Una Mano Sul Cuore - Giglio Valentina



Una Mano Sul Cuore

Copyright © 2021, Ines Johnson. All rights reserved.

This novel is a work of fiction. All characters, places, and incidents described in this publication are used fictitiously, or are entirely fictional. No part of this publication may be reproduced or transmitted, in any form or by any means, except by an authorized retailer, or with written permission of the author.

Edited by CHV Translations

Manufactured in the United States of America

First Edition November 2021

Indice

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Capitolo 22

Capitolo 23

Epilogo

Capitolo Uno

Fran osservava il puntino sul monitor. Raggiunse il picco come se stesse attraversando il punto più alto e ricadde all'istante verso il basso, come un uomo con un paracadute difettoso, per poi rialzarsi e farlo di nuovo.

Se quella non era una metafora della sua vita, non avrebbe saputo dire cosa fosse.

Guardò il monitor dell'elettrocardiogramma, mentre il suo cuore batteva ancora per qualche volta. Il battito era forte, consistente. Per il momento. Ma come sapeva bene il dottore che monitorava il suo cuore, anche Fran era consapevole che si sarebbe potuto arrestare in ogni secondo.

"Sembra che non ci siano cambiamenti, caporale DeMonti." La voce del dottor Nelson era ferma, monocromatica come il puntino che osservava sullo schermo. Scribacchiò degli appunti su un bloc-notes con una matita, volgendo lo sguardo da un macchinario all'altro, poi al proprio orologio. Non guardò lui neppure una volta.

Fran era abituato a essere ignorato da quelli che pensavano di essergli superiori. In quanto caporale dell'esercito americano, aveva lottato per ottenere un grado superiore. Era stato a un soffio dall'essere promosso sergente. Fino a quando una missione non era andata terribilmente male.

Quindi, no, la mancanza di attenzione da parte del dottore non lo infastidiva. Ciò che lo faceva, era il fatto che quell'uomo scrivesse con una matita invece che con una penna. Il tratto della grafite sulla pagina era temporaneo per Fran. Poteva essere cancellato con la gomma rosa all'altra estremità, proprio come la vita di Fran poteva essere cancellata da un movimento sbagliato. Se la scheggia che si era conficcata nel suo petto si fosse spostata di pochi millimetri a sinistra e gli avesse trafitto il cuore, lui sarebbe stato cancellato dall'esistenza. Sparito dalla pagina della vita.

"Purtroppo entrare e rimuoverla è ancora troppo pericoloso," disse il dottore. Alzò gli occhi e lo guardò finalmente in faccia. "Tutto quello che possiamo fare è continuare con la terapia e pregare."

Fran era sempre scioccato, quando sentiva un dottore prescrivere la preghiera. Pensava che la maggior parte degli uomini e delle donne dalla mente scientifica preferissero il tangibile allo spirituale. Ma spesso si sbagliava. Almeno era all'ospedale per veterani. Molti degli uomini e delle donne lì si erano trovati in situazioni che potevano solo essere attribuite a un potere superiore, e ne erano usciti. Quindi, non si vergognavano di rivolgersi al Signore, quando le loro menti non riuscivano a risolvere un problema fisico.

Fran sapeva molto bene che la sua scommessa migliore nella vita era il Signore. Per quel motivo, non aveva alcun problema a prendere la medicina prescritta. Avrebbe solo voluto conoscere più chiaramente quello che Dio aveva in serbo per lui. Voleva che Fran andasse presto a casa da Lui? Oppure la sua volontà era di lasciare che lui restasse in giro a giocare ancora per un po'?

Fran preferiva avere un piano concreto, ma conosceva anche il vecchio adagio: l'uomo progetta e Dio ride.

Non pensava che Dio stesse ridendo di lui. Non si sarebbe concesso di credere che il Creatore potesse fargli uno scherzo così crudele.

