Il libro si scosse con violenza sul tavolo nell’imitazione di una step dance e delle parole stampate schizzarono fuori dalle pagine a velocità allarmante. Appena prima di schiantarsi contro la testa di Carrington, le parole gli strillarono contro.
«Morto che parla, anguilla tutta pelle, lingua secca di bue, stringa di cuoio!»
Ebbe il tempo per una frazione di secondo di orrore prima che le parole lo investissero con la forza di numerosi pugni.
* * * *
Quando si svegliò, era disteso sul tappeto con Amanda china su di lui.
«Carr? Non avevi detto di stare così male. Devo chiamare qualcuno?»
«Le parole mi hanno colpito», biascicò lui prima che il suo cervello si ricollegasse a dovere. «Libro… era… il libro là sopra».
Amanda seguì il gesto della sua mano, la fronte aggrottata. «Già. Ci sono un sacco di libri qua dentro. Ti sei alzato per prendere un libro e sei svenuto?»
«No. C’era un libro. Sul tavolo. Mi ha aggredito. Con le parole».
«Merda». Amanda mise un braccio sotto di lui, sostenendolo contro di sé mentre gli porgeva lo spuntino di sangue. «Bevi questo, Carr. Chiamo i paramedici».
Lui le afferrò la mano quando estrasse il telefono. «Manda, no. Sto bene. Più o meno. C’era un libro animato qua dentro, che si muoveva autonomamente, come GP. Mi ha… non sono sicuro di come descriverlo, ma mi ha tirato degli insulti e le parole… le parole mi hanno colpito».
Amanda si immobilizzò. La sua espressione passò di scatto dalla preoccupazione a quella vacuità ferrea che la sua faccia assumeva nelle situazioni di pericolo. In silenzio, si alzò e chiuse la porta. Accendendo le luci mentre passava, perquisì la stanza, controllando sotto i mobili, salendo sulle sedie per esaminare i lampadari.
«Riconosceresti il libro, Carr? È tornato sugli scaffali?»
«Era piuttosto riconoscibile». La tazza ancora in mano, Carrington usò i mobili per far leva e rialzarsi. «Cuoio nero lucido e oro. Dovrebbe essere facile individuarlo in un confronto letterario».
Esaminò la stanza con lo sguardo, i suoi occhi da predatore che elaboravano molto più rapidamente di quanto potessero fare quelli di un umano, ma il libro non era sugli scaffali. «Non è qui».
«Sei sicuro?»
«Se n’è andato». Carrington scosse la testa. «Giuro che era qui, Manda. Non ho avuto uno strano episodio di insolazione».
Lei alzò una mano. «Ti credo. Se quella strana cosa si muove usando la copertina, non potrà allontanarsi molto. Resta qui».
In caso ci sia sfuggito, intendeva, piuttosto che Stammi fuori dai piedi. Avevano lavorato assieme per abbastanza anni da sviluppare un codice e un ritmo nella loro collaborazione. Carrington sorvegliò la porta, deciso a fare in modo che niente passasse inosservato davanti a lui mentre Amanda esaminava le stanze vicine.
Per fortuna non ci volle molto, e nessun ospite passò da quelle parti a chiedere perché stesse di guardia a una porta aperta, irradiando poliziotto, sforzando ogni senso in caso di segni di quel fremito paranormale. Dopo l’ultima stanza dell’ala est, Amanda tornò rapida lungo il corridoio scuotendo la testa.
«Niente». Indicò con un gesto la tempia di Carrington. «Ti sta venendo un brutto bernoccolo lassù, Carr».
«Non durerà a lungo». Carrington emise un pesante sospiro. «Deve essersene andato. Non lo sento nelle vicinanze, comunque. Porterò in disparte mia madre e le farò sapere, con discrezione, che potrebbe avere un’entità paranormale in visita a casa sua e di chiamarci immediatamente se la vedessero di nuovo».
«Chiediamo una perquisizione?»
«Sì. Più tardi stasera. Mia madre non mi perdonerebbe mai se interrompessi la sua festa. L’entità potrebbe anche essersi demanifestata del tutto da questa zona ed essere rispuntata da qualche altra parte ormai».
Amanda si accigliò. «Anche se sono piuttosto sicura che quella parola non esista».
