato così veloce a trovarti una nuova moglie,” affermò Vars. “I tuoi figli avevano bisogno di te, io avevo bisogno di te, ma tu hai sposato Aethe e hai messo al mondo le tue adorate figlie.”
Si ritrovò a pensare a tutte le volte in cui suo padre lo aveva trascurato per ricoprire di attenzioni Nerra, Lenore e persino Erin.
“Hai dato così tanta importanza a Lenore e al suo stupido matrimonio, non è vero? Hai riposto così tante speranze in lei. Sai perché adesso sei qui inerme? Sai perché è stata rapita in primo luogo?” Vars si fermò, chinandosi verso suo padre, abbastanza vicino da poter sussurrare. “L’hanno presa perché ho portato i miei uomini nella direzione sbagliata. Non volevo sprecare il mio tempo a farle da guardia del corpo, quando io ero quello più prossimo al trono. Non volevo restare lì seduto mentre la principessa perfetta si aggirava per il regno, ricevendo elogi e adulazioni. L’ho lasciata sola e gli uomini di Ravin l’hanno catturata, e Rodry è morto per salvarla.”
Vars si stirò, sentendo una profonda soddisfazione per essere finalmente riuscito a dire a suo padre tutto ciò che aveva dovuto trattenere tanto tempo.
“Mi hai sempre e solo umiliato,” continuò Vars. “Ma guardami adesso. Sono quello che ha sempre fatto cosa voleva, che ha passato il suo tempo nella Casa dei Sospiri e nelle locande, invece che nella tua amata Casa delle Armi. Eppure ci sono io al comando adesso, e ho intenzione di trarne il massimo vantaggio.”
Udì un colpo alla porta della stanza a quel punto. Un domestico entrò, scortando un ragazzino, biondo e dal viso paffuto. Indossava una camicia, una tunica e delle brache blu e dorate, com’erano i colori del regno. Sembrava nervoso di essere in presenza di Vars, mentre faceva un inchino indeciso. In quel momento, si accorse che una delle sue mani era piccola e storta, forse per un qualche incidente di molto tempo prima. Non gli importava.
“Sei Merin?” domandò Vars.
“Sì, vostra altezza,” rispose il ragazzino con una flebile voce spaventata.
“Sai come mai sei qui?” chiese Vars.
Il ragazzino scosse la testa, chiaramente adesso troppo spaventato per parlare.
“Devi vegliare su mio padre. Gli porterai i pasti, lo laverai e starai qui a vedere se si sveglia.” Non chiese al giovane se poteva o non poteva fare tutto; non era un suo problema. “Hai capito?”
“S-sì, vostra…”
“Bene,” lo interruppe Vars. Non aveva alcun interesse in ciò che un ragazzino di quel genere aveva da dire, ma solo nell’accertarsi che l’umiliazione di suo padre fosse completa. Che vivesse o morisse, non gli interessava. Se suo padre fosse sopravvissuto, Vars avrebbe avuto la piccola vendetta di avergli fatto tutto ciò; se invece fosse morto, avrebbe saputo di aver reso un poco peggiori gli ultimi giorni di quel vecchio stolto.
Rivolse l’attenzione all’altro domestico laggiù, un uomo che spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra. “Che cosa ci fai qui?” domandò. “Pensavo di aver detto a tutti voi di dedicarvi ai vostri normali doveri.”
“Sì, vostra altezza,” replicò l’uomo. “Sono venuto perché… perché la vostra presenza è richiesta.”
“Richiesta?” chiese Vars e allungò una mano, afferrando l’uomo dalla camicia. Era abbastanza facile farlo, sapendo che il domestico non avrebbe mai osato reagire. Sarebbe stato tradimento, dopotutto. “Sono il reggente del re. Le persone non devono richiedermi niente.”
“Perdonatemi, vostra altezza,” ribatté l’uomo. “Questa… questa è la parola che hanno usato quando mi hanno mandato a prendervi.”
Prendervi era quasi brutta quanto richiesta. Vars prese in considerazione di sferrare un pugno a quell’uomo, ma si trattenne solo perché quello poteva fargli dimenticare il suo posto, e Vars non aveva alcuna voglia di essere colpito in reazione, qualsiasi potesse essere poi la sua vendetta.
“Chi ti ha mandato e perché?” domandò Vars. “Chi pensa di poter dare ordini nel mio castello?”
“I nobili, vostra altezza,” rispose il domestico. “Hanno richiesto…” Sembrava che stesse richiamando le parole che gli era stato detto di riportare. “…richiesto una conferenza per discutere l’invasione dal Regno del Sud e per decidere collettivamente come rispondere. I nobili sono qui e anche i cavalieri. La conferenza sta avendo luogo nella Grande Sala, proprio mentre parliamo.”
Vars spinse via quell’uomo, mentre la rabbia improvvisamente gli ardeva dentro. Come osavano? Come osavano fare una cosa del genere e cercare di sminuirlo quando lui era al comando del regno?
