Voglio Morderti Il... - Felletti Roberto 2 стр.


Quello che si presenta a cena con una maglietta logora e i jeans sfilacciati, mentre tu ti sei presa la briga di andare dalla parrucchiera.

Quello che ti chiede i risultati delle analisi al primo appuntamento, perché dà per scontato che non solo farai sesso con lui dopo aver mangiato insieme una volta soltanto, ma anche che tu prendi la pillola e che non dovrà usare il preservativo se tira fuori un pezzo di carta che attesta che non ha nessuna malattia venerea.

Gli uomini sono tutti dei fottuti pezzi di merda.

“Hai ragione. È sgarbato.” Gli avevo lanciato un’occhiataccia. “Ricordalo.”

“Certo, lo farò, ma tu ricordi che sono io quello a cui è stata data buca questa sera, vero?”

“Come vuoi. Sembri il tipo d’uomo che dà buca alle donne.” Il mio tono era troppo sprezzante, il risultato di sette bicchierini di Fireball e più di dieci anni di delusioni amorose.

Apparentemente avevo permesso a quel cugino del commercialista, o fratello dell’avvocato, che mi aveva dato buca di irritarmi. La goccia che fa traboccare il vaso. Inoltre, non avrei dovuto scegliere dolci cocktail speciali, perché avevo bevuto un Poison Apple Martini e deciso che per quella sera avrei preso il resto del mio Fireball in un bicchierino.

La mia tolleranza all’alcol era migliore della media – salve, c’è una vampira qui – ma del resto non avevo avuto la possibilità di consumare il mio normale pasto, ricco di carboidrati e grassi, per compensare l’alcol… perché qualcuno aveva mangiato tutto il queso.

Gli avevo lanciato un’occhiataccia, incerta del perché quell’uomo, quella sera, fosse il destinatario di tutta la mia rabbia; ma guardarlo mi faceva solo incazzare di più, perché lui se ne stava lì, in piedi, tutto muscoli e barba e completamente divertito da me.

E quello aveva premuto i miei pulsanti.

Il che era l’unico motivo che mi veniva in mente (a parte i sette bicchierini di Fireball) per la mia ulteriore discesa nella terra delle accuse infondate.

“Hai mangiato tutto il queso.”

L’espressione divertita che gli si leggeva in faccia si era trasformata in un sonoro scoppio di risa, come se lo avessi sorpreso con le mani nel sacco. “Sei fatta? C’era un’intera pentola di quella roba. Nemmeno un esercito sarebbe riuscito a mangiare tutto quel queso.”

“Fatta? No.” Forse era giunto il momento di confessare il mio potenziale stato alterato. “Ma ho bevuto sette bicchierini di Fireball a stomaco vuoto, perché…”

“Qualcuno ha mangiato tutto il queso.” Aveva alzato le mani nel classico gesto che indica innocenza. “Non sono io il colpevole, ma sai una cosa? Penso di poter risolvere il tuo problema col queso.”

Aveva tirato fuori dalla tasca dei suoi pantaloncini logori un telefono super figo da un fantastilione di dollari e aveva mandato un messaggio. Perché i ragazzi squattrinati spendono sempre tutti i loro soldi in prodotti tecnologici? È una decisione talmente strana che non capirò mai.

Cavolo, avevo davanti a me un esempio perfetto di Tipo Squattrinato Che Spende Soldi in Tecnologia alla Moda. Dovevo decisamente chiedere.

“Risolvi questo mistero per me.” Avevo sorriso in ritardo, rendendomi conto che, forse, il mio tono aggressivo non era l’opzione migliore se volevo una risposta.

Con le labbra ancora contratte da un divertimento che non avrebbe dovuto provare – si sarebbe dovuto vergognare per le mie parole di verità – aveva detto, “Certo. Sarà bello.”

“Perché i tipi come te, barista part time e musicista part time, spendono sempre fino all’ultimo centesimo per dei gadget costosi che non possono permettersi?”

Le sue labbra si erano assottigliate, rivelando una tensione che non avevo ancora visto sulla sua faccia. Forse, finalmente, avevo premuto i suoi pulsanti, ma lui aveva inspirato a fondo e si era visibilmente rilassato. Una frazione di secondo dopo quell’ormai familiare inclinazione delle sue labbra era tornata.

