La rivincita dei mendicanti - Кресс Нэнси (Ненси) 11 стр.


L’ascensore si fermò in profondità sotto terra. Si aprì direttamente su una sala conferenze tutta scintillanti pareti bianche nano-costruite e fragrante odore di caffè forte. Le porte conducevano, presumibilmente, ai laboratori e agli appartamenti. Sulla lucida tavola in teak circondata da comode sedie c’era un servizio da caffè in argento. Altre sedie erano allineate contro le pareti. Un tavolinetto sorreggeva un olopalco.

Jennifer si accomodò su una sedia al lato della stanza, sedendosi a occhi bassi. Quello era il risultato di negoziati condotti da Will. I berberi, abili uomini di affari nel loro ambiente implacabile per tre millenni, si erano adattati facilmente a fungere da mediatori per imprese clandestine internazionali. Erano meno disponibili ad adattarsi a imprenditori di sesso femminile. Se Jennifer fosse stata una qualsiasi altra donna al mondo, non le sarebbe stato nemmeno concesso di entrare nella stanza.

Qualsiasi altra donna a parte una: Miranda, che aveva tradito il suo popolo rendendo necessaria quell’interazione con la feccia Dormiente.

Will e i berberi si sedettero attorno alla tavola di teak lucido. Gunnar rimase in piedi, contro la parete, fra Jennifer e l’ascensore, per poter sorvegliare ogni cosa.

— Caffè? — chiese Karim.

— Sì, grazie — rispose Will. — Dov’è il dottor Strukov?

— Si unirà a noi fra pochi minuti. Siamo arrivati un po’ in anticipo.

Il caffè aveva un aspetto scuro, ricco, amaro. Jennifer sentì l’acquolina in bocca. Bloccò la saliva. I berberi bevvero con gusto, senza parlare, perfettamente a proprio agio. Anche Karim, però, si irrigidì lievemente quando si aprì una porta ed entrò Serge Mikhailovich Strukov.

Il leggendario genio russo era immenso, chiaramente modificato geneticamente nelle dimensioni. La pelle aveva il caratteristico aspetto salutare di quella di tutti i Cambiati. Le siringhe erano piovute in Ucraina come in ogni altro posto della Terra, ma non si sapeva fino a che punto fossero state usate: non soltanto l’Ucraina aveva serrato tutti i confini, ma vi erano fioriti anche bizzarri culti antitecnologici dopo che le Guerre Nucleari Localizzate avevano rallentato fortemente l’utilizzo della Rete. Quello che non si trovava nella Rete non poteva essere trafugato. Gran parte dell’Europa dell’est e dell’Asia occidentale risultava sconosciuta perfino al Rifugio.

Non Strukov, però. Lui era conosciuto ovunque e altrettanto introvabile.

Era fuggito dall’Ucraina a diciassette anni, ignorante in microbiologia ma, in qualche modo, modificato geneticamente a livello del QI. Non raccontava mai dei suoi genitori, della sua provenienza, della sua adolescenza, di come avesse imparato a parlare, oltre al russo, anche il cinese idiomatico e, con un po’ di accento, il francese. A ventidue anni aveva conseguito una laurea in microbiologia al Centre d’Étude du Polymorphisme Humain di Parigi. A trentuno aveva ottenuto il Premio Nobel in medicina per il suo lavoro sulle eccitotossine modificate geneticamente nei mitocondri neurali. Non si era mai recato a Stoccolma a ritirare il premio. Tre mesi dopo era uscito dal suo laboratorio di Parigi ed era scomparso.

Nel corso del decennio successivo, affiorarono strani rapporti su Strukov nella Rete clandestina: accenni che lavorasse per i cinesi, per gli egiziani, per il Brasile, sempre sulla guerra batteriologica, sempre su progetti di modificazione genetica che però non arrivavano mai ai notiziari mondiali. O che non riuscivano mai ad allontanarsene. Un microbiologo dell’Enclave di San Francisco Bay dichiarò di riconoscere la mano di Strukov in una terribile modificazione genetica virale inviatagli da un medico coinvolto nella guerra cilena: un retrovirus mortale che distruggeva la formazione della memoria nell’ippocampo. Una settimana dopo, quel microbiologo era affogato nella baia.

