La rivincita dei mendicanti - Кресс Нэнси (Ненси) 28 стр.


Eppure, se voleva rendere sicuro il suo popolo non c’era scelta.

Sentì le mani di Will sulle spalle. — Jenny, è il momento. — Pensò che il marito avesse già pronunciato quelle parole ma che lei, all’improvviso, non riuscisse a ricordarle. Non aveva sentito il terminale. Per un momento la stanza si offuscò. Chiuse gli occhi.

— Trenta secondi — contò il terminale nell’angolo. Jennifer si costrinse ad aprire gli occhi. Lo schermo si era illuminato. Nessuna telecamera montata su mezzi telecomandati, quella volta. Il monitor nascosto si trovava a un chilometro e mezzo di distanza e mostrava soltanto un paesaggio desolato e vuoto, e, zoomando, il debole scintillio di uno scudo a energia-Y. No, non uno scudo a energia-Y ma qualcosa di completamente diverso, progettato da geni, mai duplicato da nessuno, da nessuna parte. Qualcosa in cui nessun mezzo telecomandato sarebbe mai riuscito a penetrare.

— Venti secondi.

Le mani di Will le si serrarono sulle spalle. Lei pensò di togliersele di dosso ma, per qualche motivo, non riuscì a muoversi. Non riusciva a pensare. La sua mente, quel meccanismo di precisione, era soffocata dalla confusione, vaporizzata dai nuovi dati che Caroline Renleigh le aveva riferito su Selene. Selene, dove la traditrice Miranda si nascondeva al mondo.

Sua nipote Miranda. La figlia di Richard. Richard, suo figlio, che aveva scelto di sostenere il tradimento di Miranda contro sua madre. Richard, che era lì con Miranda.

— Dieci secondi.

Non ricordava Richard da piccolo. Lei era molto giovane, coinvolta nella creazione del Rifugio e non ancora addestrata a ricordare ogni cosa. Ricordava l’infanzia di Miranda. Miranda, con gli occhi scuri e i capelli neri, scompigliati, che rideva alle stelle mentre lei la teneva in braccio davanti alla finestra di quella stessa stanza. Miranda.

"Miri…"

— No! — urlò Jennifer, e il suo grido annullò la voce calma del terminale nell’angolo.

— È finita, Jenny — disse dolcemente Will. — È finita. — Jennifer, però, piangeva, singhiozzva così violentemente da riuscire a sentire a mala pena il sistema aggiungere: — Operazione Nuovo Messico completata. — In seguito, si sarebbe rammaricata di avere singhiozzato e di essersi fatta vedere da Will. Era una disgrazia per la sua disciplina, ma ormai piangeva come una piccola di due anni perché le cose non dovevano essere così, le scelte non dovevano essere tanto dure. Le terribili scelte di guerra.

"Miri…"

Will l’abbracciò come se fosse una bambina impaurita e nonostante i singhiozzi, il rammarico e la sua imperdonabile debolezza si rese conto che quell’uomo, con la sua odiata delicatezza, poteva ancora fare molto per lei, che se lo sarebbe tenuto ancora vicino.

14

La luce sul volto svegliò Theresa che gridò.

Un momento dopo ricordò dove si trovava. Afflosciata sul sedile presso la finestra, in fondo all’atrio del piano superiore. Dalla notte precedente? Da tutta la notte? Aveva voluto sedersi soltanto un minuto, guardare il parco, fuggire dal suo studio per un po’.

Dolorosamente, cercò di sbloccare il corpo dal sedile angusto. Le faceva male la schiena, sentiva il collo irrigidito, provava un terribile sapore in bocca. Da quanto tempo non dormiva, prima della sera precedente? Da quanto tempo non mangiava? Aveva perso il conto. Jackson non tornava a casa da giorni. Theresa era rimasta da sola, chiusa a chiave nello studio, a guardare i notiziari e stampare immagini da appendere alle pareti. Immagini di bambini nonCambiati morenti, di adulti che combattevano selvaggiamente gli uni contro gli altri per inesistenti siringhe del Cambiamento, di incursioni per saccheggiare coni-Y, mobili e terminali, di enclavi violate in Oregon, New Jersey, Wisconsin. Theresa aveva guardato tutto.