“Domanda interessante. Forse ci dà l’impressione che possiamo ottenere qualcosa. Tipo vestirsi bene, ma in stile tech.” Aveva fatto una pausa e inarcato le sopracciglia. “O forse i nostri gadget costosi non sono stati comprati con l’ultimo centesimo ma sono stati un regalo.”

“Oh.” Quello non era per niente utile. Gli avevo dato delle pacche sul petto. Wow, quello sì che era un petto saldo. “Tante grazie, ma non penso che tu abbia risolto il mistero del mio uomo.”

Aveva emesso un suono di scontento. “È questo il punto, un solo uomo non rappresenta tutta l’umanità.”

Mi ero fermata a riflettere su quello. Fermata letteralmente… accarezzandogli il petto. Perché, apparentemente, lo stavo palpeggiando a livello subconscio da quando gli avevo messo le zampe addosso. Una pacca ed ero stata risucchiata dai suoi muscoli e dal suo silvestre odore di pino.

Annusando a fondo, cercavo di analizzare i vari profumi, ma senza fortuna. Tutto quello che percepivo erano pino e bosco, deliziosi.

“Cosa stavi dicendo?” Avevo spostato lo sguardo dal suo petto, che avevo ripreso ad accarezzare, alla faccia.

Gah. Perché lui mi faceva sentire così bene e aveva un così buon odore? Non era per niente il mio tipo. Non mi interessavano i bambinoni, nemmeno per una botta e via, cosa per cui gli umani andavano bene, perché non era come…

Oops. Avevo perso la concentrazione mentre il suo odore mi faceva sballare e mi eccitava.

“Um, penso di essermi persa qualsiasi cosa tu abbia detto.” Stavolta avrei dovuto cercare di concentrarmi sulle sue parole.

“Adesso mi stai oggettivando?”

Dall’espressione del suo viso non potevo dire se fosse compiaciuto o infastidito dal pensiero, per cui avevo scelto la via della sincerità. Separando il pollice e l’indice di circa due centimetri, avevo alzato la mano e avevo detto, “Un pochino. Tu sei sexy e hai un odore ridicolo.”

Inarcando le sopracciglia aveva risposto, “Non sono sicuro di cosa intendi dire. Tu sai di cannella.”

Perché stavo trangugiando Fireball come un ragazzo di una confraternita, ma vabbè.

Quello che era successo dopo era inatteso. Ero nel mezzo di una festa. Erano presenti alcuni dei miei colleghi di lavoro. Certo, organizzavo regolarmente feste alcoliche, ma avevo degli standard per il mio comportamento.

Standard che non comprendevano maltrattare un ospite, anche se era un imbucato.

Non sono del tutto sicura del perché avessi deciso per quella festa, quella sera, quel tipo… ma lo avevo fatto.

Avevo fatto scivolare la mano – quella che aveva ripreso a sfregare i duri piani del suo petto – sulla clavicola e lungo la nuca, abbassando la sua testa verso la mia.

Cercando di abbassare la sua testa verso la mia.

Essendo a malapena sette centimetri sopra il metro e mezzo, avevo difficoltà a baciare Mr. Sexy e Villoso e Buon Profumo senza il suo aiuto. Doveva essere alto più di 1,80.

Come poteva avere un odore così buono e non baciarmi all’istante? Non andava bene così. Avevo alzato lo sguardo per vedere che cavolo di problema avesse e aveva ancora quella medesima espressione divertita. Che mi aveva fatto lanciare un’occhiataccia.

Un’occhiata alla mia espressione da stronza dagli occhi di ghiaccio e lui…

Si era messo a ridere.

Ridacchiare, per l’esattezza. Sembrava che il mio atteggiamento da stronza cattiva non lo spaventasse, e quello mi eccitava fottutamente.

Se non mi avesse baciato seduta stante, mi sarei arrampicata su di lui come se fosse stato un fottuto albero e l’avrei fatto succedere.

Questa volta, quando avevo cercato di abbassargli la testa, lui mi aveva lasciato fare. L’odore di bosco e di uomo pulito aveva riempito il mio naso prima che le nostre labbra si incontrassero.

