Terre spettrali - Софи Лав 5 стр.


“Beh, sì, il resto della mia famiglia è eccentrico tanto quanto la zia June.”

“Considerata quest'informazione, suppongo che abbia senso che il suo nome appaia diverse volte nel testamento.”

“Davvero?” Non ci aveva mai neppure pensato.

“Sì, proprio così,” disse Carey. Sorrise di proposito e lanciò uno sguardo ai documenti. “Difatti, le ha lasciato qualcosa di molto speciale.”

CAPITOLO CINQUE

“Speciale?” ripeté Marie.

Carey sorrise e annuì, poi le passò un plico di documenti. Lei lo esaminò, ma era tutto scritto in un linguaggio astruso; avrebbe potuto essere scritto in greco antico, ci avrebbe capito uguale.

“Di cosa si tratta?” chiese.

“È un capitolo ben preciso del suo testamento.” Scorse rapidamente tre paragrafi poi indicò con un dito una riga in particolare. Lesse ad alta voce, mentre Marie lo ascoltava.

“E a mia nipote, lascio anche in eredità la mia casa situata al 101 di Crabapple Road. Ciò comprende i quattro ettari di terra circostanti e il tratto di lungomare.”

Marie si sentì sempre più frastornata. Sicuramente aveva frainteso. O forse era una burla. Forse la zia June voleva farle un ultimo scherzetto, qualcosa però di molto più serio di un gatto potenzialmente radioattivo.

Eppure, si ritrovò a doversi aggrappare stretta al bordo della panchina per rimanere ancorata alla realtà.

“È sicuro?” chiese. “L'ultima volta che le ho parlato, si era convinta a donarla a qualche organizzazione.”

“Oh sì, lo so. All'inizio la casa doveva andare a un'organizzazione marittima. Aveva dei piani grandiosi per affidarla a un gruppo locale di preservazione marittima e trasformarla in un museo sui naufragi.”

“Sembra proprio un'idea da June,” commentò Marie.

“Beh, sì, era così fino a due settimane fa. June mi ha chiamato in ufficio e mi ha chiesto di fare alcune modifiche al testamento. Una sola riga, a dire il vero. Quella in cui lascia a lei la proprietà della casa.”

“Lei è… lei è sicuro?”

Carey sorrise. “Sì. È tutto qui nel testamento, nero su bianco. June le ha lasciato il suo maniero in eredità, Marie.”

Marie iniziò a ridacchiare, ma rapidamente la risata si tramutò in un pianto silenzioso. Le implicazioni infinite di questa cosa iniziarono ad affollarle la testa, eppure non riusciva a trovare un senso a nessuna di esse. Era come un grosso cumulo di foglie secche appena rastrellate, che aspettava solo che lei ci saltasse dentro.

“Dov'è l'inghippo?” chiese.

“Beh, la casa è infestata. Non lo sa?”

Marie lo fissò con la bocca spalancata.

Carey rise della sua battuta, scuotendo la testa. “Sto solo scherzando. Ma sono sicuro che lei è al corrente delle dicerie.”

“Le ho sentite tutte, mi sa.”

“Ad ogni modo, no… non c'è nessun inghippo. È sua. Ci sono un po' di carte da firmare e depositare, ma è solo la prassi.” Si fermò un momento e aggiunse: “Tutto bene?”

“Sì,” disse Marie, fissando i documenti.

Voleva piangere. Voleva urlare. Voleva esplodere in una danza di gioia lì stesso, nel parcheggio. Ma probabilmente non sarebbe stato un comportamento appropriato a una veglia funebre.

Non può essere vero, non mi sta capitando davvero, pensò.

“Sarebbe strano se le chiedessi di darmi un pizzicotto?” chiese Marie.

“Un po', suppongo. Ma posso farlo se vuole.”

“Non fa niente. Quindi… posso andare alla casa e… dare un'occhiata?”

“Certo. Ma, prima di tutto, c'è anche questa…”

Carey frugò nuovamente nella valigetta e tirò fuori una busta. C'era scritto il nome di Marie, chiaro e tondo, proprio al centro. Marie la aprì lentamente, le mani tremanti.