Poteva comprendere ciò che stavano facendo, anche senza che gli venisse detto. I suoi nobili lo stavano testando, lo stavano trattando come se non fosse un vero re, come se non fosse un governatore potente come suo padre. Stavano cercando di renderlo qualcuno che potevano comandare e controllare, un domestico più che un governatore. Pensavano di potergli dire dove doveva essere e quando, di decidere le cose fra loro, riducendolo a nient’altro che un corpo incoronato, seduto su un trono.
Beh, presto avrebbero compreso come stavano le cose; Vars avrebbe mostrato loro esattamente quanto si sbagliavano.
CAPITOLO TERZO
Per tanto tempo nella sua vita, Lenore era stata perfetta, mansueta e obbediente. Era stata il paradigma di una principessa, mentre attorno a lei, le sue sorelle avevano fatto più o meno ciò che desideravano. Nerra si era precipitata spesse volte nella foresta, mentre Erin aveva giocato a fare la guerriera; al contrario, Lenore aveva finito per fare tutto ciò che ci si aspetterebbe da una principessa.
Adesso, però, stava facendo ciò che voleva.
“Siete sicura che dovremmo andare in città, mia signora?” chiese Orianne, mentre camminavano verso l’ingresso del castello. “Potrebbe non essere sicuro andare da sole.”
Un brivido le scivolò giù lungo la colonna, alla memoria del suo rapimento, ma scosse la testa.
“Potrebbero esserci delle minacce fuori dalla città,” disse, “ma Royalsport è sicura. Inoltre, porteremo una guardia.” Ne scelse una. “Tu, tu ci scorterai fino in città, d’accordo?”
“Agli ordini, vostra altezza,” rispose l’uomo, incamminandosi insieme a loro.
“Ma perché in città?” domandò Orianne. “Non ci sareste mai andata prima.”
Quello era vero. Della sua famiglia, Lenore era stata quella che spendeva il minor tempo possibile fuori dal mondo ordinato della corte reale. Adesso, però, adesso poteva farcela. Non poteva sopportare invece di restare lì ad ascoltare altre persone congratularsi con lei per le nozze, mentre suo padre giaceva moribondo e sua madre era poco più che un’ombra addolorata. Non poteva sopportare di restare lì con Finnal, per quanto lui le intimasse di non allontanarsi.
C’era anche un’altra ragione: pensava di aver visto Devin dirigersi in città di tanto in tanto e sperava che potesse essere lì. Il pensiero di parlare con lui tornò a sollevarle il cuore, quando nient’altro sarebbe riuscito a farlo. Il solo pensiero di lui e della sua gentilezza la fece sorridere in un modo che pensava il suo neomarito non avrebbe mai potuto fare.
“Andremo laggiù e faremo sapere alle persone che, anche nel lutto, noi ci siamo per loro,” disse Lenore.
Partì con Orianne e la guardia sulla sua scia, superando le sentinelle al cancello e poi proseguendo giù, verso il corpo della città. Lenore scansionò le Case, alte e maestose su entrambi i lati, inalò l’aroma intenso dell’aria della città, la sensazione dei ciottoli sotto i suoi piedi. Avrebbe potuto viaggiare su una carrozza, ma l’avrebbe isolata dalla città attorno a lei. Inoltre, l’ultima volta che l’aveva fatto era stato per il suo raccolto nuziale, e Lenore stava cercando di sfuggire a quei ricordi, di non rievocarli.
Proseguì dentro un grazioso distretto di giardini vicino al castello, le case laggiù erano chiaramente quelle dei nobili, su strade pulite e non troppo affollate. Non era ancora abbastanza per Lenore; sapeva che Devin proveniva forse da una zona molto più povera di quella, e voleva vedere con i suoi occhi cosa significasse vivere in quel modo a Royalsport.
“Siete sicura di voler andare da questa parte, Lenore?” le domandò Orianne, mentre prendevano un ponte che conduceva verso una zona chiaramente un poco più povera. Le case erano ammucchiate più vicine fra loro e le persone erano impegnate a lavorare più che a oziare. Il fumo della Casa delle Armi si innalzava nel cielo.
“Qui è esattamente dove devo essere,” rispose Lenore. “Devo vedere la città vera, per intero.”
E se fosse capitato loro di trovare Devin lungo la strada, allora sarebbe stato persino meglio. Lenore ammise poi fra sé e sé che il cuore le saltava un battito ogni volta che lo vedeva. Certo, le era capitata la stessa cosa con Finnal, ma c’era una differenza. Devin non era lì per un qualche matrimonio che l’avrebbe portato all’acquisizione di determinati territori, non era circondato da quelle terribili voci. Tutto ciò che Lenore aveva sentito o visto di lui, le mostrava un animo coraggioso e gentile… il tipo di uomo che avrebbe dovuto sposare, se non fosse stato impossibile.