L’alibi Perfetto - Блейк Пирс 2 стр.


Non aveva molta scelta. Quindi si tirò più avanti con gli avambracci e spinse forte i piedi contro la gabbia. Quella scivolò indietro e lei cadde, il busto e le anche che sbattevano contro il davanzale e le schegge affilate come rasoi che si erano raccolte lì.

Per fortuna la maggior parte del suo peso era atterrato sulla sua spalla destra e in seconda battuta sulla schiena. Ignorando il dolore alle ossa, Caroline si mise in piedi e si allontanò barcollando dall’edificio, cercando qualsiasi cosa che potesse somigliare a una strada.

Dopo diversi minuti di ricerca, ne trovò una per sbaglio quando i suoi piedi nudi passarono dall’erba a terra e ghiaia. Abbassò lo sguardo, quasi incapace di distinguere la differenza di colore tra le due superfici. Fece comunque del proprio meglio per seguire la strada, usando come guida più i piedi che gli occhi e tentando di non permettere al panico di avere il sopravvento su di lei.

Mentre svoltava un angolo ai piedi della collina, si chiese dove l’uomo avesse potuto portarla, dato che non riusciva a vedere le luci di nessuna cittadina. E poi tutt’a un tratto le vide. Quando ebbe fatto il giro della collina, le ammiccanti luci del centro di Los Angeles la salutarono come un enorme faro che le offriva conforto, ma la metteva anche in guardia.

Caroline fece un passo in avanti, ipnotizzata da quella vista. Lei viveva a West Hollywood, dove non faceva quasi mai buio, anche se raramente se n’era resa conto. Ora l’improvvisa comparsa della città la faceva sentire come se si fosse trovata nel mezzo di un deserto, da dove avesse appena avvistato un’oasi. Fece un altro passo, lasciando la terra e sentendo ancora l’erba umida sotto ai piedi.

Ma tutt’a un tratto sentì che perdeva la presa sul terreno. Si rese conto troppo tardi che aveva messo il piede sul bordo di un altro versante della collina e che il terreno le stava franando sotto. Ruotò su se stessa allungando le braccia e tentando di afferrare una radice o un ramo. Ma con la fune ai polsi le fu impossibile.

Improvvisamente si trovò a precipitare, rotolando e rimbalzando contro rocce e alberi. Cercò di chiudersi a palla, ma era difficile farlo. A un certo punto la sua gamba destra sbatté contro un albero, piegandosi in maniera molto dolorosa.

Caroline non aveva idea di quanto continuò a cadere, ma quando alla fine si fermò, solo il dolore lancinante le assicurò che era ancora viva. Aprì gli occhi, rendendosi conto di averli tenuti ben chiusi per tutto il tempo della discesa.

Le ci vollero diversi secondi per orientarsi. Era sdraiata di schiena, rivolta verso la cima della collina. Da quanto vedeva, aveva di certo fatto un volo di almeno venti metri lungo un versante ricoperto di rocce, cespugli e alberi secchi. Piegò la testa di lato e vide una cosa che, nonostante tutto il dolore che provava, la riempì di gioia: dei fanali.

Si sforzò di ruotare a pancia in giù. Sapeva di non poter appoggiare alcun peso sulla gamba destra, figurarsi alzarsi in piedi. Quindi strisciò, piantando le unghie nella terra prima, e poi spingendosi con la gamba sinistra, ancora operativa. Riuscì a trascinare il proprio corpo per metà sulla strada, dove rotolò in posizione supina e agitò disperatamente le braccia legate sopra alla testa.

I fanali smisero di avanzare e lei sentì un motore spegnarsi. Quando qualcuno smontò dal veicolo e Caroline vide gli stivali che avanzavano verso di lei, ebbe un improvviso quanto orribile pensiero.

E se fosse l’uomo che mi aveva preso?

Un attimo dopo le sue paure svanirono, quando vide la persona inginocchiarsi accanto a lei e si accorse che era una donna con indosso quella che sembrava un’uniforme da guardia forestale.