La busta conteneva un solo foglio di carta, piegato in tre. Quando Marie lo aprì, scoprì che si trattava di una breve lettera manoscritta. Nel vedere la grafia che pendeva nettamente verso sinistra, si immaginò facilmente June mentre la scriveva. La lettera riportava:


Marie,

Se stai leggendo, vuol dire che sono morta. Mi dispiace. Mi spiace anche di doverti mollare la baracca. Ma ho pensato che starebbe meglio tra le tue mani che in quelle di un mucchio di politicanti e presuntuosi appassionati di storia. Abbi cura del posto, e stai attenta a quei gatti mutanti radioattivi! Ce ne sono molti in primavera. Oh, dimenticavo, come se già la casa non fosse in sé e per sé una sorpresa… c'è anche un'altra sorpresa che ti aspetta e che apprezzerai!

Con tanto amore,

June

Un'altra sorpresa? Marie non sapeva se il suo cuore poteva reggere altre sorprese. Già faceva fatica ad accettare che la casa per la quale aveva avuto un tempo una piccola ossessione ora era sua. Se le sorprese continuavano ad accumularsi, il suo cuore avrebbe potuto esplodere, pensò.

Ah, forse è a questo che somiglia, essere felici da adulti.

“Quindi, posso andare a dare un'occhiata?” chiese. Ancora una volta, si aspettava uno scherzetto dell'ultimo minuto. Sarebbe stato appropriato, in qualche modo, data la personalità di June.

“Certo,” la rassicurò Carey. Infilò nuovamente la mano nella valigetta e ne trasse un'altra busta, questa volta molto più piccola della prima, e la consegnò a Marie. Quando Marie la aprì, vi trovò due chiavi.

Marie se le fece scivolare in mano. Tintinnarono insieme melodiosamente. Le fissò per un attimo, iniziando a realizzare cosa stava davvero succedendo.

“È tutto okay,” disse Carey, forse comprendendo finalmente la sua confusione. “Può andare. Vada pure a visitare la sua nuova proprietà.”

CAPITOLO SEI

Quando venti minuti dopo guidò l'auto sul tortuoso vialetto di Crabapple Road, Marie fu sopraffatta dalla sensazione di entrare in una proprietà privata. Stava guidando verso la casa con intenzione, adesso, e non solo con desiderio ed eccitazione.

Ora sì che pensi come una ragazza grande.

Quasi scoppiò a ridere quando le venne in mente quella frase. Gliela diceva suo padre ogni volta che lei iniziava a interrogarlo su qualcosa, o metteva in dubbio qualcosa che aveva imparato a scuola. Marie era stata il tipo di scolaretta che, in prima elementare, aveva osservato che forse Cristoforo Colombo non era poi quel grande eroe che si diceva, ma solo un bullo che era andato a prendersi roba che non era sua.

Era un tratto di personalità che l'aveva accompagnata per il resto della vita, ma erano molti anni che non pensava più a quella frase.

Quando parcheggiò davanti alla casa, rimase in piedi accanto all'auto per un momento, a osservarla. Le persiane grigie davano un'impressione di calma e relax. Il vecchio dondolo nel portico, che avrebbe dovuto essere spedito in pensione già da tempo, sembrava più solido che mai. Piccole aiuole bordeggiavano il portico, piene di lillà, bouganville e belle di giorno appassite. Stranamente, i fiori non sembravano affatto vivacizzare la facciata della casa, ma contribuivano a quella calma calorosa e accogliente che emanavano i toni grigi delle persiane e del portone.

Marie sorrise. Era appropriato che zia June possedesse una casa che generava opinioni contrastanti. Per alcuni poteva essere invitante e calorosa, per altri invece inquietante e un po' sinistra.

Marie fece un respiro profondo e iniziò ad avanzare. Non aveva paura; nonostante le dicerie, non avrebbe mai potuto provare nulla di anche solo somigliante alla paura, quando veniva in questa casa. La zia June aveva vissuto qui ed era qui che erano racchiusi così tanti cari ricordi d'infanzia. Quindi non aveva paura, si sentiva solo un po' tesa.

