Adele sbuffò risentita. Aveva concordato con Robert che i suoi bagagli venissero portati alla villa, e poi era venuta direttamente alla scena del crimine. Le ci erano voluti venti minuti in auto. Parigi era una delle poche città con pochissimi segnali di stop, se non addirittura nessuno. C’erano voci che ce ne fosse uno da qualche parte. L’agente Paige doveva averlo trovato, e probabilmente non sapeva come procedere da lì.
Non c’era nient’altro che potesse spiegare quell’attesa di mezz’ora.
Guardò lungo la strada, scrutando lo spazio tra gli edifici. Deglutì, fissando il passaggio aperto dall’altra parte della strada, con alcune parti verdi un po’ nascoste. Una cosa che amava di Parigi erano i piccoli passaggi e i giardini nascosti pronti per essere esplorati come una specie di labirinto che si diramava tra gli edifici. I francesi avevano una parola speciale per descrivere coloro che girovagavano senza meta, godendosi le viuzze secondarie e i giardini: la flânerie. Adele non poteva ricordare l’ultima volta che si era rilassata tanto da poter gironzolare senza meta. E certo adesso non era il momento per farlo.
Con un ultimo sbuffo di frustrazione, si girò verso la porta e fece per premere il pulsante sul fondo, contrassegnato dalla parola Locatore. L’uomo aveva istruzioni di farla entrare. Con o senza la Paige, Adele era determinata a vedere la scena del crimine della seconda vittima.
Prima che potesse premere il campanello, però, ci fu un leggero fischio di copertoni contro l’asfalto. Adele si guardò alle spalle e scorse un secondo SUV con vetri oscurati che stava parcheggiando dietro al suo veicolo. I capelli argentati dell’agente Paige apparvero da dietro la portiera mentre scendeva dall’auto, prendendosi tutto il suo tempo. La donna si fermò sul marciapiede, poi schioccò le dita come se le fosse venuto in mente qualcosa, si rigirò verso l’auto, aprì la portiera e iniziò a frugarvi dentro.
Adele rimase a fissarla: ci volle quasi un minuto perché la Paige trovasse quello che stava cercando. Poi riprese il cammino verso la porta dell’appartamento, ovviamente a passo di lumaca. Fece un evasivo segno di saluto in direzione di Adele.
Adele represse l’impazienza. Avrebbe dovuto lavorare con la Paige per tutta la durata del caso, e partire con il piede sbagliato non l’avrebbe aiutata. Ma sembrava quasi che la collega che le avevano assegnato stesse forzando la mano appositamente.
“Pensavo avessimo concordato di venire subito qui,” disse Adele, cercando di mantenere un tono neutrale.
La Paige la guardò di sottecchi. “Sì? Di solito non vado di fretta quando si tratta di uno spreco di tempo. Gli addetti alla scena del crimine ci hanno già lavorato. Non sono sicura del motivo per cui siamo qui.”
Adele si girò del tutto, voltando le spalle alla porta dell’appartamento e al campanello per guardare la collega dritto in faccia. “Siamo qui,” le disse a denti stretti, “perché voglio esaminare la scena del crimine con i miei occhi. Ti può andare bene?”
La Paige si mangiucchiava le unghie, guardando qualsiasi cosa potesse trovare sul marciapiede. “Non scoprirai niente di nuovo.”
“Magari no, o magari anche sì.”
Adele poteva sentire il profumo della donna, anche se chiamarlo profumo era un po’ un’esagerazione. La sua collega sapeva di sapone. Non sapone profumato, ma piuttosto un lieve odore di pulito che parlava di igiene e semplicità. L’agente Paige non indossava orecchini, né alcun gioiello di sorta. Aveva un profilo forte, con un naso romano e zigomi netti. Adele ricordava il suo primo anno al DGSI, mentre lavorava in una task force con lei: allora si era sentita intimidita dalla donna, e a giudicare dallo stomaco che le si contorceva, la sensazione non era svanita.
