Scettica a Salem - Грейс Фиона 4 стр.


Finalmente, un giorno aveva scritto COLAZIONE? su un foglio strappato da un bloc notes e l’aveva premuto contro il vetro della cabina. Lei aveva annuito. Le aveva preparato dei pancake a casa sua, e da allora erano sempre stati insieme.

“Non ti preoccupare di me,” gli sussurrò, sorridendogli. Sapeva che non era il caso di chiedere le sue attenzioni quando le basi erano cariche.

Torres al disco. Il lanciatore ha aperto con un tiro sorprendente da novanta miglia all’ora. Primo tiro. Prenderà il tiro? Bunt! Torres fa un bunt!

“Oh, andiamo!” gridò Mark, sbattendo i palmi sul volante.

Guardò Mia con un sorriso imbarazzato. “Scusa, tesoro. Sei bellissima! Adesso che ho la mia ragazza in macchina, spengo.”

“Grazie, ma non vorrei mai mettermi tra te e Torres,” gli rispose, asciugando le goccioline d’acqua sul suo vestito, mentre l’umidità le faceva arricciare i capelli, trasformandoli in una criniera selvaggia.

Mark guardò Mia raggiante. Stavano davvero bene insieme.

“Senti, so quanto adori il teatro,” le disse con orgoglio. “Quindi mi sono procurato i biglietti per Aspettando Godot. Dovrebbe essere esilarante.”

“Aspettando Godot di Beckett?”

“Sì, ho sentito che è uno spasso.”

“Più o meno, immagino. Direi più una tragicommedia,” commentò Mia.

“Tragicommedia? Fai l’espertona di letteratura inglese?” disse Mark ridendo. “Ad ogni modo, c’è quel tizio della TV, quello che fa lo sceriffo nella città con i mostri. Lui fa uno dei pagliacci, o quello che è.”

“Beh, adoro Beckett,” disse Mia, un po’ preoccupata dal ragionamento di Mark.

“Allora poi mi aspetto una spiegazione completa,” la canzonò lui, chinandosi a baciarla.

“Se insisti,” disse lei, un po’ senza fiato. Mentre lo baciava, sentì la tensione della giornata che si scioglieva.

Poi Mark si tirò indietro e appoggiò entrambe le mani sul volante.

“Ora fai la brava, signorina Bold. Questo appuntamento sta ufficialmente per avere inizio.”

“Ci proverò,” disse lei ridacchiando. Era bello ridere, finalmente.

“Che giornata!” disse Mark, mentre si immetteva nel traffico. “Prima sono stato al banco estero, ed è stato da matti. Un sacco di gente che cedeva azioni per colpa di quel dittatore nel medio oriente, quello che piace tanto ai russi. Tutti a spostare i soldi attraverso i conti Forex e a comprare obbligazioni.”

Mia stava ascoltando solo per metà, pensando al modo migliore per presentargli le sue novità. Non sentendola rispondere, Mark lo prese erroneamente come un accenno a cambiare discorso e spostò la sua attenzione su di lei.

“Allora, come sta andando alla fabbrica di pastiglie?”

Mia sinceramente non aveva idea di come iniziare.

“Te lo dico mentre ceniamo.”

Mark andò fino a un ristorante italiano che entrambi amavano e lasciò la macchina nel parcheggio mezzo vuoto. Mentre le apriva la porta, Mia si sentiva nervosa. Cosa gli avrebbe raccontato? Aver perso sia l’appartamento che il lavoro era un po’ sconsolante, oltre ad essere un sacco di roba da spiegare.

Il ristorante era caldo e accogliente. Un robusto cameriere li accompagnò a un tavolino d’angolo, dove si sistemarono, preparandosi a ordinare. Mark si accomodò, perfettamente a proprio agio.

“Allora, il tuo capo è andato a nessun convegno del Dottor Who, ultimamente?”

“Ecco, diciamo che è una delle cose di cui vorrei parlare.”

“Il Dottor Who?” rispose Mark ironico.

Mia lo guardò nervosamente, sperando di ricevere da lui un qualche aiuto, ma Mark continuava a studiare il suo menù, aspettando che lei finisse il discorso. Mia decise quindi di partire dalle piccole cose e dirgli prima dell’appartamento.

“Mi dovrò trasferire…”

Mark sollevò leggermente le sopracciglia. Curioso, ma non preoccupato.