Strukov sedette a capotavola. Quindi, ignorando volutamente Will, fece ruotare la sedia per fissare direttamente Jennifer. Lei non sollevò lo sguardo ma lui continuò a guardarla comunque: cinque secondi, dieci, quindici. Lei riuscì a sentire la tensione nella sala crescere vorticosamente.

Alla fine Strukov si girò nuovamente verso gli uomini seduti attorno alla tavola. Sorrise debolmente. — Cosa desidera adesso da me il Rifugio? — Il suo inglese aveva un forte accento russo, ma la struttura della frase non era russa: veniva mentalmente tradotta dal francese, immaginò Jennifer.

Will apparve meno composto di Strukov. — È già stato informato di quello che vogliamo.

— Vorrei sentire le sue parole.

— Vogliamo che lei riadatti il virus modificato geneticamente che ha già sviluppato — disse Will, un po’ troppo tagliente. — I campioni che abbiamo ricevuto non sono soddisfacenti.

— E come mai il Rifugio, in possesso dei migliori laboratori scientifici del sistema solare, non può modificare personalmente questo virus?

— Ci sono dei motivi per cui preferiamo non farlo — rispose Will.

— Sono in grado di immaginarlo. Il Rifugio è governato da decisioni comuni, non è così? E molti si oppongono al vostro piano, qualunque sia. Molti non ne saranno nemmeno al corrente. In più, i vostri laboratori al Rifugio sono specializzati per la modificazione genetica di embrioni e per la ricerca nel campo. Non siete specializzati nella creazione e nella diffusione di virus mortali.

Will non commentò. Strukov tirò indietro la testa e rise, una risata possente e aspra che riempì la stanza. Karim sorrise. Jennifer Sharifi e Will Sandaleros erano stati in prigione per aver tenuto in ostaggio cinque grandi città americane con la minaccia di rilasciare un virus mortale modificato geneticamente.

Strukov riprese: — Ventotto anni cambiano molte cose, eh? E non solo in microbiologia. Tuttavia,

— Vero — commentò Strukov. — Ecco perché malattie come il morbo di Huntington e l’ASL sono scomparse, come l’avvelenamento accidentale. Ma l’amigdala fa altro. Angelique,

— Tre mesi dopo — disse Strukov. Stesso topo, le ferite ulteriormente guarite. Una mano entrò dalla parte superiore della gabbia tenendo un collare color rosso acceso in pelle. Immediatamente il topo mostrò segni di intensa paura.

— Ora, questo è soltanto un riflesso condizionato di Pavlov, vero? Il topo associa il collare con la paura. Avviene anche in un uomo che ha combattuto il quale, venticinque anni dopo, sente un forte rumore e si getta a terra. L’esperienza del rumore assordante e del pericolo mortale sono associate nel suo cervello e l’amigdala è il luogo in cui avviene il collegamento. Adesso, tuttavia, la cosa si fa interessante. Le amigdale del topo sono state rimosse.

Stesso topo. Il gatto entrò. Il topo sollevò lo sguardo, vide il gatto e tornò ad annusare disinteressato la gabbia. Quindi si avvicinò al gatto che gli balzò addosso immediatamente e lo uccise.

Will disse: — Niente amigdala, niente paura.

— Niente paura ricordata — precisò Strukov. — La paura istintiva può ancora essere indotta, come, per esempio, gettando il topo da una grande altezza e monitorandone le biorisposte durante la caduta. La paura di cadere è istintiva. Quella ricordata, invece, dipende dai recettori NMDA posti nelle amigdale. Creano un tracciato neurale permanente, come alcune droghe che si trovano per la strada, che a sua volta altera permanentemente la reazione. L’organismo non può "non" provare paura dato uno stimolo adeguato. Angelique,

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