Quando Fran uscì dalla sala esami, alcune delle donne nei corridoi gli sorrisero, cercando di attirare il suo sguardo. A occhio nudo, sembrava perfettamente sano. Non aveva perso alcun arto e non aveva cicatrici visibili, a parte sul petto. No, la sua ferita era profonda. Andava oltre il pezzo di metallo vicino al cuore. Quella ferita gli scendeva fino all'anima.

Era tutta colpa sua.

Fran e il suo drappello erano al lavoro per rendere le vite di donne e bambini migliori, quando era successo. Lo scoppio che aveva infilato la scheggia nel petto di Fran non si era portato via nessuna vita. Tuttavia, si era portato via sei abitazioni, più l'attentatore suicida che aveva sacrificato la sua esistenza per una vocazione sbagliata.

Le vite dei sopravvissuti erano cambiate per sempre. E proprio quando stavano per rimetterle in sesto al Bellflower Ranch, era esplosa un'altra bomba nelle loro esistenze. No, quello non poteva assolutamente essere uno scherzo. Era davvero troppo crudele.

Fran uscì dall'ospedale per veterani e attraversò la cittadina in direzione del ranch. Quando guardò il paesaggio di fronte a sé, gli si gonfiò il cuore. Il Montana era semplicemente bellissimo.

Fran era cresciuto a New York. Le sue montagne erano stati i grattacieli. I suoi campi erano fatti d'asfalto. Ma non c'era niente che potesse essere paragonato al vedere la bellezza e la maestosità della natura che si innalzavano nel cielo.

L'Afghanistan aveva avuto lo stesso effetto su di lui. In un posto descritto come un deserto, c'erano state aspre montagne e valli profonde. La neve ricopriva le cime frastagliate. Le valli erano ricche di raccolti e bestiame.

Era stato sorpreso di trovare bellezza e abbondanza in un luogo ritratto come squallido. Ma quel ritratto non includeva tutti: i bravi abitanti del posto cercavano di restare fuori dalla cornice. Molto spesso, non avevano successo e una pennellata di violenza colorava le loro vite.

Fran si fermò davanti al ranch. Quando il comandante del suo drappello lo aveva acquistato, i soldati lo avevano rapidamente ribattezzato il Purple Heart Ranch. I ricchi petali viola di una campanula erano il simbolo di quello stesso nome. La Purple Heart era una medaglia, il premio per coloro che avevano servito in battaglia ed erano stati feriti da mani nemiche. Ogni uomo nel suo drappello era stato ferito e ora che erano andati tutti lì per guarire, avevano subìto un altro colpo.

Fran e gli uomini del suo drappello si dovevano sposare nel giro di poche settimane, se volevano restare tutti in quel ranch che aveva iniziato a guarire le loro ferite e aveva ridato a tutti uno scopo nella vita. Il problema era che non c'erano molte donne disposte a lasciarsi incatenare per tutta la vita a un gruppo di guerrieri feriti. Certamente nessuna alla quale lui potesse donare il proprio cuore, visto che poteva smettere di battere da un momento all'altro.

Quindi Fran avrebbe dovuto lasciare il ranch molto presto. Ma non prima di aver visto sistemati tutti gli altri uomini. Era colpa sua se tutti quanti avevano perso una parte di se stessi, quindi era in debito con loro. Si sarebbe assicurato che quegli uomini avessero la tranquillità che meritavano. E chissà, forse avrebbero persino trovato l'amore.

Era un bel sogno. Di quelli che un tempo aveva fatto per se stesso. Ma era un sogno che sapeva di non poter mai realizzare, visto che aveva una bomba a orologeria che ticchettava nel petto.

Capitolo Due

Eva trasse un profondo respiro per calmarsi. Tuttavia, le tremavano le mani. Sollevò la penna sopra il foglio, scosse le dita e provò di nuovo.

Aveva fatto i conti nella mente. Non si poteva sbagliare a scrivere le cifre e il loro corrispettivo in lettere. Quello era un assegno molto grosso. Il più grosso che avesse mai compilato in vita sua.

Dopo aver controllato per tre volte e poi ricontrollato per tre volte ancora, posò la penna. Rotolò lontana da lei, ma la lasciò andare. Non aveva più bisogno dell'inchiostro. Aveva speso i soldi e ora il suo conto era vuoto. Ma ne era valsa la pena.