«A volte la lingua richiede improvvisazione. Ti spiacerebbe molto se lasciassimo la festa in anticipo?»
«Oh, cavolo, no. Tagliamo questa corda di velluto».
Sua madre disapprovò, ovviamente, ma non fu affatto disturbata dalla situazione quando Carrington la trasse in disparte. Lei lo infastidiva in molti modi, ma doveva ammirare la sua imperturbabilità.
«Non c’è mai stato questo abracadabra senza senso prima che ti prendessi la tua malattia», sbuffò lei. «D’accordo, terrò gli occhi aperti e mi inventerò una scusa per te con i tuoi ospiti e dirò loro che non ti sei sentito bene. Suppongo non ti farebbe bene tornare alla festa con l’aria di chi è appena uscito da una rissa, comunque».
«Io non ho l’aria…»
Lei gli agitò davanti una mano tempestata di anelli. «Non ha importanza, Carrington. Non voglio discutere. Hai già chiarito a sufficienza che sei deciso a non fare nessuno sforzo oggi».
«Mamma…» No, aveva ragione. Discutere non faceva mai cambiare idea a nessun Loveless. Carrington produsse un sorriso per lei, sperando non fosse troppo distorto, e la baciò sulla guancia. «Grazie».
In auto, più tardi, Amanda lo guardò di traverso dal sedile di guida. «Perché cavolo la stavi ringraziando? Per aver organizzato una festa in un giorno di sole, con cibo che non potevi mangiare e persone che non ti piacciono?»
Accasciato al posto del passeggero, col cappello tirato in basso, Carrington non fece neppure una pausa per pensare alla risposta. «Si è ricordata del mio compleanno».
«Beh, cavoli. Lo sai quanto suona patetico, vero?»
«Lo so».
Lei allungò una mano al semaforo successivo e gli diede una pacca sul ginocchio. «Che vuoi farne del resto del tuo compleanno?»
«Mi serve un sonnellino». Carrington odiava il tremito nella sua voce. Un altro giorno con troppo sole seguito dal nascondersi nella sua stanza tenuta al buio dalle tende, a tormentarsi per quel disgraziato libro. No, un attimo… «Uno breve. Poi voglio andare in biblioteca».
Amanda non rise né fece domande. Si diresse semplicemente verso l’appartamento di Carrington a Fairmount, conscia che le avrebbe spiegato dopo, quando si fosse sentito meglio. Quando infine lei avrebbe ricevuto una promozione, Carrington ne sarebbe stato devastato. Avrebbe dovuto fare una petizione alla stazione perché lo lasciassero lavorare da solo.
* * * *
Le nuvole erano finalmente arrivate quando Carrington si svegliò nel tardo pomeriggio. Bellissime nel loro pendulo, turbolento splendore, stendevano una pesante coperta di umidità sulla città e lo provocavano facendogli dondolare davanti la promessa di un’esilarante temporale.
La filiale principale della biblioteca pubblica era proprio in fondo alla strada rispetto al suo condominio, di fronte al museo d’arte. Se si sporgeva abbastanza dalla finestra, riusciva quasi a vederla.
«Che stai facendo?»
Carrington ritirò dentro la testa e chiuse la finestra prima di voltarsi verso Amanda. «Prendo una boccata di luce del giorno non tossica. Pronta per una passeggiatina?»
«Già. È un tempo perfetto per i vampiri. Probabilmente ci inzupperemo».
«Ho esattamente nove ombrelli nel portaombrelli accanto alla porta, sai. Sei più che la benvenuta se vuoi prenderne uno».
«Nah. Sono un tale fastidio. Arrivi e non c’è un posto per metterli e gocciolano su tutto il pavimento…»
«D’accordo. Niente lamentele per la pioggia allora».
«Mi lamenterò per qualunque cavolo di cosa io voglia, vampirello». Lo urtò con la spalla e rise quando lui fece altrettanto. «Ti senti meglio?»
«Molto. Grazie. È stata un’idea stupida accettare la follia di mamma. Suppongo di sperare sempre in qualche genere di, non so, riconciliazione? Anche se è probabilmente chiedere troppo».
Amanda si limitò a grugnire mentre procedevano lungo le scale, ancora con addosso il tailleur pratico ma stropicciato che aveva indossato alla festa. Carrington fece una smorfia. Doveva aver dormito sul suo divano mentre lui si riposava.
