Scettica a Salem - Грейс Фиона 7 стр.


“Hai il tuo ingresso riservato,” le disse, aprendo la porta con una chiave e salendo su per la scala. Mia e Tandy lo seguirono. In cima alla scala c’erano delle porte numerate. Ruotò la chiave nella serratura dell’appartamento 2A e aprì la porta, rivelando un appartamento piccolo ma grazioso. Mia riconobbe il salotto, la camera da letto e il cucinino che aveva visto nelle foto. Facendo il giro del posto, si accorse di una finestra inclinata.

“Che strana,” disse, indicando la bizzarra architettura.

“Oh, quella è la finestra della strega,” le disse l’uomo. “È inclinata in quel modo così che le streghe non possano volarci attraverso ed entrare.”

Mia lo guardò incuriosita e poi andò in cucina. Il fornello era ovviamente antico e piuttosto confuso. Aveva una grande superficie piatta in mezzo a due fuochi, e quattro porticine sul davanti invece di una sola. Avrebbe dovuto capirlo più tardi.

Qualcuno aveva accuratamente messo uno zerbino a forma di cane sul pavimento con una ciotola piena di acqua e un mazzo di fiori freschi sul tavolino con un bigliettino che sporgeva da sotto.

“È stato il socio di Graham, Ollie Cooper, ha preparare tutto. Ha dato istruzioni che leggessi quel biglietto non appena fossi entrata,” disse Tom sorridendo.

“È meraviglioso, Tom. Devo dire che sono sorpresa che Graham mi abbia offerto un alloggio gratuito. È davvero generoso.”

“Beh,” disse Tom chinandosi verso di lei per parlarle sottovoce. “In realtà Graham è mio figlio. Immagino che Hatter non fosse particolarmente adeguato a lui.”

“Oh!” disse Mia. “Capisco.”

“L’edificio appartiene alla famiglia da generazioni. Gli lascio usare queste stanze per i suoi progetti,” spiegò Tom. “Mi mantengo giovane se sono circondato da giovanotti. Ora ti lascio.” Le fece l’occhiolino e le porse un mazzo di chiavi. Il portachiavi diceva L’emporio di Hatter e mostrava l’immagine di una strega a cavallo di una scopa. “Meglio se tieni chiusa la finestra della strega. Non si sa mai.”

Mia rise e prese le chiavi.

“Ancora una cosa,” disse. “La maniglia della porta a volte si incastra. Devi sollevarla e ruotarla un po’. Altrimenti resti chiusa dentro.” Uscì e si chiuse la porta alle spalle.

Mia accarezzò Tandy arruffandogli il pelo sulla testa. Poi andò dai fiori e prese la busta. Il biglietto diceva:

Benvenuta a Salem!

La riunione inizia alle 17.30 alla Locanda del Gatto Nero.

La Locanda del Gatto Nero? Era il luogo di una famigerata presenza soprannaturale, frequentato un tempo solo da marinai. Si diceva che una donna solitaria si aggirasse nella soffitta, cercando il suo innamorato perduto in mare. C’era un indirizzo e un’annotazione a mano. La Locanda del Gatto Nero non era distante, e la si poteva raggiungere a piedi.

Improvvisamente, Mia sentì bussare leggermente alla porta. Ruotò la maniglia e si trovò davanti una ragazza minuta dall’aria bohemienne. Doveva avere meno di trent’anni, con un viso da elfo e i capelli corti coperti da un berrettino a righe. Tandy le corse subito incontro e iniziò a leccarle la mano. Quello era sempre un buon segno.

“Sono Sylvie Payne,” disse la ragazza con marcato accento del Jersey. “Tecnico del suono.” Si chinò ad accarezza Tandy che scodinzolava freneticamente come se si conoscessero da tempo.

“Per Libro, campanella e candela?”

“Esatto. E sono anche la tua vicina di casa.” Le mostro una chiave che pendeva da un portachiavi simile al suo. “Sono al 2B. Comunque, mi sa che siamo in ritardo per la riunione dello staff. Vuoi che andiamo insieme alla ricerca del Gatto Nero?”

CAPITOLO SETTE

Mentre passeggiava lungo la Essex Street, Mia si sentiva come se fosse appena entrata in una scena di una storia d’epoca. Quando passarono accanto al Lappin Park, videro la scultura stregata, la statua di una strega a cavallo di una scopa, incorniciata dalla luna piena.

“Mi sa che sono seri sulle loro streghe,” disse Mia.

“E sugli stregoni,” aggiunse Sylvie. Passarono accanto a un uomo con un cappotto vittoriano che si stava sistemando i polsini di pizzo.

Attraversarono la strada ed entrarono in un’area lastricata chiusa al traffico delle automobili. Era piena zeppa di bancarelle colorate che offrivano articoli magici e artefatti mistici. Mia notò sfere di cristallo, pentacoli e sacchettini di erbe impilati su dei carri. I turisti si aggiravano tra i negozi mangiando mele caramellate. La porta di un edificio era spalancata e all’interno era in pieno svolgimento una fiera del paranormale traboccante di visitatori. Quando il cielo iniziò a scurirsi, si levò una fresca brezza e dei lampioni vintage si accesero illuminando l’area con il loro bagliore soffuso. Mia rabbrividì: era affascinante, ma inquietante.