Strappò l'assegno dal libretto con cautela. Era il numero uno. Non aveva mai compilato un assegno in vita sua, aveva sempre pagato in contanti. Quello era il primo conto corrente che usava per spendere e non per incassare. Ed era il suo primo assegno.

Lo porse alla donna dietro il bancone. Aveva occhi gentili e un sorriso paziente. Esaminò l'assegno.

Eva trattenne il fiato. Non poteva aver commesso un errore. Non poteva permettersi di infilare un centesimo di più in quell'assegno.

"Sembra tutto a posto, mia cara," disse la donna.

Le spalle di Eva si abbassarono visibilmente per quell'affermazione.

"Ecco il suo orario." La responsabile delle ammissioni porse a Eva un foglio con i numeri delle stanze, i nomi dei corsi e dei professori stampati in linee ordinate. "Arrivederci a lunedì, signorina Lopez."

"Sì," sussurrò Eva. "Sì, certo."

"Buone lezioni, cara."

"Anche a lei. Cioè, grazie. Buona giornata."

Eva diede le spalle allo sportello delle ammissioni, stringendosi l'orario al petto. Dietro di lei c'era una lunga fila di studenti che si volevano iscrivere. Apparivano annoiati e stanchi. Nessuno aveva la sua stessa eccitazione nelle vene. Forse era perché la maggior parte di loro aveva una borsa di studio, o qualche aiuto economico, o dei genitori che pagassero per la loro istruzione.

Non era il caso di Eva. Lei aveva guadagnato ogni centesimo che aveva appena ceduto alla scuola con una firma. Le ci erano voluti tre anni, ma ce l'aveva fatta. Aveva risparmiato abbastanza per il suo primo semestre di college. Non online. Avrebbe frequentato un vero campus. E nemmeno qualche corso di istruzione professionale: quella era l'università di Stato.

Non stava facendo la snob. Beh, in verità sì. Per la prima volta in vita sua, faceva parte dell'élite. Se solo i suoi genitori avessero potuto vederla in quel momento! Comunque, sentiva che la stavano guardando da lassù e che erano raggianti d'orgoglio.

Ce l'aveva fatta. Aveva realizzato il suo sogno. I suoi genitori glielo avevano detto fin dal primo giorno di scuola materna: l'istruzione era la chiave per realizzare i suoi sogni. Con l'istruzione, tutto diventava possibile.

Eva non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto con quell'istruzione. Sapeva solo di desiderarla. Amava andare a scuola, sedersi dietro un banco mentre l'insegnante faceva magie alla lavagna.

Gli ultimi tre anni dopo che si era diplomata alle superiori erano stati tristi. Tuttavia, presto sarebbe stata di nuovo al proprio posto dietro un banco. Allora, tutto sarebbe stato possibile.

Eva saltò sull'autobus e iniziò il viaggio verso casa sua, che era oltre i bei quartieri che circondavano il college. Casa sua era oltre i condomini alla moda nel quartiere degli affari. Casa sua era un edificio fatiscente nella zona molto meno alla moda, dove la gente lavorava per compensi orari spesso inferiori al minimo statale.

Il bus non si fermava vicino all'edificio. Scaricò Eva davanti alla chiesa. Negli ultimi mesi da quando era andata a vivere lì, c'era entrata qualche volta. A ogni trasloco, si assicurava sempre di trovare una chiesa. Anche se non conosceva nessuno, quella era sempre una casa per lei.

"Buon pomeriggio, signorina Lopez."

Eva si voltò al suono della voce di un uomo più anziano. Un sorriso le si allargò sul viso. "Salve, pastore Patel."

Eva si avvicinò e strinse la mano dell'uomo. Lui la allontanò e strinse la ragazza in un abbraccio caloroso. Eva lo accettò con gratitudine: gli abbracci del pastore Patel assomigliavano a quelli che le dava un tempo suo padre.

"Non ti vedo da un paio di settimane," la rimproverò il pastore.

