Il Volto della Follia - Блейк Пирс 2 стр.


Zoe annuì, poi si immobilizzò al tocco del batuffolo di cotone, impregnato di qualcosa di umido, che veniva passato sulle sue palpebre. “Ho portato l’eyeliner,” disse. “Mi dispiace di essermi presentata così, di punto in bianco. Non sapevo a chi altri chiedere una mano.”

“Non preoccuparti,” disse la dottoressa Applewhite; la sua voce era un po’ distante, concentrata. “Ci sono sempre per te, Zoe. Lo sai. Ora passami l’eyeliner.”

Zoe rovistò nella sua borsa e glielo porse, quindi chiuse ancora una volta gli occhi. La mano ferma e sicura della dottoressa Applewhite si mosse nuovamente su entrambe le palpebre, una dopo l’altra, una leggera pressione per realizzare una linea perfetta.

“Ecco fatto,” disse la dottoressa Applewhite, sembrando compiaciuta del lavoro appena portato a termine. “Dai un’occhiata.”

Zoe aprì gli occhi, strizzando gli occhi alle luci intense del bagno per riadattarli. Si alzò e si diresse allo specchio, e rimase senza fiato.

La dottoressa Applewhite aveva usato il pennello nero in modo magistrale, disegnandole una linea sottile ed elegante che seguiva la curva delle palpebre, e poi realizzando una piccola coda ai margini. L’eyeliner esaltava l’oscurità dei suoi occhi marroni, contrastando i riflessi più chiari delle iridi. Zoe non si era mai vista così prima d’ora. Aveva un aspetto esotico. Femminile.

“Soddisfatta?” domandò la dottoressa Applewhite. “Posso fare qualcos’altro, se preferisci.”

Zoe annuì, mordendosi il labbro. “Soddisfatta,” disse.

“Deve trattarsi di una serata davvero speciale,” disse la dottoressa Applewhite, sedendosi sulla tavoletta abbassata del wc.

Zoe riprese la sua posizione sul bordo della vasca, sedendosi come un’adolescente. “Farò un’uscita a quattro con John, Shelley e suo marito,” spiegò. “Volevo impegnarmi.”

“Beh, sei davvero bellissima,” disse la dottoressa Applewhite, indicando il vestito color rosso intenso che Zoe aveva scelto. “Non ti ho mai vista indossare qualcosa del genere.”

Zoe abbassò lo sguardo. All’inizio si era sentita a disagio per il modo in cui il vestito scendeva sul décolleté, per come aderiva ai suoi fianchi e per lo spacco nel tessuto che correva lungo la parte inferiore della coscia. Si era sentita persino più a disagio a indossare quelle scarpe, sebbene il tacco fosse poco più alto di un paio di centimetri. Era tutto nuovo per lei. “Volevo mostrargli di poter essere …” Cercò la parola giusta. “Femminile.”

La dottoressa Applewhite si sporse in avanti e prese la mano di Zoe tra le sue. “Lui lo sa già. John è rimasto al tuo fianco per tutto questo tempo. Non devi cambiare per lui.”

“Lo so.” Zoe esitò, cercando di riassumere la sensazione. “È più di … Lo voglio.”

La dottoressa Applewhite sorrise, un sorriso profondo e genuino che sembrava provenire dai suoi occhi e raggiungere le labbra. “Le cose stanno diventando serie con lui.”

Non era una domanda, ma Zoe si sentì comunque in dovere di risponderle. “Forse. Stasera …” Zoe fece un respiro profondo. Era quella la cosa che la stava facendo sentire davvero ansiosa e agitata, la cosa che l’aveva spinta a impegnarsi maggiormente per avere un bell’aspetto. “Stasera voglio parlare con lui. Parlare sul serio. Del nostro futuro e della direzione che sta prendendo la nostra relazione.”

Gli occhi della dottoressa Applewhite, adornati di rughe di una vita fatta di sorrisi frequenti, stavano brillando per la commozione. Ultimamente sembrava che stesse succedendo spesso alle persone che la circondavano. Zoe si domandò se la stagione dell’influenza non stesse iniziando in anticipo. “Cosa speri che ti dica?”