“… trasferirti? Pensavo che Brynn e Jeff ti sostenessero.”

“Jeffrey ha venduto il condominio.”

“Ma dai! Jeff ha venduto il condominio? Deve aver fatto un colpaccio! Adoro quell’uomo.”

“Devo andarmene tra due settimane.”

“Oooh, roba rapida. Non ti preoccupare, tesoro,” la rassicurò. “Troveremo un posto, chiameremo una ditta di traslochi. Andrà tutto bene.”

Mia fissò Mark confusa. Sapeva che lei stava vivendo senza dover pagare l’affitto, eppure non sembrava per niente preoccupato. Doveva raccontargli il resto, aiutarlo a vedere il quadro completo.

“Il fatto è che ho perso il lavoro,” disse.

“Sul serio? Cos’è successo?” Questa volta Mark sembrava davvero preoccupato. Si chinò in avanti e le diede tutta la sua attenzione.

La storia le uscì di bocca in un migliaio di pezzetti frammentati, concludendosi con l’epico scontro finale con Miles Cameron.

“Miles Cameron? Il megamiliardario?”

“Sì, è stato davvero orribile…” Mentre descriveva i dettagli, l’atteggiamento di Mark iniziò a cambiare. La sua espressione solitamente così solare si fece più dura. Le narici si dilatarono in chiaro segno di rabbia.

Mia provò un senso di sollievo. Mark capiva quello che Cameron aveva fatto, il modo in cui l’aveva minacciata e insultata. Era arrabbiato per il pessimo trattamento che la sua fidanzata aveva subito.

“Ho dovuto issarmi a difesa dell’umanità,” gli disse, portando la storia a una drammatica conclusione. Poi lo guardò, orgogliosa e ancora emozionata per aver difeso i propri principi.

Mark la fissò per un momento, come se stesse tentando di formulare la risposta giusta. Il cameriere portò loro da bere, e lui mandò giù la sua birra in due sorsate. Poi parlò.

“Hai rifiutato un lavoro da sei cifre?” La sua voce sembrava tesa.

“Ho dovuto farlo,” disse Mia, non capendo completamente perché si stesse concentrando su quell’aspetto della storia.

“Perché mai fare una cosa del genere?” le chiese con rabbia. Alcuni altri clienti del ristorante si voltarono verso il loro tavolo. Mia era stupita dall’intensità della sua reazione.

“Hai sentito quello che ho appena detto? Quell’uomo era insopportabile.”

“È un multimiliardario. Pensi che sia facile?” ribatté Mark, diventando man mano più agitato.

Mia rimase a bocca aperta.

“Aveva intenzione di cambiare destinazione d’uso di un importante farmaco contro il diabete,” gli spiegò.

“È la sua azienda, Mia. Può farci quello che vuole.” Nella voce di Mark c’era una nota acuta che Mia non aveva mai sentito prima d’ora. Mark chiamò il cameriere e ordinò un’altra birra. “Ho bisogno di bere qualcos’altro dopo questo disastro.”

Disastro? Mi stai dicendo che avrei dovuto accettare i soldi?”

“È proprio quello che sto dicendo, Mia. Sai quanto sia costosa New York. Se entrambi avessimo un reddito da sei cifre, magari potremmo permetterci più di uno sgabuzzino. Hai davvero mandato tutto a puttane.”

Mia si sentì avvampare in viso. Sembrava che tutti nel ristorante li stessero fissando.

“Posso trovare un altro lavoro, Mark.”

“Tu? Sei un tecnico di laboratorio. Pensi che chiunque ti proporrebbe un contratto da duecentomila dollari? Questa era la tua possibilità, la nostra possibilità. Il Prossimo Passo è una cosa costosa, Mia.” Calò il silenzio.

Mia stava fissando il suo fidanzato, stupefatta. Mark non le aveva mai parlato così. Si sentiva mortificata, ferita e confusa. Le relazioni erano una situazione in cui ci si aiutava quando le cose diventavano difficili, o no? La signora al tavolo accanto la guardava con compassione.

“Cosa vorresti dire? Ti ho raccontato quello che è successo. Sono stata il fulcro nella creazione di quel medicinale. Non sono solo un tecnico di laboratorio. Sono un fantastico tecnico di laboratorio.”

“È solo che a me sembra che il lavoro qui lo faccio tutto io,” disse Mark scrollando le spalle.