"Ho fatto qualche extra, per guadagnare un po' di soldi. Ma ora mi vedrà. Avrò più tempo nei fine settimana. Ce l'ho fatta, mi sono iscritta al college."

"Oh, mia cara. Sono molto felice per te." Le accarezzò la spalla con affetto, come faceva sempre sua madre. "Comunque, vorrei che avessi accettato i soldi della chiesa."

Eva scosse la testa. Oltre alla necessità di una buona istruzione, suo padre le aveva insegnato a non accettare la carità. La sua famiglia aveva lavorato per ottenere tutto quello che aveva. Bisognava donare alla Chiesa e ai meno fortunati. Per il resto, si affidavano alla famiglia. Quello era lo stile di vita dei Lopez.

"Bene, adesso che sei una studentessa universitaria," disse il pastore Patel, "verresti domani a fare lezione all'associazione giovanile?"

Eva esitò. Non credeva di avere già qualcosa da insegnare. Aveva difficoltà a farsi ascoltare dai suoi stessi fratelli, quando dava consigli sulla vita. Ma sapeva che il pastore Patel non avrebbe accettato un no come risposta, quindi acconsentì. Con un ultimo abbraccio, lui la lasciò andare per la sua strada.

Eva percorse il tragitto a passo svelto. La ragione per la quale l'autobus non arrivava fino al suo quartiere era evidente. C'erano dei vetri sulla strada. Da alcuni vicoli arrivava un fetore disgustoso. Alcuni uomini bighellonavano agli angoli della strada nel pomeriggio, prima della fine della giornata lavorativa. Uno di quelli era troppo basso per poter essere considerato un uomo.

"Carlos," chiamò Eva.

Il ragazzo non si voltò, ma lei sapeva che l'aveva sentita.

Eva si avvicinò a suo fratello a passo di marcia. Si trattenne dal tirargli su i pantaloni che gli cascavano dal sedere. Dov'era la cintura che gli aveva comprato il mese scorso? Il ragazzo si voltò verso di lei con uno sguardo cauto. I tipi intorno a lui iniziarono a ridacchiare.

"Sono solo uscito con i miei amici," disse.

"Bene, è ora di venire a fare i compiti."

I ragazzi ridacchiarono ancora di più.

"Vai con la tua bella sorellina, ometto. Quando finisci i compiti, ho del lavoro vero per te."

Eva rivolse al teppista un'occhiata tagliente. Tuttavia, gli Occhi Cattivi funzionavano solo con i consanguinei.

Carlos si allontanò con lei. Eva era consapevole di averlo messo in imbarazzo, ma era meglio che quei tipi pensassero che fosse un cocco di mamma, o della sorella. Era pronta a rovinargli la reputazione, se ciò significava salvarlo dalla strada.

"Bighellonare in strada non ti porterà da nessuna parte," disse Eva quando ebbero attraversato la strada.

"La scuola invece sì? Guarda dove ha portato te." Carlos alzò le mani per indicare il quartiere. Tutto quello che Eva riusciva a vedere erano sfumature diverse di marrone, dagli edifici fino alla sporcizia sulla strada e a quella sui volti dei ragazzini.

"Tutto questo cambierà presto," disse Eva. "Una laurea è un mezzo per uscire da qui. Vedrai."

Il problema era che ci sarebbero voluti almeno due anni per dimostrargli la veridicità del suo ragionamento. Sperava solo di avere così tanto tempo a disposizione, per provare la propria teoria. Nel frattempo, non avrebbe permesso che le strade reclamassero il suo fratellino.

Capitolo Tre

Fran posteggiò il furgone davanti a casa. Si trattava di una villetta con quattro camere da letto, nascosta in un angolo della proprietà. Si era stabilito lì quando era arrivato un anno prima. Era stato il primo a farlo, dopo che erano stati tutti congedati. Aveva creduto che avrebbero vissuto tutti lì, ma visto che gli uomini che arrivavano al ranch stavano ancora soffrendo, ciascuno di loro cercava il proprio spazio.

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