“Ma che diavolo…?” disse la donna, prima di tirare fuori una radio e parlare con voce carica di urgenza. “Centrale uno, parla il Ranger Kelso. Ho una situazione di emergenza sulla Vista Del Valley Drive, quadrante sei. C’è una donna ferita sdraiata a bordo strada. Ha una brutta frattura alla gamba destra e i polsi legati. Chiamate il nove-uno-uno. Penso sia stata rapita, proprio come le altre.”

CAPITOLO DUE

“Perché sento puzza di bruciato?”

Hannah pose la domanda con voce calma, ma Jessie poté comunque percepire il suo tono d’accusa. C’era solo un motivo per cui qualcosa stesse potenzialmente bruciando: perché Jessie ci stava provando un’altra volta, e di nuovo stava fallendo miseramente.

Scattò via dal tavolo della cucina dove stavano giocando a Trivial Pursuit e andò di corsa al forno, aprendolo e scoprendo che i suoi scone di lampone e arancia avevano un aspetto decisamente nerastro e bruciacchiato. Si infilò frettolosamente un guanto da cucina e li tirò fuori, posandoli senza tanti complimenti sopra ai fornelli. Dal paninetto più annerito si levavano piccoli rivoli di fumo.

Jessie sentì Ryan che rideva dal tavolo. Hannah aveva un’espressione delusa in volto, come se fosse lei la tutor ufficiale che tentava con tutte le forze di trattenersi dal rimproverare la problematica ragazza che aveva in carico. Ovviamente le cose generalmente erano l’esatto opposto, quindi l’espressione di Hannah rivelava anche un pizzico di soddisfazione.

“Non girare il dito nella piaga,” disse Jessie sulla difensiva.

“Non lo farei mai,” rispose la ragazza con finto tono d’offesa.

“Magari potremmo usarli come dischetti per una partita a hockey,” propose Ryan.

“Oppure sassi da tirare?” suggerì Hannah con eccessivo entusiasmo.

Jessie cercò di non sentirsi troppo irritata per le innocenti punzecchiate della sorellastra. Abbassò lo sguardo sui resti fumanti del suo tentativo culinario e sospirò.

“Immagino che dovremo tirare fuori dal congelatore l’ultima scorta di quelli che avevi preparato tu,” disse rassegnata.

“Fai pure,” disse Hannah. “Ma sbrigati. Mi mancano solo due pezzi per vincere questa partita.”

“Dammi un minuto,” disse Jessie, rovistando nel congelatore e trovando il contenitore degli scone. Li infilò nel tostapane e aspettò che si scaldassero, non volendo rischiare di bruciare anche quelli.

“Non capisco,” disse Ryan canzonandola. “Sei la seconda profiler criminale di tutto il sud California, eppure sembri incapace di cucinare qualcosa senza usare il microonde. Com’è possibile?”

“Priorità, Hernandez,” gli rispose. “Qualcosa a metà tra il dare la caccia ai serial killer, l’intrufolarsi nelle politiche del Dipartimento, restare sexy per te…”

“Bleah!” si intromise Hannah.

“E occuparmi di un’adolescente so-tutto-io.”

“Non ho così tanto bisogno che ti occupi di me, se vuoi proprio saperlo,” ribatté Hannah sorridendo.

Jessie insistette.

“Da qualche parte in mezzo a tutto questo, ho dimenticato di prendere lezioni di pasticceria. Vogliate scusarmi.”

“È per questo che il tuo ex-marito ha tentato di ammazzarti?” chiese Hannah, sgranando gli occhi in un’espressione di finta innocenza.

“No,” si intromise Ryan. “Quello era per la sua fesa di manzo. È un crimine contro l’umanità.”

Jessie tentò di non sorridere.

“Non apprezzo particolarmente tutta questa combutta contro di me. E vorrei farvi notare che nessuno, tra coloro che hanno tentato di farmi fuori, ha mai citato la cucina tra i motivi.”

“Volevano essere gentili,” disse Hannah.

Jessie stava per rispondere quando l’allarme del tostapane trillò. Tirò fuori gli scone e li posò su dei piatti, porgendone uno a testa agli altri.  Poi si sedette e diede un morso al suo.

“Mmm,” mormorò sommessamente, incapace di trattenersi.

“Non sono troppo bruciacchiati?” chiese Hannah.