"Sono venuto a portare testimonianza della distruzione dei mondi." La citazione era stata trovata da Thomas. Theresa l’aveva fissata finché la vista non le si era annebbiata. Poi aveva guardato ancora un po’ i notiziari. Quindi aveva fissato il messaggio sul suo sistema, il messaggio che non sarebbe dovuto essere lì:

HO VISTO LE IMMAGINI DEI BAMBINI VIVI. LEI DEVE TROVARE MIRANDA SHARIFI E FARE SÌ CHE CI FORNISCA ALTRE SIRINGHE DEL CAMBIAMENTO. LEI È UN MULO, HA TUTTI QUESTI SOLDI, LEI, E PUÒ ARRIVARE A MIRANDA IN MODI CHE NOI NON POSSIAMO, NOI…

Il messaggio era stato dettato, ovviamente, ma Theresa aveva chiesto a Thomas di scriverlo. Poi era rimasta a fissarlo, senza dormire, per tutti i giorni passati da quando Jackson non era più rientrato a casa. Inizialmente aveva finto che il messaggio fosse un errore, un’interferenza, uno delle migliaia di messaggi che le persone preparavano in tutto il mondo da trasmettere a Selene e finito nel suo sistema personale per qualche bizzarro errore nella Rete. Ma anche se poteva cercare di convincersene, Theresa sapeva di non essere tanto pazza da crederci veramente.

Peccato.

Il messaggio era di quella ragazza che Jackson aveva portato a casa, la ragazza Viva con il bambino reso timido dai neurofarmaci, ed era indirizzato proprio a Theresa. Jackson voleva sempre che lei affrontasse i fatti: quelli erano i fatti. Il messaggio era per lei.

Ovviamente non significava che lei dovesse farne qualcosa.

Aveva fissato il messaggio e distolto lo sguardo, gli ologrammi dei notiziari con i bambini morenti e aveva distolto lo sguardo, le pareti del suo studio e aveva distolto lo sguardo, per due giorni. O tre. Finché la notte precedente aveva pensato improvvisamente che se non fosse uscita da quella stanza sarebbe impazzita "sul serio". Sarebbe diventata ancora più pazza. Era arrancata fino al sedile presso la finestra e aveva guardato giù, verso il parco illuminato per la notte, e su, verso la cupola dell’enclave e le stelle, quindi aveva cominciato a singhiozzare fino a non riuscire più a fermarsi. Per nessun motivo, nessun motivo al mondo.

"Prendi un neurofarmaco" disse Jackson nella sua mente. "Tessie, è una questione biochimica, non sei obbligata a sentirti così."

— Fottiti — disse Tessie a voce alta, per la prima volta in vita sua, e ricominciò a piangere.

No. Anche quello bastava. Doveva riprendersi, fare un bagno, mangiare qualcosa. Doveva tornare nello studio. I bambini stavano morendo, i neonati venivano martoriati e sfigurati da orribili malattie, le madri come quella Lizzie tenevano in braccio i figli che si contorcevano dal dolore. Perché non riusciva a dimenticarsene? Altre persone lo facevano! Toglierselo dalla testa, soltanto, restare fuori da quello stupido studio.

"Prendi un neurofarmaco, Tessie."

— Signorina Aranow — fece Jones — ha un messaggio a priorità assoluta.

— Di’ che sono morta.

— Signorina Aranow?

Poteva trattarsi soltanto di Jackson. Non doveva preoccuparlo. Lei non doveva… non poteva…

— Signorina Aranow?

— Di’ che sto arrivando, Jones.

Theresa scese dal sedile presso la finestra. Le girava la testa. Si appoggiò contro la parete finché la vista non le si schiarì, sentì le ginocchia tremare. Cercò di stabilizzarle e accettò la chiamata in bagno, dove non avrebbe dovuto inviare la sua immagine. Non era Jackson.

— Tess? Dov’è il video? — Cazie, dall’aspetto fresco e austero con il suo vestito nero.

— Sono appena uscita dalla doccia. — Cazie sapeva che a Theresa non piaceva mostrare il proprio corpo.

— Oh, mi dispiace. Ascolta, dov’è Jackson?

— Non è con te? — chiese Theresa.

— Sai benissimo che non è con me: lo sento dal tuo tono di voce. Non giocare con me, Tess. Dove ha portato quei Vivi?

— Io non… quali Vivi?

Il volto di Cazie mutò. Quella, pensò Theresa, doveva essere la faccia che vedeva Jackson quando lui e Cazie litigavano: zigomi alti e pronunciati che sporgevano dalla pelle, sguardo duro quanto il pavimento di marmo che Theresa aveva sotto i piedi nudi: la ragazza indietreggiò leggermente verso il lavandino.