Zoe abbassò lo sguardo sulle proprie unghie mangiucchiate. Aveva provato a mettere dello smalto quella mattina, ma non aveva funzionato. Alla fine, lo aveva rimosso tutto e aveva deciso di concentrarsi esclusivamente sul proprio viso. “Non lo so,” ammise. “Le cose stanno andando bene tra di noi, ma presto o tardi dovranno evolversi o interrompersi. Io sono …”

La dottoressa Applewhite la interruppe, completando la frase al posto suo. “Preoccupata?”

Zoe inclinò la testa. “Un po’.”

“E cosa mi dici dei numeri?” Domandò la dottoressa Applewhite, andando dritta al nocciolo del problema, come faceva sempre. “Lo sa?”

“No,” Zoe sospirò. Poteva contare le persone che conoscevano il suo segreto, la sua capacità di vedere i numeri dappertutto e in qualsiasi cosa, sulle dita di una sola mano. Shelley, la dottoressa Monk, la dottoressa Applewhite e il suo medico. Quelli che dovevano saperlo, e chi l’aveva scoperto da sé.

“Credi di poterglielo dire?” domandò delicatamente la dottoressa Applewhite.

Zoe voltò le mani, studiando le linee sui palmi. Sapeva che alcune persone credevano di poter leggere il destino nella lunghezza e nell’angolazione di quelle linee. Era il genere di pensiero che le avrebbe potuto creare dipendenza, se soltanto avesse creduto in qualcosa del genere. “Forse,” rispose, percorrendo la linea che sapeva collegata all’amore. “Dipende da questa sera.”

La dottoressa Applewhite si alzò improvvisamente, iniziando ad affaccendarsi. Nascose il suo viso da Zoe, concentrandosi sull’armadietto del bagno. “Spero vada bene,” disse; la sua voce era stranamente tesa. “Lo spero davvero.”

“Grazie,” disse Zoe. “Insomma, per tutto.”

Con sua grande sorpresa, la dottoressa Applewhite le girò attorno e la avvolse in un abbraccio, una stretta leggera attorno alle sue spalle. Quando la lasciò andare, Zoe vide che la sua mentore si stava tamponando gli occhi. “Non so perché stai perdendo tempo con una vecchietta come me,” disse, spingendola verso la porta. “Hai un appuntamento importante che ti aspetta. Vai, ora. Vai e divertiti.”

Intimamente, Zoe si domandò se quella serata sarebbe stata divertente. Molte cose dipendevano dal risultato della sua conversazione con John, e c’era anche la possibilità di fare una migliore impressione al marito di Shelley rispetto all’ultima volta che si erano incontrati.

Non appena uscì in strada, dirigendosi verso la sua auto, Zoe sentì una pressione sulle spalle, che si univa al nervosismo che permeava ogni fibra del suo corpo, fino a quando non le venne quasi in mente il pensiero di tornare dritta a casa.

Ma quando si sedette al volante, raddrizzò un’ultima volta le spalle e guardò fisso davanti a sé. Avrebbe partecipato a quella serata, a qualunque costo.

Era troppo importante per ripensarci adesso.

CAPITOLO DUE

Lorna si riparò gli occhi dal sole di fine Agosto, guardando il panorama dal crinale. All’orizzonte sorgevano pale eoliche, bianche e altissime sui campi verdi, cespugli affioranti, avvallamenti e specchi d’acqua che riflettevano il cielo azzurro. Ben presto, la vegetazione avrebbe iniziato ad assumere i toni dell’arancione o del marrone, ma per il momento era ancora brillante e piena di vita. Una tavolozza di verdi e bianchi. Colori perfetti per un’escursione in giornata.

Lorna si voltò a guardare la strada dalla quale era arrivata, gli edifici della città alle sue spalle. Era ancora abbastanza vicina da poterne distinguere alcuni: una chiesa, un centro sociale, la biblioteca accanto a un lembo di terra che era uno dei parchi. La sua casa. Aveva sempre vissuto in questa cittadina del Nebraska, ma con tutte le escursioni e tutte le comodità a portata di mano, non aveva mai pensato di trasferirsi altrove.

Rivolse nuovamente lo sguardo al sentiero davanti a sé e ricominciò a camminare. Nella sua mente, stava tracciando il percorso per il resto della giornata: sarebbe scesa lungo questo crinale e avrebbe oltrepassato quello successivo, superando la base della prima pala – che per uno strano scherzo della prospettiva era sempre più imponente del previsto – per poi proseguire. Si sarebbe fermata soltanto dopo aver raggiunto uno dei suoi punti preferiti: un lago che, a guardarlo bene, aveva quasi la forma di un cuore. Avrebbe sostato lì per un po’, dopodiché avrebbe imboccato una stradina circolare che l’avrebbe ricondotta verso la città e la sua auto, prima di fare ritorno a casa, in tempo per l’ora di cena.