Questo coglione stava sorridendo?

Sì. Sì, stava sorridendo.

E in quel momento era cominciato lo strapazzo.

Avevo infilato entrambe le mani tra i suoi capelli folti, scuri, non-proprio-selvaggi, avevo premuto le mie tette contro di lui, avevo inclinato la testa e mi ero concentrata sul farlo volere.

Quello che era cominciato come una delicata esplorazione era diventato un attacco violento con pressione e respiro affannoso e un desiderio di mordicchiare, morsicare, lasciare segni che non avevo mai provato prima.

Avevo intrappolato il suo labbro superiore tra i miei denti e lo avevo succhiato. Il suo ringhio mi aveva colpito basso, nell’addome, e proprio mentre stavo pensando a come fare per avvicinarmi, lui mi aveva preso per le natiche e mi aveva sollevata.

Dea. Volevo sentire ogni centimetro di lui premuto contro di me. Volevo strofinarmi contro di lui. Volevo… volevo e basta.

Aveva risposto alla mia aggressione frontale, la sua bocca dura ed esigente, e mi piaceva.

Le nostre lingue si erano attorcigliate in una guerra di calore e passione per non so quanto tempo.

A un certo punto mi era venuto il pensiero fugace che, praticamente, eravamo nel bel mezzo della mia festa.

Ma… chi se ne frega?

Lui era sexy, il suo bacio rovente, e io volevo imprimere il suo corpo muscoloso, il suo sapore, la sensazione delle sue labbra nel profondo della mia anima.

Poi aveva ammorbidito il nostro bacio.

La qual cosa era avvenuta quando il mio cervello aveva ripreso a funzionare.

La qual cosa era avvenuta quando mi ero resa conto di essere avvinghiata a lui come una spogliarellista squattrinata nel mezzo di una lap dance privata.

Poiché non lavoravo per le mance ed ero nel mio soggiorno, circondata da amici e colleghi di lavoro, probabilmente sarebbe stata una buona idea scendere da quell’albero villoso e sexy sul quale mi ero arrampicata.

Ero scivolata giù dal suo corpo, desiderando che lui non si sentisse il mio personale regalo di compleanno. Non poteva essere un regalo per me? Per piacerissimo?

Magari.

Non nel mezzo della mia festa di Halloween.

Ma magari.

“Sei ubriaca.” Mi aveva sussurrato le parole all’orecchio, ma comunque erano cadute con una spiacevole fermezza.

“No. Non lo sono.” Sfortunatamente, in quel momento il mio corpo aveva scelto di tradirmi e mi era venuto il singhiozzo.

“Uh-huh.” Mi aveva girato i capelli dietro l’orecchio, passato il pollice sulle labbra e in generale mi aveva fatto rimpiangere – duramente – quegli ultimi bicchierini. Perché altrimenti, forse, avrei preso altro di lui. Altro suo calore, altro suo odore e altro della sua bocca. Proprio lì e in quel momento, alla mia festa di Halloween.

Poi era sparito.

Il patetico bastardo se n’era andato.

Gli uomini fanno schifo.

Certo, aveva salutato.

E mi aveva ricordato che avevo il suo numero.

Aveva anche detto che sarebbe stato interessato a sentirmi. E quando aveva detto “interessato”, avevo pensato che intendesse… forse, entusiasta?

Ma che cazzo, poi. Mi aveva lasciato eccitata e insoddisfatta, il coglione. Anche se ero circondata da amici e colleghi a una festa che io ospitavo, comunque lui aveva lasciato me.

Prima che potessi decidere se ero arrabbiata, triste, o forse anche solo minimamente grata, un tizio che reggeva un’enorme borsa di carta aveva gridato, “Megan! Sto cercando una certa Megan.”

Alcuni ospiti avevano indicato nella mia direzione.

“Sei tu Megan?”

“Sì.” Sembrava proprio che la mia festa avesse ufficialmente una porta aperta. Lasciavamo entrare chiunque, anche chi portava borse di carta.

Aspetta un attimo.

Un tizio che portava una borsa di carta? Perché c’era un fattorino della consegna a domicilio alla mia festa?