— Theresa. Dimmi. Dove. Si. Trova. Jackson.

Theresa chiuse gli occhi serrandoli stretti.

— Non vuoi dirmelo. Benissimo, vengo immediatamente lì da te.

— No! Io… io stavo uscendo!

— Oh, certo. Quando è stata l’ultima volta che sei uscita? Sarò lì fra dieci minuti, Tess. — Lo schermo si spense.

Theresa si sentì assalire dal panico. Cazie le avrebbe estorto le risposte, Cazie poteva farle tirare fuori tutto; lei le avrebbe riferito che Jackson aveva portato Lizzie e gli altri alla Kelvin-Castner a Boston. Jackson si era raccomandato di non dire niente. A nessuno. Specialmente a Cazie. Ma Cazie stava arrivando. Theresa avrebbe ordinato a Jones di non lasciarla entrare.

Cazie conosceva i codici di sovrapposizione. Per l’appartamento, per l’edificio. Per la mente di Theresa.

Benissimo, allora. Theresa non sarebbe stata lì quando Cazie fosse arrivata.

Nel momento in cui le venne in mente quel pensiero, Theresa seppe che era quello giusto. Doveva uscire prima che arrivasse Cazie. Aveva bisogno di fare quello che il messaggio sul suo sistema le aveva detto di fare: giungere fino a Miranda Sharifi e farsi consegnare altre siringhe del Cambiamento. "Lei è un Mulo, ha tutti questi soldi, lei, e può arrivare a Miranda in modi che noi non possiamo, noi…" Theresa aveva passato due giorni (tre?), comprese in quel momento, a cercare di allontanare dalla mente il pensiero di quello che doveva fare. E non aveva funzionato, non funzionava mai.

Ignorare il richiamo del dolore non faceva altro che rendere il dolore peggiore. Quella chiamata era un dono. Lei, in qualche modo, lo aveva trascurato e non reagire a quel dono l’aveva soltanto fatta diventare pazza.

Più pazza.

Ormai non più.

In fretta, con una disinvoltura che la sorprese, Theresa sfrecciò fuori dal bagno. Non aveva tempo per fare la doccia, in quel momento. Le scarpe… avrebbe avuto bisogno di scarpe. E di un cappotto. Era aprile fuori dall’enclave. In aprile non faceva freddo? Afferrò scarpe e cappotto. — Al tetto — ordinò all’ascensore. — Per favore.

Non erano soltanto i suoi muscoli ad agire all’improvviso con disinvoltura. Anche la sua mente lo faceva, lavorando su progetti autonomi che la sbalordirono. Per arrivare a Miranda Sharifi, Theresa aveva bisogno di iniziare dall’ultimo posto in cui Miranda era stata vista sulla Terra. Si trattava dell’accampamento di Vivi dove le persone si legavano tre a tre, dove Patty, Josh e Mike non avrebbero mai più potuto vivere da soli perché ormai erano costretti a restare insieme. Miranda era stata lì e aveva lasciato una olocassetta dove forniva la spiegazione delle nuove siringhe rosse. Per usare le nuove siringhe bisognava essere Cambiati. Ecco cosa aveva detto Josh. Miranda poteva avere lasciato lì più siringhe del Cambiamento che in qualsiasi altro posto. Oppure, sarebbe anche potuta tornarci, o avrebbe mandato qualcuno, per portarne altre, dopo che erano scoppiate le lotte per le siringhe del Cambiamento. Se il legame era l’ultimo progetto di Miranda sulle persone, allora di certo Miranda avrebbe monitorato il luogo (i luoghi?) dove lo stava testando. Perfino Theresa sapeva quelle cose sul funzionamento della scienza.

Sul tetto, dovette socchiudere gli occhi per la luce del sole calda e brillante. Il battito cardiaco le accelerò, e sentì il fiato mozzarsi in gola. L’ultima volta che aveva provato a uscire dall’enclave era svenuta, la crisi di panico era stata molto violenta, un attacco dopo l’altro…

Ma stava per arrivare Cazie. Se Theresa non fosse uscita, avrebbe dovuto vedere Cazie.

Theresa chiuse gli occhi, si piegò in due per appoggiare la testa fra le ginocchia e respirò profondamente. Dopo qualche istante, il panico si attenuò. O forse no: forse le sembrò soltanto, perché trovarsi davanti a un accampamento di Vivi selvaggi e legati la impauriva meno che trovarsi davanti a Cazie Sanders infuriata.