«Ti prego, dimmi che non hai appallottolato quella bella cravatta e non te la sei cacciata in tasca». Certo, la cravatta giallo e arancio aveva un motivo ripetuto di Applejack di Mio Mini Pony che Amanda aveva indossato per infastidire gli altri ospiti, ma era comunque una buona cravatta di seta.
«L’ho piegata e messa nel taschino della giacca. Non è la mia prima cravatta».
«Errore mio. Sono tremendamente dispiaciuto».
«Cosa cerchi in biblioteca, comunque?»
«Non cosa, Manda. Chi».
Proprio mentre attraversavano Logan Circle, la pioggia iniziò a picchiettare. Carrington accelerò il passo e si limitò a dare una pacca al monumento a Shakespeare mentre gli passavano accanto piuttosto che fermarsi a dire buon pomeriggio a Pietraccia e Amleto. Era una cosa sciocca, ma gli piaceva dare un riconoscimento a entrambi i personaggi nell’opera di Calder in caso nessuno che fosse passato quel giorno si fosse reso conto di chi fossero.
Assurdo, in effetti. Ma la sua vita era assurda da parecchi anni. La sua preoccupazione per i sentimenti feriti delle statue era blanda in confronto a gran parte del resto. Arrivarono all’ingresso proprio quando la pioggia stava iniziando un pesante ritmo di percussioni sugli scalini di pietra. I tacchi delle loro scarpe eleganti risuonarono forte nell’area quasi vuota. Non più preoccupato che Amanda si inzuppasse, di sé stesso non avrebbe potuto importargli meno visto che non si raffreddava, Carrington rallentò a un passo normale e infine rispose alla domanda.
«Voglio visitare il Reparto Libri Rari e vedere se qualcuno ha mai sentito parlare del nostro libro lanciaparole».
«Quindi sembrava un libro vecchio? Antiquariato o roba simile?»
Carrington emise un lieve sbuffo mentre salivano le scale oltre la statua del Dr Pepper, quella per cui quell’idiota di suo fratello ridacchiava sempre, anche se il fondatore della biblioteca non aveva niente a che fare con le bevande gassate.
«Non ho avuto la possibilità di esaminarlo. È possibile che il libro fosse antico e di sicuro si qualifica come raro».
«Sicuro come la morte», mormorò Amanda.
Seguirono il percorso su per gli scalini di marmo fino al terzo piano, dove Carrington li condusse a una breve rampa di scale dietro una porta a vetri. Questa dichiarava Reparto Libri Rari in lettere dorate al centro, con un ulteriore avviso dipinto sulla partizione di vetro alla sinistra della porta in più sobrie lettere nere: Per favore suonare il campanello per entrare.
«Per favore bussare se non è richiesta una risposta», mormorò Carrington mentre premeva il pulsante.
«Cosa?»
«Niente. Scusa. Citazione di Winnie the Pooh».
Amanda unì le sopracciglia. «Capito. È uno dei tuoi giorni strani».
Ci volle qualche minuto a camminare avanti e indietro e una seconda scampanellata prima che uno dei bibliotecari, un giovane afroamericano, scendesse in fretta le scale. Magro come un manico di scopa e più basso della media, arrivò apparentemente senza fiato, ansimando mentre apriva la porta.
«Ehi, scusate, avevate un appuntamento?»
Carrington per poco non si colpì la fronte. Ovvio. L’accesso alla sezione Libri Rari era su appuntamento. Avrebbe dovuto chiamare per cortesia. «No, noi…»
«Oh. Mi dispiace davvero, ma il tour era alle undici di stamattina, e al momento ci sono solo io qui».
Il che significa che non fai tour? O hai altri doveri urgenti in un reparto pieno di libri antichi dentro delle teche e non puoi fare tour quando sei solo? Carrington spinse da parte le sue divaganti speculazioni ed estrasse il distintivo. «Sono l’agente Loveless. Lei è l’agente Zacchini. Ci serve solo un attimo del suo tempo, per favore».
Occhi scuri saettarono tra Carrington e Amanda in modo preoccupato. «È successo qualcosa? Mia madre sta bene?»