“Consegna per te. Qualcuno ha ordinato questo e ha detto che dovevo assicurarmi che venisse consegnato direttamente a Megan.” Mi aveva guardato come se avessi dovuto saperne qualcosa. Come se l’avessi pianificato. Come… oh, voleva la mancia.

“Seguimi.” Avevo degli spiccioli in cucina. Gli avevo dato una banconota da venti dollari per un ordine che non avevo fatto, lui mi aveva ringraziato e aveva posato la borsa.

Dopo averla spacchettata, avevo trovato alcune vaschette grandi di queso. Ma certo. Se non fossi stata mezza sbronza, lo avrei capito prima.

Avevo trovato anche una ricevuta che mostrava l’addebito per il queso, le spese di consegna e una lauta mancia per il fattorino, tutto prepagato.

Mi sentivo un’idiota totale e non solo per la mancia da venti dollari.

2

Ero andata a letto davvero tardi quella sera.

Davvero tardi.

Dopo altri drink. Potenzialmente parecchi altri drink, perché non riuscivo a ricordare esattamente quanti fossero stati.

Quello che ricordavo erano i messaggi.

Con un villoso sexy.

Messaggi da ubriachi.

Quando la sveglia s’era messa a suonare, a una certa ora strana, mi ero girata e l’avevo spenta, perché ero troppo stanca, con troppi postumi da sbornia, troppo impreparata ad affrontare la vita anche solo per cominciare a prendere in considerazione gli eventi della sera prima.

Ma poi la sveglia aveva ripreso a suonare, e poi ancora.

Alla quarta volta ero abbastanza sveglia da ricordare quei fottuti messaggi. Tranne che nessuno era così stupido, nemmeno la me ubriaca delle tre del mattino.

Mi ero sfregata gli occhi e avevo toccato l’icona dei messaggi, cercando di ignorare il fatto che erano le 6:37 del fottuto mattino e la notte prima avevo dormito meno di quattro ore.

Ma lì c’era tutto: la mia stupidità, immortalata per sempre nello storico dei miei messaggi.

Io: Hey figo chitarrista barista uomo peloso

Figo peloso: Fammi indovinare… Megan

Io: Sì! Sei molto più intelligente di quanto sembri

Wow, stavo veramente incarnando la mia malefica stronza interiore con quello. Apparentemente, la mia malefica stronza interiore era meno carina alle tre del mattino di quanto fosse stata prima, durante la serata, perché erano trascorsi parecchi minuti senza ricevere risposta da Oliver. La me ubriaca aveva deciso di pungolarlo.

Io: Grazie per il queso. È stato molto carino da parte tua.

Figo peloso: Era il minimo che potessi fare dopo che mi hai accusato di averlo mangiato tutto.

Apparentemente, la me ubriaca era confusa per questo, non vedendo l’ironia di un uomo ingiustamente accusato che faceva quella dichiarazione, ma sapendo che c’era qualcosa di sbagliato.

Io: Dannatamente diretto. Aspetta. Sei stato tu a mangiare il queso? O non sei stato tu a mangiare il queso?

Figo peloso: Ti sembro uno che consuma due chili di queso in una sera?

Io: Sembri uno che scopa molte donne

Io: e uno che ha decisamente molta energia nel cazzo

Io: O forse no?

Io: Oppure il tuo cazzo è così grosso che nessuno nota la pancia da queso

Wow. La me ubriaca delle tre del mattino era fottutamente sfacciata. E giudicante. In realtà non pensavo che un uomo dovesse avere gli addominali scolpiti per essere fisicamente attraente.

Però non avevo detto che la sua ipotetica pancia da queso fosse non attraente, solo che in confronto al suo mostruoso cazzo spariva.

Bel problema. Qualcuno dovrebbe togliermi il telefono quando sono ubriaca. La mia migliore amica, Becca, mi chiama stronza malefica, ma per lo più è per scherzo. In realtà non sono una stronza malefica… di solito.

Io: Ci sei?

Figo peloso: Sto ancora elaborando.

Forse, a questo punto avevo rivisto i miei messaggi e mi ero resa conto di avere esagerato? Non ero sicura di cosa pensassi. L’intera conversazione era piuttosto maledettamente confusa.

Io: Um, scusa?

Figo peloso: Pensi di chiedermi scusa o mi chiedi scusa?

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