Forse era quello il modo in cui le persone si convincevano ad affrontare cose pericolose: scappando da cose ancor più pericolose.

Nella brillante luce del sole, camminando attraverso il giardino sul tetto in direzione delle aeromobili, Theresa si mise a piagnucolare. Poi salì su un’aeromobile e recuperò dalla memoria del veicolo le coordinate per arrivare all’accampamento dei Vivi legati biochimicamente, cercò di respirare profondamente e in maniera regolare, cercò di non cedere alla biochimica della sua stessa mente.

I Vivi non avevano spostato l’accampamento. Theresa aveva temuto che fossero andati altrove, i Vivi lo facevano, ma già dall’alto fu in grado di scorgere piccole figure umane che si muovevano in gruppi di tre. Quanto potevano allontanarsi gli uni dagli altri prima di morire? Theresa non riuscì a ricordare la distanza esatta.

Atterrò, sempre respirando profondamente e in maniera regolare, ma quella volta nessuno arrivò di corsa verso l’aeromobile. Tutte le triadi scomparvero all’interno dell’edificio e chiusero la porta.

Lei si costrinse a uscire dal veicolo e a incamminarsi verso l’edificio, quindi a girarvi attorno. Sotto il tendone di plastica del campo di alimentazione, erano sedute tre persone nude che non avevano notato l’aeromobile di Theresa: due donne e un uomo. Quando scorsero Theresa, i loro volti si raggelarono e lei vi notò il tipo di sguardo che generalmente vedeva soltanto nello specchio.

Erano terrorizzati. Di "lei". Come lo era stato il bambino di Lizzie. Quell’accampamento era stato infettato proprio come quello di Lizzie.

— Salve! C’è Josh? — Josh era stato gentile con lei, allora.

Le tre persone si alzarono in piedi, si rannicchiarono l’una accanto all’altra, e si strinsero forte per mano. In un groviglio di corpi nudi, avanzarono di un centimetro alla volta verso il lembo di plastica che fungeva da porta del terreno di alimentazione. Theresa si spostò davanti all’apertura e loro si bloccarono.

— Voglio parlare con Josh, Patty e Mike.

I nomi sembrarono rassicurare almeno in parte uno della triade. La donna più anziana avanzò di un passo, tenendo sempre per mano i due compagni, e chiese impaurita: — Conosci Jomp, tu?

Jomp. A Theresa occorse un minuto per comprendere che si trattava di Josh-Mike-Patty. Provò una fitta di disgusto.

— Sì. Conosco Josh e sono venuta qui per vederlo. Portatemi da lui, per favore.

A dispetto delle forti pulsazioni che provava nel petto, Theresa si meravigliò di se stessa. Sembrava Cazie. Be’, forse non proprio, ma quanto meno Jackson.

La donna esitò. Era sulla trentina, piccola e pallida, con un viso ossuto e capelli corti e chiari come quelli di Theresa. — Jomp sono dentro, loro. Io andrò dentro, e te li chiamerò.

— Potreste non tornare — fece Theresa. — Vengo con voi.

— No! No, no. Tu resti qui, tu.

Theresa si scansò. La triade si strinse per passare oltre. Quando lasciarono il calore potenziato del sole del luogo chiuso, i loro corpi nudi rabbrividirono, mostrando la pelle d’oca. Theresa li osservò infilarsi le tute ammassate su una scansia di legno, prima di avvicinarsi alla donna dai capelli chiari che indietreggiò.

— Va tutto bene. Non vi farò del male, a nessuno di voi. Io voglio… soltanto vedere Josh. Si ricorderà di me. Era vero? — Come ti chiami?

— Noi siamo Peranla, noi — rispose quella in un sussurro.

Peranla. Percy-Anne-Laura. Oppure Pearl-Andy-Lateesha. Oppure… non aveva alcuna importanza. Avrebbe dovuto averne.

— Peranla, verrò con voi a cercare Josh.

La triade smise di muoversi. Smise quasi di respirare. E se fossero stati colti da un attacco, come succedeva a Theresa quando si spaventava troppo? Che avrebbe fatto lei a quel punto? Non accadde. Un minuto dopo, si mossero stretti nel loro gruppetto, superando Theresa: si misero a correre insieme, goffamente, sfrecciando attorno all’angolo dello stabilimento. Theresa corse loro dietro.

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