Sorrise, assaporando il groviglio di emozioni e la gita lungo il viale dei ricordi che stava ormai per riportarla al punto di partenza, chiudendo così il cerchio. Fece un passo sul portico e, adoperando una delle chiavi che Carey le aveva dato, aprì la porta. Si aprì facilmente, come se la stesse aspettando da sempre.

Nel guardare l'interno della casa per la prima volta in vent'anni, Marie si chiese se avesse sempre avuto un'aria così sinistra. Inquietante era una parola un po' troppo forte, ma non ci andava troppo lontano. Le fece pensare più a Ghostbusters che a Scooby Doo.

June aveva davvero calcato la mano sull'aspetto dark. I pavimenti in parquet erano piuttosto scuri, coperti in larga parte da splendidi tappeti dai motivi grigi e neri. Il lampadario che Marie si ricordava dall'infanzia pendeva dall'alto soffitto dell'ingresso. Anche quello era bellissimo ma aveva un fascino un po' spettrale. Era il tipo di luogo in cui immaginava che Edgar Allan Poe potesse essersi rintanato a scrivere di cuori murati ancora pulsanti e corvi che tormentavano persone. Ma solo se Poe fosse stato, in fondo, un buontempone. Se mai ci fossero stati spettri a infestare questo posto, di certo non erano del tipo da far tintinnare spaventosamente catene, ma più probabilmente sarebbero stati dei giocolieri oppure avrebbero soffiato costantemente in una di quelle trombette con l'estremità fatta di carta che si allunga.

Marie avanzò verso il fondo dell'ingresso e guardò alla sua sinistra. Sapeva cosa la aspettava lì: il salotto in cui June e sua madre avevano passato così tempo sedute insieme. Marie stessa aveva passato un sacco di tempo lì, a riempire album da colorare e a fingere di leggere vecchi libri di Nancy Drew mentre ascoltava June e sua madre scambiarsi pettegolezzi sui vicini.

Entrò in salotto. Era ordinato e buio. L'unica luce che illuminava la stanza filtrava dallo spazio lasciato da una grossa tenda aperta al centro della finestra. Gli scaffali erano gli stessi, pieni zeppi di vecchi tascabili che spaziavano dalla poesia di William Blake ai romanzi di Danielle Steel. La maggior parte della mobilia però era nuova. C'era una poltrona grandiosa che sembrava quasi un trono in miniatura, con accanto un piccolo tavolino da lettura. C'erano delle piccole macchie concentriche di umido sul tavolo, alcune perfettamente corrispondenti alla base di un calice di vino.

Marie assorbì l'atmosfera della stanza e sentì un'ondata di emozione che stentava ad arginare.

Devo uscire da qui, pensò. Il funerale e la veglia sono stati già abbastanza duri: non ha senso stare impalata a farmi aggredire dalle emozioni anche qui.

Uscì dal salotto attraversando l'ampio passaggio ad arco sul retro della stanza. Da lì arrivò in sala da pranzo, dove troneggiava un grande tavolo che poteva ospitare dodici persone. All'altro capo della sala spiccava una grande vetrinetta contenente un insieme di piatti, tazze e bicchieri non proprio ben assortiti.

Marie fece il giro del resto della casa nello stesso stile. C'erano due bagni, uno dei quali, accanto alla camera da letto padronale, era grande la metà del suo appartamento di Providence. Salì al piano di sopra, facendo scivolare la mano sulla ringhiera che aveva toccato innumerevoli volte da ragazza. C'erano altre tre camere da letto al piano superiore, una delle quali era stata trasformata in una specie di ufficio di cui Marie stentava a trovare il senso. C'era una vecchia macchina da scrivere su una splendida scrivania, con un foglio di carta dentro e una piccola risma giusto accanto. Tutti i fogli erano bianchi, e Marie si chiese se June avesse accarezzato l'idea di scrivere un libro. Di certo l'entusiasmo e lo spirito per intraprendere un'impresa del genere non le mancavano.

Beh, era meglio dire non le erano mancati. Ora lei non c'era più. E stare lì in piedi in quella casa vasta e vuota rendeva quel dato di fatto ancora più evidente.