“Vorrei essere sarcastica, ma non posso proprio,” bofonchiò Jessie con la bocca mezza piena. “Come fai a farli così buoni?”

Hannah sorrise, senza mostrare niente del suo innato cinismo. Jessie non poteva fare a meno di notare quando fosse vivace e animata in quei giorni. I suoi occhi verdi, di solito opachi e disinteressati, brillavano. I suoi capelli biondo sabbia sembravano in qualche modo più luminosi. Appariva addirittura più alta, dato che ultimamente camminava a testa alta. Con una statura di un metro e settantanove, era solo un centimetro più bassa di Jessie, ma con questa nuova e migliore postura e la corporatura atletica, poteva sembrare il doppio di sua sorella.

“Il segreto sta tutto in una parola: burro. A dire il vero facciamo tutte e quattro le parole: un sacco di burro.”

Prima che Jessie potesse prenderne un altro morso, il suo telefono suonò. Abbassò lo sguardo e si accorse che era la chiamata che aveva programmato.

Sono già le nove di sera?

Si stava divertendo così tanto che aveva perso il senso del tempo.

“Chi è?” le chiese Ryan.

“È il primo profiler criminale del sud California. Voleva una mia idea su un caso,” mentì. “Datemi quindici minuti.”

“Ok,” disse Hannah, “ma poi saltiamo il tuo turno.”

“Capito,” disse Jessie, portandosi scone e telefono in camera.

Cercò di mantenere il tono allegro. Ma neanche il delizioso impasto di Hannah poteva aiutarla a eliminare il nervosismo che improvvisamente le si era materializzato nello stomaco. Stava per rispondere, quando cambiò idea. Non voleva interrompere questa serata quasi perfetta per discutere di questioni più oscure, quindi decise che non l’avrebbe fatto. Mandò la chiamata alla segreteria e rispose con un messaggio.

Ottima serata con Hannah in corso. Non voglio interromperla. Possiamo parlare domani?

Dopo qualche secondo ricevette la risposta. Poté quasi sentire il tono serio e deciso.

Vediamoci di persona. Sala del personale alla centrale. 7 in punto.

Digitò ‘Ok’ in risposta e lasciò cadere l’argomento. Sapeva che gli piaceva arrivare in ufficio presto, ma non poté fare a meno di pensare che avesse fissato il loro incontro a quell’ora assurda come punizione per quel suo cambio di programma. Però ne valeva la pena, se così facendo poteva passare dell’altro tempo di qualità insieme ad Hannah.

“Ehi,” disse, tornando in salotto. “Ho deciso che farvi il culo era meglio di qualsiasi altro caso. Sarà meglio che non abbiate davvero saltato il mio turno.”

Mentre tornava a prendere il suo posto, Jessie sapeva che stava solo posticipando la discussione su un argomento che la stava ossessionando. Ma una sera in più di giochi non era poi la fine del mondo. Almeno questo fu quello che disse a se stessa. La realtà, in tutto il suo orrore, avrebbe dovuto aspettare l’indomani.

CAPITOLO TRE

Con una ben visibile eccezione, la sala del personale era vuota.

“Grazie per aver trovato il tempo,” disse Jessie quando arrivò alle 6:58 la mattina dopo. Giusto per sicurezza, si chiuse la porta alle spalle.

Sono un uomo impegnato,” disse Garland Moses con tono beffardo, voltandosi a guardarla. Era seduto a un tavolo e stava masticando quella che sembrava una barretta ai cereali. Jessie era tentata di rispondere a tono, smascherando la sua finta irritazione, ma si trattenne.

“Un uomo impegnato che mi sta evitando da un mese,” commentò.

“Avevo un grosso caso a cui lavorare,” protestò lui. “E poi ho avuto quella conferenza a Filadelfia. E poi sono stato in vacanza.”

“Non sparare stupidaggini, Garland. Nella tua ultima sostanziale conversazione con me alla mia festa di compleanno, avevi accennato al fatto che avevi delle preoccupazioni riguardo ad Hannah. E poi ti sei volatilizzato per un mese. Stavo dando di matto.”