Mia sentì le lacrime salirle agli occhi. Ricacciò indietro i suoi sentimenti prima che lui potesse vedere quanto l’aveva ferita. Come avevano fatto le cose a precipitare così rapidamente? Forse era meglio se ora tagliava la testa al toro e gli diceva come si sentiva.

“Senti, Mark. Il lavoro in laboratorio mi piace, ma le dinamiche e l’organizzazione sono frustranti. Quello che voglio veramente è far funzionare The Vortex.”

Mark parve sgonfiarsi davanti ai suoi occhi. La rabbia evaporò e lui sprofondò nella sua sedia.

“… Vedi? Ecco qual è il problema. Non sei seria, Mia. Continui sempre a sognare.”

“Ma essere una coppia non dovrebbe significare supportarsi a vicenda nei propri sogni?”

“No, se sono sogni del piffero! Cosa vuoi da me, Mia. Dimmi solo quello che vuoi.”

“Che ne dici di fare il Prossimo Passo con me? Siamo fidanzati da due anni. Non dovremmo andare a vivere insieme? Fissare la data per il matrimonio? Iniziare a fare programmi?”

“Non è così semplice, Mia. Ci sono un sacco di considerazioni da fare.” Mark scrollò ancora le spalle e la guardò dritta negli occhi.

“Ma potremmo semplificare le cose, Mark. Potremmo scappare insieme. A me non frega niente di anelli e inviti di nozze, e a te?”

Questa volta non rispose, ma continuò a tenere gli occhi bassi, perso nei suoi pensieri. Poi scosse la testa.

“Senti, è un po’ che ci penso. Forse dovremmo prenderci una pausa.”

Mia si sentì sprofondare il cuore sotto ai piedi, come quando si trovava su una di quelle montagne russe dove Frank la portava, quelle che salivano lentamente fino in cima e poi precipitavano giù velocissime dall’altra parte.

Mark la stava lasciando?

“Cosa intendi dire?” gli chiese, sentendosi tradita, confusa e ferita. “Stai rompendo il nostro fidanzamento?”

Mark era irrequieto sulla sua sedia, quasi incapace di guardarla negli occhi.

“Penso solo che non stia funzionando,” disse alla fine.

Mia lo fissò. Da quanto la pensava così? Da quando si era trasferito a New York per inseguire la sua carriera nella finanza, era stato evasivo. Fino ad ora, lei aveva imputato il suo comportamento allo stress del nuovo lavoro. Adesso si rendeva conto che c’era qualcosa di più profondo.

“Ricordo quando anche tu avevi un sogno, Mark. Volevi creare una community online che facesse da punto d’incontro tra mentori e aspiranti imprenditori del terzo mondo. Cos’è successo a quel ragazzo?”

“È cresciuto,” disse Mark con tono calmo. “Quello che voglio diventare adesso, è un gestore di fondi speculativi. E sei cambiata anche tu Mia, lo sai benissimo.”

“Forse hai ragione,” gli disse, sentendo le lacrime che minacciavano di tornare. Non voleva che Mark la vedesse piangere. Cacciò giù i propri sentimenti feriti. La verità era che si erano allontanati. Lui era ancora un bravo ragazzo. Ma la sua compassione era stata eclissata dall’ambizione.

“Sai, Mark, una volta credevi in un mondo migliore. Ora non sono più sicura di cosa credi. Ma so che non credi in me.”

Sperava che avrebbe ribattuto alle sue parole, che le avrebbe detto che si sbagliava, e invece fece solo segno alla cameriera di portare il conto. Rimasero in silenzio ad aspettare. Non era rimasto altro da dire.

Mia prese il telefono dalla borsetta e aprì la app Uber per chiamare un’auto.

“Devo prendere le mie cose dalla tua macchina.”

Mark pagò il conto e la seguì fuori. L’auto che mia aveva chiamato arrivò e lei vi mise dentro le sue borse. Poi si voltò verso Mark e lo guardò negli occhi per l’ultima volta.

“Senti, magari potremmo…” le disse lui.

“… Dovresti andare a vedere lo spettacolo. Aspettando Godot parla dell’attesa di qualcosa che non succederà mai, un po’ come io che aspettavo il nostro Prossimo Passo. Addio, Mark.” Lo baciò sulla guancia e si infilò nell’Uber. Mentre l’auto partiva, iniziò a cadere una fredda pioggia.