“Ascoltavo il tuo show,” disse Sylvie. “Era fantastico, a parte la qualità del suono. Attrezzatura economica, scarsa qualità. Molto semplice.”

“Ho dovuto farmi il mio studio a casa,” disse Mia ridendo. “E non ho mai avuto il lusso di potermi appoggiare a un tecnico del suono. Sinceramente, facevo tutto da sola, e meglio che potevo.”

“Beh, ora tutto questo cambierà. Avrai un intero staff a tua disposizione, e io trasformerò la tua voce in oro che cola.”

Mia sorrise sotto ai baffi. Sylvie era sicura e sfacciata in un modo a cui lei non era abituata. Ma se Tandy già la adorava, tutto sarebbe andato alla grande tra loro. Nel tempo Mia aveva imparato che Tandy era il miglior giudice delle persone che le stavano attorno.

“Penso che sia laggiù,” disse Mia, seguendo la mappa. Mentre passavano sotto a un lampione, quello improvvisamente ebbe uno scatto e si spense. Sylvie sollevò gli occhi e scosse la testa.

“Non preoccuparti del mio poltergeist,” le disse con tono indifferente.

“Il tuo cosa?” chiese Mia, non sicura di aver sentito bene.

“Il mio poltergeist,” disse Sylvie. “Mi segue da anni. Penso sia il mio cugino morto.”

“Quindi pensi che lo spirito di tuo cugino ti stia inseguendo?”

“Senti, so che tu sei una scettica, ma questa cosa mi viene dietro da anni. Le luci si accendono e spengono, i volumi si alzano. È una follia. Sto seriamente pensando di andare da un esorcista.”

Mia mise da parte lo strano fatto tra i suoi pensieri, e quando furono arrivate alla Locanda del Gatto Nero, tenne la porta aperta per Sylvie. Entrarono, passando sotto a un pesante lampadario e accedendo a una stanza con il pavimento in legno e il soffitto decorato da spesse travi. Era impossibile dare un’età precisa alla taverna a primo colpo d’occhio. Il legno era vecchio e scuro, e c’era un ampio caminetto. L’intero ambiente sembrava piuttosto vissuto.

Un paio di persone che sembravano clienti abituali stavano giocando a freccette in un angolo. Uno degli uomini si voltò e fissò Mia. Era il tizio che aveva visto alla casa dei sette abbaini? Mia notò il barista, un orso d’uomo che stava pulendo bicchieri e seguendo con sguardo accigliato la partita a freccette.

Una mano scattò in aria e fece loro cenno di avvicinarsi.

“Ragazze, eccovi qua. Sono Graham.”

Graham Stone si alzò in piedi e sorrise, le braccia aperte. Indossava una camicia colorata praticamente sbottonata fino all’ombelico e una giacca viola. Al collo portava una grossa catena dorata in stile rapper. I capelli erano tagliati alla moda e tenuti dritti con il gel. Considerato il periodo dell’anno, la sua pelle mostrava uno strano colorito aranciato.

Aveva carisma, questo era certo. Ma a Mia dava l’impressione di un venditore di auto usate che stava per venderle un limone. Non era sicura di potersi fidare di lui.

“Lasciate che vi presenti gli altri, qui attorno al tavolo,” disse. “Questo è il mio socio Ollie Cooper, l’uomo dei soldi. Qualsiasi dettaglio del contratto, chiedete a lui.”

“Ho sentito parlare così tanto di te, Mia,” disse Ollie. Era vestito in modo piuttosto conservatore, con una penna d’argento infilata nel taschino. Lui e Graham costituivano un’accoppiata piuttosto improbabile. Mia si rilassò immediatamente quando lo vide. Aveva un’espressione indifesa e un sorriso caloroso. Il fatto che avesse sistemato le cose anche per Tandy già glielo aveva reso simpatico.

“Grazie per preparato tutto anche per il mio cane,” disse Mia con un sorriso.

“Figurati. Vogliamo che tu e…”

“Tandy,” gli disse Mia.

“Sì. Vogliamo che tu e Tandy vi sentiate a casa vostra.” Ollie sorrise. Mia si chiese se conoscesse Vic Tandy.

“Ho già avuto il piacere di conoscere Sylvie,” disse. “Posso offrire a tutte e due qualcosa da bere?” Chiamò la cameriera, mentre Graham continuava con le presentazioni.

“Questo è Jake Lowry, il miglior microfonista sul campo. Sa anche manovrare piuttosto bene una cinepresa. Sarà con noi ogni volta che usciamo dallo studio.”

Jake si alzò in piedi, mostrandosi molto più alto di Graham.