Adele non aveva mai conosciuto la famiglia di Sophie, ma dalle discussioni con altri agenti sapeva che la Paige aveva cinque figli suoi, tutti adottati. Eppure, nella sua esperienza, Adele non aveva mai visto la donna perdere un solo giorno di lavoro. Aveva dovuto fare qualche ricerca, quando era al DGSI, ma da come sembravano essere messe le cose, il marito dell’agente Paige stava a casa e si prendeva cura dei bambini, mentre sua moglie faceva lunghe ore di lavoro al servizio del governo.
La Paige guardò Adele con il medesimo sguardo irritato e, in risposta, Adele premette il pollice sul pulsante del campanello del locatore. Ci volle un secondo, poi la porta si aprì. Sophie spinse la porta, entrò e lasciò che si richiudesse dietro di sé.
Adele dovette mettere velocemente il piede sulla soglia per impedire che si chiudesse del tutto. Poi guardò frustrata la nuca della collega, davanti a lei. Di nuovo, non c’era un singolo capello fuori posto. I vestiti della Paige erano perfettamente stirati, la giacca grigio antracite, abbinata ai pantaloni.
Adele non aveva mia particolarmente gradito la compagnia della donna che le aveva fatto un tempo da supervisore. L’ultima volta che aveva interagito con lei, durante il precedente caso in Francia, la Paige si era rivelata piuttosto scontrosa.
“Scusami,” le disse Adele, tenendo la voce bassa. “Dobbiamo parlare?”
La Paige si comportò come se non avesse sentito e continuò ad avanzare verso le scale.
Adele camminò velocemente e la raggiunse, allungando una mano e posandola sul braccio della donna. Come se si fosse scottata, la Paige si girò di scatto, le labbra piegate in una smorfia. “Non mi toccare!” le disse con tono secco.
Gli occhi di Adele scattarono alla fondina che si intravedeva sotto alla giacca semiaperta dell’agente. Tolse la mano, sollevando le braccia in gesto di resa. “Le mie scuse.”
“Cosa vuoi,” le chiese la Paige guardandola torva. “Stiamo facendo a modo tuo, no? Siamo qui a sprecare tempo invece di parlare con i testimoni.”
“Quali testimoni?” disse Adele ribattendo senza esitazioni.
“L’americana. Quella che ha trovato il corpo.”
Adele scosse la testa. “Ha trovato la vittima, ma non ha visto niente.”
La Paige corrucciò le labbra. “Sarebbe un modo migliore di usare il nostro tempo invece che venire su una scena del crimine vuota. Hai letto il rapporto, no? Nessuna prova materiale. Non c’è niente per noi, qui.”
Adele sbuffò, scuotendo la testa. Allungò una mano come a volersi mantenere in equilibrio, afferrando il corrimano in legno che fiancheggiava i gradini che salivano all’appartamento.
Sentì il tintinnare di chiavi e il rumore di passi che si avvicinavano mentre il locatore attraversava il corridoio. Adele guardò oltre la sua collega, al di là del corrimano e attraverso la ringhiera di legno, scorgendo un uomo anziano e calvo con la pancia un po’ prominente e un maglione macchiato che veniva verso di loro.
Adele abbassò la voce, cercando di mantenere la calma. “Puoi contattare gli agenti con l’americana. Sono in attesa. Di’ loro di portarla qui, se vuoi. La interrogheremo dopo. Meglio qui che alla centrale, comunque.”
“Bene,” disse la Paige. “Forse lo farò.” Prese il telefono e cincischiò con l’apparecchio per un momento.
Adele aspettò mentre il locatore si avvicinava, sperando che questo fosse l’ultimo scambio così acceso, per il momento. Non sarebbe stato carino apparire poco professionali davanti agli occhi indiscreti di un pubblico esterno.
L’uomo guardò le due donne, apparentemente ignaro della tensione tra loro. Fece un finto e forzato sorriso e disse: “Posso mostrarvi la stanza.” Esitò un momento, il sorriso che gli tendeva le labbra in modo quasi innaturale. “Solo per curiosità…” Esitò ancora, come se stesse aspettando un dovuto numero di secondi. Poi proseguì: “Quando potrò riaffittare l’appartamento? Ci sono le bollette da pagare…”
“Sono l’agente Sharp,” lo interruppe Adele. Scrutò l’uomo. “Questa è l’agente Paige.” Mise la mano in tasca e mostrò il suo cartellino, come anche le credenziali dell’Interpol che Robert le aveva dato.