Era un’esagerazione, ovviamente. Le cose erano andate effettivamente alla grande con Hannah in quelle ultime quattro settimane. Considerato tutto quello che la sua sorellastra aveva passato nei sei mesi precedenti, il fatto che fosse in grado di godersi una sana serata tra giochi da tavolo e scone era un piccolo miracolo. Ed era il motivo per cui ieri sera non aveva voluti interrompere l’idillio.

“Sai che sono un cittadino di una certa età, vero?” disse. “Non faccio discorsi che includano l’espressione ‘ti sei volatilizzato’.”

“Stai temporeggiando,” disse Jessie.

“No, adesso temporeggio,” disse, alzandosi lentamente in piedi. “Prendiamoci del caffè.”

Fece strada alla macchinetta del caffè. Jessie tentò di ignorare il distributore accanto. Non aveva ancora fatto colazione e sentiva la pancia che brontolava al pensiero di uno snack carico di grassi e conservanti. Mentre Garland camminava, Jessie notò con indossava l’outfit che ormai aveva imparato essere essenzialmente la sua uniforme quotidiana.

Aveva una giacca sportiva grigia dall’aspetto usurato, sopra a un gilet marrone e a una camicia beige. I suoi pantaloni blu erano stropicciati e aveva i mocassini ricoperti di graffi. I capelli bianchi erano spettinati e puntavano in ogni direzione, come se lui stesse tentando di vincere una gara come sosia di Albert Einstein. Il look era completato da un paio di occhiali bifocali appoggiati sul naso.

Ma Jessie aveva imparato che le apparenze potevano ingannare e che il profiler veterano che aveva di fronte coltivava quell’aspetto trasandato perché la gente lo sottovalutasse. Era sempre perfettamente rasato, senza mai il minimo pelo sul mento. I suoi denti bianchi erano immacolati e le unghie pulite e curate in maniera impeccabile. I lacci dei mocassini erano nuovi e ordinatamente legati in un doppio nodo.

Negli aspetti più importanti, lo si poteva considerare al top della forma. Jessie non solo lo rispettava, ma lo apprezzava davvero.

“Ok, signorina Hunt,” iniziò, chiaramente pronto a smetterla di temporeggiare.

“Penso che abbiamo raggiunto il punto in cui puoi chiamarmi Jessie, Garland. Cavolo, io pensò che da un momento all’altro potrei chiamarti nonno!”

“Non farlo, ti prego,” insistette lui. “Ok, Jessie. Non intendevo spaventarti. Ma ho dei pensieri riguardo ad Hannah. Intendo condividerli con te, ammesso che tu li mantenga all’interno del dovuto contesto.”

“Quale contesto?” gli chiese.

“Ricorda: questa è una ragazza di diciassette anni a cui il padre biologico – noto serial killer – ha brutalmente ammazzato i genitori. E davanti ai suoi occhi.”

“Di questo sono perfettamente consapevole, Garland,” gli rispose con impazienza. “Prima di tutto, ero presente. E secondo, quel serial killer era anche mio padre, se ricordi.”

“Sto disegnando un quadro,” disse lui con pazienza. “Posso continuare?”

“Vai avanti,” disse Jessie, decidendo di non interromperlo, dato che stava cercando di parlarci da un mese.

“Allora,” continuò l’anziano profiler, “solo poche settimane dopo è stata rapita da un altro serial killer che voleva convincerla a diventare un’assassina come lui e suo padre. Come parte del programma, l’ha costretta ad assistere all’assassino anche dei genitori adottivi.”

Jessie sentiva l’urgenza di sottolineare che, dato che era stata lei a salvare Hannah in entrambe le circostanze, era perfettamente a conoscenza dei dettagli. Ma ovviamente lui lo sapeva. Stava solo avvalorando i fatti. Quindi, mentre lui parlava, Jessie decise di fissare il proprio riflesso nel vetro del distributore automatico, cercando di appianare la fronte corrugata.

“Giusto,” confermò, mantenendo un tono neutrale.

“E in mezzo a tutto questo, ha scoperto di avere una sorellastra, che ha visto essere torturata e che sembra cercare morte e pericolo per pura natura della sua professione. Sei l’ultima parente che le resta. E ogni volta che ti dà l’arrivederci, sa che potrebbe essere per l’ultima volta.”

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