“Piacere di conoscerti,” disse, allungando un braccio tozzo e ricoperto di tatuaggi variopinti. La stretta della sua mano praticamente fagocitò quella di Mia. Si sentì un po’ sorpresa dalla sua stazza, ma la sua stretta di mano era morbida, come se fosse consapevole della sua forza e facesse del proprio meglio per essere delicato.

“Dov’è il segretario?” chiese Graham sbuffando. “Quel diavolo d’un ragazzo. Doveva arrivare presto.”

La porta si spalancò di colpo e Mia fu sorpresa di vedere Will. Il ragazzino corse verso il gruppo, portando una pila di carte. Era senza fiato e lasciò cadere tutto sul tavolo.

“Scusi, signor Stone. Ho dovuto chiudere la cassa prima di andare alla fotocopisteria.” Si lasciò cadere soddisfatto su una sedia, chiaramente emozionato di essere parte dell’organizzazione dello show.

“Ora ci resta solo una persona, e come al solito è in ritardo.”

Mia si chinò verso Sylvie.

“Di chi parla?” sussurrò.

“Il tuo co-presentatore, Johnny Astor,” le rispose. “È proprio un personaggio.”

“Il mio co-presentatore?” disse Mia sorpresa. Sapeva che avere due presentatori era un format piuttosto popolare nei podcast, ma Graham le aveva fatto capire di essere l’unica. “Cosa intendi con un personaggio?”

“Vedrai.”

“Non possiamo aspettare la primadonna,” disse Graham, quindi fece un cenno a Will che gli porse i copioni.

Eccolo lì, proprio sulla copertina: Libro, campanella e candela con Johnny Astor e Mia Bold. Mia si chiese se l’ordine dei loro nomi dicesse niente sul loro status o fosse semplicemente alfabetico.

“Benvenuti allo show. Ormai sapete tutti che mi sono occupato di Ghosted. Ma sapete anche che ho studiato per diventare ingegnere meccanico? È così. Mi annoiavo, quindi mi sono messo a trafficare con gli effetti speciali. Sapete qual è il peccato cardinale dell’intrattenimento? La gente noiosa. Quello che ho imparato dagli effetti è questo: spaventato è l’opposto di annoiato. La gente adora essere spaventata.” Fece una pausa e si guardò attorno, fissandoli uno per uno, permettendo alla sua rivelazione di fare presa nelle loro menti. “Ebbene, siamo uno show serio,” continuò. “Esploreremo i fatti che si trovano dietro ai fenomeni, certo. Cavolo, abbiamo una scettica scientifica proprio qui, pronta a fregarci se dovessimo sgarrare. Ma intendiamo anche costruire tensione. Intendiamo terrorizzare la gente, e il nostro regno del terrore inizia domani sera, proprio qui, con il caso della Locanda del Gatto Nero.”

Domani sera? Come avrebbe potuto andare a regime – analisi del caso, ricerca di spiegazioni alternative – con un solo giorno di preavviso?

“Ma non ho avuto il tempo per indagare,” disse Mia.

“Ti ho prenotato il locale tutto per te domani pomeriggio,” disse Ollie.

In quella la porta si aprì di scatto e fece il suo ingresso un uomo che Mia ipotizzò essere Johnny Astor. Era alto e magro, vestito con jeans neri e una maglietta anch’essa nera. Pure i capelli erano neri, chiaramente tinti. Mentre si avvicinava al tavolo, sorrise con abbagliante senso di autostima.

“Scusate il ritardo,” disse, sedendosi su uno sgabello. “Spero di non essermi perso niente.”

“Graham ci sta spiegando il peccato cardinale,” disse Ollie.

“La gente noiosa?” chiese Johnny, guardando Mia dritta negli occhi. Le tese una mano. “Quindi tu sei Mia Bold. Ho ascoltato The Vortex, o comunque il primo episodio.”

Mia arrossì. Il primo episodio? La stava insultando?

Johnny si chinò in avanti e la fissò negli occhi. Aveva iridi verdi e luccicanti, come un prato erboso che brilla dopo la pioggia.

“Senti, senza offesa, ma il tuo show era un po’… asciutto. Cos’è che hai detto dell’Hotel Stanley in Colorado? Quello su cui Stephen King ha modellato The Shining? Ah sì, mi ricordo. Hai attribuito il fenomeno a delle ‘radiazioni naturali provenienti da formazioni rocciose che portavano a picchi dell’energia magnetica sui terreni’ e i gemiti che gli ospiti sentivano erano ‘versi di alci che si chiamavano durante la notte’? Ho dovuto praticamente fare il contorsionista per seguire il tuo discorso. Voce fantastica, comunque.” Le sorrise di nuovo, come un fascio di luce capace di distogliere l’attenzione dalle sue parole ingiuriose.

Mia non poteva credere a quanto fosse altezzoso quell’uomo. La gente gli permetteva sempre di passarla liscia con quel suo comportamento?

“Tu da cosa pensi siano stati causati i fenomeni allo Stanley?” gli chiese sbuffando. “Hai una teoria sulle apparizioni? Il piano? Le voci disincarnate dei bambini?”

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