Stava pensando di fermarsi al negozio di alimentari lungo la strada per acquistare qualcosa di già pronto in modo da non dover cucinare. Non era una cattiva idea. Una ricompensa per la fatica della giornata.

Fece i salti di gioia mentre percorreva l’adorato percorso, seguendo i passi di molte altre persone nonché la sua stessa ombra, proiettata davanti a sé su questa stradina che aveva battuto centinaia di volte. Era fortunata a vivere nelle vicinanze di questa serie di piste, che offrivano così tanta bellezza e varietà. Non doveva guidare per dirigersi nel mezzo del nulla come erano costrette a fare altre persone. La sicurezza di casa era sempre alle sue spalle.

Lorna respirò profondamente quell’aria fresca mentre saliva su un altro crinale, flettendo le spalle e sentendole invase dal calore del sole. Con il suo cappellino a proteggerle la testa e il viso, si stava godendo il caldo. Le sue braccia scoperte, sulle quali aveva spalmato un bel po’ di crema solare prima di partire, erano libere di essere sfiorate dalla brezza, cosa che manteneva confortevole la sua temperatura corporea. Era quasi la giornata perfetta. Nella sua mente abbozzò quel panorama, una vista del tutto familiare che avrebbe potuto ritrarre a memoria.

Abbassò lo sguardo e quasi inciampò, fermandosi poco prima di andare a sbattere contro un altro escursionista seduto sul percorso roccioso, appena al di sotto della cima della collinetta. Era un uomo, che aveva in mano uno scarpone da trekking e stava prestando assistenza alla propria caviglia.

“Oh!” esclamò, riacquistando l’equilibrio. “Dio, non l’avevo vista. Mi scusi, stavo quasi per caderle addosso!”

Lui le rivolse un accenno di risata, inclinando la testa all’indietro per guardarla da sotto il proprio cappellino. “Oh, wow, no, dispiace a me, è colpa mia. Non avrei dovuto sedermi nel bel mezzo di un punto cieco.”

“Va tutto bene?” domandò Lorna. Ora che lui aveva la testa all’indietro, riusciva a vedere quanto fosse attraente. Un aspetto classico: un naso importante, zigomi pronunciati, una mascella virile, simile a tre linee rette su una pagina. Era anche giovane, probabilmente sulla trentina. Il suo cuore accelerò. Quasi senza rendersene conto, raddrizzò la schiena, spingendo in fuori il petto e rammaricandosi di non essere un po’ più truccata.

“Oh, sì,” disse lui con disinvoltura, facendole un cenno con una mano mentre rivolgeva nuovamente l’attenzione alla propria caviglia. “Una sciocchezza, in realtà. Credo sia solo una leggera distorsione.”

“Cos’è successo?” domandò Lorna. Le sue mani si piegarono sulle cinghie dello zaino, e le lasciò scivolare sui fianchi.

Lui indicò una roccia, non lontana dalla cima del crinale. “Mi sono slogato la caviglia su quella roccia mentre scendevo dal crinale. Stavo guardando il panorama invece di fare attenzione a dove mettessi i piedi. Un errore da novellino, no?”

Lorna sorrise. “Proprio così. La regola è: fermati e ammira il panorama, poi torna a guardare il terreno su cui cammini.”

“Lo so, lo so,” disse lui, scrollando le spalle con aria impotente. “Immagino che questo mi insegni a fare attenzione quando esco in posti che non conosco.”

“Vuoi che chiami qualcuno?” domandò Lorna. Le sue mani si mossero verso le tasche, dove il suo cellulare era in attesa in caso di emergenza. “O magari che ti aiuti ad alzarti?”

“Me la caverò,” disse lui, iniziando a infilare nuovamente lo scarpone. “Devo rimettermi in cammino. Mi basterà fare due passi per stare meglio, credo.”

“Sicuro?” Lorna esitò, guardandolo con aria preoccupata. Secondo i suoi amici, aveva la tendenza a essere iperprotettiva. Non poteva farne a meno. Vedere qualcuno in difficoltà e non cercare di essere d’aiuto le metteva ansia.