Il locatore fece un gesto di noncuranza senza neanche guardare il badge. La Paige stava ancora guardando il suo telefono, ignorando l’uomo.
“Posso farvi vedere,” ripeté.
Adele fece segno con la mano di avanzare su per le scale e permise al locatore di fare strada, seguendolo a passo lento e sentendolo respirare affannosamente, man mano che faceva un gradino alla volta. Quando raggiunsero il pianerottolo del terzo piano, l’uomo inserì la chiave nella serratura e la girò, aprendo la porta. Adele esaminò le chiavi, poi guardò il locatore. “Non è entrato nell’appartamento un paio di giorni fa, vero?”
Il locatore la guardò e poi, passato un momento, il suo volto assunse un’espressione inorridita. Si mise immediatamente a scuotere la testa furiosamente, facendo ballonzolare le guance. “No,” disse ansioso. “Certo che no. Non entro mai negli appartamenti. Le chiavi sono solo per emergenza.”
Adele sollevò le mani. “C’è qualcun altro che ha accesso a un mazzo di chiavi?”
Il locatore scosse la testa con fermezza. “Solo chi affitta l’appartamento. E io. E non le uso,” ripeté.
Adele annuì per mostrare che aveva sentito, guardando l’uomo che spingeva la porta dell’appartamento e si faceva di lato, indicando alle due agenti di entrare.
Le donne passarono sotto al nastro di delimitazione che sbarrava la porta. Adele andò avanti e osservò il pavimento piastrellato.
La maggior parte del sangue era stato rimosso. Erano state fatte foto della scena, e gli investigatori precedenti avevano proceduto a catalogare ogni cosa. Adele si guardò attorno nella cucina: notò alcune macchie di sangue sul mobiletto accanto al frigorifero, come anche lungo le piastrelle del pavimento. Passò oltre le macchie e guardò il frigorifero. Ora era chiuso.
A parte il frigo chiuso e la grossa macchia mancante, la scena del crimine era esattamente la stessa delle foto. Il corpo era stato portato da tempo dal medico legale, e il rapporto finale sarebbe stato pronto a breve.
Odiava ammetterlo, ma non c’era molto da vedere. Nessuna prova materiale. Proprio come le avevano detto.
Avevano già cercato impronte digitali sul banco, sul frigorifero, sul corpo. Eppure non era apparso nulla. Niente, oltre alle impronte della vittima stessa.
La seconda vittima era stata trovata con la schiena appoggiata alla credenza, rivolta verso il frigo. Questo significava che chiunque l’avesse attaccata l’aveva fatto molto rapidamente. C’era stato qualche spruzzo di sangue, ma non molto. Nessun segno di ferite provocate da tentativi di difesa, sul corpo. E nessun segno di lotta.
“Pensi che conoscesse l’assassino?” chiese Adele sottovoce.
L’agente Paige rispose: “Forse.”
Adele scavalcò con attenzione la pozza di sangue ora sbiadita. Andò al frigorifero e, usando la tasca per rivestirsi la mano, afferrò la maniglia e la aprì. C’erano ancora alcuni cibi all’interno. Dei vecchi panini erano posati nel cassetto della frutta e verdura e una grossa caraffa di latte era posizionata accanto a una dozzina di uova. Per il resto il frigo era quasi vuoto. Adele guardò la credenza addosso alla quale la donna era stata rinvenuta, seduta in terra in una pozza del suo stesso sangue.
Esaminò il ceppo di legno per i coltelli accanto al lavandino. C’erano tutti. Erano stati controllati uno per uno per cercare la presenza di sangue, ma erano stati trovati puliti. L’assassino aveva portato con sé la sua arma. Ancora non sapevano cosa avesse usato per uccidere la donna.
Adele allungò una mano e aprì il congelatore. C’erano due vaschette del ghiaccio, una scatola di gelato e alcune pizze surgelate. Il contenitore del gelato era macchiato di strisce di gelato sciolto e poi ricongelato su un lato. Una delle vaschette del ghiaccio era completamente vuota. Adele corrucciò le labbra: era una sua fissazione personale, ma odiava quando la gente rimetteva la vaschetta del ghiaccio vuota nel freezer. Guardò la scatola di gelato e poi le pizze. Cavolfiore. Arricciò il naso, ma provò un’improvvisa ondata di imbarazzo mentre analizzava i cibi.