CAPITOLO QUATTRO

Mia si svegliò sotto a un groviglio di coperte stropicciate. Per un breve momento le parve una mattina come tutte le altre. Il sole stava brillando dietro alle imposte e il rumore del traffico iniziava a farsi più intenso. Sul suo telefono arrivò una notifica. Nervosamente lo afferrò: magari Mark aveva cambiato idea e la chiamava per parlarne? Controllò messaggi e email. A parte un principe nigeriano che chiedeva le sue credenziali bancarie, la sua casella era vuota. Sprofondò nuovamente sul suo cuscino, triste e avvilita.

Uff, ieri è stato il giorno peggiore della mia vita!

Il ricordo della totale mancanza di appoggio da parte di Mark era ancora vivido e doloroso. E poi le faceva male la testa. Oh sì, ora ricordava. Era rimasta sveglia fino a tardi con una bottiglia di Pinot a guardare repliche di Cacciatori di fantasmi. Quindi questo era il primo giorno di ciò che restava della sua vita. Il grande spazio vuoto che costituiva il suo futuro sembrava schiacciante. Il telefono suonò, ridestandola dai suoi pensieri. Era Mark? Si strofinò gli occhi e fissò lo schermo mentre le tornava in mente un promemoria molto spiacevole.

Ore 18.30 di stasera. Cena I&P.

No!

La cena annuale dell’Incatramata con piume veniva organizzata dai Middleton ogni primavera in onore dell’illustre antenato della famiglia – Arthur Middleton – che era stato un grosso fan della citata punizione, riservata agli oppositori durante la Rivoluzione Americana. Mia aveva la netta sensazione che non appena avesse detto alla sua famiglia che nello stesso giorno aveva perso lavoro e fidanzato, sarebbe stata lei a finire ricoperta di catrame e piume.

Si tirò le coperte sopra alla testa. Starsene seduta alla cena dei Middleton con tutte le loro stupide domande e le scuse che lei avrebbe dovuto porgere, era l’ultima cosa che voleva. Tirerò fuori una scusa, pensò, appena mi passa questa balla e il mio cervello ricomincia a funzionare.

Percependo il suo bisogno di compagnia, Tandy saltò sul letto e premette il muso contro la sua spalla. Mia si era fermata a prenderlo tornando verso casa, dicendo a Brynn che aveva mal di testa e che la serata era finita presto. Mia sbirciò fuori dalle coperte e lo vide intento a fissarla incuriosito, i suoi occhi marroni stranamente comprensivi e compassionevoli. Come a volerla rassicurare, le leccò la mano.

“Hai ragione,” gli disse, gettando via le coperte. Sentì girare un poco la testa quando si mise a sedere e fece un respiro profondo. Non poteva permettersi di provare pena per se stessa. C’erano un milione di cose da fare. Tandy saltò giù dal letto e iniziò a correre qua e là, contento che si fosse alzata e si stesse muovendo.

Mia andò in bagno, si lavò il viso dagli ultimi residui di make-up della sera precedente e si spazzolò i capelli. Poi mandò giù tre aspirine con il suo caffè, si infilò una tutta e portò Tandy a fare una corsa. Trenta minuti e tre miglia più tardi, era tornata nel suo loft, arrossata, sudata e leggermente rinvigorita. Si fece una doccia e si vestì. Oggi non serve nessuna camicia ordinata, pensò.

Dopo lo scontro con Miles Cameron, le Risorse Umane si erano dimostrate piuttosto generose con la liquidazione, fintanto che lei accettasse di non parlare alla stampa e non denunciasse la società per terminazione ingiusta del contratto. E poi aveva da parte i suoi risparmi. Fece il conto. Se stava attenta, poteva avere a sufficienza per un acconto e tre mesi di affitto, oltre alle spese per vivere. Non era molto tempo per far funzionare The Vortex, ma era pur sempre qualcosa. Poi avrebbe dovuto trovare un lavoro sicuro.

Quando tornò in salotto, notò una chiamata persa. Le balzò il cuore in gola quando vide che c’era un messaggio in segreteria. Magari era Mark, e alla fine non avrebbe dovuto affrontare un futuro incerto. Poi riconobbe il numero. Era Brynn. Sospirò e premette il tasto per ascoltare.

“Mimi? Jeffy ha ricevuto una chiamata molto strana da parte di Mark stamattina. Va tutto bene? Chiamami se riesci. Oppure ci vediamo direttamente stasera.”

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