“Sì, sì,” disse lui, allacciandosi la scarpa. “Sinceramente, mi sento davvero un idiota. Ma quantomeno sono stato fortunato che a trovarmi intento a pentirmi di uno stupido errore sia stata una bella donna!”

Le guance di Lorna arrossirono lievemente. L’aveva chiamata “bella donna”, ma l’avevo detto come se nulla fosse, senza neanche guardarla, mentre usava quel suo stesso sfogo per rimettersi faticosamente in piedi. Come se fosse un fatto evidente, qualcosa che non avesse bisogno di ulteriori discussioni né di scambi di sguardi, perché era scontato per entrambi.

Lorna si fece un po’ da parte per fargli spazio, allungando inconsapevolmente una mano verso di lui nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto. L’uomo saltellò e si mosse un po’ a fatica, testando il peso sulla caviglia prima di uniformarlo su entrambi i piedi. Una postura semplice, comoda ed esperta, nonostante il dolore.

“Sicuro di stare bene?” domandò Lorna. Lo guardò con aria dubbiosa, quasi aspettandosi che lui inciampasse e cadesse nuovamente a terra.

L’uomo testò il piede ancora un po’, muovendosi gradualmente fino ad appoggiarvi la maggior parte del peso. “A quanto pare,” rispose lui, mostrandole un sorriso. “Ma non ho nessuna intenzione di rischiare. Andrò verso l’auto e tornerò a casa.”

“Lascia che ti accompagni,” si offrì immediatamente Lorna, sia perché era la cosa giusta da fare, sia perché, in segreto, desiderava trascorrere ancora un po’ di tempo con questo bellissimo sconosciuto. Forse, se fosse stato uno del posto, avrebbero potuto scambiarsi i numeri e concordare un’escursione da fare insieme, uno di questi giorni.

“Non voglio disturbarti,” disse lui, altrettanto rapidamente. “Avrai sicuramente i tuoi programmi e io mi sto mettendo in mezzo. La tua camminata è appena iniziata, no?”

Il respiro le si fermò per un istante. “Come fai a saperlo?”

Lui indicò la strada da cui era venuta. “Sei arrivata dal parcheggio alla base del sentiero. Proprio come me.”

Lei annuì, sorridendo per la sua paranoia. “Certo,” disse. “Beh, non c’è problema, figurati. Non mi sentirei a mio agio al pensiero di lasciarti tornare a piedi da solo. Mi dispiacerebbe molto se, al mio ritorno, ti vedessi seduto a terra perché non ce l’hai fatta a tornare giù.”

Le sue labbra, che avevano una perfetta forma ad arco ed erano così carnose da far venire voglia di baciarle, si incurvarono in un sorriso. “Va bene,” disse. “Non ho nessuna intenzione di farti dispiacere. Forza, andiamo.”

Si voltarono insieme e iniziarono a camminare in direzione del parcheggio. Al di sopra delle loro teste, una solitaria nuvola bianca attraversava il cielo azzurro, spinta dalla leggera brezza. “È una gran bella giornata per un’escursione,” disse Lorna.

“Certo che sì,” rise lui. “Ecco perché ho pensato che sarebbe stata un’ottima idea venire qui. Non capita spesso che il tempo sia bello durante una giornata di ferie.”

“Sono piuttosto stupita,” disse Lorna, camminando a lato della pista in modo che lui potesse occupare la parte più uniforme del terreno. “Avrei scommesso ci fossero un sacco di persone oggi. Invece è tranquillo.”

“La maggior parte delle persone è a casa, immagino,” disse lui, indicando la città in lontananza. Da alcuni dei punti più vicini era possibile distinguere le scie sottili di fumo nero. “A cucinare di tutto al barbecue.”

Lorna annuì, schermandosi gli occhi per guardare in direzione della città. “Hai ragione,” disse. “Non ci avevo pensato.” Non aggiunse il motivo: era single, ovviamente, e non aveva molti familiari con cui passare il tempo. L’escursionismo era tutto per lei: silenzio, solitudine, tempo per riflettere.

A pensarci bene, in fin dei conti non era così male condividerlo con qualcuno.

“Per quanto mi riguarda, preferirei mettermi in cammino ogni giorno,” disse lui. Quando lei si girò a guardarlo, l’uomo sorrise con una scintilla negli occhi. “Non ho una ragazza da cui tornare, quindi passo più tempo possibile all’aria aperta. Vivo a un paio di città di distanza da qui. È per questo che di solito non vengo da queste parti.”

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