«Non ho alcuna informazione su sua madre. Abbiamo solo qualche domanda. È la sua competenza sui libri insoliti che ci serve».
Il bibliotecario si afflosciò con visibile sollievo e tenne aperta la porta. «Entrate, agenti. Sono Erasmus Graham, uno dei bibliotecari in organico. Il mio settore specifico è Beatrix Potter, ma vi aiuterò come posso».
«Beatrix Potter?» Amanda si sfilò la giacca mentre entravano in una stanza contornata di teche chiuse di libri sotto vetro. «Come Peter Coniglio?»
La risatina di Graham fu calda e autocritica. «Sì. Abbiamo la più grande collezione di disegni della signorina Potter della nazione, qui. Passo buona parte delle mie giornate con affascinanti conigli e anatre inglesi».
«Al mondo farebbe comodo un po’ più di fascino». Carrington si fermò davanti a una teca di vetro con un corvo impagliato la cui targa dichiarava che l’uccello era Grip, animale domestico di Charles Dickens e musa di Edgar Allan Poe. Mi chiedo se fosse parente del nostro Edgar. «Signor Graham, siamo del 77°. L’unità crimini paranormali».
«Erasmus, vi prego». Li condusse a una scrivania ed estrasse abbastanza sedie perché tutti potessero accomodarsi. «Sento parlare della vostra unità a volte. La cugina della moglie di mia madre è la comandante della vostra stazione».
«Oh, grazie al pane imburrato», disse Amanda. «Doverci spiegare a volte richiede più tempo delle domande».
La risata di Erasmus fu lieve e smorzata, come dovrebbe essere quella di un bibliotecario. Era difficile immaginare che alzasse mai la voce. «Allora, come posso aiutarvi, agenti? State cercando un antico manoscritto?»
«Forse». Carrington si mosse a disagio sulla sedia di metallo, appoggiò una caviglia sul ginocchio, incrociò le gambe, infine passò a una posa rilassata a gambe allungate. La nonchalance era più difficile quando ti faceva male il sedere. «Abbiamo incontrato uno strano libro oggi. O meglio, io l’ho incontrato. Amanda non l’ha visto».
Erasmus aveva una matita pronta su un blocco note come se avesse avuto bisogno di prendere appunti. «Era strano l’argomento? La lingua?»
«Ha colpito in faccia Carr, l’agente Loveless, con delle parole».
«Delle… parole?» Erasmus mise giù la matita e si tirò il lobo dell’orecchio destro. «Non sono sicuro di capire».
«Ho avuto un incontro paranormale questo pomeriggio». Carrington si spostò di nuovo in avanti, le mani unite tra le ginocchia. A volte il contatto visivo prolungato aiutava i normali umani a credere a quello che diceva, anche se doveva ammettere che funzionava meglio con quelli di scarsa intelligenza. «C’era un libro su un tavolo che si muoveva per conto suo. Si è dondolato un po’ sulla copertina e quando ho tentato di parlargli mi ha lanciato contro delle parole offensive. Effettive lettere fisiche che mi hanno colpito alla testa».
Lo strattonamento d’orecchio peggiorò ed Erasmus aprì la bocca parecchie volte prima di sbottare con: «Un libro l’ha presa a pugni?»
Carrington si lasciò ricadere la testa tra le mani.
«A volte se lo dimentica». La voce di Amanda tremava e non era per le lacrime. «Non tutti hanno a che fare con la merda che vediamo noi. Alcune delle cose paranormali in cui ci imbattiamo sono cose normali. Come vampiri e lupi mannari».
Erasmus fece un verso che avrebbe potuto fungere anche da cigolio di una sedia. «D’accordo. Immagino che per la vostra unità quelli siano normali… più o meno».
«Già. Ma a volte ci imbattiamo in cose che dovrebbero essere immuoventi… Carr? Qual è la parola?»
«Inanimate».
«Quello. Ma quelle cose si muovono di loro volontà. Abbiamo un giubbotto spaccone che è una specie di consulente per la stazione. Pensa di essere divertente, ma il suo cuore è al posto giusto. Anche se… Sai cosa intendo. Quindi questo libro si muoveva per conto suo. Carr ha pensato che forse poteva parlarci, invece lui gli ha sputato contro brutte parole dure. Gli ha perfino lasciato il segno».