Cosa si era aspettata di trovare?
Chiuse la porta del congelatore e si girò per guardare la stanza. Non c’erano decisamente prove materiali. Osservò il lavabo e notò che gocciolava leggermente. Si avvicinò e ruotò una delle manopole. Il gocciolio continuò, una goccia alla volta. Tap, tap. Le gocce colpivano il secchiaio di metallo.
“La testimone viene?” chiese Adele, voltandosi a guardare la Paige.
La donna stava guardando fuori dalla finestra. Sbuffò. “Sta arrivando.”
Adele si schiarì la voce. “Mi ripeti come si chiama?”
“Melissa Robinson. Anche lei americana. Ha trovato il corpo.”
Adele strinse le labbra. “Come pensi che dovremmo impostare l’interrogatorio?”
L’agente Paige scrollò ancora le spalle. “Sei tu l’agente dell’Interpol. Io sono qui solo per seguire la tua guida. Fai quello che vuoi.”
Adele esitò, fissandola. Annuì, poi con il tono più diplomatico che le fu possibile assumere, aggiunse: “Penso ci sia bisogno di fare una chiacchierata.”
La Paige finalmente distolse gli occhi dalla finestra e inarcò un sopracciglio argentato.
Adele le si avvicinò con attenzione, portandosi di fronte alla donna, anche se sotto sotto avrebbe preferito andare a nascondersi nell’angolo della stanza. L’odore di sapone era ancora più forte di prima mentre lei guardava la donna negli occhi. “Non serve che questa cosa sia penosa, ma ho come la sensazione che tu non ti stia sforzando quanto potresti.”
La donna non tradì alcuna espressione. Alla fine scrollò le spalle e rispose: “Non sono responsabile dei tuoi sentimenti. Forse dovresti avere maggiore cura tu nel controllarli.”
Adele la fissò. “Non credo che questo sia di aiuto.”
“Il numero di cose che sei incapace di credere non è affar mio,” disse la Paige con freddezza. Aveva l’atteggiamento di chi gode della frustrazione dell’altro. Il nervosismo crescente di Adele sembrava alimentare sempre più il godimento della Paige.
“Non sapevo fossi tu,” disse Adele alla fine.
L’espressione dell’agente Paige divenne fissa.
Adele si girò a guardare verso la porta e fu contenta di vedere la soglia vuota, indice che il locatore non era lì. Lo stesso abbassò la voce e continuò: “Non lo sapevo. Avevo solo visto che qualcuno aveva spostato uno dei documenti contabili che facevano da prova. Pensavo fosse stato un errore d’ufficio. Quando ho fatto rapporto a Foucault, non avevo idea che…”
“Piantala,” disse con tono secco la Paige, stringendo i denti.
La tacita ed enigmatica espressione di noncuranza era svanita ora, come ghiaccio che si scioglie, mostrando tutta la rabbia che ribolliva sotto.
“Dico sul serio,” disse Adele. “Se l’avessi saputo…”
“Hai fatto quello che hai fatto,” disse la Paige, ora torva in volto. Le sue mani ai fianchi tremavano appoggiate all’abito grigio. “Mi hanno declassata. Sono fortunata se ho ancora il mio lavoro. Matthew è stato arrestato. Lo hanno interrogato per quasi una settimana!”
Adele sussultò. “Mi spiace. Io ho solo visto delle prove mancanti. Non sapevo…”
“Al diavolo quello che non sai,” rispose bruscamente l’agente Paige. Puntò con forza un dito contro il petto di Adele e la spinse. “Avresti dovuto venire da me. Ero il tuo supervisore! Hai agito alle mie spalle, come un topo.”
Adele fece un passo indietro, portandosi una mano al petto e massaggiandosi, chiedendosi se l’indomani vi avrebbe trovato un livido. Scosse la testa e disse: “Hai spostato delle prove per proteggere il tuo fidanzato. Non sapevo cosa fosse successo. Non sapevo neanche che frequentassi un sospettato…”