Povera casa. Come June, era unica nel suo genere. E ora sarebbe stata costretta a venderla, un colpo che avrebbe potuto essere davvero enorme per lei. Si chiese quanto avrebbe potuto ricavarci; era piuttosto vecchia ma aveva il suo fascino particolare. Inoltre, era proprio sulla spiaggia. Poteva valere una somma di denaro tale da cambiarle la vita.

Allo stesso tempo, Marie detestava l'idea che la casa passasse nelle mani di una famiglia qualsiasi. La sua storia e le sue storie sarebbero state seppellite insieme a June.

Se solo… e se…?

“Oh, non ci provare,” disse a sé stessa.

Un pensiero prendeva forma in fondo alla sua mente, un'idea che aveva paura di affrontare a viso aperto.

Ora sì che pensi come una ragazza grande…

“Non sai nemmeno quanto, papà.”

Marie si trovava al secondo piano, nel corridoio che conduceva nuovamente alle scale. Sulla parete proprio davanti alle scale c'era una finestra semi-panoramica. Guardò fuori e vide l'oceano che scintillava nel sole pomeridiano. La lingua dorata di spiaggia le sembrava proprio un lungo tappeto di benvenuto. Immaginò che alcuni avrebbero potuto trovarlo in contrasto con la struttura e il design della casa, ma… beh, c'era qualcosa di incantevole nella composizione di quel tutto, no?

Forse era proprio ciò che avrebbe potuto rendere davvero unico un bed-and-breakfast.

Eccolo lì: il pensiero che le ticchettava nella testa ora era stato pienamente formulato.

Continuò a esplorare la casa, arrivando alla stanza degli ospiti in cui aveva passato molte notti da bambina. La disposizione della camera non era cambiata, anche se le frivole lenzuola rosa erano state sostituite da altre più semplici, beige. Anche il comodino era lo stesso, e così la piccola libreria e la foto di tre bambine che costruivano un castello di sabbia su un tratto burrascoso di spiaggia.

Camminò verso il letto e si sedette. Con un sorrisetto in viso, aprì il cassetto del comodino.

Le si fermò il cuore per un attimo quando vide che cosa conteneva. Per un momento, aveva di nuovo dieci anni. Infilò la mano nel cassetto e tirò fuori l'unico oggetto che vi era riposto.

Era una piccola bambola con cui giocava quando veniva in visita. Ce n'erano state molte, ma questa era la sua preferita. Era un'imitazione di una Barbie, ma bambina. Dato che Barbie aveva Skipper, l'aveva nominata Dipper.

Tenne Dipper tra le mani, sentendo gli occhi colmarsi di lacrime. Indossava la gonnellina pacchiana che Marie le aveva messo addosso trent'anni prima. Il tempo e l'abbandono l'avevano fatta un po' sbiadire, così come i capelli castani di Dipper, ma aveva lo stesso aspetto di un tempo.

Che strana cosa. Che possibilità c'erano che June avesse conservato qui questa bambola per tutto questo tempo?

Forse era quella la sorpresa a cui June aveva accennato nella lettera. Se era così, era una sorpresa un po' stramba, ma del resto la zia era sempre stata una signora stramba, quindi…

Marie non era sicura, però. Non le sembrava che June fosse mai stata un tipo sentimentale. Eppure, Dipper era proprio lì, come se avesse aspettato che la sua proprietaria un giorno ritornasse.

Era quasi come se Dipper stesse cercando di comunicarle qualcosa.

Guardò la bambola dritto negli occhi e stavolta disse ad alta voce. “Un posto del genere sarebbe davvero un bel bed-and-breakfast, vero?”

Quel pensiero le fece battere più forte il cuore. Ma a incombere c'era la realtà. Ci sarebbe voluto denaro, e tempo. Di certo sarebbe stato necessario più di quanto aveva al momento nel conto corrente.

D'altro canto, quanti lavori doveva davvero fare? Certo, alcuni punti erano più dark che vittoriani o gotici nel senso tradizionale, ma era davvero un male? I mobili erano affascinanti, c'era un sacco di spazio e il salotto al piano terra già da solo aveva un fascino incredibile.

Sì, era un'idea seducente. Il suo sogno, servitole su un piatto d'argento dalla prozia defunta, era lì davanti ai suoi occhi.

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